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I giochi di ruolo e la storia: lo spiegone di greymatter
(Questo post è tratto dal mio blog su wordpress 1 Hit Point Left. Ho aperto il blog su wordpress in modo da poter essere libero di parlare di argomenti diversi dai giochi di ruolo, ma riposterò quello che scrivo sui giochi di ruolo anche qui.) Link al post originale Ultimamente mi sono ritrovato a scrivere, in contesti diversi, di alcuni argomenti in apparenza disparati, ma che in realtà sono piuttosto legati l’uno all’altro. Questo potrebbe essere successo per caso, ma anche perché involontariamente tendevo a portare questi argomenti nelle discussioni. Sia come sia, ho deciso di scrivere un unico post coerente i miei pensieri su questa roba – riutilizzando in parte cose che ho già scritto (per fare prima). Warning: è LUNGO. Sommario La storia che non c’era Arriva la storia nei GdR Ma insomma, questa storia di cui parli… che roba è alla fine? Avere la storia già scritta Il railroading Barare L’altro approccio I giochi non tradizionali e il motivo per cui hanno tutte quelle regole bislacche The Forge oggi, e perché un sacco di gente ce l’ha ancora con quel dannato sito TL; DR La storia che non c’era Verso la metà degli anni ’70, due tizi chiamati Gary Gygax e Dave Arnesonmisero assieme le loro idee e crearono Dungeons & Dragons, il primo gioco di ruolo. Gygax contribuì attraverso le regole di Chainmail, un wargame medioevale con elementi fantasy (piuttosto inusuale per l’epoca) creato traendo ispirazione da idee che circolavano all’epoca tra gli appassionati di wargaming. Arneson fu quello che innestò il concetto di roleplaying vero e proprio sulle regole di Gygax, trasformando Chainmail nel primo gioco di ruolo in assoluto. Il successo di questo strano gioco innovativo fu enorme, e D&D si diffuse rapidamente negli USA attraverso il passaparola. In questi primi anni, il gioco di ruolo era in fase embrionale, e abbastanza diverso da come siamo abituati a pensarlo oggi. (Notare che io non ero nemmeno nato allora – queste note storiche sono una mia ricostruzione basata su fonti, non un resoconto della mia esperienza) Tanto per cominciare, era probabilmente giocato in modo simile a come oggi giocheremmo un boardgame. Il focus del gioco era il dungeon crawl o l’esplorazione di un’area: i personaggi tipicamente esploravano un dungeon con lo scopo di recuperare il tesoro, ammazzando o meno dei mostri nel processo. Poi c’erano parecchi più giocatori. Un documento affascinante è contenuto in questo PDF di 80 pagine, che dettaglia una campagna di D&D nei primi anni ’70, Rythlondar. Si può vedere che ciascuna spedizione nel dungeon aveva 7-12 giocatori, con tassi di mortalità altissimi per gli standard odierni. Inoltre il gioco aveva aspetti competitivi: c’erano ad esempio tornei di D&D, con vere e proprie condizioni di vittoria. C’era anche un rapporto diverso tra GM e giocatori, fatto più di antagonismo che di collaborazione. Questo rapporto era parzialmente basato sull’idea che il GM fosse una sorta di signore assoluto del gioco, e fosse quasi in competizione con i giocatori: All’epoca non c’era nemmeno l’idea che i personaggi fossero “eroi”/”protagonisti” di una storia, o che i combattimenti dovessero essere “bilanciati”, o altra roba che oggi è data abbastanza per scontata: i combattimenti erano brutali, mentre i personaggi erano spazzatura, non contavano niente, e morivano come mosche. (disclaimer: a me piace abbastanza questo stile di gioco) Venti anni più tardi sarebbe partito un movimento di player empowerment che avrebbe riequilibrato il rapporto GM-giocatori, promuovendo l’idea che i personaggi dei giocatori sono eroi/special snowflake/protagonisti di una storia. In certi casi questo riequilibrio si sarebbe spinto fino a strappare il controllo narrativo dalle mani del DM, per conferirlo ai giocatori. Le avventure del D&D degli anni ’70 seguivano questo modello di gioco. Partivano tutte da premesse simili (i personaggi sono avventurieri alla ricerca di fama e ricchezze/c’è un oggetto o una persona da recuperare/etc), e consistevano in luoghi da esplorare – dungeon o zone selvagge. Il concetto di una storia o una trama era sostanzialmente sconosciuto, e lo sarebbe stato fino alla fine degli anni ’70. Per esempio, la prima avventura vera e propria per D&D, Palace of the Vampire Queen (1976) era un megadungeon. Idem per molte avventure storiche di quegli anni: In Search of the Unknown (1978), Expedition to the Barrier Peaks(pubblicata nel 1980 ma concepita nel 1976), o The Lost Caverns of Tsojconth(concepita nel 1976 e poi pubblicata, in versione espansa, nel 1982). L’idea che in una avventura ci potesse essere una trama si è sviluppata gradualmente. Uno dei primi esempi è stato il ciclo di avventure iniziate con la serie G1: Steading of the Hill Giant Chief, G2: Glacial Rift of the Frost Giant Jarl, e G3: Hall of the Fire Giant King (1978), ripubblicate poi come G1-2-3: Against the Giants.In questi moduli ancora non c’era una storia: i singoli moduli erano sempre i soliti dungeon da esplorare, lo standard per i moduli dell’epoca; però c’era una sorta di trama di fondo che collegava i tre moduli tra loro e faceva da (esile) filo conduttore. Queste tre avventure furono poi ripubblicate, insieme ad altre, in un unico “supermodulo” (oggi diremmo: adventure path) col nome di GDQ1-7: Queen of the Spiders. Questo supermodulo univa la serie G1-2-3, la serie D (D1 Descent into the Depths of the Earth; D2: Shrine of the Kuo-Toa; D3 Vault of the Drow) e Q1: Queen of the Demonweb Pits. Questo ciclo di avventure comunque non era niente di rivoluzionario: c’era sì una trama rudimentale che collegava le varie avventure tra loro in modo che la loro successione avesse un senso, ma le avventure in sé erano sempre i soliti dungeon crawl. Notare che questo focus sul dungeon crawl non rendeva automaticamente le avventure brutte o noiose – GDQ1-7 è stata votata nel 2004 come la più bella avventura di D&D mai pubblicata. A breve, questo non sarebbe più stato vero. Arriva la storia nei GdR Entrano in scena Tracy e Laura Hickman. Tracy e Laura Hickman sono una coppia (Tracy è un uomo) famosa per i romanzi di Dragonlance e per alcune avventure, tra le quali la celeberrima I6: Ravenloft. I coniugi Hickman hanno ricoperto un ruolo fondamentale nella storia dei giochi di ruolo: sono gli autori dei moduli originali di Dragonlance, il primo dei quali fu DL1: Dragons of Despair. Era il 1984, e da allora niente fu più la stessa cosa. L’elemento rivoluzionario che i moduli di Dragonlance introdussero, cambiando per sempre il modo in cui i giochi di ruolo erano visti, era in realtà molto semplice, e probabilmente sapete già di che si tratta. I moduli di Dragonlance avevano una storia. Intendo una trama vera e propria, come quella di un libro o un film. Questo elemento oggi non sembra niente di speciale, ma per l’epoca fu una rivoluzione. Immaginate giocatori di D&D per i quali “avventura” era stato fino a quel momento sinonimo di “dungeon crawl” – e immaginare di dare a questi giocatori un modulo che non riproponeva il solito dungeon, ma una storia emozionante, come quella di un libro. La gente rimase folgorata. I moduli di Dragonlance furono uno dei grossi punti di rottura nella storia di D&D e più in generale dei gdr: introdussero l’idea che ci potesse essere una trama in un gioco di ruolo. La seconda edizione di AD&D (1989) abbracciò completamente questa nuova prospettiva: le regole erano rimaste molto simili a quelle di AD&D 1e, ma nei manuali c’era una nuova enfasi sulla storia. Ci fu uno stacco molto forte tra le avventure pubblicate nell’era pre-AD&D 2e e quelle del periodo post-AD&D 2e, ricordate per le loro ricche trame, così come per l’imbarazzante railroading che promuovevano (ci torneremo dopo). Badate che questa non è archeologia – questo è un trend che continua tutt’ora. Devo dire che effettivamente, nella mia esperienza, i giocatori che tendono più facilmente a liquidare il dungeon crawl come un tipo di gioco “meno nobile” o “inferiore” sono proprio i giocatori figli degli anni ’80 e di AD&D 2e – che, allo stesso tempo, sono quelli che più frequentemente tendono a ritenere il railroading un metodo accettabile di fare il GM. Questo ovviamente è solo un aneddoto, e non pretendo di dimostrare niente. Tuttavia, non posso fare a meno di notare che in Italia D&D arriva nel 1985, quando Editrice Giochi pubblicò la prima traduzione italiana del Basic, a cura di Giovanni Ingellis. Sarò onesto: a dire il vero non fu tutta colpa di Dragonlance. C’era comunque aria di cambiamento in quegli anni. Per esempio, qualche anno prima di Dragonlance, nel 1981, fu pubblicato Call of Cthulhu, che contribuì a cambiare il modo in cui i giochi di ruolo erano visti. Non solo adattò il gdr ad un nuovo genere, quello dell’horror, ma fu anche un gioco che cambiava il classico concetto di avventura dall’esplorazione di un dungeon alla risoluzione di un mistero. Tra il 1980 ed il 1982 fu rilasciata la trilogia di Zork, uno dei primi giochi per computer con qualcosa che assomigliasse ad una storia (sebbene abbastanza rudimentale). Nel 1985 venne pubblicato Pendragon, un altro gioco di ruolo piuttosto story-focused per l’epoca. Insomma, le cose stavano cambiando, e probabilmente sarebbero cambiate lo stesso anche senza quei fatidici moduli dei coniugi Hickman. Vorrei anche sottolineare che questo cambiamento non è stato improvviso, come può forse sembrare leggendo questo post; l’introduzione della storia è stata un processo graduale. Il modulo I6: Ravenloft (1983) era sì un enorme dungeon, ma anche lì c’era una specie di storia che faceva da sfondo. Tuttavia, oggi ricordiamo i moduli di Dragonlance come lo spartiacque tra il vecchio modo di concepire il gdr, ed un nuovo modo, in cui la storia era in primo piano. A questo proposito, ci sono due gruppi di persone che arriveranno ad odiare questo nuovo modo di concepire il gdr, per ragioni opposte. Uno di questi due gruppi lo incontreremo più avanti, tra una quindicina d’anni (siamo sempre a metà degli anni ’80) – ma l’altro possiamo presentarlo