@Ghal Maraz Nathan Clark La penombra dello sgabuzzino rende tutto più irreale, come se stessi vivendo in una bolla sospesa. E Kathlyn... ride. Non una risata aperta, non una presa in giro. Un sorrisetto. Un angolo della bocca che si piega verso l’alto, mentre le sue pupille, scure e taglienti, si muovono veloci sul tuo volto. «No, Clark… non è uno scherzo.» La sua voce è bassa, quasi morbida, con un tono che non ti aspettavi. Poi aggiunge, inclinando leggermente il capo: «O almeno… non mio.» Fa un mezzo passo verso di te. Non è molto, ma in uno spazio già così angusto, cambia tutto. Senti il calore del suo corpo, la sua energia spavalda che si irradia come corrente. «E sì, ho il telefono. Ma fammi capire… vuoi davvero chiamare qualcuno?» Si morde piano il labbro, come se stesse valutando qualcosa… o forse solo giocando con te. «Sei qui, bloccato con me. E invece di goderti la situazione, vuoi scappare?» “Ha ragione! Lascia fare a me, mezzasega! Fatti da parte!” Avverti nuovamente quella voce che ieri, in mensa, ha preso il sopravvento. Lei ti scruta attentamente. «Devo essere onesta… non ti avevo mai notato davvero. Ma ieri… quando hai risposto a Edwards davanti a tutti…» Kathlyn si avvicina ancora. Ora siete a pochi centimetri. Ti fissa, poi sussurra con un mezzo sorriso: «Ti ho trovato inaspettatamente carino.» Poi alza le mani, con un gesto teatrale, lento, come in una sfida. «Se vuoi il mio telefono… prendilo pure.» Inarca un sopracciglio. «È nella tasca dei pantaloni.» La luce fioca danza sulle curve del suo volto e del suo corpo, che adesso è pericolosamente vicino. Le parole restano sospese. Il tempo anche. @TheBaddus Scarlett Bloomblight Ti senti bene. Ti senti giusta. È come se qualcosa si fosse finalmente allineato, come se l’universo… o qualunque cosa ci sia dietro quel sogno assurdo… ti stesse riconoscendo il ruolo che ti spetta. Seduta al tuo banco, con il telefono fra le mani e lo sguardo che passa rapido da uno scandalo all’altro su Blabber, hai la netta sensazione di avere in mano la mappa del potere. Quando Emily entra, ti limiti ad alzare lo sguardo, impercettibilmente. La vedi parlare con Harper… quella sua camminata da “mi mimetizzo così nessuno mi nota davvero” e poi quel mezzo sorriso maldestro mentre dice qualcosa ti fanno sorridere… Povero agnellino! Emily ride. E stranamente… la cosa non ti infastidisce. Anzi. Le osservi con distacco, come se sapessi che nulla di quello che accade lì possa davvero toccarti. Il filo bianco, sottilissimo, che vedi partire dal tuo polso e arrivare fino al collo di Harper, teso ma non oppressivo, ti strappa un sorrisetto. Non lo vede. Non lo sente. Ma c’è. E ti dà potere. Quando lo sguardo di Harper incrocia il tuo per un solo istante, vedi quella scintilla di sfida nei suoi occhi. Il suo sorrisetto è furbo, quasi provocatorio. Tu glielo rendi con una calma assoluta, come se le dicessi sì, gioca pure… ma le regole le faccio io. Poi la prof Dupont entra in aula, con il solito passo deciso e quel modo rigido che la contraddistingue. Le chiacchiere si spengono immediatamente. Gli studenti si affrettano ai loro posti. Anche tu ti sistemi, ancora col telefono tra le dita, ma con lo sguardo già rivolto al futuro. @Voignar Darius Whitesand Sasha ti guarda in silenzio per un istante, il viso serio, immobile. Poi le sue labbra si piegano in una smorfia sottile, appena accennata, che potrebbe perfino essere un mezzo sorriso. Fa un piccolo sospiro, incrocia le braccia e ti risponde, voce calma: «È ok, Darius… sul serio. Non mi aspettavo una frase così viscida da te, e