☽ ♫ Cassandra ♬ ☾
Scheda Personaggio
Locanda "Stella d'inverno", quartiere centrale - Un’ ora al tramonto
Poggiandomi al lungo bancone di legno e pietra attiro l’attenzione di Mircella con un delicato, ma altresì visibile, cenno della mano.
Lascio che intraveda il mio volto, rivolgendomi un pizzico più vicina ad una delle candele accese alla mia destra, così che la mia espressione possa farle cogliere la gentilezza dei miei modi.
Fissandola intensamente per una frazione di secondo ecco che lascio un accenno di sorriso affiorarmi in viso e con tono deciso scandisco lentamente le singole parole.
“ La bella Mircella, quale rincuorante visione sa esser sempre ai miei occhi, ristoro per l’animo dopo una lunga giornata in cammino e ricerca... ” una breve pausa durante la quale mi sposto nuovamente, celandomi nell’ombra del cappuccio, ancora a coprirmi il capo “...oserei troppo nel chiederti una porzione di quel pesce in crosta di sale? L’appetito è infine giunto a bussare e a breve un’esibizione vorrei elargire. Animo e corpo saranno entrambi soddisfatti, nutritisi della tua bellezza e del buon cibo frutto delle capacità dell’ abile Liroi. ”
La gentilezza non era d’obbligo ma pur sempre gradita, solitamente equivaleva a porzioni abbondanti e sorrisi in grado di scaldare il più gelido dei cuori, come nel caso di Mircella; ella apprezzava assai i modi garbati, che fossero nel verbale o gestuale.
Nel tempo non mi era risultato difficile comprendere come identificare l’approccio ideale con le diverse figure facenti parte del personale di taverne e corti. Grazie al mio ruolo non era necessario utilizzassi il conio per vitto e alloggio (mossa di classe) ma informazioni, riguardi e, perché no, delizie anche di natura carnale erano tutti suppletivi che potevano significare una certa differenza.
Il giovane rampollo a cui avevo concesso la precedenza nell’esibirsi sta per concludere l’ultimo ripetersi del ritornello, indubbiamente capace e senz’altro scaltro in quel suo puntare alla suddetta cortigiana del Conte Elettore dell'Ovest, Markus Von Klain.
Un sorriso asimmetrico mi nasce spontaneo.
Per noi bardi questa serata di esibizioni si rivelerà cruciale, una sfida di tattiche psicologiche, capacità musicali, abilmente camuffate da canti e strumenti.
In palio l’esser invitati al Concilio dei Governanti.
Devo assicurarmi un posto.
Accarezzo pensierosa la custodia poggiata sulle mie gambe, il cuoio ruvido sotto le dita.
Il ricordo di Lei. Di casa.
“Il momento è giunto” penso con una certa solennità “Mi guiderai, sarai al mio fianco nella conquista dei loro sguardi, delle loro attenzioni?”
Non vi era giorno in cui non lo accordassi.
Doveva esser sempre pronto, in caso l’ora fosse propizia.
Ebbene, quell’ora era giunta.
Una lieve agitazione mi si fa strada da dentro, il dubbio del fallimento, del non esserne degna.
La scaccio con la determinazione che mi aveva portata fin qui. Quella determinazione nata dal miscelarsi d’amore, dolore, vendetta.
Sollevo le doppie chiusure a incastro. Espiro. Impugno il violino dal manico ostentando sicurezza mista a un profondo rispetto, aggiungendo poi alla medesima presa l’archetto.
Alzandomi slaccio la mantella, porgendola con un inchino a Mircella, la quale noto arrossire in maniera quasi impercettibile.
Poco prima di scendere nella sala comune avevo deciso di scioglier le trecce, lasciando la lunga chioma ondulata cadermi sugli abiti sgargianti; una pallida cascata lunare a sposarsi romanticamente su quei tessuti color del tramonto.
Riportando il capo in posizione eretta lascio che parte dei capelli si libri in aria per una frazione di secondo, quidata dallo scatto appena fatto con la testa.
Mi incammino, con passo ondeggiante, verso il focolare, ove il fanciullo aveva appena concluso il proprio pezzo.
Uno scambio di sguardi fra me e lui lascia intendere il rispetto reciproco, accompagnato dalla sfida altresì presente nella stanza.
A differenza di lui non ho un obiettivo specifico, li bramo tutti.
Avrei avuto la loro attenzione, avrei attirato il loro desiderio, curiosità, volontà di avermi presente fra loro il giorno seguente.
Sarebbero stati miei.
Una piroetta, un salto.
Che lo spettacolo abbia inizio.
“Un saluto a voi tutti, nella locanda presenti,
Mi espongo ordunque, Cassandra son io.
Confido che il canto vi renda contenti
E vi rechi nell’animo di emozioni un turbinio.
Al Nord il mio sangue appartiene
il cuore invece al continuo viaggiare
Musica da sempre scorre nelle mie vene
quindi lasciate che con essa vi possa allietare.”
Un sorriso compiaciuto mentre li guardo uno ad uno negli occhi.
Poggio lo strumento in posizione, le palpebre socchiuse, lascio che la magia abbia inizio.
Intono le prime note, una melodia dolce sull’iniziare, per poi crescere di ritmo, forte e vivace.
Un brano antico, traboccante passione e sangue, ma anche riposo e pace.
La storia di una combattente unica superstite, figlia della guerra e del dolore; a incrociar la di lei vita Hantore, il Dio del Riposo Eterno, in viaggio sulla terra sotto mentite spoglie, incuriosito dall’umanità e le sue molteplici sfaccettature.
Movimenti sinuosi, di danze ormai dimenticate, accompagnano i momenti strumentali, il violino quasi divenuto un’estensione del mio arto, parte di me.
Quando giungono le parole mi placo, sfumando quel muovermi quasi ipnotico in una posa eretta, il solo movimento delle anche a scandire il tempo insieme all’intonarsi della mia voce.
Eccola infine. L’ultimo ritornello.
L’ultimo passo.
Un profondo inchino a chiudere l’esibizione che avrebbe dato i suoi frutti da lì a breve.
Un invito cartaceo? O per passaparola?
Ero davvero riuscita ad inquadrare quel pubblico estraneo, dando loro ciò che sarebbe risultato nel raggiungere il mio scopo?
La notte è ancora lunga e un po’ di mistero al concludersi di una prova come quella è sempre una scelta manifestante curiosità nello spettatore.
In fondo ero unica nel mio genere.
Non provenivo da scuole pregiate, né famiglie di generazioni e generazioni di cantori di professione.
Avevo un dono e un’origine di luoghi lontani.
Prendo indietro il mio capo da Mircella, regalandole un gesto di gratitudine, una fugace carezza sul dorso della mano.
Per la prima volta l’avevo suonato.
Il violino di mia madre.
E si sa, nulla è casuale a questo mondo.
Mai.
Posatolo nei miei alloggi esco per due passi. Le stelle visibili in cielo mi accompagnano, l’aria fresca sul volto divertito.
Chissà cosa avranno in serbo per me gli Dei oggi? Domani?
Mi districo in quelle piccole vie nascoste, pensierosa, ormai prive di segreti dopo i giorni passati a conoscerne ogni singola crepa, ciottolo, anfratto.