adesso. Sto parlando dei fan del D&D delle origini, il D&D dei dungeon crawl senza storia. Questi fan vissero la nuova attenzione alla storia come un tradimento dello spirito originario di D&D, guardando i moduli di Dragonlance, il focus sulla storia, e le nuove edizioni di D&D con sospetto o aperto disprezzo. Questi giocatori talvolta si autodefinisconogrognard. Alcuni sono vecchi wargamer, mentre altri sono semplicemente giocatori appartenenti alla “vecchia guardia”: giocatori che continuano a ritenere le vecchie edizioni, e lo spirito originario del gioco che le contraddistingue, come l’epoca d’oro di D&D. Sono giocatori che rifiutano l’idea che si giochi di ruolo per raccontare una storia, in contrapposizione ai giocatori “new school”, e che spesso guardano con disprezzo certi elementi del fenomeno del player empowerment. Negli ultimi anni (soprattutto a partire dal 2008/2009) c’è stato un rinnovato interesse per il modo di giocare della “vecchia guardia”, che si è consolidato in un movimento/scuola di pensiero noto come OSR. L’acronimo è definito in maniera imprecisa, ma la maggior parte delle persone legate all’OSR vi diranno che sta per Old School Revival, oppure Old School Renaissance. In pratica, il termine è oggi utilizzato per indicare un gruppo abbastanza eterogeneo di gdr e la ‘scuola di pensiero’ ad essi collegata, il cui comune denominatore è il rifarsi, sia come regolamenti che come filosofia di gioco, alle vecchie edizioni di D&D. Ecco: nell’ambito dell’OSR, i moduli di Dragonlance sono visti come una disgrazia. Grognardia (fino al 2012 uno dei blog più influenti del movimento OSR),ricorda Dragonlance “as one of the key moments when D&D lost its soul“; in un altro post, James scrive: RPGPundit, un blogger abbastanza controverso e legato al movimento OSR,racconta di quando l’autore di un modulo OSR reagì piuttosto aspramente ad una sua recensione negativa: Ma insomma, questa “storia” di cui parli… che roba è alla fine? Questo è un momento buono come un altro per parlare un attimo di questa famosa “storia” che sarebbe entrata a far parte della cultura del gdr a partire dalla metà degli anni ’80. In effetti uno dei problemi nel parlare di questa roba è che “storia” è un termine impreciso, e persone diverse intendono cose diverse. Certo, certo, è vero – la storia, in senso lato, c’è sempre. È tutto ciò che succede in gioco. In senso lato, anche un dungeon crawl finisce in qualche modo per avere una storia. In un dungeon crawl succedono delle cose, e alla fine è possibile ricostruire una sequenza di eventi coerente. “Siamo scesi al secondo livello del dungeon, abbiamo ammazzato tre goblin, e Bob il Guerriero è stato fritto da una trappola”. Però in questo post, con storia, intendo qualcosa di più di una sequenza di eventi coerente – intendo una storia appassionante, cioè una storia in grado di appagare dal punto di vista drammatico; una sequenza di eventi in game in grado di essere appassionante e interessante, come le trame che si sviluppano nei libri, nei film o nei fumetti. Una storia di questo tipo solitamente ha una struttura o comunque un arco narrativo: un inizio (un problema, un conflitto, un dramma), uno svolgimento, e una conclusione. Probabilmente ha anche elementi in grado di farti venire voglia di vedere come va a finire (non so – colpi di scena, misteri che vengono svelati pian piano…). Ovviamente voi potreste intendere un’altra cosa ancora per “storia”, e va benissimo. Però in questo post quando parlo di storia, parlo di quella roba lì sopra. Quindi se per voi la storia è un’altra cosa, potreste non essere d’accordo con le mie considerazioni. Va benissimo. Ora, in un gioco di ruolo tradizionale, ci sono due modi fondamentali per avere una storia appassionante. Uno è avere la storia appassionante già scritta, e l’altro è improvvisarla. A prescindere dall’approccio che si preferisce, nei giochi tradizionali è tipicamente possibile un gioco di tipo immersivo, in cui il giocatore può vivere una storia in prima persona, esercitando una influenza sullo sviluppo della stessa paragonabile a quella che potrebbe esercitare una persona reale nello sviluppo della propria vita. In pratica, il giocatore ha controllo esclusivamente sulle azioni del proprio personaggio, ma non, ad esempio, sull’ambiente o su i PNG. Dopo vedremo quali sono i gdr “non tradizionali”, il cui approccio è molto diverso. Avere la storia già scritta L’approccio “storia appassionante già scritta” è quella che adottano molti moduli pubblicati a partire dall’era di AD&D 2e fino ad oggi (es. molti Adventure Path per Pathfinder). Il processo è più o meno lo stesso, sia che la storia appassionante venga tratta da un’avventura pubblicata, sia che la scriva il DM di sua mano: c’è una serie di eventi che si verificano in successione, in modo più o meno lineare. La storia è appassionante perché gli eventi prestabiliti fanno sì che lo sia. Esempio banale: un vecchio misterioso si avvicina ai personaggi e chiede loro di recuperare la Spada Infuocata dalla Tomba del Guerriero Misterioso prima che se ne impadronisca Lord Morte, il Necromante Oscuro. I personaggi accettano. I personaggi recuperano la Spada e tornano dal vecchio misterioso. Ma, attenzione! C’è un colpo di scena! Il vecchio misterioso è in realtà Lord Morte sotto mentite spoglie! Dopo un monologo ad effetto, Lord Morte fugge con la Spada. Nella prossima avventura i personaggi dovranno inseguirlo! Zan zan zan! Questa trama nella sua semplicità è interessante – c’è un colpo di scena. Mi immagino il DM che si sfrega le mani tutto soddisfatto, gongolando al pensiero della faccia che faranno i giocatori quando giocheranno alla sua fantastica storia. C’è però un grosso, grossissimo problema con questo approccio. In un libro, lo scrittore è in grado di produrre una storia interessante perché controlla contemporaneamente protagonisti, antagonisti, personaggi secondari e tutto quello che succede. In un gdr non funziona così. Non dovrebbe funzionare così. In un gdr, se il DM vuole produrre la storia interessante, ha un grosso ostacolo davanti a sé. Si ritrova a essere uno scrittore con le mani legate, che non controlla i protagonisti della sua storia. La storia di cui sopra è fragile, come quasi tutte le storie prestabilite a tavolino. Cosa succede se i personaggi decidono di tenersi la Spada Infuocata, o di venderla, invece di riportarla al vecchio misterioso? Cosa succede se uno dei giocatori in qualche modo scopre, per esempio, che il vecchio misterioso ha un allineamento malvagio e si insospettisce? Ve lo dico io: la storia salta. Tutta la bellissima storia concepita dal DM a casa sua, dopo ore di faticosa preparazione, crolla come un castello di carte. C’è un modo di dire nella comunità dei gdr che più o meno recita: “no plan survives first contact with the players“. Allude al fatto che qualunque trama predisposta a tavolino dal DM finirà per crollare rovinosamente una volta arrivata al tavolo, perché i giocatori faranno qualcosa al di fuori dei suoi piani. Il povero DM quindi si trova ad avere un problema. Vuole inserire la sua storia appassionante nella campagna; ma la sua storia, essendo predeterminata, non reggerà mai al tavolo di gioco, a causa dell’imprevedibilità legata alla libertà d’azione dei giocatori. (Notare che questo problema è direttamente o indirettamente la conseguenza di idee che risalgono alla metà-fine degli anni ’80, quando Dragonlance ha messo in testa alla gente l’idea sciagurata che per fare bene il DM uno deve raccontare una storia interessante come quella di un film o un libro.) Come rispondere a questo problema? Ci sono diverse reazioni possibili. Alcune di queste reazioni sono sane, altre sono patologiche. Le risposte patologiche più comuni sono barare e railroadare i giocatori. Il Railroading Il railroading (da railroads, che letteralmente sono i binari del treno) è un fenomeno che avviene quando un evento del gioco ha un outcome predeterminato – cioè un esito stabilito a priori, a prescindere delle azioni dei giocatori. Il DM annulla la libertà d’azione dei giocatori, forzando quello che succede nel gioco, al fine di far andare le cose come vuole lui. Che vuol dire in pratica? Diciamo che in gioco si verifica una situazione X. Per esempio: i personaggi sono nella principale cittadina del regno, e per andare avanti con la storia, devono parlare con il Re che si trova nel palazzo reale. Questa di per sé è una situazione aperta: la storia preparata dal DM prevede che i giocatori parlino col Re, ma i giocatori potrebbero fare potenzialmente qualunque cosa, incluso non parlarci affatto. Il railroading avviene quando il DM ha stabilito come questa situazione andrà a finire, e impone l’esito da lui deciso a prescindere da cosa fanno o non fanno i giocatori. Qualcuno potrebbe dire “eh vabbé, ma questo DM è un pivellino! Un bravo DM asseconda il giocatore e trova il modo di farlo parlare lo stesso con il re.” Per esempio: Ecco: qui c’è un equivoco. Non c’è molta differenza tra il railroading spudorato del primo esempio e il railroading occulto del secondo esempio (talvolta chiamatoillusionismo). Non è che quello del secondo esempio è un DM più bravo, o un DM più esperto. Il DM qui ha solo riaggiustato la sua trama lineare (evento A -> evento B -> evento C) in modo da dare l’impressione che l’avventura non sia sui binari, ma è un cambiamento cosmetico. In realtà è più o meno la stessa cosa: il DM ha deciso che le cose devono andare in un certo modo, e qualunque cosa voglia fare il giocatore, il DM trova il modo di far succedere le cose che voleva. L’unica differenza è che che se va tutto bene il giocatore non se ne accorge. E i giocatori si accorgono di questi trucchetti molto più spesso di quanto il DM pensi. Diciamo che ci sono tre percorsi che conducono dal Luogo A al Luogo B. Se i tre percorsi sono esattamente uguali, ed i personaggi subiscono la stessa imboscata indipendentemente dal percorso preso, con gli stessi mostri, etc. etc… beh, non è molto diverso dalla situazione in cui c’è un solo percorso obbligato. Dai l’illusione della scelta, ma è solo una finzione. Il railroading (spudorato od