sì… mi ha dato fastidio. Ma…» alza un sopracciglio «…apprezzo che tu sia venuto a scusarti. Davvero. Pochi qui dentro lo farebbero.» Cammina verso l’ingresso dell’aula, e mentre passi con lei oltre la soglia, aggiunge: «Rimani il solito Darius, ok? Non cercare di fare il figo… e non fare lo $tronzo. Lascia quello ad altri.» Stai per andarsi a sedere quando incroci lo sguardo di Mei-Lin. Ti fissa dalla prima fila, occhi gelidi, mascella serrata. Uno sguardo tagliente, che ti trapassa come una lama. Non dice nulla, non serve. Poi si volta con un colpo secco e si siede composta, tirandosi indietro i capelli in un gesto quasi da sfida. Off game Ps. Giusto per correttezza di cronaca.. Harper é una lei 🤣🤣 @SNESferatu Ana Rivero Max resta in silenzio per un attimo, lo sguardo ora puntato su Darius mentre cammina fianco a fianco con Sasha. Li osserva scambiarsi qualche parola, poi ridacchiare. Sbuffa piano, quasi per scacciare i pensieri. Alla fine fa spallucce e ti dice: «A me sembra il solito Darius, sinceramente… prima l’ho anche sentito parlare delle sue solite robe coi dadi, con Ben. Tipo giochi di ruolo, tirate di carisma… le sue solite cose.» Si gira a guardarti mentre camminate verso l’aula. Esita un secondo, poi chiede a bassa voce: «Sei sicura di aver visto bene ieri? Cioè… davvero era lui? Perché… non so, non sembra affatto che abbia preso una botta, anzi. Sta bene. Pure troppo bene.» Si ferma appena davanti alla porta dell’aula, il tono si fa un po’ più deciso: «Comunque sì… forse hai ragione. Forse è meglio se gli parli da sola. Magari più tardi, quando siamo ancora a scuola, tipo in mensa. C’è sempre un sacco di gente. E io… io vi tengo d’occhio da lontano. Se succede qualcosa, intervengo subito, promesso.» Detto questo, ti accenna un mezzo sorriso di complicità ed insieme entrate in aula, vedendo arrivare la professoressa di francese. @Theraimbownerd Orion Kykero Alice ti guarda mentre rallenti il passo e resti lì, accanto alla porta dell’aula, con quel sorriso stirato che le racconta molto più di quanto tu stia dicendo a parole. Il suo volto si fa serio, ma non freddo… al contrario, c’è una dolcezza preoccupata nei suoi occhi mentre si ferma e si gira verso di te. «Orion… ma cosa te ne frega di quello che pensa Jeremy? Davvero. E di quelli che gli vanno dietro? Ma chi sono, alla fine?» Fa una piccola smorfia, le labbra accennano un sorriso, anche se le parole che arrivano dopo sono più calde che divertite. «Tu sei importante per chi ti vuole bene. Per me. Per Juno. Per Diana. Per… un sacco di persone che magari non te lo dicono tutti i giorni, ma lo pensano. Noi sappiamo chi sei. E non sei solo, ok?» Fa una pausa, ti guarda dritto, senza giudicare. Solo con quella sua sincerità disarmante. «Lo so che quando ti arrabbi poi vuoi risolvere tutto con la vendetta, ma non serve. Non devi dimostrare niente a nessuno. Davvero.» Si limita a sfiorarti il braccio, un tocco lieve, quasi timido. La osservi un attimo. L’ingenuità di Alice, la sua completa incapacità di comprendere e capire i giochi di potere e la loro importanza ti lascia sempre spiazzato. Poi riprende a camminare verso l’ingresso. «Dai, entriamo prima che arrivi la prof…» Giusto in tempo: la professoressa di francese compare all’angolo del corridoio. Alice si siede al suo posto senza aggiungere altro, ma prima di voltarsi ti lancia un’ultima occhiata fugace. È solo un attimo, ma ti arriva chiarissimo: lei non ti sta lasciando indietro. PER TUTTI TRANNE CHE NATHAN Quando la professoressa Dupont entra in aula, cala immediatamente un silenzio quasi innaturale. Anche