Khalya, paladina di Yvet Lorne
La battaglia purtroppo è appena iniziata.
Mi guardo attorno, cercando di capire tutto e subito, ma è impossibile: il caos regna in tutti sensi.
Il golem fagocita un pover’uomo, rigenerandosi completamente; il mio pugno si stringe con la rabbia di chi è impotente.
Con un gesto quasi di non curanza sollevo lo scudo. Il sibilo di un dardo si infrange con un tonfo su di esso.
«Will!», urlo sopra le urla «Puoi farti incorporare dal golem!»
‘Cosa ho detto?’, tremo alle mie stesse parole.
«…ti trasformerai in qualcosa di enorme, e lo farai esplodere…»
I nostri sguardi si incrociano; i suoi occhi languidi dietro il volto sfigurato da un’appendice grottesca.
Un’amara consapevolezza mi assale: forse è arrivato il momento del martirio.
Per entrambi.
Non ho altre soluzioni, ma il druido è saggio: saprà valutare se la mia è troppo azzardata.
Il comandante sbrodola e vaneggia, mentre si sbarazza dell’armatura come può. Le sue braccia sono ora costrette nell’intrico di piastre e maglie. La sua mente è altrove, il suo corpo è indifeso, instabile. La mia spada si solleva e abbatte violentemente dietro le sua ginocchia. Con un calcio poi allontano la spada che gli è caduta.
«Legatelo, perquisitelo e trascinatelo sull’orlo della banchina», ordino ad un paio di soldati dalla mia, che anticipandomi gli sono già sopra «Lo voglio vivo.»
«Voi invece assisterete il mio amico», ordino ad altri due, indicando Will. Li vedo sbiancare alla vista del mostro di sangue. «Mi affido a voi: la sua vita è molto preziosa.»
«Voi due mi affiancherete», passo agli ultimi soldati che hanno riconosciuto la mia autorità.
«Mentre voi mi seguirete dalla distanza», mi rivolgo ora ai due ufficiali.
«Dobbiamo prenderlo!», l’urlo di battaglia raggiunge il fuggiasco esile e meschino, stanato dal capanno come un ratto in un incendio.
Con me in testa, avanziamo compatti verso il muro nemico: sei soldati. Mentre il cacciatore sopravvissuto arretra strategicamente in seconda fila.
I sei sono malamente posizionati e spaesati, senza direttive del capitano, nonché scossi dalla vista degli altri caduti.
«Non voglio uccidervi, ma nel nome della Signora vi scongiuro di arrendervi!»
I nemici si guardano l’un l’altro, e forse realizzando di essere in superiorità, o forse aizzati da chissà quale pungolo maligno, superano l’incertezza e ci affrontano con rinnovata spavalderia.
Anticipo il primo decapitandolo di netto. Sarà monito per gli altri e coraggio per i miei.
I miei soldati tengono la formazione. Essendo protetta sui due fianchi posso lanciarmi nel varco appena creato, per raggiungere il cacciatore. Sta ricaricando la balestra.
Con un colpo di scudo sul braccio la sbalzo poco distante.
Il suo pugno di risposta è maldestro.
«Arnald», che è rimasto dietro di me, come da ordini «presto, raccogli la sua arma.»
«Tu», rivolta ora all’altro ufficiale (vedo un fischietto pendergli dal collo) «insegui il fuggitivo tra la folla. Usa la tua pubblica autorità per farti spazio e per ostacolarlo. Ti raggiungeremo presto.»
«No, non usarla Arnald! Restami vicino», lo riprendo vedendolo puntare con la balestra, mentre con la coda dell’occhio sbircio il cacciatore approfittarsi delle nostre chiacchiere: sta recuperando un pugnale celato nella casacca.
«Bastava solo arrendersi fratello…», gli sussurro all’orecchio, addolorata per la sua testardaggine, mentre lo trapasso fino in fondo, in un abbraccio mortale.
La sua offensiva con il pugnale è ormai fiacca e tremante. Glielo tolgo di mano mentre si accascia, portandosi con sé la spada conficcata, e luminosa di rosso sangue.
Infilo il pugnale tra le fibbie dello stivale, estraggo la spada che sta lì, dritta e solenne come una lapide.
Dietro di noi la battaglia continua con il suo clangore.
I due soldati fedeli, contro i cinque traditori, stanno avendo la peggio.
In particolare uno, con un brutto taglio al collo, è ormai fuori combattimento. Non può più coprirmi le spalle.
Il primo nemico ad approfittarne ha un ghigno diabolico, e vedendolo armato, si lancia contro il mio protetto, rimasto fiduciosamente dietro di me.
Ci provo, ma pur spostandolo con una spallata, non riesco a limitare i danni. Almeno però l’avversario è scoperto, ed ho una posizione privilegiata per contrattaccarlo.
Ora il tizio col ghigno diabolico giace con un ghigno ben diverso, di dolore, e con il cranio spaccato, in intima compagnia del collega decapitato.