occulto) è in genere malvisto perché annulla la libertà d’azione e di scelta dei giocatori, visto che quello che fanno o non fanno non ha più alcuna conseguenza né alcun impatto su quello che succede. Se rimuovi la libertà d’azione togli una delle cose fondamentali che distinguono il gdr da altre forme passive di intrattenimento (cinema, teatro, libri, fumetto, etc): la capacità di influenzare ciò che succede. Il gioco di ruolo diventa un’esperienza passiva, dove il fruitore esperisce una storia predeterminata da altri. A quel punto, tanto vale rimettere i dadi nello zaino e stare a sentire il GM che ti legge un racconto scritto da lui, no? Tuttavia, se è vero che il railroading è generalmente malvisto, ci sono dei casi in cui può funzionare e può essere desiderabile – cioè quando è funzionale al divertimento del gruppo. In generale, quando si gioca di ruolo la priorità è divertirsi – finché uno si diverte, sta giocando bene. Se uno gioca di ruolo senza divertirsi, fategli i complimenti: è riuscito a scoprire l’unico vero modo per farlo male! Ecco, alcuni giocatori preferiscono avere una storia da cui farsi guidare. Magari vogliono esperire una storia appassionante predeterminata in modo semi-passivo, senza dover fare troppe scelte. Si aspettano una storia, e fanno del loro meglio per seguirla; quando non la seguono, si aspettano che il DM li rimetta sulla strada. Questo è talvolta chiamato partecipazionismo, nel senso che i giocatori partecipano volontariamente alla storia creata dal DM (anziché subirla). C’è partecipazionismo, se vogliamo usare questo termine, quando i giocatori: a) sono consapevoli che c’è una storia prestabilita da seguire; sono d’accordo che ci sia questa storia; c) riconoscono che gestire la storia è responsabilità del DM; e infine d) sono d’accordo che il DM faccia il necessario per far sì che la storia vada avanti. Questo, se ci pensate, è quello che succede, per esempio, quando i personaggi accettano il lavoro proposto loro dallo straniero misterioso alla locanda. Non c’è alcun motivo sensato per cui delle persone sane di mente debbano accettare un incarico da un tizio mai visto e conosciuto – però in genere i personaggi accettano il lavoro senza tante storie, perché sanno che l’avventura “è da quella parte”. Ora, questa situazione va bene. La situazione che viene criticata è quando il DM pensa di sapere cos’è meglio per il divertimento del gruppo senza consultarsi prima con i giocatori, per cui decide autonomamente di scrivere la storia predeterminata senza che nessuno glielo abbia chiesto. Se invece i giocatori esprimono il desiderio di avere la storia predeterminata, è un altro paio di maniche. In certi gruppi storici, che giocano insieme da anni e anni, questo consenso può essere implicito: il DM ormai conosce i giocatori e sa cosa li diverte, mentre i giocatori conoscono il DM e sono d’accordo con il suo stile. Tuttavia, a meno che non rientriate in questo caso, è meglio se questi aspetti vengono decisi dall’intero gruppo prima dell’inizio della campagna (“ragazzi, avevo in mente una campagna con una storia ambientata in X che sarà così e cosà, vi va bene?”). Barare Barare non ha bisogno di molta discussione: stai barando quando ignori arbitrariamente una regola, o il risultato di un dado, perché non ti piace la situazione a cui quella regola o quel tiro di dado ti porterebbero. La maggior parte dei DM che barano lo fanno con buone intenzioni: salvare personaggi che morirebbero per tiri sfortunati, non penalizzare serate sfortunate con i dadi, ignorare tiri non utili alla storia o al divertimento, far sì che il combattimento con il boss non finisca in un solo round, e così via. In generale, nella maggior parte dei casi i DM che barano lo fanno per esigenze di storia. Ma questo non vuol dire che sia una buona abitudine. Se hai bisogno di barare per ottenere quello che vuoi da un sistema, c’è qualche problema di fondo – evidentemente vuoi fare qualcosa, ma le regole ti remano contro e portano a risultati che non ti piacciono. E se non ti piace un risultato, perché usare delle regole che ti portano a quel risultato? Le risposte sane a questa situazione sono a) adattare le tue aspettative al sistema; modificare il sistema in modo che venga incontro alle tue aspettative (= house rules); c) se il compito precedente è troppo laborioso, al limite cambiare sistema. Barare è una risposta al problema forse più semplice, ma è patologica perché implica ingannare gli altri giocatori (sì, se tiri dei dadi e poi ignori il risultato, li stai ingannando). Se ignori i tiri di dado quando ti fa comodo, non capisco come mai stai tirando dei dadi. “Se faccio >10 col dado accetto il risultato, se faccio meno non è funzionale alla storia per cui facciamo finta di aver fatto >10 lo stesso.” Il dado diventa una cosa cosmetica – tanto se le cose non vanno come avevi pianificato, lo ignori. In generale, secondo me non dovresti tirare se non sei pronto ad accettare il risultato del dado. Fare diversamente mi sembra un comportamento un po’ schizofrenico. Come il railroading, anche il barare è generalmente malvisto, però ci sono situazioni in cui barare è ok. Più o meno sono le stesse situazioni in cui il railroading è ok: cioè quando i giocatori sono consapevoli che il barare rientra tra le cose che il DM potrebbe fare, e sono d’accordo. In questo caso nessuno viene ingannato, dunque non c’è nessun problema. Questo consenso dovrebbe sempre essere esplicito, con l’eccezione dei gruppi molto rodati che giocano insieme con soddisfazione da parecchi anni, in cui questo consenso può essere implicito. Di nuovo, ciò che viene generalmente criticato è il DM che si arroga il diritto di decidere per conto suo cosa è meglio per il divertimento del gruppo, perché è un atteggiamento paternalistico. Alcuni giocatori potrebbero non apprezzare l’idea che il DM bari per salvarli o per mandare avanti la storia in una certa direzione (io per esempio mi opporrei a una cosa del genere), quindi hanno il diritto di essere informati se questa è una cosa che può succedere. L’altro approccio L’altro approccio per avere la storia appassionante in un gioco tradizionale èrinunciare a raccontare la storia appagante, e lasciare che una qualche storia si crei da sola come fenomeno emergente. I sistemi tradizionali hanno regole strutturate in modo più o meno esplicitamente simulativo. Con questo intendo dire che le regole, piuttosto che cercare di riprodurre una certa struttura narrativa, si prefiggono solo di rappresentare in modo coerente la realtà del gioco – una realtà di gioco che può essere anche molto diversa dalla nostra. Per esempio, in un gioco tradizionale in cui i personaggi possono volare, le regole potrebbero limitarsi a dirti quanto veloce un personaggio può volare, quanto a lungo, quanto in alto, e così via. Non so se mi spiego. Ecco, in questi giochi l’approccio più naturale è usare le regole per lo scopo per cui sono state create – simulare una certa realtà fittizia – e fermarsi lì. Il DMabbandona l’idea di intervenire sulla storia, spingendola in una direzione piuttosto che in un’altra, e lascia che questa emerga naturalmente dalla realtà fittizia creata dalle regole e dalle azioni dei giocatori. Come funziona in pratica? In questo tipo di gioco, il GM delinea un’ambiente o una situazione, magari offrendo alcuni spunti per avventure e/o luoghi da esplorare; i giocatori poi possono fare quello che vogliono e decidere le proprie avventure. Sono i giocatori il motore di quello che succede – il GM ha un ruolo passivo, e si limita a reagire alle scelte dei giocatori; il suo compito è semplicemente quello di realizzare in gioco le conseguenze delle loro azioni (di solito improvvisando). Questo tipo di gioco è noto anche come sandbox. L’esempio più antico di questo tipo di gioco è l’hexcrawl, un tipo di campagna di esplorazione pura molto popolare negli anni ’70 e primi anni ’80, e ritornata di recente in voga grazie all’OSR. Qualcosa di simile, molto di moda qualche anno fa, sono le West Marches (diretta ispirazione per una campagna omonima nell’ambito dello show online RollPlay). Un tipo di campagna più “story-oriented” potrebbe essere creato elaborando situazioni in cui ci sono fazioni, forze e/o png con motivazioni, obiettivi e interessi in conflitto tra loro e con quelli dei personaggi, di modo da creare una rete più o meno complessa di relazioni. I personaggi, con le loro azioni, andranno ad influenzare una o più di queste relazioni, provocando delle reazioni. Il resto si evolverà naturalmente. Chi è interessato alle campagne sandbox probabilmente vorrà dare un’occhiataai giochi della Sine Nomine Publishing, specialmente Stars Without Number che è gratuito. Contengono ottimi suggerimenti e strumenti per creare campagne di questo tipo, che sono un po’ il marchio di fabbrica della SNP. Qual è lo svantaggio della campagna sandbox? Sicuramente che è pesante per il GM, che deve passare un certo tempo a prepararsi prima delle sessioni, e soprattutto essere bravo a improvvisare; e poi che richiede ovviamente giocatori proattivi. Dal punto di vista dell’ottenimento di una storia drammaticamente appagante, lo svantaggio della campagna sandbox con il gioco tradizionale è che è inaffidabile. Sicuramente si verrà a creare una qualche storia, ma non è detto sia appassionante – e lo dico per esperienza. Se lasciate veramente libertà ai giocatori, è possibilissimo che emerga naturalmente una storia appassionante (nata dall’improvvisazione), ma questa sarà il risultato di uno o tutti questi fattori 1) un bravo GM; 2) bravi giocatori 3) il caso. In una sandbox autentica può venire fuori la storia emozionante, ma può anche venire fuori una storia mediocre dal punto di vista drammatico, o addirittura una storia che si interrompe in modo anticlimatico (esempio: total party kill intempestivo ad opera di mostri insignificanti). Inoltre, la storia emergerà a posteriori – dopo la sessione, ci guarderemo indietro e ricostruiremo una trama. Naturalmente, una campagna sandbox può essere comunque divertente anche senza la storia emozionante – dipende da quali elementi i vostri giocatori traggono