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Party povero
I bonus di attacco aumentano con il livello. La CA no, solo con gli oggetti magici. Credo basti questo a far capire che senza un continuo apporto di oggetti magici 3.5 diventa qualcosa di molto diverso (non dico che non si possa giocare, ma richiede molte attenzioni). Poi, ovviamente, una riduzione di ricchezza di un fattore 2 o 3 rispetto al previsto non è una tragedia. Ma un fattore 10 o più, come in questo caso (se ho capito bene), è davvero impattante
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Party povero
Ciao @dyd_1974, come ti hanno detto c'è una grossa differenza sotto questo profilo tra la terza e la quinta edizione. Nella quinta edizione le cose sono bilanciate assumendo che gli oggetti magici non ci siano: qualunque oggetto magico è sempre un "di più". Quindi, averne pochi o molti, essere ricchi o poveri, fa poca differenza (entro certi limiti), è una questione di scenario e di preferenze del gruppo di gioco. Nella terza edizione, al contrario, rispettare la ricchezza prevista e la quantità prevista di oggetti magici è essenziale per mantenere i PG "al passo" con l'equilibrio di gioco (al passo tra loro, con i gradi di sfida dei mostri, eccetera). È importante anche che i PG possano comprare o trovare oggetti magici con relativa facilità. Gran parte di quella enorme ricchezza, in effetti, in genere viene investita in alcuni oggetti magici (sempre gli stessi, più o meno) che servono a potenziare la CA e le altre statistiche di gioco. Personalmente è l'aspetto di quell'edizione che mi piace meno, ma bisogna accettarlo. Non vuol dire che non sia possibile giocare in 3.5 con scarsa ricchezza e pochi oggetti magici: si può fare, ma richiede grande attenzione per "ri-bilanciare" il tutto, e non è qualcosa che consiglierei ad un novizio. Per risolvere il tuo problema ti suggerisco due strade: La prima, la più rapida, è agire off-game. Ti metti d'accordo con i giocatori, spieghi che è stato fatto questo errore di valutazione, e dai a ciascuno un budget che può convertire in oggetti magici a sua scelta da aggiungere immediatamente al suo personaggio. Altrimenti, se ci tieni ad agire in-game preservando la "continuity" della campagna, puoi presentare ai PG l'occasione per un "colpo grosso": un breve dungeon o una breve impresa che li porterà a mettere le mani su una ricchezza straordinaria, per esempio una gemma di enorme valore, o simili. Incassata la ricompensa potranno attivarsi per spendere i soldi: ti conviene presentare già da prima i luoghi in cui potranno spenderli (per esempio, introducendo qualche PNG che fabbrica oggetti magici su commissione). In bocca al lupo!
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Recensione: Wonderhome
Una curiosità: perché viene definito "Powered by the Apocalypse" se è senza dadi? Pensavo che il "pilastro" dei PbtA fosse il famoso sistema 6- / 7-9 / 10+ per risolvere i conflitti.
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"L'Ultima Era" - Cosmologia
Molto interessante, complimenti. Credo che ci sia un typo nella parte dei Piani Elementali, la stagione "autunno" compare due volte. 🙂
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Si può addomesticare un drago o una viverna?
@bobon123 hai ragione. Forse, avendo in testa sistemi diversi da 5e, non mi sono calato a sufficienza nelle sue specificità. Comunque, nella mia testa era chiaro che stavo parlando di un vantaggio in fiction, una temporanea alleanza, e non di un vantaggio meccanico, cioè una cavalcatura permanente. Forse non era chiaro abbastanza nello scritto.
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Si può addomesticare un drago o una viverna?
