Ciò che stai illustrando è un concetto di sconfitta adatto a D&D: si combatte, si perde il combattimento, ci sono delle conseguenze che sottolineano la sconfitta e danneggiano i PG. Ha senso in un GdR basato sui combattimenti in serie come D&D.
Nel mio gruppo il combattimento senza quartiere è un evento raro. Nella maggior parte dei casi esso è dovuto a un conflitto rispetto a uno scopo specifico. Se dei sicari vogliono uccidere Pino, il combattimento finirà appena Pino è morto (o lo sembra), oppure quando i sicari avranno capito che l’obiettivo non è più raggiungibile (sono soverchiati, l’atto sta attirando troppa attenzione, Pino è fuggito, eccetera). Alcune avventure hanno risvolti politici per cui i PG sono molto più preziosi come prigionieri che come cadaveri. E gli antagonisti spesso preferiranno non inseguire i protagonisti che si ritirano, visto che anche un nemico che sai ritira potrebbe infilarti una palla in fronte e forse non vale la pena di sfidare la sorte.
Una situazione da combattimento senza quartiere potrebbe invece essere un drappello di marines che deve ripulire uno space hulk da un’infestazione di alieni insettiformi ultra aggressivi; in questo caso la sconfitta implica automaticamente essere massacrati, a meno che i PG non riescano a fuggire prima - ovvero si ritirino quando il combattimento diventa insostenibile. Discorso che in D&D a livelli medio-alti sarebbe difficile da fare, visto che di solito basta un singolo round con un paio di tiri sfigati per sfiorare il TPK. Ma a monte delle meccaniche di D&D c’è un’idea molto diffusa tra giocatori e DM che il combattimento sia sempre un affare all’ultimo sangue. Soprattuto per i minion e i mostri non rilevanti nella trama, che vengono usati dai DM come carne da macello priva di ogni istinto di autoconservazione.