il loro divertimento. Le sopracitate West Marches sembrano divertentissime, eppure non c’è alcun tentativo di creare una storia. E, dal mio punto di vista, uno dei take home messages di questo articolo è un po’ questo: non avete necessariamente bisogno della storia appassionante per divertirvi. C’è stata, negli anni, una tendenza a far credere ai giocatori che il buon gdr produce necessariamente la bella storia, ma non è così. Il gdr può essere divertente e ben riuscito anche quando la storia è di per sé deludente. E come sempre, finché la gente si diverte, va tutto bene. Una cosa che vorrei chiarire è che la stragrande maggioranza delle campagne adottano in realtà un approccio ibrido tra i due che ho presentato. Cioè, pochissime campagne sono o del tutto sandbox, o del tutto composte da una storia completamente pianificata. Le campagne che la gente gioca nella vita reale spesso presentano elementi di entrambi gli approcci, anche se solitamente uno dei due prevale sull’altro. Vale a dire: alcune campagne sono tendenzialmente sandbox, altre tendenzialmente storia-predeterminata. Molte campagne possono oscillare tra questi due poli nel corso del gioco; per esempio, nel corso degli anni diverse mie campagne sono partite con un abbozzo di storia predeterminata (in pratica, un aggancio per l’avventura, seguito da quello che, a grandi linee, mi aspettavo che sarebbe successo); ma quando i giocatori si sono allontanati da ciò che mi aspettavo, o comunque quando hanno cambiato le carte in tavola con le loro azioni, queste campagne sono ben presto deviate verso il sanbox: a quel punto ho iniziato ad improvvisare e far reagire PNG/fazioni/mostri/l’ambientazione in maniera coerente rispetto alle azioni dei giocatori, abbandonando qualunque idea avessi circa lo sviluppo della campagna. I giochi non tradizionali e il motivo per cui hanno tutte quelle regole bislacche Abbiamo visto che in un gioco di ruolo tradizionale ci sono due modi fondamentali per avere una storia appassionante. Uno è avere la storia appassionante già scritta, che per definizione è un sistema molto affidabile (è già scritta!). Tuttavia, questo approccio ha dei grossi problemi, e di fatto può essere mantenuto solo utilizzando strategie spesso non desiderate dai giocatori. Più raramente (almeno nella mia esperienza) i giocatori richiedono la presenza di una storia già scritta, ed accettano che il DM faccia il possibile per mantenerla: in quest’ultimo caso, finché tutti si divertono e sono d’accordo, va tutto bene. L’approccio concettualmente opposto è dare completa libertà d’azione ai giocatori, e lasciare che la storia si crei da sola in modo naturale. Questo approccio mantiene la libertà dei giocatori e tende a risultare più accettabile. Tuttavia, non funziona molto bene con giocatori passivi ed ha, tra le altre cose, il grosso svantaggio di non essere in grado di produrre affidabilmente una storia appassionante. A volte si creerà, a volte no. So it goes. Proseguiamo adesso con la nostra storia. La nuova enfasi sulla storia si diffuse rapidamente anche al di là di D&D: nel 1991, due anni dopo AD&D 2e, sarebbe stato pubblicato Vampire: The Masquerade, forse il gioco più iconico degli anni ’90. Vampire, almeno in teoria, era un gioco che si compiaceva del proprio focus sulla storia, sulla narrazione, sull’intrigo, e sull’introspezione personale – autodefinendosi “a game of personal horror” (in it. “un gioco di intimo orrore“). Gli anni ’90 passano. Vampire: the Masquerade è giocatissimo. AD&D 2e sforna degli storici Campaign Settings piuttosto focalizzati sull’elemento storia (vedi Planescape). I videogame di Final Fantasy, caratterizzati da storie complesse e coinvolgenti, si diffondono rapidamente in occidente. Insomma, tutti vogliono storia, storia, storia. Negli anni ’90 si inizia anche a sperimentare – per esempio, nel 1991 esce Amber Diceless, il primo gioco di ruolo a non utilizzare dadi; nel 1999 uscirà Nobilis, altro gioco diceless piuttosto, uh, cerebrale (i giocatori interpretano concetti astratti personificati. No, davvero. …WTF?!). Gli anni ’90 sono però anche un periodo di profonda crisi per il gdr cartaceo, minacciato dal diffondersi dei giochi per computer, sempre più elaborati, e dal successo dei giochi di carte collezionabili (come Magic: The Gathering). C’è un’aria tesa nell’industria dei gdr, costretta ad assecondare i capricci del mercato e inventarsele di tutte pur di rimanere a galla: gli anni ’90 sono anche il decennio degli splatbooks. Arriviamo quindi alla fine degli anni ’90, e facciamo la conoscenza di Ron Edwards, PhD. Edwards era un insegnante di biologia e dottorando all’Università della Florida, e nel tempo libero scriveva giochi di ruolo. L’intero movimento legato ai giochi “indie” (indipendenti) come lo conosciamo oggi nacque perché Edwards divenne disilluso nei confronti dell’industria editoriale commerciale per diverse ragioni. I contratti tra autori e case editrici tendevano a dare molto controllo sul prodotto alla casa editrice – per esempio, la casa editrice poteva decidere unilateralmente di produrre una nuova edizione di un gioco, che l’autore fosse d’accordo o no. Tanto per parlare di un gioco che tutti conosciamo, D&D è ora alla sua quinta edizione. Ecco, se domani la WotC decidesse di pubblicare la sesta edizione di D&D, e Mike Mearls non fosse d’accordo, non sarebbe certo lui ad avere l’ultima parola. “Indie”, quindi, significa solo questo: giochi che sono autopubblicati, in modo tale che l’autore mantenga il controllo sul proprio prodotto. Spinto dalla propria insoddisfazione, più o meno nel 1999 Edwards avviò un sito dedicato ai giochi pubblicati da autori indipendenti, che allora non erano molti. Quel sito qualche tempo dopo (nel 2001) sarebbe stato ribattezzato The Forge. Su quel sito poteva discutere chi era interessato ai giochi indie (autori o meno), e tra le altre cose si parlava anche di teoria e game design. È in questo contesto che Edwards avrebbe sviluppato la Teoria GNS, che più tardi sarebbe stata incorporata in un framwork teorico più ampio, il Big Model. A partire dal 1999, Edwards iniziò a pubblicare alcuni articoli di teoria: questo è uno dei più importanti. Io sinceramente dell’impianto teorico di cui si discuteva su The Forge ne so il giusto. A causa del gergo astruso non mi sono mai veramente addentrato nei suoi meandri. Ammetto che molte cose le ho imparate nelle ultime due settimane, quando facevo ricerche per questo articolo, in modo da non scrivere baggianate; per questo motivo eviterò di parlare in dettaglio di questa roba. Per chi fosse interessato ad una analisi più approfondita su The Forge, le sue teorie, e quello che ha rappresentato per la scena dei giochi di ruolo, consiglio fortementequesto post, che è una delle retrospettive più complete ed equilibrate che abbia trovato sull’argomento, e si allinea abbastanza alla mia visione della cosa. L’articolo di Edwards comunque è comprensibile anche senza sapere niente di teoria GNS. In pratica, il nocciolo della sua argomentazione (spiegato con parole mie) è che la gente, in un gdr, trae il proprio divertimento attraverso la soddisfazione di “appetiti” diversi, che non sempre sono compatibili tra loro. Un gioco di ruolo progettato per assecondare un appetito specifico è meglio di un gioco che tenta di soddisfarli tutti, o che è progettato senza una chiara idea di quale appetito stia cercando di soddisfare. Questo perché il gioco che tenta di soddisfarli tutti non ne soddisferà pienamente nessuno: ogni tipo di giocatore troverà qualcosa del sistema che gli piace, ma anche qualcosa che lo disturba. Invece, il gioco che tenta di soddisfare un tipo specifico di appetito soddisferà una sola tipologia di giocatore, ma almeno la soddisferà pienamente. Edwards nell’articolo individua tre forme principali di appetito autoescludentisi, o “creative agendas” (intenti creativi) nel gergo forgita: gamista (= il gdr visto come esperienza di gioco, in cui il divertimento consiste nel superare delle sfide), simulazionista (= il gdr visto come strumento per esplorare una particolare realtà o un genere), e narrativista (= il gdr visto come occasione per raccontare una storia, anche se in realtà questa definizione è imprecisa). Si può essere o meno d’accordo con questa visione delle cose; comunque l’articolo è ben argomentato ed è molto interessante, per cui consiglio di leggerlo con una mentalità aperta, a prescindere dalle proprie idee. Per quanto riguarda me, sono d’accordo in linea generale su alcune argomentazioni (es. che il sistema è importante per favorire una certa esperienza di gioco), ma meno su altre (es. che questi intenti si escludano tra loro). Sia come sia, Edwards non ha mai fatto mistero di essere uno che giocava per raccontare una storia, e di essere insoddisfatto dei giochi che promettevano ai giocatori la capacità di raccontare grandi storie, senza che il regolamento facilitasse questo compito. Ecco perché molte persone che hanno abbracciato la visione forgita odiano Vampire: The Masquerade e, in minor misura, AD&D 2e. Erano due giochi molto popolari che promettevano grandi storie, ma non mantenevano le loro promesse. Ed ecco perché i designer associati a The Forge tentarono di rimediare a questa mancanza con giochi dalle regole non convenzionali, concepite per facilitare la creazione di specifiche storie, strutturate in modo preciso. Gli individui collegati a vario titolo a The Forge furono quindi il secondo gruppo di persone che giunse ad odiare la nuova attenzione alla storia dei gdr tradizionali, poiché vissero il tutto come una menzogna o una promessa non mantenuta. (Il primo, ricordiamolo, sono i grognard old school, che hanno visto questa attenzione alla storia come un tradimento dello spirito originale del gioco.) (tra parentesi: notare che Edwards e compagnia bella non sostenevano che fosse impossibile raccontare una storia con i giochi tradizionali, tutt’altro – si lamentavano però che il regolamento non facilitasse od ostacolasse questo compito) (altra parentesi: dovrei precisare che la storia come la intende Edwards è diversa dalla storia come l’ho definita io