@Voignar Darius Whitesand - dalla cappella all’infermeria Ti chini su suor Margareth, ma appena le tue dita sfiorano la sua veste intrisa di sangue, il suo sguardo si spalanca. Gli occhi, pieni di terrore, ti attraversano come lame sottili. «Demonio… demone!» mormora, quasi un sussurro spezzato dal tremito. Poi lo grida. Lo grida di nuovo. Ogni volta più forte. La sua voce rimbalza sulle pareti della cappella vuota, mischiandosi al ronzio delle candele e al tuo respiro corto. Quando provi a sollevarla, un urlo acuto ti inchioda sul posto… il suono secco di qualcosa che si muove dove non dovrebbe. La gamba. Spezzata. Ti rendi conto troppo tardi che non dovresti toccarla. Il panico ti stringe lo stomaco. Farfugli parole che non senti nemmeno, poi ti alzi di scatto e corri. Lasci la cappella dietro di te… il suo odore di incenso e sangue che ti segue come un fantasma. I lamenti della suora si fanno più lontani, ma non spariscono. Ti restano nelle orecchie. I corridoi sono deserti. Le luci al neon tremolano come se anche loro avessero paura. L’orario delle lezioni è finito da un pezzo; l’edificio ha quell’eco sospesa e irreale che ha la scuola dopo il tramonto. Quando raggiungi la porta dell’infermeria, è chiusa. Batti i pugni contro il legno, una, due, tre volte… sempre più forte. «Signorina Morris!», chiami, quasi implorando. Silenzio. Solo il rumore del tuo cuore che martella alle tempie. Poi, una voce dietro di te. Calma. Quasi gentile. «Ehi, ragazzo… tutto bene? Non dovresti essere qui a quest’ora.» Ti volti di scatto. Il vicepresidente Reed è fermo a pochi metri da te, le mani in tasca, la postura rilassata. I suoi occhiali riflettono la luce artificiale del corridoio, nascondendo lo sguardo. Vedendo il tuo volto, il suo viso si riempie di preoccupazione. @TheBaddus Scarlett Bloomblight - nel bosco col coso Quando il gelo ti prende, lo fa senza preavviso. Un istante prima la pelle bruciava, le vene pulsavano, il mondo si restringeva al ritmo dei vostri respiri. Poi… come se qualcuno avesse spento la luce… ogni calore si ritira da te, lasciandoti vuota, fredda, muta. Tanaka si muove sotto di te, confuso. Ci mette un attimo a capire che qualcosa non va… La sua voce ti raggiunge ovattata: «Scarlett? Tutto bene?» Ma tu non lo senti davvero. I tuoi occhi sono fissi altrove. Un brivido ti scivola lungo la schiena come un filo di ghiaccio. Non è solo paura. È un istinto antico, qualcosa che precede la ragione. Ti paralizza. Ti dice che questa è una cosa che sai di dover temere. “Ma che ca**o é quel coso?!?” Senti gridare Tanaka sotto di te, che probabilmente ora si è voltato seguendo il tuo sguardo. Lo senti agitarsi, provare ad alzarsi; tu ti muovi quasi per riflesso, e in un attimo sei in piedi accanto a lui, tremante, esposta. La creatura ti guarda. Solo te. Il suo dito è sollevato, lungo, ossuto, e ti indica. «Ragazza drago…» Le parole arrivano come un sussurro gutturale, come se non provenissero davvero dalla sua bocca. Tanaka scatta: «Che ca**o vuoi da noi?! Se è uno scherzo del ca**o, vattene! Ci sono anche i miei amici!» Cerca di suonare sicuro, ma la voce tradisce la paura. La creatura avanza di due passi. Le foglie secche si muovono al suo passaggio, la veste si impiglia ai rami, il terreno scricchiola sotto i suoi piedi. È reale. Tangibile. Una creatura terrena… Eppure… non è direttamente lui la fonte del terrore che ti stringe il cuore. Ne sei sicura. C’è altro. Un