Penso che l'articolo dica alcune cose in modo un po' superficiale, anacronistico o troppo estremizzato. Ad esempio, la similitudine "militaresca" (e il richiamo del tutto inutile a "Bene e Male") sono fuori luogo e capisco che possano suscitare reazioni ostili.
Eppure il "succo" risuona prepotentemente con tendenze e fenomeni che avevo notato anch'io, e non me la sento di dissentire in toto; anzi, penso, nella sostanza, di concordare.
Sia chiaro che parlo esclusivamente di D&D: ci sono giochi (più "moderni", se vogliamo) apertamente orientati a mettere in scena, e a gestire in modo costruttivo e divertente, conflitti anche aspri tra i PG, che quindi non devono necessariamente essere un "gruppo", neanche in apparenza. Tra l'altro mi sono iscritto a una mini-avventura di un gioco del genere e inizio proprio stasera. Ho creato il mio PG in modo totalmente slegato da quello degli altri e perseguirò i miei scopi in modo del tutto indipendente.
Ma ciò che va bene in altri giochi non sempre va bene per D&D.
Ci sono cose che ho visto succedere sempre più spesso ai tavoli di D&D e secondo me sono negative; non funzionali, quando va bene, e proprio nefaste quando va male.
Mi riferisco, in particolare, al fatto che ogni giocatore si crei un PG in modo completamente slegato dagli altri PG (e magari anche dall'avventura da giocare, nel caso in cui sia già pronta), e si ritenga poi che debba essere il DM a inventarsi il modo di "incastrarli" tra loro, costruendo un'avventura che per miracolo li motivi tutti. O, in mancanza di ciò, che si incontrino e facciano tutta la pantomima del diffidare l'uno dell'altro, minacciarsi l'uno con l'altro e tentare di fregarsi a vicenda, finché alcuni non restano in piedi a scapito degli altri e impostano il gioco per tutti.
Molte volte ho assistito a una divergenza di obiettivi non necessaria e un sacco di PvP non necessario, dovuti alla mancanza della semplice accortezza di mettersi d'accordo su uno scopo comune e creare attorno a quello scopo un gruppo, che abbia una ragione (in fiction) per stare insieme, anziché il solito amalgama di lupi solitari tenuti insieme con lo scotch che si guardano in lupesco in continuazione.
D&D, secondo me, è nato per essere un gioco di squadra. Non vuol dire, attenzione bene, che sia un gioco di soldatini sull'attenti che si occupano solo di combattimento e non hanno identità. Vuol dire un gioco avventuroso su un gruppo di persone che hanno uno scopo comune e collaborano per raggiungerlo; magari pure odiandosi, eh. Traspare chiaramente anche dai regolamenti, strutturati per enfatizzare diverse "nicchie" di ruoli che diversi PG possono riempire. Con questo non voglio dire che l'occasionale "tradimento del resto del party" sia un tabù assoluto, è capitato anche a me (a chi non è mai capitato?). Ma in certi gruppi che conosco sembra diventato la regola giocare in modalità "ognuno fa un'avventura a sé e persegue obiettivi a sé, e il DM deve fare le acrobazie per inventarsi una ragione per cui, casualmente, nel fare ciò rimangono insieme".
A questo si aggiunge (ma è una cosa minore) un altro trend che ho notato, in D&D, specie negli ultimi anni: spostare sempre di più l'accento, il focus della giocata, sull'espressione del proprio personaggio anziché sull'affrontare e risolvere problemi (che era invece il focus originario delle vecchie edizioni).
Non dico tutto questo per difendere l'articolo in sé: l'ho criticato all'inizio e ribadisco quelle critiche. Però ci vedo un fondo di verità che mi ha colpito.