un po’ di righe fa – Edwards ha una sua definizione particolare di cosa costituisce una storia nell’ambito di un gioco narrativista, che è molto più restrittiva della mia definizione). Dicevamo. I frequentatori della Forgia furono molto influenzati dalle idee di Edwards, e iniziarono a progettare giochi seguendo la stessa logica. Dato che la stragrande degli utenti del forum giocavano per raccontare storie, i giochi che vennero prodotti erano story-focused, e vennero associati a quello stile. Con il tempo, gioco indie divenne (impropriamente) sinonimo di “gioco non tradizionale fatto per raccontare storie”. In realtà gioco indie vuol dire semplicemente gioco di ruolo autopubblicato in cui l’autore mantiene il controllo della propria creazione. Stop. I giochi sfornati dalla forgia erano anche indie, ma non tutti i giochi indie sono forgiti o narrativisti. Per esempio, molti giochi OSR sono indie, ma assolutamente tradizionali e per niente narrativisti. Inoltre, c’è anche da fare chiarezza su un equivoco di fondo che circonda questi giochi: in realtà solo *pochi gdr* furono progettati seguendo strettamente le teorie forgite; la maggior parte dei giochi non tradizionali prodotti negli anni sono stati progettati senza seguire alcuna teoria particolare. Per esempio, Dungeon World o Apocalypse World sono indie, e possono essere considerati story-focused (nel senso che hanno meccaniche che manipolano direttamente la storia), ma hanno molto poco a che fare con the Forge, e sono giochi tutto sommato abbastanza tradizionali. Ad ogni modo, la definizione probabilmente più corretta per questi giochi è “non-tradizionali”, il che li contrappone ai giochi “tradizionali”. Si caratterizzano infatti per meccaniche non convenzionali, più o meno sperimentali, che scardinano alcuni degli assunti dei giochi tradizionali – es. dando maggiore controllo narrativo ai giocatori, progettando meccaniche senza logiche simulative, eliminando parti del gioco considerate fondamentali nel gdr tradizionale (come la presenza di un GM), etc. etc. In altre parole, il motivo per cui i giochi non tradizionali hanno tutte quelle regole bislacche è perché sono giochi progettati seguendo una logica del tutto diversa rispetto ai giochi tradizionali: le regole non sono concepite per simulare una realtà, bensì manipolano direttamente la storia; in alcuni casi, possono essere concepite in modo da facilitare la produzione affidabile di storie particolari, specifiche, e strutturate in un certo modo (per es. con un inizio, uno svolgimento e una fine), spesso in un contesto tematico ben preciso (esempio tipico: Polaris). Le storie prodotte da questi giochi sono prodotte “live” (story now), mentre si gioca, e non decise a priori o ricostruite retrospettivamente quando si esamina cos’è successo durante la sessione di gioco. Un altro esempio tipico è My Life with Master, tradotto come La Mia Vita col Padrone, uno dei primi giochi indie a diffondersi apprezzabilmente in Italia (almeno, che mi ricordi – era il 2008 o il 2009). Un esempio di gioco forse più abbordabile è Dogs in the Vineyard (Cani nella Vigna), anche questo divenuto un classico. Alcuni (tra cui me!) tendono a non amare molto questo tipo di meccaniche, perché possono spezzare l’immersione nel gioco (parlo soprattutto delle meccaniche che forniscono controllo narrativo al giocatore). C’è qualcuno che vorrebbe farvi credere che se non vi piacciono questi giochi siete delle brutte persone. Ovviamente non è vero. È solo questione di preferenze personali. Potrebbero esserci molte ragioni per cui non vi piacciono. Potrebbe essere perché magari per voi la storia non è così importante come credevate. Per voi potrebbe essere più importante l’immersione, che è una cosa diversa, o la simulazione (di un mondo fittizio o di un particolare genere di fiction). Oppure potrebbe essere perché preferite giocare seguendo una storia predeterminata e scritta da qualcun altro. O magari vedete il gioco di ruolo principalmente come un’esperienza di gioco, e della storia non ve ne può fregare di meno. The Forge oggi, e perché un sacco di gente ce l’ha ancora con quel dannato sito Il sito The Forge è stato chiuso da Edwards, perché riteneva che avesse esaurito il suo scopo (in pratica, dimostrare che era possibile l’autopubblicazione di un gdr così come l’autore lo intendeva, senza dover obbedire a esigenze di mercato, mode, o altri principi che non fossero il suo gusto). Una sezione del forum venne chiusa nel 2005, e poi il resto del sito fu chiuso definitivamente nel 2012; esiste ancora, ma solo come archivio. Oggi, nel 2016, il Big Model e le teorie forgite sono pressoché irrilevanti per chiunque, nel senso che ormai non se ne discute praticamente più. L’unico che forse continua a prenderle sul serio è Ron Edwards – personaggio caduto un po’ nel dimenticatoio. Neppure a Vincent Baker frega più una mazza del big model e della teoria GNS. C’è ancora qualcuno che ne parla, ma sinceramente fa molto 2008 (o 2010 se vivi in Italia, da noi arriva tutto dopo). Se il Big Model ed in generale The Forge sono ormai storia, molti giochi nati nel contesto della forgia hanno avuto una grossa influenza nell’industria dei giochi di ruolo. Alcune idee sviluppate in quel contesto sono entrate a far parte del bagaglio culturale generale, ed incorporate in giochi per altri versi tradizionali (vedi per esempio 13th Age, e lo stesso D&D 5E con l’Ispirazione). Direi che la distinzione giochi tradizionali/giochi non tradizionali è un po’ sfumata negli ultimi anni, e probabilmente non è più molto utile. Fate è tradizionale o non tradizionale? I pbta (giochi derivati da Apocalypse World) sono tradizionali o non tradizionali? Personalmente non saprei rispondere: sì, sono giochi non tradizionali per alcuni aspetti, ma allo stesso tempo vicini come impostazione ai giochi tradizionali. Quello che è importante capire è che le varie teorie forgite erano teorie concepite per analizzare il gdr secondo l’ottica di una persona insoddisfatta e infelice del proprio gioco, che non riusciva a ottenere quello che voleva dal gioco, e non capiva bene né perché, né come risolvere i suoi problemi. Oggi questo non è più vero – The Forge ha vinto la sua battaglia; ha cambiato la cultura del gdr. Oggi esistono centinaia o forse migliaia di giochi diversi, per tutti i gusti; giochi tradizionali, giochi non tradizionali, giochi con il GM, giochi senza il GM, giochi con i dadi, giochi senza dadi, giochi con i tarocchi, giochi così sperimentali che esiterei a definirli giochi di ruolo. C’è anche, in generale, più consapevolezza sul fatto che le persone che giocano di ruolo possono avere motivazioni diverse per giocare, e dunque esigenze diverse; che non tutti i giocatori traggono il proprio divertimento dalle stesse fonti; e c’è più consapevolezza circa i problemi (sociali e non) che possono far sì che il gioco vada storto e la gente non si diverta. Nonostante abbia ormai fatto il suo tempo, a distanza di anni dalla sua scomparsa ci sono ancora tantissimi forum dove anche solo nominare The Forge fa subito scaldare gli animi. Il fatto è che c’è un sacco di gente a cui The Forge ha dato molto fastidio. Nella stragrande maggioranza dei casi, questo è dipeso non tanto da The Forge in sé, ma dai suoi fanboy, che all’epoca di massima popolarità della forgia, andavano in giro per i forum a promuovere, anche molto aggressivamente, i giochi e le teorie forgite. Questo veniva spesso fatto criticando con una certa acredine i giocatori ed i giochi tradizioanli – scatenando regolarmente flame e polemiche. Quello che dava fastidio (almeno, a me) era 1) il fervore quasi religioso con cui certi concetti venivano spinti;2) l’atteggiamento spocchioso/elitario/snob, per cui pareva che ci fossero gdr giusti e gdr sbagliati, così come modi giusti di divertirsi e modi sbagliati; 3) la tendenza a criticare aggressivamente i giochi tradizionali e i giocatori tradizionali,trattati talora come deficienti solo per il fatto di apprezzare un certo tipo di gioco. A questo bisogna aggiungere il gergo forgita, composto anche di espressioni francamente offensive, che non è che facessero molto per nascondere il disprezzo verso chi giocava ai giochi tradizionali: vedi il termine brain damage, o il nostranoparpuzio (coniato da un utente di cui non faccio il nome, ma che incorpora perfettamente le caratteristiche di cui sopra). Purtroppo raramente si vedevano le persone più moderate prendere le distanze da questi eccessi vergognosi (“no aspetta, ma che c*zzo stai dicendo?”). Per come la vedo io, la diffidenza e l’astio nei confronti della Forgia è soprattutto frutto di questo tono da missionario-inquisitore e dall’integralismo di certi utenti che ancora oggi bazzicano in, uhm, certi forum. Che ne penso io della Forgia e dei giochi non tradizionali? In generale, non tollero il fanboy forgita prepotente – quello aggressivo, invadente, polemico, che non riesce a parlare dei giochi che gli piacciono senza parlare male dei giochi che piacciono agli altri. E non dovreste tollerarlo neanche voi, a prescindere dalle vostre preferenze. Riguardo The Forge ed i giochi non tradizionali in sé: alcune parti delle teorie della forgia sono interessanti e anche condivisibili, altre non mi trovano d’accordo. Penso tuttavia che l’esistenza di The Forge sia stata utile perché: 1) ha catalizzato la creazione di un sacco di giochi innovativi. Alcuni mi piacciono, altri no, altri mi lasciano indifferente. Ma va bene: non sono giochi che magari sono interessato a giocare personalmente, ma sono contento che esistano. Sono contento se rispondono agli appetiti di qualcuno. E comunque alcune idee nate da questi giochi hanno contribuito ad innovare anche nell’ambito dei giochi tradizionali. 