@bobon123, concordo con il tuo commento, e mi sembrava abbastanza chiaro (forse mi sbaglio) che parlavo di un'idea del "primo tipo". Il mio discorso era molto più ampio e non si riduceva a: "se fai un tiro su Car ripetibile ad ogni scontro guadagni un servitore gratis senza costo". Il mio discorso comprendeva raccogliere informazioni, creare una situazione in cui il DM considerasse quell'esito plausibile, esporsi a un rischio considerevole (gettare le armi di fronte a un drago ancora vivo non mi sembra esattamente senza un costo), e accettare che restasse comunque un PNG con cui stavi trattando, e non un pet permanente del PG. In generale, in qualunque combattimento contro qualunque nemico (non solo draghi), se i PG che stanno vincendo gli offrono l'opportunità di arrendersi e trattare io la prendo in considerazione; è raro che un individuo, uomo o mostro, ci tenga così tanto a morire. Questo non significa che dal quel momento il nemico diventi un gregario da aggiungere alla propria collezione.
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Gestire una campagna con un solo giocatore... In chat
Ciao @WillD20. In condizioni ideali, la cosa migliore sarebbe che tu facessi almeno una partita da giocatore, prima di iniziare a fare il master. Un DM esperto con un po' di pazienza potrebbe farti provare il gioco di persona, provando anche le profonde differenze che ci sono rispetto a Luxastra. Ma mi rendo conto che non sempre è possibile. Anche a me è capitato di masterare da zero un'edizione nuova di D&D senza prima averla giocata. Buttati, e in bocca al lupo! Ti confesso che ho anche un leggero dubbio su se sia D&D il GdR più adatto a te, visto che la cosa che ti ha più colpito, mi pare di capire, sia la "creazione collettiva di una storia". Ma D&D è sempre stato la "porta di ingresso" verso il mondo dei GdR. Non c'è niente di male a cominciare con quello e poi semmai virare su altro. Mi permetto di consigliarti alcuni link: questo, soprattutto, sono i miei consigli per chi vuole fare per la prima volta il master; non è necessario seguirli tutti, ovviamente, ma forse possono esserti utili; questa, invece, è una serie su come creare le avventure: la cosa a cui ti riferivi, credo, quando parlavi di creare la storia. Ancora auguri e benvenuto in questo mondo!
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Si può addomesticare un drago o una viverna?
Non è stupido e non è detto che resti solo un sogno. Si gioca a questi giochi anche per sfogare in libertà la propria fantasia. Non c'è niente di male in questo. Si tratta solo di parlarne con il master. Spiego meglio, così forse chiarisco il mio pensiero anche a @Adb82. E scusate se sarò lungo, è perché ci tengo. Date le premesse, ci sono vari approcci per affrontare la questione. L'approccio, secondo me, meno efficace e meno utile è dire: cerco la risposta nel manuale. È un approccio comprensibile (John B. lo definirebbe, credo, un approccio Neo-Trad), ma significa trattare D&D come un insieme rigido di regole e di ambientazione, fisse e inscindibili, da prendere a scatola chiusa. Un po' come se fosse un MMORPG online (lo dico senza alcun intento dispregiativo, chiariamoci): il sistema è quello, il mondo è quello, se voglio fare una cosa posso solo spulciare i manuali per provare a farla entro di essi. Sarebbe una valida risposta se questa fosse una domanda sulle regole. Come quelle che ci sono ogni tanto: "se faccio la tal cosa nella tale situazione provoco attacchi di opportunità?". Secondo me, però, questa specifica domanda non era di quel tipo: esprimeva invece, appunto, il desiderio di realizzare con il gioco una propria fantasia. Un approccio già più efficace è: cerco la risposta nel gioco. Intendo proprio "nel mondo di gioco", in-game, interpretando il personaggio. Inizio a giocare, e decido che il mio personaggio ha questo desiderio, cavalcare un drago. E lo faccio comportare in modo appropriato. Per prima cosa, chiedendo indicazioni in materia ai vari sapienti che incontro, facendo ricerche in arcane biblioteche, e così via. E, in seguito, una volta che mi trovo nella situazione, prendendo decisioni che ritengo efficaci e vedendo quali sono le conseguenze. Che poi è la base del gioco di ruolo. Pensa alla situazione che hai descritto: hai quasi sconfitto un drago, ma