Il secondo attaccante osserva perplesso quello spettacolo. È meno audace, così ho il tempo di riorganizzare i miei pensieri, le mie priorità: salvare il soldato morente ed Arnald. Hanno rischiato la vita per me.
Mi porto sopra al primo dei due, scudo issato e nervi tesi.
Sopraggiunge affiancandomi l’altro soldato, trafelato e tenendosi un braccio sanguinante.
La tensione è palpabile: tre contro due, ed una testa mozza scalciata nel parapiglia, che come approfittando della stasi, osserva la scena con il suo presagio di morte.
«Come ti chiami soldato?»
«Ervex, signora…»
La sua voce non è salda. Noto il suo anello. «Ervex, vogliono me. Stai calmo e fa ciò che ti dico. Stasera tornerai tra le braccia di tua moglie.»
Deglutisce rumorosamente.
Mi accascio per toccare il collo tranciato del soldato a terra, nascondendomi dietro il grosso scudo. Mi basta sfiorarlo e impetrare la sua salvezza, per sentirlo smettere di annaspare.
I tre avversari cadono in trappola. Credendo che sia l’occasione perfetta, mi caricano contemporaneamente.
Ma ormai non c’è più nulla da colpire sotto lo scudo: questa la mossa della “Luna dietro la Nube”.
Mentre caricano li oltrepasso con una capriola, lanciando lo scudo a mezz’aria, come velo per gli occhi, diversivo e bersaglio da colpire.
Prima ancora che se ne accorgano, la luna diventa falce, e la falce descrive parallelamente al terreno un ampio arco, recidendo i tendini in bella mostra.
«Ervex adesso!», il soldato infierisce senza pietà sui tre che si rotolano doloranti l’uno sull’altro… finché smettono di rotolare.
‘Adesso tocca al nostro “ratto”…’
«Perdonami Arnald. Sei stato coraggioso», gli sussurro mentre ringrazio e prego fervorosamente per lui «Adesso puoi alzarti però: era solo un “graffio”».
Lo accarezzo come un bambino, e di rimando lui mi sorride pieno di vigore e amore.
«Javod come sta?», mi chiede preoccupato. ‘Javod?’ Intuisco che si riferisce al suo collega, l’ufficiale che ho mandato all’inseguimento del misterioso fuggiasco.
«Lo scopriremo presto», lo rassicuro aiutandolo a rialzarsi.
«Raccogliete le restanti balestre e seguitemi!», mentre anch'io recupero lo scudo, che ha una solidità ben superiore rispetto quelli ordinari.
Il fischietto di Javod in lontananza, ci guida verso la sua direzione. Immagino che il fuggiasco abbia avuto vita dura a districarsi in un porto pieno come un uovo.
Mentre la calca invece, si apre prontamente al passaggio di Javod, guardandosi bene dall’intralciare un pubblico ufficiale dell’Impero.
Ed anche noi guadagniamo facilmente metri su metri, seguendo la sua scia, ed anche grazie al fischietto di Arnald, che a questo punto immagino sia di ordinanza.
Eccolo il “ratto”.
Oltrepassa due tizi che trasportano una cassa, sbilanciandoli, e guadagnando le loro imprecazioni. Non è questo il momento.
Spintona un marinaio che ha il suo daffare con gli ormeggi. Altre imprecazioni. Ancora non è il momento.
Si avvicina ad un robusto pescatore che sta riassettando la sua rete.
Adesso è il momento!
«Nel nome di Yvet Lorne, cattura il piccoletto e sarai ben ricompensato»
Lanciando la rete con maestria, frutto di anni di esperienza, di istinto il pescatore ubbidisce.
E' un uomo semplice. Solo un attimo dopo la sua espressione sembra porre delle domande.
«Va tutto bene. Una Rosa di Lorne mantiene le sue promesse. Dimmi cosa desideri per te amico della Giustizia», mi inchino, gli mostro l’anello e lo benedico.
Dopodiché ci avviciniamo all’ometto impigliato nella rete. Io volteggiando la mia spada, furoreggiante nei suoi bagliori, e a sottintendere “sto per usarla”; i tre al seguito con le balestre puntate e gli occhi ben aperti.
«Voglio la verità su chi sei, e sul tuo ruolo in questa faccenda. Non te lo sto chiedendo: te lo ordino con l’autorità e la potenza concessami dagli dei!»
Mentre l’omuncolo valuta la prossima mossa, anche io lo studio minuziosamente. Com’è fatto, cosa indossa, il suo linguaggio non verbale… cercando di penetrarlo fin nel profondo dell’anima, se possibile.
E mentre chiedo a mia Madre di rivelarmi il male occulto, quello che sfugge ai miei occhi mortali, la mia preghiera vola anche verso Will, sperando che anche lui sia assistito dalla benevolenza degli dei.