2) hanno promosso la creazione di giochi che servivano un tipo di giocatore fino a quel momento bistrattato dall’industria – il giocatore che giocava per la storia. Sono dell’opinione che ci siano giochi adatti e giochi meno adatti alle preferenze delle singole persone. Sono contento di vedere giocatori soddisfatti con i giochi non tradizionali, piuttosto che vederli lamentarsi sui forum perché non riescono a ottenere quello che vogliono con D&D o PF o che ne so. Ognuno fa i suoi giochi in pace, e tutti siamo felici. Win-win. 3) ha spinto all’autoriflessione e all’autocritica su un sacco di temi (l’autorità del DM, rapporti disfunzionali tra giocatori, la necessità di riconoscere le motivazioni delle persone, etc), e penso che da questa riflessione e autocritica ne abbia tratto beneficio anche il gioco tradizionale. TL; DR A partire dalla metà degli anni ’80, il gioco di ruolo si allontana dalle proprie radici introducendo l’idea di giocare per raccontare una storia. Dal punto di vista della storia, le campagne giocate con giochi tradizionali sono tipicamente comprese all’interno di uno spettro: ad un estremo dello spettro troviamo la campagna con la storia predeterminata che sarà seguita durante il gioco effettivo; all’altro estremo troviamo la campagna priva di qualunque storia predeterminata, che invece emerge naturalmente, sul momento, durante il gioco. Entrambi questi approcci hanno pro e contro, e in linea di massima nessuno dei due è intrinsecamente sbagliato, purché i giocatori diano il proprio consenso informato e si divertano; tuttavia, l’approccio “storia predeterminata” è spesso imposto a giocatori che non lo desiderano, e come tale è generalmente malvisto. Alla fine degli anni ’90 iniziano ad emergere giochi non-tradizionali, che adottano un approccio nuovo: le loro meccaniche facilitano in vario modo la creazione di storie. Questi giochi esplodono anche grazie a The Forge, una community ora defunta che fece da punto di raccolta per autori e giocatori insoddisfatti del proprio gioco. Parecchie idee nate nel contesto della Forgia hanno influenzato lo sviluppo di molti giochi recenti, per altri versi tradizionali, e hanno cambiato la cultura dei gdr in generale. Qual è il take-home message? Non tutti i giocatori hanno necessariamente bisogno di una storia appassionante per divertirsi, che è un’idea che non è sempre stata intrinseca al gioco di ruolo (vedi il sandbox play, che generalmente è divertente pur essendo incapace di produrre affidabilmente storie degne di nota). Ai vostri giocatori potrebbe andare bene di giocare una storia predeterminata, e potrebbero anche accettare un po’ di railroading pur di rimanere sui binari; però non datelo per scontato! Prima di farlo, parlate con loro e chiarite le vostre aspettative reciproche. In caso di dubbio, l’approccio più safe è rinunciare alla propria storia predeterminata per non annullare la libertà d’azione dei vostri giocatori, e far reagire l’ambientazione alle loro scelte. Più o meno è la stessa roba per barare – ai vostri giocatori potrebbe andare bene che il DM modifichi i tiri di nascosto per esigenze di storia, ma potrebbero anche non gradire l’idea. Prima di farlo, parlatene con loro. Se non vogliono, trovate un’altra soluzione. Se siete insoddisfatti del vostro gioco, prendete in considerazione l’idea che forse state usando il sistema di gioco per scopi diversi da quelli per cui è stato concepito. Forse le vostre aspettative non si allineano bene a quelle del gioco. Tenete presente che ci sono tanti giochi di ruolo a vostra disposizione, e magari uno di questi potrebbe esservi più congeniale. Se per voi la storia è davvero importante, e ritenete che D&D o Pathfinder non vi soddisfino, ci sono molti giochi che sono stati progettati per produrre storie. Se è la vostra idea di divertimento, funzionano.7 punti
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Compagno animale
2 puntiSe giocate facendo tirare l'iniziativa anche al compagno animale allora dovrà aspettare il suo turno per agire. Io di solito per comodità faccio agire le bestie evocate/famigli/compagni/gregari e qualsiasi altra cosa nello stesso turno del "pg principale" in modo che lui potesse scegliere se far attaccare prima la creatura o prima lui o chessoio (ovviamente non mischiando i turni! Sempre uno alla volta)2 punti
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Tecniche per migliorare l'interpretazione
Ciao, Per quello che è la mia esperienza, il gdr non è teatro. Il gioco di ruolo è un medium a se stante con modalità di iterazione assolutamente non associabili ad altri media. Credo fra l'altro che questo sia sostanzialmente la causa della scarsa efficacia di tecniche teatrali applicate ad una sessione di gioco di ruolo. Uno dei fattori che ritengo unici del medium gdr è che pubblico, critica e attori del gioco siano gli stessi. Il che comporta che qualsiasi tecnica va bene fino a quando non diventa uno smarronamento per qualcun'altro; comporta anche che non esiste un "bene della storia", o una storia bella in senso (giusto per non parlare di teatro e basta) letterario, ma solo il livello di coinvolgimento ottenuto. In questo senso, le tecniche da applicare, sarebbero più orientate verso il team building che al teatro, alla partecipazione e al coinvolgimento di quello che gli altri dicono e fanno; credo che indicazioni che vanno in questa direzione siano quelle che vengono date dai Powered by Apocalypse: i principi, gli obiettivi e i "di sempre"; esempi di indicazioni come queste credo che, nel rendere piacevole la sessione di gioco contino molto più di tanti buoni consigli.2 punti
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Tecniche per migliorare l'interpretazione
Apro questo topic perché, per una volta, non voglio parlare di regole o meccaniche ma di ruolo e interpretazione. Vorrei capire qual è secondo voi il modo migliore di interpretare (se esiste) e quali sono i metodi, i trucchi e i consigli per ottenere un'esperienza più godibile. Per esempio, da qualche parte ho letto dei consigli per il master per interpretare i png: si consigliava di associare ad ogni png un gesto particolare, per esempio tamburellare con le dita sul tavolo o grattarsi spesso la testa. Se il master si accorge di star andando un po' alla deriva, effettuare il semplice gesto aiuta a tornare nel personaggio. Questo secondo me può andare bene giusto per i master, che devono gestire molti png di cui la maggior parte non così centrali. Per i PG e PNG principali, invece, si può espandere il discorso e sostituire i gesti con comportamenti. Per esempio il mio gnomo fa battute sconce, lascia ricche mancie e beve vini liquorosi. Ho trovato utile intendere i comportamenti come azioni concrete piuttosto che come atteggiamenti: il guerriero tenebroso non sarà mai tale finché non compie delle azioni che lo descrivono come tenebroso; potrebbe essere utile quindi descrivere il guerriero come uno che se ne sta in disparte, parla con voce roca ed è scontroso. Questo ragionamento mi porta a formulare una sorta di regola per il roleplay (che in realtà ho rubato da qualche parte): vale solo ciò che si vede o si dice in game. Se il mio personaggio è biondo, lo dirò a inizio campagna durante le presentazioni e stop, probabilmente cadrà presto nel dimenticatoio. Se invece per me è importante ruolare un personaggio biondo, dovrò compiere delle azioni che lo ricordano: compro la tinta, mi pettino i capelli prima di andare a dormire, mi lamento se il sangue dei miei nemici mi rovina l'acconciatura. Tutto questo mi porta a riflettere su alcuni sotto-argomenti, sui quali ho ancora diversi dubbi: Tratti estremizzati: di solito capita che un giocatore ruoli in modo estremo i tratti del suo personaggio, perché così sono più visibili e più facili da giocare. Per esempio il ladro cleptomane ruberà sempre e da chiunque; il paladino bacchettone farà la predica ai compagni per ogni inezia; il barbaro sanguinario ucciderà ogni cosa al minimo movimento. Questo modo di giocare rischia di creare dei personaggi un po' abbozzati e bidimensionali, mentre nella realtà le persone sono più moderate e profonde. Creando dei personaggi 'realistici', d'altro canto, si rischia di finire con personaggi 'vuoti' (vale solo ciò che si vede o si dice) e, molto spesso, si finisce a ruolare se stessi. In definitiva credo di essere favorevole ai personaggi estremizzati (che comunque aiutano molto la fiction), ma forse è solo perché non saprei come ruolare un personaggio più profondo. Intonazione della voce: intonare la voce in un certo modo può essere molto utile per dare carattere a un personaggio, ma è anche molto faticoso e difficilmente si riesce a tenere a lungo (almeno nella mia esperienza); inoltre può risultare facilmente ridicolo. Tutti i tentativi che ho visto non sono durati più di mezza sessione, al termine dei quali si ritornava a parlare normalmente. Al limite può essere utile al master per ruolare per un periodo molto breve un png. Voi utilizzate l'intonazione della voce per ruolare meglio o comunque pensate che sia utile? In teoria rientrerebbero in questo punto anche le parlate gergali, forbite oppure da analfabeti, ma mi sembrano modalità ancora più assurde e difficili da mantenere (e se al mio tavolo qualcuno si azzardasse a dire 'codesta donzella' si beccherebbe un manuale in testa). Mimica: su questo punto, per quanto mi riguarda, sono lo zero assoluto. Soprattutto quando sono DM, ho troppe altre cose a cui pensare invece di gesti, espressioni e posture. La vostra esperienza? Per finire, un altro paio di spunti che ho trovato su un qualche blog anglofono. Il primo è: pensare sempre 'cosa farebbe il mio personaggio'? Porsi questa domanda aiuta a riflettere sui tratti caratteriali del pg, e idealmente a prendere decisioni magari diverse da quelle che potremmo prendere noi. Questo punto direi che è abbastanza ovvio e assodato. Il secondo spunto contraddice in parte il primo: sii cosciente che il personaggio fa parte di una fiction. Questo punto aiuta a mitigare gli effetti troppo simulativi che potrebbero nascere dal primo. Si deve tenere presente che lo scopo non è la coerenza estrema, ma raccontare una storia divertente (appassionante) e infine divertirsi. Dire "Il mio PG non andrebbe a salvare la principessa" sarà anche coerente, ma ammazza un po' il gioco. Oppure, prendiamo il caso di un ladro sadico che, per ottenere informazioni da un prigioniero, decide di torturarlo. Il paladino sarebbe naturalmente contrario, ma si potrebbe piegare un po' la coerenza per rendere le cose più interessanti: per esempio il paladino potrebbe decidere che un male minore è giustificabile per un bene più alto, oppure potrebbe essere momentaneamente assente (impegnato in 'god's stuff') e arrivare solo a metà tortura e reagire di conseguenza. In questo caso qualcosa è accaduto, ed è una situazione sicuramente più interessante rispetto a uno stallo derivato da veti incrociati (imposti in nome della coerenza). Spero di non essere stato troppo confusionario e di non aver messo troppa carne al fuoco. Se qualcuno vuole dire la sua (o contribuire anche su temi non già trattati) lo ringrazio in anticipo!1 punto
