Non ho detto che quello era il significato originario. Ho detto che era il significato in cui @Loot and Roll aveva usato il termine nel porre la domanda. E non è l'unico a usarlo così.
Comunque, ammetto che non sono un esperto del gergo specialistico di teoria del gioco di ruolo e se ho usato termini impropri me ne scuso.
Ritengo però che fissarci sulla questione semantica (cosa è "davvero" un railroad, cosa è "davvero" un sandbox, e qual è il termine giusto da usare in questo o quest'altro caso che non ricadono nella "definizione esatta" né dell'uno né dell'altro), per quanto la discussione sia interessante, potrebbe non essere il modo migliore di aiutare @Loot and Roll.
Per cui, permettetemi di riproporre il mio punto senza usare affatto né l'uno né l'altro termine.
Esiste una miriade di stili di gioco e qualunque tentativo di schematizzarli in 2, 3 o N categorie sarà per forza di cose una semplificazione (il che non vuol dire che sia inutile).
Esistono però secondo me alcune caratteristiche comuni (o ragionevolmente comuni) a tutte le esperienze di gdr soddisfacenti, e sono:
Deve esserci una storia. Una storia si ha quando i PG hanno un obiettivo da raggiungere e un conflitto od ostacolo si frappone tra loro e l'obiettivo.
Deve esserci agency, cioè i PG devono avere la possibilità di fare scelte significative che hanno conseguenze appropriate.
Ora, esiste un modo molto estremo di impostare il gioco (a cui non daremo un nome) in cui tutto è così rigidamente preordinato dal master che non c'è agency. Chiaramente risulterà poco soddisfacente. Esiste anche un altro modo estremo di impostare il gioco in cui il master è così convinto di doversi astenere dalla narrativa e di dover creare solo un ambiente in cui i personaggi possono fare quello che vogliono che non c'è storia, ma solo un andare in giro a esplorare senza meta, che all'inizio è anche divertente ma diventa rapidamente ripetitivo. Chiaramente anche questo sarà poco soddisfacente.
Esclusi questi estremi, esistono varie sfumature intermedie che possiamo, grossolanamente e con inevitabili semplificazioni, approssimare in questi due modi senza nome:
Il master definisce l'obiettivo finale della storia, e quindi l'oggetto della "trama principale", se così vogliamo chiamarla. Naturalmente dovrà presentarlo ai PG e far sì che siano adeguatamente motivati a perseguirlo. Naturalmente questo funziona se i giocatori accettano il presupposto iniziale (cioè, che sia il DM a definire l'obiettivo principale) e costruiscono dei PG adeguati per tale obiettivo.
Il master definisce uno scenario, più o meno grande, e i PG (magari subito, magari dopo averlo esplorato un po') si danno da soli un obiettivo, che diventerà l'obiettivo principale della loro storia. Naturalmente questo funziona se il master è aperto a lasciare che succeda e se i giocatori collaborano in modo da: (a) scegliersi un obiettivo comune (non tutti obiettivi diversi e magari conflittuali) e (b) scegliersi un obiettivo appropriato al genere/tono del gioco e che il master sia in grado di gestire.
Notare che in nessuno dei due casi ci sono vincoli circa la natura dell'obiettivo, cioè non è detto che nel caso 1 si ripresenti per forza la storia degli eroi che salvano il mondo dal signore del male, e non è detto che nel caso 2 si finisca per forza con un gruppo di avidi cinici antieroi che pensano a far soldi.
Il vantaggio dell'approccio 1 è che generalmente il master ha tempo e modo di concentrarsi di più sulla trama, intesa non come sequenza preordinata di situazioni obbligate per i PG ma come tutto l'insieme degli avvenimenti (nemici, rischi, colpi di scena eccetera) in cui i PG, con una loro traiettoria più o meno autonoma, andranno a muoversi. Quindi questo approccio tende a produrre delle storie più coese e coinvolgenti.
Il vantaggio dell'approccio 2 è che generalmente il master si concentra di più sullo scenario, sul mondo, intenso come l'insieme di luoghi, PNG, culture, fazioni, intrighi politici e così via che popola il mondo di gioco, e con cui i PG potrebbero andare ad interagire nel loro percorso. Quindi questo approccio tende a produrre mondi di gioco più immersivi e verosimili.
Ma è importante notare che, qualunque sia l'approccio scelto (1, 2 o un mix), una volta scelto l'obiettivo fa parte dei compiti del master creare la storia, non nel senso di definire cosa i PG dovranno fare e come, ma nel senso di frapporre tra i PG e l'obiettivo uno o più ostacoli o conflitti che abbiano un senso narrativo (una logica, una consistenza, un ritmo, un climax) e che siano ben tarati, cioè impegnativi al punto giusto, "sfidanti" ma comunque superabili. E magari procurare una conclusione memorabile che dia soddisfazione (se i PG trionfano, il che non è garantito ovviamente).
E questo è in ogni caso il grosso (e la parte cruciale) del lavoro del master, sia nell'approccio 1 che nell'approccio 2, e qualunque termine si voglia usare per definire il proprio modo di gestire la campagna o l'ambientazione.