al momento dell'attacco decisivo ti fermi, lo risparmi, getti via le armi e gli proponi un accordo. È una situazione di gioco formidabile. Se arrivi, da giocatore, a fare questo, io ti faccio i miei complimenti: non ti sei messo a cercare l'abilità giusta o la regoletta giusta, non hai cercato di "lanciare dadi contro il problema"; hai preso una decisione esponendo il tuo personaggio alle conseguenze; hai fatto puro, autentico gioco di ruolo. In quella situazione il DM dovrà decidere come regolarsi. Se è un buon DM non andrà a sfogliare i manuali in cerca di una soluzione preconfezionata. Applicherà invece quello che, secondo me, è il metodo fondamentale. Si chiederà: l'approccio del tuo personaggio può riuscire a ottenere lo scopo? E perché? Può fallire, invece? E perché? Se è possibile, secondo lui, sia un successo che un fallimento ti chiederà di tirare un dado, scegliendo la caratteristica più appropriata e l'eventuale abilità più appropriata in base a quello che stai facendo, come da regole. Decide che la caratteristica giusta è Carisma e non Saggezza? Ok, ci può stare. Decide che l'abilità più appropriata è Diplomazia o Intimidire anziché Addestrare Animali? Ok, ci può stare. Ma sono minuzie e soprattutto sono affari suoi: non spetta a te preoccupartene. In un modo o nell'altro, con o senza dado, si stabilirà come va a finire. È l'ABC del DM. Chiaramente, se il drago accetta il patto, rimane comunque un PNG sotto il controllo del DM. Quello che tu, come giocatore, dovrai tenere presente è che la cosa potrebbe anche fallire. E, nel caso, dovrai essere pronto ad accettarlo. Magari il drago approfitta di come ti stai esponendo per fuggire, o contrattaccare. Magari cerca di ingannarti. Magari è orgoglioso, si offende e risponde che preferisce la morte alla schiavitù. Da questo punto di vista, più informazioni prendi (sempre dentro il gioco) e migliori saranno le tue probabilità di successo (se hai un DM appena decente). Per esempio, se vieni a sapere che i draghi sono orgogliosi, magari non gli dirai "sei mio servitore" ma qualcosa del tipo "concedimi l'onore di unire la tua potenza alla mia, insieme potremo fare grandi cose". Se sai che i draghi neri sono infidi, bugiardi e traditori, mentre quelli blu sono onorevoli e leali, magari ti fiderai di più a stringere un patto con uno blu che non con uno nero. E così via. Ma l'approccio, secondo me, più efficace in assoluto (in questo caso, per questa specifica domanda) è: cerco la risposta insieme al DM e agli altri giocatori prima che inizi il gioco. Se siete tutti d'accordo che sarebbe bello giocare una campagna in cui interpretate cavalieri di draghi, magari proprio sulla falsariga di Dragon Trainer, non c'è niente, in D&D come sistema, che ve lo possa impedire. A quel punto concorderete insieme come la cosa dovrà funzionare. Potete decidere che i personaggi debbano "conquistarsi", durante le prime avventure, la loro cavalcatura draconica, trovandola e superando prove di qualche tipo. O potete anche decidere di iniziare il gioco con le vostre cavalcature draconiche già pronte e addestrate, perché no? Potete decidere che siano PNG controllati dal DM, o potete decidere che ogni giocatore abbia due schede, quella del personaggio e quella del drago, e le controlli entrambi. Ehi, potete perfino fare che ogni giocatore controlla il suo PG e il drago di un altro PG: sarebbe divertente. Anche questo approccio non è detto che riesca, perché gli altri devono essere d'accordo. Se il master, ad esempio, ritiene la cosa inappropriata per il suo mondo, ci sarà poco da fare. Ma penso che più si fa chiarezza sin dall'inizio su quello che per noi, come giocatori, è importante, e meglio funzioneranno le cose.
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Si può addomesticare un drago o una viverna?
La discussione si sta imperniando sulla meccanica specifica (competenza sì, competenza no, Sag o non Sag), e va anche bene. Secondo me si sono espressi molto bene @Casa e @ilprincipedario, sul punto. Non vorrei che ci sfuggisse, però, l'aspetto preliminare, cioè: nei tipici mondi di D&D (poi, si sa, ognuno è libero di farsi la sua ambientazione personalizzata) i draghi sono persone, non bestie. Chiedersi se si può addestrare un drago è come chiedersi se si può addestrare un elfo o un nano.