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Arcani Rivelati: Eroi Gotici
1 puntoArcani Rivelati 04 Aprile 2016 La Sottorazza del Revenant fornisce un modo interessante per riportare il personaggio indietro dal mondo dei morti - un'utile opzione, se avete perduto il personaggio nelle nebbie di Barovia. Il Cacciatore di Mostri (Monster Hunter) e l'Indagatore (Inquisitive) sono due nuove Sottoclassi per, rispettivamente, il Guerriero e il Ladro, che ben si adattano alle sfide di Ravenloft o a quelle di una qualunque campagna di genere Horror Gotico. Potete pensare al materiale presente in questa serie come simile alla prima fase del playtest della quinta edizione. Queste meccaniche di gioco sono ancora delle bozze, usabili nelle vostre campagne ma non ancora forgiate tramite playtest e iterazioni ripetute. Sono quindi potenzialmente instabili; se le usate siate pronti a dirimere al volo qualsiasi dubbio sulle regole che potrebbe presentarsi. Sono scritte a matita, non in inchiostro. Per questi motivi il materiale presentato in questi articoli non è legale agli eventi ufficiali di D&D Organized Play. Il materiale presentato in Arcani Rivelati spazierà da meccaniche che ci aspettiamo di pubblicare un giorno in un manuale ad house rule delle nostre campagne che vogliamo condividere, da opzioni per il sistema base a materiale specifico di ambientazione. Una volta che lo pubblicheremo sappiate che vi contatteremo per sapere come sta funzionando e cosa possiamo fare per migliorarlo. Arcani Rivelati: Eroi Gotici1 punto
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Rise of the Runelords [Nuovo topic di servizio]
Beh possiamo sempre provare la tua magia domani se con l'interrogatorio standard non riusciamo a ottenere le informazioni, giusto? Intanto vediamo come va, fai conto che sti giganti hanno catturato Ameiko e altri e che non possiamo permetterci di perdere tempo, se fosse possibile.1 punto
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I vblog su D&D 3.5 di DiceGames Italia
la mia reazione è stata invece più o meno questa . E solo per i primi 10 minuti; non sono riuscito ad andare oltre, ci ho provato anche in un secondo momento ma nulla...rischiavo veramente di finire1 punto
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Dubbi da DM
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I giochi di ruolo e la storia: lo spiegone di greymatter
Ne ho letto un quarto, sperando poi di leggere il resto a breve, ti ho messo mi piace sulla fiducia!1 punto
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Dubbi da DM
1 puntoLa cosa importante è punire i pg, non i giocatori. Se ti è sembrata una brutta giocata, parlatene fra amici. Se la giocata ti sta bene ma pensi richieda conseguenze in game, parlare comunque, stabilite il livello di spietatezza della campagna e poi punisci. Ricorda che lo scopo è giocare e divertirsi, non simulare un mondo o educare.1 punto
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I giochi di ruolo e la storia: lo spiegone di greymatter
/)*OvO*(\ Spiegone di greymatter! <31 punto
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Dubbi da DM
1 punto
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Dubbi da DM
1 puntoSe casta resurrezione dovrebbero temerlo, penso che li sega in un colpo, se non si fida gli chiede di essere perquisiti, secondo me faticherebbero a non lasciarci il pacchetto con uno così!1 punto
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Dubbi da DM
1 puntoLo so, è che il minotauro è già ricercato per l'omicidio di un trafficante con le mani in pasta in affari della nobiltà e per il furto di 5 cavalli. Ha mandato recentemente una missiva (scritta dal bardo) alla comandante del loro corpo speciale per tentare di ottenere un salvacondotto. Comunque il chierico in questione ha già dato prova di un certo potere (resurrezione su un PG del party) e sta a loro decidere. Essendo anche lui un furfante sotto "mentite" spoglie, fa del suo meglio per ottenere qualche donazione extra al tempio. Quindi, tu dici, risolvo tutto on game, non essendoci testimoni oltre al chierico. Ecco, volevo solo premurarmi di fare bene il mio lavoro di DM, essendo alla prima campagna. Nel caso questa cosa dovessi ripetersi, quali soluzioni adotteresti? Mercanti con guardie del corpo?1 punto
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Cronologia di Golarion
1 puntoScusate il doppio post, ma almeno il messaggio risulta più leggibile di un edit. In questa discussione JJ (uno dei capoccia della Paizo) afferma che tranne per poche eccezioni, gli AP non seguono nessuna timeline precisa. http://paizo.com/threads/rzs2q6t4?Adventure-path-timeline1 punto
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Cronologia di Golarion
1 puntoSe non erro, la cronologia di Golarion è "congelata" e avanza solo con le stagioni della PFS. In genere tutti gli AP dovrebbero svolgersi nel 4711 CA, tranne Reign of Winter (4713 CA) e Jade Regent e Shattered Star (essendo seguiti di Rise of the Runelords dovrebbero svolgersi alcuni anni dopo, ma non m pare venga specificato di quanto. Ameiko in JR è comunque ancora piuttosto giovane). In teoria anche i nuovi Hell's Rebels e Hell's Vengeance dovrebbero svolgersi dopo il 4711 CA, in quanto si da per scontato che gli avvenimenti di Council of Thieves siano già accaduti.1 punto
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Cronologia di Golarion
1 puntoTutti gli AP partono sempre dall'ambientazione base e non ne modificano la cronologia. Di regola l'anno in gioco corrisponde al 47xx dove xx e' l'anno di pubblicazione dell'Adventure Path da parte di Paizo. L'unico AP che presuppone come accertati alcuni fatti accaduti in precedenti AP e' Stella Infranta, gli altri sono tutte storie a se stanti. Infine, trovi la cronologia completa di Golarion sull'Atlante del Mare Interno1 punto
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[4 ed.] Verso i Picchi del Tuono - Topic di Servizio (2)
Chiedo venia ma sono 'in the zone' per concludere un manoscritto, se riesco stasera posto. Per ingannare l'attesa...1 punto
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Capitolo 2 - Rejoice for you are True
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PG psionico GOD
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Arcani Rivelati: Eroi Gotici
1 puntoPersonalmente ho trovato il Revenant interessante per due motivi: incarna un'ottima soluzione meccanica per creare Sottorazze per gli Umani (perfetta per le ambientazioni non ufficiali incentrate solo sugli Umani). Usata come modello, può aiutare a creare numerose Sottorazze con cui rendere più particolare la razza Umana. Consente di giocare i ritornati, un tipo di archetipo di personaggio secondo me molto interessante. Il caso più celebre di questi ersonaggi è il famoso Corvo, interpretato da Brandon Lee nel celebre film. Non è, infatti, solo un modo per consentire ai giocatori di continuare a interpretare il loro personaggio, ma è fin da subito un metodo per giocare dei PG cupi e intriganti. Mi piace molto il Monster Hunter, anche se non lo ritengo perfetto. Come lo Scout di un paio di Arcani Rivelati fa, incarna un aspetto del Ranger che mi piace sia collegato al Guerriero. Avrei solo preferito fosse slegato del tutto alla magia... Trovo molto interessante, invece, l'Inquisitive, anche se personalmente vorrei un giorno vedere una Classe del tutto costruita intorno al concetto di personaggio acuto, sveglio, tattico, intelligente, senza coinvolgere il ladro o il mago. Detto questo, lo stesso Mike Mearls ha confermato che dietro alla realizzazione dell'Inquisitive c'è l'ambientazione Eberron: Che questo significhi che Eberron è più vicino alla pubblicazione di quanto può sembrare?1 punto
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Tecniche per migliorare l'interpretazione
Ovviamente, in quanto argomento vastissimo e fondamentale nel GdR non esiste un modo migliore per farlo in assoluto, dipende da gruppo campagna eccetera... Sul lato delle tecniche, è vero che il teatro e il gdr sono cose diverse, ma molti strumenti sono facilmente portabili, sopratutto quelle del teatro di improvvisazione. Una su tutte: dire sempre di sì alle proposte degli altri giocatori e alle difficoltà. Questa cosa promuove lo spirito di gruppo da una parte, dall'altra crea - come hanno capito i recenti giochi più narritivi come FATE o Burning Wheel - situazioni di gioco assai interessanti. Per questo dedico spesso molto tempo nella creazione dei personaggi giocanti, assicurandomi ad esempio che siano forniti di difetti, collegamenti con l'ambientazione e tra di loro, manierismi vari. Sicuramente è una menata, ma la fatica iniziale viene sempre ripagata con un estremo coinvolgimento. Sono comunque un fervido sostenitore dello show don't tell come evidenziato nel primo post. Un BG di 10 pagine completo di psicologia è inutile se poi il background viene tenuto segreto durante la campagna, meglio un elenco puntato e segreti in bella vista per poter essere scintille di ottime scene drammatiche tra i giocatori. Riguardo all'interpretazione propriamente detta, mi sforzo il più possibile di usare accenti e vocabolari differenti. L'avere un focus, pochi elementi chiave, come appunto un manierismo particolare, aiuta davvero tanto nel poter cambiare rapidamente da un PNG all'altro senza mischiarli e a imprimerli meglio nella memoria dei giocatori. Sul lato del giocatore... non ricordo più Ne approfitto per lanciare una domanda: come gestite le menzogne durante gli incontri di interpretazione? Vi affidate ai dadi? Tirate prima di rispondere e poi interpretate di conseguenza? Decidete prima un certo comportamento e sperate che i giocatori capiscano da questo la sincerità del PNG? Di recente sto facendo mentire sempre più png in modo estremamente palese, e i giocatori sembrano piuttosto soddisfatti di "non cascarci" perché la vedono lunga piuttosto che per un buon tiro (che comunque può essere richiesto).1 punto
