Riverwind (umano barbaro)
Il risveglio di Riverwind fu molto tormentato. In un primo momento non badò molto al dolore, tanta era la sorpresa e gioia di essere ancora vivo e percependo accanto la voce e la figura della sua amata Goldmoon, un po' di dolore era il minimo dopo essersi salvato dal soffio di un drago. Quel dolore era però presto diventato insopportabile ed i suoi occhi, ancora annebbiati dal risveglio, si strinsero e riempirono di lacrime per poi volgersi verso il proprio braccio sinistro ed in quel momento egli capì la ragione di tutto quel dolore, aveva perso il braccio sinistro. Osservava quel moncherino come se non fosse parte di sé, come se non potesse essere vero, gli era inconcepibile ed inaccettabile, si aspettava ad ogni battito di palpebre che quella visione temenda sparisse e tornasse a vedere il suo braccio al suo posto, intero. Dovette presto arrendersi all'evidenza che i suoi occhi non lo stavano ingannando, aveva davvero perso un braccio. Dentro di sé qualcosa si spezzò, aveva affrontato mille pericoli, era riuscito a conquistare il diritto di chiedere in sposa Goldmoon, l'aveva protetta da ogni avversità ed aveva prestato la propria forza ed il proprio coraggio ai compagni a cui si erano uniti. Ma ora, senza un braccio, che cosa poteva mai fare? Non sarebbe più stato il guerriero capace di prima, non avrebbe più impugnato la propria spada lunga con entrambe le mani, né l'avrebbe maneggiata in coppia con la spada più corta, non avrebbe più potuto fare tante cose che necessitano di entrambe le mani o comunque le avrebbe fatte con enorme difficoltà. Di sicuro non avrebbe più potuto stringere fra le sue braccia Goldmoon.
La sua amata gli era stata accanto fin da subito e lui lo apprezzava davvero, ma in questo momento il suo sguardo amorevole ma preoccupato, le sue attenzioni e cure non facevano altro che metterlo dolorosamente di fronte alla sua inutilità e l'essere diventato un peso per lei e per il resto del gruppo. Strinse i denti e cercò di non dare a vedere il proprio dolore, la pena sia fisica che interiore, il senso di smarrimento, lo doveva alla sua amata e lo doveva ai suoi compagni che si erano tanto dati da fare per salvarlo dalle prigioni in cui era finito e dall'ancora più tremendo destino che lo avrebbe atteso fino ad una sofferta morte. Quasi subito i discorsi della compagnia virarono anche su come restituire il suo braccio, il che rendeva ancora più chiaro al barbaro delle pianure come egli fosse considerato irrimediabilmente menomato ed inutile agli occhi di tutti. La loro preoccupazione e fretta era certamente simbolo di quanto volessero bene a lui e di come ci tenessero a guarirlo, prima fra tutti l'amata Goldmoon, ma il suo umore cuoo e depresso vedeva tutto questo come motivo di vergogna e risentimento per la propria misera condizione. Trovare però una magia così potente da potergli ridare il braccio sembrava qualcosa di impossibile, un potere perduto da tempo o perlomeno sperduto chissà dove ma senza alcuna idea di come scoprirlo. I suoi amici stavano per imbarcarsi in un compito talmente incerto, arduo e pericoloso, tutto per lui. Probabilmente non ne valeva la pena, avrebbe rischiato inutilmente la loro vita ed avrebbero perso tempo verso gli obbiettivi che li avevano portati ad unirsi e combattere assieme. Rimase in silenzio, lo sguardo perso verso il terreno sotto di sé, come se non guardasse nulla o guardasse qualcosa chissà quanto in profondità, oltre la superficie. Forse avrebbe dovuto dire qualcosa, partecipare alla conversazione, ma non aveva nulla dire, o meglio non ne era affatto sicuro. Meglio tacere.