peso invisibile che grava sull’aria, una presenza che preme dietro le tue tempie, come se stesse guardando attraverso di lui. Un’ombra che parla con la sua voce, ma che non gli appartiene. Off game In poche parole le tue deduzioni sono: il mostro con la testa teschio di cervo è terreno. Il terrore che provi, diverso dalla semplice paura che si può provare nel trovarsi all’improvviso in una situazione simile, deriva però da una presenza differente… da qualcosa che senti di dover temere e di cui la. Frattura col teschio probabilmente è soltanto un tramite. @SNESferatu Ana Rivero - in aula studio Raggiungete l’aula studio senza intoppi, il passo rapido ma controllato, il cuore che ancora non ha deciso se deve calmarsi o continuare a battere forte per l’adrenalina. L’ambiente è saturo del ronzio sommesso dei neon e del fruscio di pagine sfogliate: la normalità dopo il rischio. Qualche testa si solleva all’ingresso — sguardi rapidi, curiosi, che svaniscono subito. Mei-Lin, nascosta dietro una torre di libri di matematica, vi fissa per un istante e poi torna a immergersi nel suo ripasso per la verifica di giovedì. Ben disegna in silenzio su un foglio, assorto nel suo mondo. Tyler, invece, vi osserva più a lungo: il suo sguardo si increspa appena quando ti vede accanto a Eliza. Ana la snob, con Eliza la strana… una combinazione che non passa inosservata. Poi si volta di nuovo verso Juno, una delle due sorelle minori di Orion, e riprende a parlarle, ridendo sottovoce. Prendete posto a un tavolo in disparte. «Ok… missione compiuta. Siamo al sicuro!» sussurra Eliza con un sorriso malizioso, ma l’adrenalina le è già scivolata via dal volto. Ti guarda con una luce più quieta negli occhi, in attesa. Riprendi il telefono. Lo schermo si illumina e con lui tornano le immagini. La prima: i segni incisi sul pavimento. «Ok… e le altre?» chiede Eliza, chinandosi verso di te. Scorri con un dito. La foto successiva mostra la bacheca. Zoommi sulla polaroid: tre ragazze in divisa sportiva, sorridenti, gambe lunghe e sinuose bene in vista. Sulla parte bianca sotto la foto, una scritta in rosso sbiadito: “Evelyn, Maya e Clariss. Le migliori del gruppo. Peccato per l’incidente.” E sopra, una data di tre anni fa. Accanto, appuntato con una graffetta, un verbale disciplinare. Sposti l’ingrandimento su quel particolare. Lo stesso nome del coach in fondo, la sua firma tesa e sicura, di fianco a quella dell’allora preside della struttura. “Condotta inappropriata negli spogliatoi dopo l’orario delle attività.” Leggi velocemente… una nota di ammonimento nei confronti del coach per un fatto che coinvolgeva tre studentesse. I nomi riportati coincidono con quelli della foto delle tre ragazze. «Bingo!» esclama Eliza, trattenendo a stento l’eccitazione. «Non è molto, ma direi che basta. Il coach è ufficialmente uno schifoso.» Ma tu non la ascolti del tutto. Il tuo sguardo è inchiodato a un particolare: uno dei nomi, sul verbale, quello di Maya, è stato barrato — un tratto di penna nera, violento, come se qualcuno avesse voluto cancellarlo dal mondo. E poi… lo vedi. Sulla polaroid, accanto alla scritta rossa, quasi nascosto, un piccolo simbolo inciso: lo stesso segno che avevi notato sul foglio nell’ufficio del coach. E sul collo di Darius. @Theraimbownerd Orion Kykero - a casa La porta di casa si chiude alle tue spalle con un clic sommesso. Ti muovi in punta di piedi, il cuore ancora alleggerito da quella