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Arcani Rivelati: Eroi Gotici
1 puntoIl Furtivo è già praticamente gratis. Vantaggio al tiro per colpire o alleato adiacente al nemico è come dire che nel 90% dei combattimenti ogni attacco è un furtivo.1 punto
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Tiri segreti del Master
1 puntoLa questione de "cambia gioco" l'ho scritta per fare un discorso generale, non solamente legato alla risposta a te e riagganciandomi ad alcune dichiarazione fatte da altri utenti più indietro. Era solo per intendere il fatto che conviene sempre ricordare che le varie soluzioni suggerite non sono sempre applicabili. Per esempio il caso delle motivazioni narrative...ci sono circostanze in cui è possibile risolvere un problema inventando una soluzione narrativa, ci sono altre situazioni in cui una modifica narrativa della situazione non riesce a risolvere il problema. Anche qui farò un discorso generale, non considerando solo quanto tu hai specificatamente detto, così da far capire cosa intendo e penso. In linea di principio sono d'accordissimo con te. Io sono il primo a sostenere che, quando serve, si può semplicemente trovare una motivazione per giustificare un cambio di piani. Il problema è che bisogna sempre e comunque tenere presente la circostanza del momento...oltre alle esigenze dei giocatori. A volte il filo della narrazione che ha portato proprio a quello specifico momento non lascia spazi a soluzioni diverse o, quantomeno, a soluzioni non meno gravi. Ad esempio, non necessariamente dare una identità particolare ai goblin farà divertire i giocatori per un TPK, che comunque potrebbero rimanere infastiditi per aver causato la morte di PG a cui si erano magari affezionati (per rispondere al suggerimento fatto da qualcuno qua in giro). Si vuol decidere che i goblin non uccideranno i nemici, ma li rapiranno? Dipende da chi sono i goblin, se erano un incontro casuale o se costituiscono una minaccia nota ai PG per specifici atti. Se, ad esempio, i goblin della zona sono noti per sottostare a un capo Hobgoblin, il quale non tollera che vengano risparmiati propri nemici, e i PG sono stati assoldati proprio per fermare le scorrerie della sua banda, difficilmente il DM potrà decidere che i goblin li risparmieranno. Certo, è sempre buona regola trovare una soluzione narrativa alternativa per risolvere un problema....ma a questo punto c'è da chiedersi se non si poteva, a monte, risolvere il problema di evitare ciò che ha causato il disatro, ovvero il voler ad ogni costo tirare i dadi alla luce del sole, "non barando". Come ho scritto più su, non c'è una soluzione sempre vera, sempre giusta, perfetta e idilliaca (non scrivo questo in riferimento sempliemente al tuo discorso, ma in generale all'argomento del topic). La tesi che ho voluto portare avanti nei miei post in questo topic è proprio il fatto che la teoria è diversa dalla pratica: nella pratica tutte le belle teorie possono avere delle falle, in base alla circostanza sbagliata. Il buon gioco, da quello che ho imparato nella mia esperienza personale, è quello che si adatta alle varie circostanze, quello in cui si utilizzano soluzioni diverse in base alla situazione. Nessuna soluzione perfetta nella teoria è sempre valida nella pratica. A volte è giusto non barare. A volte evitare di barare crea solo più danni. A volte si può inventare una conseguenza narrativa diversa per evitare il disastro (il che, comunque, è di suo una forma di railroading, in questo caso introdotto per salvaguardare i giocatori da un errore del DM o del regolamento) A volte la situazione non ti consente di trovare una spiegazione narrativa capace di tirare fuori dai guai i PG. A volte magari il DM non è abbastanza bravo da tirare fuori soluzioni narrative belle. Per questo a fenna parlavo del fatto che, in discussioni del genere, spesso vedo risposte molto ideologiche, ovvero considerate sempre vere perchè nella teoria funzionano perfettamente. Il problema è che il gioco al tavolo non è la teoria del forum. Secondo la mia modesta opinione, quando si gioca si deve essere pronti ad adattarsi a soluzioni differenti, a seconda del contesto. Irrigidirsi su specifiche soluzioni solo perchè sembrano idealmente perfette, può portare a causare al tavolo più danni che soluzioni. Secondo me non bisogna giocare in maniera idealizzata, perchè nella pratica non ci sono soluzioni sempre vere e sempre utili. Non sto dicendo che tu abbia descritto la tua proposta come sempre vera. Sto mettendo io semplicemente in guardia, in generale, sul fatto di non credere che certe teorie siano sempre vere. Ma il Gdr è e rimane un gioco in cui esiste l'immedesimazione. Qui non stiamo facendo una classifica di quali siano i media più o meno immersivi. Di sicuro ci sono media molto più immersivi del Gdr, ma questo non conta. Conta solo se nel Gdr l'immersività puo o meno essere una delle principali fonti di divertimento. E, nonostante il gdr sia un passatempo incentrato sull'ipermediazione e l'interattività, questo non lo rende meno un gioco in cui i giocatori possono trovare e cercare immersività. L'interazione/l'ipermediazione e l'immersività, difatti, non si escludono vicendevolmente. L'immersività non è semplicemente una questione di puro on/off: o sei del tutto immedesimato o non lo sei. L'immersività, come qualunque cosa coinvolga l'attenzione, ha un certo livello di tolleranza: metagaming istintivo o piccole scelte di metagaming che non disturbino la connessione emotiva del giocatore con il fluire della narrazione, possono essere tollerate e non spezzare l'immedesimazione dei giocatori. Prendiamo il tuo esempio. IL DM chiede ai PG di eseguire una prova di ascoltare, il che può innescare nei giocatori l'attesa di qualcosa in arrivo di cui, però, i PG non dovrebbero essere consapevoli. Anche se i PG falliscono, i giocatori potrebbero, cosciamente o incosciamente, prepararsi comunque all'arrivo di una minaccia. Mettiamo che i giocatori facciano metagaming e si preparino all'azione nonostante l'inconsapevolezza dei loro PG (cosa non scontata, perchè giocatori immedesimati possono, piuttosto, scegliere d'interpretare i PG ignari di tutto): questo non necessariamente incrina il forte coinvolgimento emotivo dei giocatori nei confronti della storia. Dipende da quanto i giocatori sono legati emotivamente al resto della storia..... L'immersività, difatti, non ha nulla a che fare con la presenza o meno d'interattività. Ha a che fare con il coinvolgimento emotivo dei giocatori nelle vicende narrative del gioco. Il metagaming può spezzare questo coinvolgimento, mostrando la finzione sottostante, questo è certo, ma ciò non avviene in maniera automatica. Il coinvolgimento emotivo è tanto più forte, quanto maggiori e migliori sono le strategie usate dal DM per creare il giusto clima di coinvolgimento. L'immersività è, come sto tentando di spiegare, una questione che ha principalmente a che fare con 2 fattori: l'attenzione e l'emozione. Per coinvolgere (e far sentire immedesimati) i giocatori, il DM deve attirare la loro attenzione con le parti narrative del gioco e deve fare leva sulle loro emozioni. Più il DM fa leva su queste cose, maggiore è il livello di tolleranza dei giocatori riguardo alle piccole sfumature di metagaming. Se, però, una situazione totalmente insensata riguardo al flusso narrativo entra in campo, allora la sospensione dell'incredulità viene del tutto meno e la magia si spezza. L'immersività è una questione di psicologia. I giocatori potrebbero anche decidere di fare metagaming e prepararsi per l'arrivo di un nemico, anche quando i PG non ne sono consapevoli, ma rimanere comunque profondamente coinvolti dal punto di vista emotivo verso la storia di gioco. La decisione dei giocatori di fare metagaming, però, non è casuale. Se i giocatori fanno metagaming è perchè il DM non è riuscito a usare nei confronti dei giocatori abbastanza trucchi per spingerli a rimanere coinvolti e "in charachter". E' ovvio che il metagaming possa essere una distrazione, ma la quantità di metagaming effettuata dai giocatori sarà tanto maggiore, quanto minore sarà il loro coinvololgimento emotivo nella narrazione creata dal DM. In parole semplici: più il DM creerà eventi di fiction in grado di coinvolgere emotivamente i giocatori, meno questi saranno interessati a fare metagaming, proprio per evitare d'incrinare la cosa che li sta divertendo. Proprio per questo dicevo che uno dei compiti più importanti del DM è imparare a non infrangere la barriera della finzione. Come tu stesso hai suggerito, per evitare la nascita del metagaming (ovvero delle distrazioni dall'immersività) basta introdurre soluzioni alternative. Vuoi che i giocatori non facciano metagaming a causa di una prova di Ascoltare? Basta decidere che questo tipo di prove non le tirano i giocatori, ma le tira in segreto il DM dietro lo schermo, avvertendo solo dopo (magari parlando al singolo giocatore) se i PG hanno o meno sentito qualcosa. Ecco una dimostrazione di come il tirare i dadi di nascosto può essere più utile che tirare i dadi alla luce del sole. Io non credo sia importante trovare la soluzione in assoluto perfetta. Di soluzioni assolute non ce ne sono. Se si vuol riuscire a creare una buona giocata, secondo me è importante solo trovare la soluzione più utile alla situazione corrente. Insomma, difendere a spada tratta il "barare" o il "non barare" secondo me serve a poco. A volte barare è un male. A volte barare è necessario. A volte tirare alla luce del sole è utile. A volte tirare di nascosto è necessario.1 punto
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