Haisendok -> Alcova di Kilia
John
Anche se è stata lei a lanciarti un qualche segnale, quando attacchi bottone la ragazza sprofonda un po’. Non solo in senso lato, ma letteralmente, nella sua dose di cuscini.
Sarà per la tua audacia, o perché chi si rivolge ad una chiromante - e lei fa parte della categoria - potrebbe avere un qualche imbarazzo nel raccontare perché.
Si schiarisce la voce mentre riprende una postura più tonica.
«Sono… lusingata. Lei è galante» risponde sinceramente «…e di una schiettezza, oserei dire, inaspettata» aggiunge un po’ più timidamente.
«È vero, non sono qui per… come dire… avere una consulenza. Nossignore. Ma prima le buone maniere: se posso presentarmi, mi chiamo Yesabel… Lei è il signor?...»
Da come parla si evince che Yesabel non è la tipica paesanotta del luogo.
Ti guarda con occhi grandi, tradendo una voglia di confidarsi finora inespressa.
«Ho affrontato un lungo viaggio e adesso eccomi qui, su questi bei cuscini di piuma d’oca. La cosa migliore di Haisendok… fino ad ora.
Aspetto un colloquio con madame Kilia. A ripensarci, non ci posso credere... tutto quello che ho dovuto passare… Insomma… da quando è successo quel che è successo (si riferisce alla Grande Eruzione), qualcosa è cambiato anche dentro di me…
Ma non voglio annoiarla con i sentimentalismi. Diciamo che ho scoperto di avere dei “doni”. Lei è un uomo arguto. Sono sicura che avrà contestualizzato ciò che intendo.
I miei tutt’ora non lo accettano. Non li biasimo. Il vulcano e poi questo… non è stato facile per loro. Sono vecchia maniera, gente pratica, e c’è sempre bisogno di una mano in bottega. O meglio, c’era. Adesso che le nostre proprietà sono perlopiù allagate, ho deciso di andare per la mia strada, di fare ordine dentro di me.
Chiederò a madame Kilia l’onore di essere una sua assistente. Lavorerò gratis se necessario. Ma devo imparare a controllare questi… sì, doni! Devo capire se mi sono stati dati per un motivo… per una missione.
Ma basta parlare di me. Non ho potuto fare a meno di sentire mentre parlava con i suoi amici. Certo che ne ha di storie da raccontare!»
La sua allegrezza adesso dissimula un certo disagio. Forse si è resa conto troppo tardi di aver svelato troppo su di sé. Ma quel che è detto è detto. L’abbassamento dei freni inibitori è uno degli effetti che hai sulle donne. Normale amministrazione.
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Mororga
Il mercante (o damerino acchittato come tale) sbanda come quei marmocchi quando gli fai “BUUU!” all’improvviso.
«Scusa prego?» balbetta. «Conosci questa pe-pe… pe-pe… pe-pe-pe-persona?»
Il tizio ingoia a stento l’umiliazione di avere appena parlato come una trombetta.
Il tuo grugnito, la tua imponenza… e il tuo alito di acquavite non hanno aiutato in effetti.
Nemmeno i tuoi tatuaggi sono dei più rassicuranti.
Tuttavia, guardandoli meglio, il tizio ne coglie la similitudine con quelli del suo ritratto. Così, tra un tic nervoso e l’altro, si accende una scintilla nei suoi occhi.
«Str.. strega hai detto? Stai dicendo che… esiste da-davvero? Non me la sono solo so-oooo-ognata?»
Meno goffamente che può abbandona la sua pila di cuscini. L’avvallamento lasciato dal suo sedere è considerevole.
«Possiamo pa-parlare più in là?»
Ti fa strada raggiungendo un angolo più defilato.
I suoi occhi scorrono ancora sui tuoi tatuaggi. Poi si chiudono come se non riuscissero a reggerli per molto.
«Pensavo di essere diventato ma-matto! Non che ora mi senta sanissimo a di-dirla tutta.
Le mie attività, il mio ma-matrimonio, le mie co-co-conoscenze… tutto… tutto è andato a rotoli da quando sogno questa donn… strega! Mi ca-capitano sfortune su sfortune… e fa-fatti sempre più strani…
Non sapevo più co-cosa fare. Pe-per la disperazione ho fatto me-eee-ttere dei ma-manifesti con la sua faccia in giro. Dap-pp-pertutto! Ma i corvi andavano a beccarli... Non è assurdo? Tu mi ch-chhhh-redi vero?»