strana euforia che ti accompagna dal confronto con Marcus. Ma adesso ogni passo pesa, perché sai bene quanto sia facile disturbare l’equilibrio di quella casa. Tendi le orecchie. Dal piano di sopra arrivano voci, soffuse ma distinte: Juno e Diana, sicuramente. Sbirci nella cucina… il tavolo è in disordine, un piatto lasciato a metà e una candela spenta, cera colata fino al legno. Nessuno. La sala è immersa in una luce bluastra, filtrata dalle tende tirate. Anche lì, vuoto. Ti fermi un istante e inclini la testa verso il seminterrato. Là sotto, dove si trovano le stanze rituali, regna un silenzio totale. Nessun mormorio, nessun odore d’incenso, nessuna traccia di tua madre. Sembra che, per una volta, la fortuna sia davvero dalla tua parte. Ti concedi un respiro e sali le scale. Le voci si fanno più nitide man mano che ti avvicini, finché varchi la soglia della camera condivisa. Diana alza lo sguardo per prima e ti sorride, un lampo genuino che ti fa sentire di nuovo a casa. Juno la imita, ma il suo sorriso è più sottile, trattenuto… la punta di un ghiaccio che non si è ancora sciolto del tutto dopo il vostro piccolo diverbio in mensa. «Missione compiuta?» chiede Diana, appoggiandosi al letto con fare teatrale. «Nessun problema col gorillone decerebrato?» aggiunge, con quel tono sarcastico che solo lei riesce a rendere quasi affettuoso. @Ghal Maraz Nathan Clark - nel bosco, dolorante ma vivo Ti rialzi a fatica. Ogni movimento brucia, ogni respiro è un colpo contro le costole. Hai la bocca impastata di sangue e terra, ma non abbassi lo sguardo. Cory e i suoi tre amici ti circondano. Le loro risate ti rimbombano nelle orecchie, fastidiose come zanzare. Ed è in quel momento che esplodi con la tua invettiva. Quando finisci, il silenzio regna sovrano. Uno di loro, quello con la catena, guarda Cory in attesa di un cenno. Cory inizia a ridere. «Forza, forza… uccidetemi… pseudo killer… aspetta, com’era?? Ah già… mafiosi del ca**o…» ti imita con tono ridicolo, piegato dalle risate. Gli altri lo seguono, divertiti come bambini che giocano a fare i duri. Uno finge uno svenimento: «Fatemi male, sono un duro!» gracchia, poi scoppia a ridere. Poi tutto si ferma. Cory smette di ridere, ti fissa. Il suo sorriso si spegne. «Sei ridicolo!» sputa, e la saliva ti cade ai piedi. Ti punta la mazza sul petto. «Che ti serva da lezione, Clark. Se provi a dire che siamo stati noi, la prossima volta non ci fermiamo.» La sua voce è piatta, decisa. Non sembra una minaccia: è una promessa. Dà un’occhiata agli altri e sorride di nuovo. «Direi che ci siamo divertiti abbastanza. Lasciamo il bimbo sperduto a leccarsi le ferite nel suo boschetto.» Abbassa la mazza, si gira. Gli altri ridono. Uno finge di scattarti addosso, solo per ridere ancora quando ti irrigidisci d’istinto. «Ci vediamo, Clark!» urla Cory, mentre si allontanano tra le foglie. Poi, voltandosi verso gli altri: «Andiamo a recuperare Tanaka! Dovrebbe aver finito con la sua amichetta!» Una risata grossolana dal gruppo, che non ti lascia presagire nulla di buono, poi solo il rumore dei loro passi che svanisce nel bosco. Resti solo. Sarai pur sembrato ridicolo, ma la tua scenata probabilmente ha lasciato il tempo a quei minorati mentali di rendersi conto del limite che stavano superando. Ti accasci contro un tronco, cercando di riprendere fiato. Ti fanno male le costole, le braccia, persino i pensieri. Ma sei ancora in piedi, ne sei uscito vivo!