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Si può addomesticare un drago o una viverna?
La prima cosa che imparerai è che D&D è uno strumento flessibile e malleabile che ogni gruppo adatta alle sue esigenze. Domande come la tua, prima ancora che trovare risposte nelle regole, andrebbero poste al master all'inizio del gioco per fargli capire quali sono i tuoi desideri come giocatore. Lui ti dirà se quei desideri si armonizzano con il suo mondo o con la campagna, e poi potrete vedere come svilupparli. Nella tradizione di D&D (e anche nei mondi in cui gioco io) i draghi sono persone, non bestie come nel Trono di Spade. Parlano, ragionano, hanno i loro scopi. Quindi non si possono "addestrare", ci si può invece contrattare, stringere un patto. Anche le viverne, benché un po' più stupide e brutali, hanno comunque Int superiore a quella di animale e in molti casi parlano. Sono equivalenti a una persona molto rozza, non ad una bestia. Ma esistono tante altre concezioni possibili del drago. Se si trova l'accordo con il master, una soluzione si trova.
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Ability Score Increases
@Lord Danarc , concordo, anch'io penso che sia questa la parte interessante della discussione: cosa, secondo noi, definisce una razza (distinguendola dalle altre) e perché. Per i miei gusti personali, come ho già detto prima, le caratteristiche rientrano in questo ambito (l'ambito di cosa definisce una razza), idealmente, ma di fatto in 5e già non ci rientrano più, perché, con la regola del cap a 20, a "regime" tutti finiscono per avere quel valore, a prescindere dalla razza e perfino dalla taglia. A questo punto, quindi, tanto vale permettere (secondo me) di avere lo stesso valore anche al primo livello. Ma la domanda generale è valida e molto interessante. Edit: potremmo formularla ancora meglio così: fino a che punto posso rendere atipico e speciale un elfo e dire che tuttavia è ancora un elfo? Quand'è che invece è diventato una cosa diversa e non può più definirsi elfo? Ovviamente ogni tavolo avrà i suoi criteri, in materia, ma confrontarci su di essi potrebbe essere stimolante.
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Dubbio sulla capacità universale dei mostri scorrere sulla terra
Non sono un esperto della razza e dei talenti di cui parli, ma non direi che il fatto di emergere da sottoterra ti permetta, di per sé, di prendere alla sprovvista un nemico. Prova a vederla così: sei in una stanza buia, nell'oscurità completa, e il tuo nemico ha un'esile fonte di luce con cui rischiara un po' la zona intorno a sé, ma senza arrivare a te. Se lo attacchi rimanendo nel buio, a tutti gli effetti non può vederti: certamente perde il bonus di Destrezza (a meno di capacità speciali in senso contrario). Ma se ti avvicini, entri nella zona di luce, lo attacchi da lì, e poi torni nella zona di buio, non dovrebbe avere problemi a difendersi: nel momento in cui lo attacchi ti vede benissimo. Se tu riuscissi ad attaccare senza uscire da sottoterra la questione potrebbe essere dibattuta (ma dovresti avere modo di vedere lo stesso il nemico, altrimenti attacchi alla cieca). Ma se per attaccare devi uscire fuori, direi che sicuramente non lo cogli alla sprovvista. Suppongo che potresti, però, cercare di usare la tua capacità di scorrere sulla terra per nasconderti e muoverti silenziosamente, usando la terra stessa come fonte di copertura.
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Un mago un po'... fuorilegge?
Certamente, qualsiasi classe può avere qualsiasi background. Le combinazioni inusuali spesso sono le più interessanti.
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Ability Score Increases
Non è quello che ho detto.
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Ability Score Increases
Direi di no, non lo implica per niente. E, se il racconto riportato è vero, quelle persone dovrebbero essere solo contente che quell'argomento abbia dato loro l'occasione di sbarazzarsi subito di un soggetto del genere. Quando una persona è tossica, il problema è che è tossica, non l'argomentazione di cui si serve per intossicare. Attenzione a non cadere nell'errore (così comune, in effetti, proprio tra i censori della pubblica moralità) di attribuire alle aziende, alle letture, ai comunicati il potere di rendere cattiva la gente.