chi fino a un secondo prima stava sussurrando o giocherellando con il telefono si blocca di colpo. È come sempre impeccabile: un tailleur grigio perla dal taglio elegante, una camicetta avorio e un paio di scarpe sobrie ma perfettamente lucidate. I capelli biondi non sembrano mai conoscere la minima disobbedienza. Il suo profumo è delicato e costoso, la sua postura rigida come la sua reputazione. L'accento francese, appena percettibile, rende le sue frasi più taglienti, come se ogni parola fosse affilata su una lama di precisione. Vi osserva per bene, notando due banchi vuoti. Sfoglia rapidamente l’elenco degli studenti e si ferma a metà, aggrottando appena le sopracciglia. «Bene. Noah è assente e risulta giustificato. Ma... Nathan Clark era presente alla prima ora. Qualcuno sa dove si trovi ora?» chiede, lo sguardo che scivola da uno studente all'altro, appuntito come una lama nascosta dietro l’educazione. Una pausa. Durante la quale vi rendete effettivamente conto che Nathan non é ancora arrivato in aula. «Vi ricordo che il ritardo non è tollerato in questa classe, se non ottimamente giustificato. Chiaro?» Alcuni annuiscono in fretta, altri fissano la cattedra, qualcuno lancia occhiate furtive ai compagni. Poi, come se nulla fosse, la professoressa si gira verso la lavagna e comincia la lezione. «Oggi parleremo del discours indirect au passé. È fondamentale capire come trasformare correttamente una frase diretta in una riportata nel contesto del passato. Quindi... prendete il vostro libro a pagina 142.» E così, la voce della professoressa Dupont, chiara e precisa, inizia a riempire l’aula e la occuperà per una lunga noiosa ora. @Voignar Darius Whitesand Mentre la voce della professoressa Dupont si muove tra esempi, regole e rimproveri, tu sei lì a fissare il libro aperto, ma senza davvero leggerne una parola. Le frasi ti scivolano addosso, troppo monotone per restare aggrappate alla tua attenzione, troppo lontane da ciò che ti brucia dentro. Poi, un pizzicore. Alla base del collo, improvviso. Fastidioso, insistente. Ti gratti, quasi distrattamente, ma la sensazione non se ne va. Anzi, peggiora. Si fa più calda, più viva. È come se qualcosa si stesse muovendo sotto pelle, o... dentro. E senza sapere perché, senza pensarci davvero, ti giri di colpo verso la finestra. E lo vedi. Laggiù, al limite del bosco, una figura alta, scheletrica, immobile tra gli alberi. Il mantello nero ondeggia leggermente come se respirasse da solo. Dove dovrebbe esserci un volto c’è un teschio di cervo, le corna spezzate che puntano al cielo come monito. È lui. È quella cosa. Quella che ti ha quasi ucciso ieri, al cerchio di pietre. E ora ti sta guardando. O almeno, lo senti così. Perché anche se siete lontani almeno cento metri, quando quel braccio sottile si alza e ti punta, non hai dubbi: si sta rivolgendo a te. Il pizzicore diventa bruciore, come se quel simbolo sulla tua pelle stesse reagendo a qualcosa. Pulsante, vivo, come se avesse una volontà propria. E poi, nella tua mente, una voce. Grave. Antica. "Portami lei. Portami colei che arde dentro. L’Alba la desidera." È come se un urlo si schiantasse contro le pareti del tuo cranio. Ti pieghi leggermente in avanti, chiudi gli occhi per un secondo mentre il dolore ti attraversa la testa come una lama. E poi… silenzio. Riapri gli occhi. La figura non c’è più. Ti volti, ancora con il fiato spezzato, e lo sguardo ti cade su Scarlett. È lì, il viso rilassato, come se nulla fosse. Ma tu lo sai. Non sai come, non sai perché. Ma era di lei che la voce nella tua testa stava parlando.