Adesso che ci ripensi, quando ieri vi siete soffermati alla staccionata con i manifesti dei ricercati, quello della Taran Gipoa era riconoscibile solo per un pezzettino di tatuaggio rimasto integro. La faccenda adesso ha più senso.
«Il mio no-nome è Dorlanimus Kavarindan XIII. Sono l’u-uu-ultimo della mia casata e a capo della g-g-g-ggilda dei Tre Boccali. Probabilmente ne avrai sentito p-parlare. Abbiam… cioè, avevamo un bel giro.
Mororga hai detto che ti chi-chi-chiami, g-giusto? Ah! Certo… puoi chiamarmi Dorlan. Puoi davvero sbarazzarti di questa st-strega? Davvero? E come? Fino ad un attimo pensavo esistesse solo nella mia te-testa. E po-poi arrivi tu! Mo-morga salvami se puoi! Chiedimi qualunque cosa! Qualunque cosa!»
È evidente che Dorlan stava affidando le sue chiappe alla chiromante, ma in questo posto ci è arrivato solo dopo averle provate tutte.
Non è tipo da credere in queste “superstizioni”.
Poi arrivi tu. Coincidenze? Magari ti hanno davvero portato gli dei. Chissà. Ad ogni modo per Dorlan sembra così. E questo è buono.
È buono perché Dorlan c’ha la grana, e tu potresti avere la tua fetta in questa storia. Anzi, perché no, anche tutta la torta se vuoi (Parlamentare). Forse Kilia non la prenderebbe bene, ma non è detto che debba saperlo…
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Teros
Fuori dalla magione
Le pantere ricambiano il tuo sguardo con curiosità, come se riconoscessero in te qualcosa di vagamente familiare (Nato dalla Terra). Se ne stanno distese, vigili e annoiate allo stesso tempo, alla maniera dei felini. Ai bei tempi si sarebbero beate tra la frescura e gli sprazzi di sole che arrivavano dalle palme. Ma adesso che il cielo getta la sua ombra, sempre e ovunque, hanno perso parte della loro vitalità.
Ad ogni modo non sono affamate. La loro padrona (termine opinabile) le cura e rifocilla alla bisogna. Magari le vizia pure, a giudicare dal loro aspetto. Se le pantere attaccano, lo fanno solo per disciplina.
Linguaggio degli spiriti:
Le due non sono in vena di “chiacchiere”, ma gli sguardi, i piccoli movimenti della coda, delle orecchie e delle vibrisse fanno trapelare comunque qualcosa di interessante.
Quello che inizialmente poteva sembrare appetito nei confronti del grosso-e-succulento Mororga, in realtà è un tipo di eccitazione diversa. Non è la prima volta che vedono il barbaro. Potrebbe portare con sé ancora un po’ dell’odore della padrona.
Ma è più probabile che sia Kilia a portare ancora l’odore del barbaro. Almeno considerando che dal loro ultimo incontro, Mororga si è ripassato nel guano prima, e nella tinozza della bettola poi, a botte di sfregamenti.
All’occorrenza le pantere avrebbero un “grado di ostilità” per voi, del tipo: Mororga -> Tu -> John. In ordine crescente.
Dentro la magione
Il quadro del mago cattura la tua attenzione, rubandola al altri elementi disturbanti, che pure senti essere presenti nella scena. Forse è un bene non indagare. La magia è roba innaturale. Meglio preservare la propria integrità.
Resta il fatto che la chiromante sia, nella migliore delle ipotesi, un’estimatrice di questo mago. Nella peggiore, una sua adepta…
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TUTTI
Dopo una certa attesa (raccontate come avete proseguito le rispettive conversazioni nel mentre) finalmente si dischiude lo studio di Kilia.
Ne esce un cliente. Si alza il prossimo. Ma prima che entri al posto del primo, viene anticipato dalla padrona di casa.
Kilia si affaccia sull’uscio, come se da dentro avesse fiutato qualcosa che valesse la pena controllare.
La chiromante è di una bellezza statuaria. Altera, sinuosa, pelle d’ebano accarezzata da lunghi capelli neri. Sembra un’altra pantera, ma fatta donna. I guizzi delle candele proiettano sensuali chiaroscuri sulle gambe ben tornite, in particolare sul riflesso lucido della sinistra, che vertiginosamente fuoriesce dallo spacco dell’abito.
Gli occhi verdi-screziati-oro incrociano istintivamente quelli del barbaro.
«Mororga!» esulta. «Allora hai fatto come ho ti ho detto…» (in riferimento alla richiesta di non partire. Vedi Capitolo 1)
Cosa fate?