- Secondo voi, come si può rappresentare [...]
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Secondo voi, come si può rappresentare [...]
Ciao, è davvero difficile risponderti perché non è chiaro quali sono i due concept che hai, in particolare il secondo (sul primo hai specificato "furiosa macchina assassina" che è già un indizio). Ti va di aggiungere qualcosa? Per come la vedo, con le informazioni che ho adesso, la risposta sarebbe: qualsiasi. Intendo qualsiasi combinazione di classe e sottoclasse. Perché i concetti che hai espresso mi sembrano (magari sbaglio) più che altro incentrati sul comportamento, i valori, la morale e la posizione sociale, che sono indipendenti dalla classe.
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Sei Culture del Gioco di Ruolo
Ahahah! Spero di no... in realtà non amo le etichette, ma se proprio devo sceglierne una propenderei più per la Classica. 🙂
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Sei Culture del Gioco di Ruolo
Il mondo dei GdR è vario, e non sono una novità i tentativi di classificare le differenze di cultura e stile che lo pervadono. Questa analisi, però, presenta un punto di vista per certi versi originale. Articolo di John B. del 06 Aprile 2021, dal blog The Retired Adventurer In questo post presenterò la tassonomia delle sei principali culture di gioco, insieme a qualche nota sulle loro origini storiche. Lo faccio sia per aiutare le persone appartenenti a queste diverse culture di gioco a comprendere meglio i valori della propria, sia per incoraggiare una discussione interculturale più densa e produttiva. Sono almeno sei le culture di gioco principali che sono emerse nella storia dell’hobby del GdR. Potrebbero essercene di più: la mia analisi si concentra essenzialmente su quelle di lingua inglese, benché almeno tre di loro abbiano una presenza non anglofona significativa. In aggiunta, esiste una proto-cultura che è esistita tra il 1970 e il 1976 prima che la suddivisione delle diverse culture iniziasse. Una cultura di gioco è un set di norme condivise (obiettivi, valori, tabù, etc.), considerazioni e tecniche che accomunano un gruppo di persone abbastanza vasto da far sì che non tutte siano in contatto diretto tra loro (chiamiamolo community). Le culture di gioco sono trasmesse attraverso una varietà di canali: dai libri alle avventure, passando per l’insegnamento di un individuo ad un altro, fino agli articoli sulle riviste e agli spettacoli in streaming. Una cultura di gioco è vagamente simile a un network of practice, se il termine vi è familiare. Gli individui che hanno appreso una o più di queste culture sviluppano poi stili di gioco personali. Voglio precisare che, secondo me, parlare di giochi specifici come intrinsecamente associati a specifiche culture è fuorviante: i giochi possono essere giocati con vari stili diversi, anche in linea con i valori di culture differenti. È vero, tuttavia, che molti giochi contengono un testo che raccomanda di giocarli in un certo modo, in linea con una cultura particolare, o contengono elementi che esprimono l’adesione del creatore ai valori di quella cultura. Le Sei Culture 1 - Classica Il gioco Classico ruota attorno allo sviluppo progressivo del potere dei PG e delle sfide che essi affrontano, con regole che aiutano a mantenere le due cose grossomodo in proporzione tra loro, e a risolvere in modo “equo” le loro interazioni. Questo è esplicitato nei consigli ai dungeon master della Guida del DM di AD&D 1E, ma si ripresenta in diverse altre fonti; le più ovvie, probabilmente, sono i moduli da torneo, soprattutto quelli della Serie R distribuiti dalla RPGA nei suoi primi tre anni di attività, che evidenziano dei “reset” periodici tra le sezioni dell’avventura per assicurare un’esperienza “equa” ai giocatori, mentre passano da un tavolo da torneo all’altro a giocare tali sezioni. L’accento sul gioco come sfida porta a un sacco di avventure tra terre selvagge e labirinti