Sandrine Alamaire
Sorrido a Barbara, prima di contare il tempo dello spettacolo.
Silenzio.
La mia madrina si siede al centro del nostro improvvisato palco, mentre io cominciare a girarle attorno, affidando ad un racconto in poesia ľincipit della suite che ho deciso di inscenare.
Parla, ovviamente, di amore e morte. Di cos'altro potrebbe raccontare, d'altronde?
"Un uomo ed una donna si amavano...", ovviamente, "...ma lui venne ucciso dai parenti di lei".
Altrettanto ovviamente.
Ah, la Morte!
Col nostro pubblico particolare, sarà una esperienza senza precedenti...
Nella calma assordante della risacca, gli occhi di Barbara si illuminano, quando fa risvegliare il vento, nell'esatto momento dell'omicidio messo in scena.
Faccio il mio primo passo di danza, mimando il corpo trafitto su una quinta posizione a cascare, che diventa una lenta caduta soffocata in un urlo.
Lascio che il vento faccia sussurrare i tessuti e tintinnare i metalli, battiti di cuore sublimati in una vita fittizia che termina vigliaccamente, io stessa stesa come un cadavere ancora sussultante di respiro.
Barbara fa esplodere una musica dal nulla, alzandosi in piedi come una dea della misericordia, richiamando la "mia" anima al cielo, prima che precipiti, negletta, nell'oblio abissale della vendetta.
Faccio allora vibrare una nota nella mia gola, strappando finalmente la musica alla forzata timidezza della mia voce, proprio quando il suono evocato da Barbara si spegne e lei intesse una nuova malia. Quattro fiammelle iridiscenti deflagrano attorno a me, bagliori diafani che civettano attorno a me, angeli metaforici di questa nostra pantomima improvvisata.
Canto e ballo si confondono, i miei passi riverberati nel tremolio delle luci. L'anima si lega alla terra e l'amore ancora i cuori, il ballo che palpita improvvisamente furioso, soffocando il canto, mentre una nuova melodia appare dal nulla, un battito d'occhi di imprevista malinconia.
Cado nuovamente a terra ed improvvisamente il nostro mondo scompare agli occhi di chi ci osserva.
Uno, due, tre secondi, battendo mani e piedi a tempo. Il mio tempo.
Nascosta alla vista dal potere della mia accompagnatrice, preparo il terzo movimento, la terza alternanza.
Dal nulla silenzioso, un corteggiamento di note si spande: voce femminile in estesi acuti e corde suonate su bassa tonalità, a contraltare maschile modellato dal suono.
Seduta sul pavimento, mani a far parlare il liuto, compaio senza preavviso, in ribaltato parallelismo: il racconto si dipana verso la sua conclusione, inevitabile, e quando infine il sonno eterno unisce gli amanti nuovamente felici, anche coreografia e scenografia si fondono...
Insceno una Danse Macabre senza contraddittorio, un passo-a-due letale in cui interpreto entrambi i ballerini, frementi di mesta letizia.
E quando, in ultimo, la musica cessa, è Barbara ad ucciderla, in lingue di fiamma taglienti e misericordiose.
Amore e morte, ovviamente.