L'oggetto entra della toppa e combacia alla perfezione con le sue particolari diramazioni. Un lontano suono, come lo sfiato di mantice, precede l'apertura della porta. I cardini scricchiolano e cigolano leggermente mentre questa si apre completamente rivelando il corridoio della vecchia miniera che prosegue ancora per diversi metri. Dopo una curva netta la lavorazione della pietra cambia drasticamente: le pareti da grezze e con i segni netti degli scalpellini ancora ben visibili diventano lisce e quasi lucide, come se a scavare quel tunnel fosse stata la paziente mano dell'acqua o ancor più il calore insostenibile di un fuoco incandescente.
Una elegante porta in legno a due battenti, segnata dal tempo ma ancora robusta, chiude il passaggio. Non ha serrature, ma Jebbeddo saggiamente decide si controllare se sono presenti calappi e trabocchetti. Controlla il perimetro, il pavimento antistante alla porta, le pareti e infine, concentrandosi sui due pomi di bronzo che servono da maniglie si accorge che solo uno è sicuro, mentre l'altro è palesemente protetto da una qualche magia. Non riuscendo a disattivare il rudimentale sistema di sicurezza, i tre aprono uno solo dei battenti e scivolano dentro senza problemi.
Inaspettatamente, quello che trovano al di là sembra catapultarli nella raffinata casa di un nobile di Cimbar o qualche città simile: le pareti sono in mattonelle decorate, il mobilio è di pregiata fattura, un divano di velluto sembra appena stato spolverato e, cosa più incredibile di tutte, due ampie finestre si aprono su un golfo al tramonto, con le vele di alcuni battelli spiegate al vento. Jebbeddo capisce subito che si tratta di illusione, ma di una raffinatezza e perfezione raramente raggiungibili.
La stanza ha una sola porta in legno chiaro sulla destra dell'ingresso.