tentacolari, e ricicla la medesima notazione anche per descrivere le città, a loro volta trattate come scenario di sfide. A un certo punto i PG diventano abbastanza potenti da comandare una signoria, e questo allarga ulteriormente la gamma delle sfide, permettendo di ingaggiare scontri di massa in stile wargame. Il punto del giocare, nella cultura Classica, non è il raccontare una storia (benché non sia un problema se ciò avviene), bensì affrontare sfide e minacce che gradualmente aumentano di importanza e di potenza, man mano che i PG salgono di livello. Una lunga campagna con una lenta progressione di potere dei PG, interrotta solo dall’occasionale morte, è una giocata ideale per la cultura Classica. Tutto questo nasce più o meno tra il 1976 e il 1977, quando Gygax passa, dalla sua idea iniziale di OD&D come un non-gioco (“non-game”), al tentare di stabilizzare l’esperienza di gioco. Inizia con la sua invettiva contro “Dungeons and Beavers” e altre deviazioni dal suo proprio stile in Strategic Review dell’Aprile 1976, quindi diventa un più ampio riassetto delle pubblicazioni della TSR dal 1977 in poi. Nello specifico, esse iniziano a fornire al pubblico esempi concreti di gioco (tra cui esempi di dungeon e scenari, inclusi interi moduli) e consigli specifici sulle procedure e i valori più appropriati per il gioco. Il riassetto ha inizio con la pubblicazione del Holmes Basic (1977) e di Lost Caverns of Tsojcanth (1977), per poi culminare in AD&D (1977-1979) e la serie BECMI scritta da Mentzer (1983-1986). La Judges Guild, la RPGA, Dragon Magazine e anche altri editori (ad esempio Mayfair Games) si allineano a questo approccio e diffondono i princìpi Classici, prima che Gygax e Mentzer abbandonino la TSR tra fine 1985 e inizio 1986. La Judges Guild perde la sua licenza di stampa per il materiale di D&D nel 1985, e i tornei RPGA si allontanano dal gioco Classico intorno al 1983. La maggioranza degli altri autori alla TSR si converte al Trad (vedi sotto) entro la metà degli anni ’80, perciò il supporto ufficiale per lo stile Classico inizia a prosciugarsi, benché diverse persone continuino ad adottarlo nel loro gioco. Il Classico resuscita nei primi anni 2000 quando gli irriducibili che hanno continuato a giocare in questa maniera usano Internet per ritrovarsi su forum come Dragonsfoot, Knights and Knaves Alehouse, e altri. Questo revival è parte delle ragioni che portano al rilascio di OSRIC (2006). NB: “Classico” è l’unica denominazione, in questa trattazione, a non essere un autonimo usato dai suoi stessi praticanti, sebbene Gus L. di All Dead Generations abbia molto in comune con le loro idee e definisca effettivamente il proprio stile con questa parola. Una stranezza della storia è che le persone che nei primi anni 2000 tentavano di revitalizzare il Classico sono spesso confluite nell’OSR, malgrado i due gruppi abbiano norme e valori distinti. Ha portato a un po’ di confusione il fatto che alcuni soggetti importanti (come Matt Finch) siano effettivamente passati dall’essere revivalisti del Classico all’essere tra i fondatori dell’OSR. Dato che entrambi i gruppi sono interessati al gioco incentrato sulla sfida, anche se hanno punti di vista diversi sul significato di tale termine, ci sono state fasi di intersezione e interazione produttiva tra loro (e anche un sacco di sciocchi litigi e derisioni: questa è la vita). Questa mescolanza di persone che hanno diverse culture di gioco, e che sembrano inizialmente far parte dello stesso movimento ma poi si rivelano interessate a cose diverse, è abbastanza comune: gli Story Game e il Nordic Larp sono passati attraverso un processo simile (lo vedremo tra breve). 2 - Trad (abbreviazione di Tradizionale) Anche se i suoi aderenti lo chiamano Trad, non dobbiamo pensare che sia il modo più vecchio di giocare di ruolo (non lo è). Il Trad non è ciò che facevano Gary e compagni: quello è il Classico. Piuttosto, è la reazione a quello che stavano facendo. Il Trad si basa sul concetto che l’obiettivo primario del giocare sia il narrare una storia emozionalmente soddisfacente, e che il DM è l’agente creativo primario che lo fa avvenire: costruendo il mondo, stabilendo tutti i dettagli della storia, interpretando gli antagonisti, il tutto principalmente seguendo i propri gusti e la propria visione personale. I PG possono contribuire, ma i loro contributi sono secondari come valore e autorità rispetto a quelli del DM. Se mai avete sentito qualcuno lamentarsi (o entusiasmarsi!) per giocate che erano come scorrere un romanzo fantasy, quello era Trad. Il Trad esalta un modo di giocare che produce esperienze comparabili ad altri mezzi di intrattenimento, come film, romanzi, televisione, mitologia eccetera, e i suoi valori spesso incoraggiano ad adottare tecniche derivanti da quei mezzi. Il Trad emerge nei tardi anni ’70, con un primo embrione concettuale nel gruppo di Dungeons and Beavers al Caletch, ma anche nel circolo di gioco di Tracy e Laura Hickman nello Utah. L’avvenimento fondante, per Tracy, a quanto pare è stato imbattersi in un vampiro in un dungeon e pensare che aveva davvero bisogno di una storia che spiegasse cosa ci facesse a vagare laggiù. Hickman ha scritto una serie di avventure nel 1980 (la serie del Night Verse) che tentava di introdurre più elementi narrativi, ma l’azienda che avrebbe dovuto pubblicarla è fallita. Quindi ha deciso di venderla alla TSR, che però disse che l’avrebbe acquistata solo se Hickman fosse andato a lavorare per loro. Perciò, nel 1982, lo ha fatto e nel giro di pochi anni le sue idee si sono diffuse nella compagnia fino a diventare la visione dominante del concetto di gioco di ruolo. La prima importante pubblicazione, al di fuori del circuito TSR, che articola la visione Trad è Call of Cthulhu di Sandy Petersen (1981), il quale spiega ai lettori che lo scopo del giocare è creare un’esperienza simile a una storia horror, e fornisce consigli specifici per farlo (come il “modello a cipolla”). I valori Trad si cristallizzano come una rilevante e distinta cultura di gioco in D&D con i moduli di Ravenloft (1983) e Dragonlance (1984) scritti da Hickman. La TSR pubblica Ravenloft in risposta al successo commerciale e di critica di Call of Cthulhu, e in tal modo vince dei premi e vende un sacco di copie. In pochi anni l’idea di “roleplaying, not rollplaying”, e l’importanza del Dungeon Master come creatore di una narrativa elaborata ed emozionalmente gratificante, prevalsero. Penso che la capacità di importare termini e idee da altre forme d’arte abbia probabilmente aiutato molto, perché rende il Trad accessibile a chiunque abbia frequentato qualche lezione di scienze umane all’Università. Il Trad fu la cultura di gioco dominante almeno dalla metà degli anni ’80 sino ai primi anni 2000, ed è tuttora uno stile molto comune. Per un esempio abbastanza ben strutturato nell’ambito dello stile Trad, da parte di qualcuno che è stato un autore autorevole per gli ultimi 15 anni circa, date un’occhiata al S. John Ross’s RPG Lexicon. Entrambi i prossimi due stili emergono in seguito a problemi con il Trad, soprattutto con l’esperienza di giocare Vampiri (che nell’aspirazione dei suoi autori voleva essere “il più Trad dei Trad”), ma scendere nei dettagli sarebbe troppo per questo articolo, quindi mi limito a menzionarlo e ci tornerò un’altra volta. 3 - Nordic Larp Anche questo è un autonimo. “Nordic” si riferisce all’origine e alla massa principale della base giocante, non a una vera limitazione geografica di qualche genere. “Larp” [acronimo di Live Action Role Playing, “gioco di ruolo dal vivo”, NdT] fa parte della designazione per ragioni che non mi sono chiare, visto che le sue idee sono nate nel gioco di ruolo da tavolo, e la sua filosofia e le sue aspirazioni sono realizzabili tanto nei GdR da tavolo quanto in quelli in costume. (Scriverlo come se non fosse un acronimo, quindi con solo l’iniziale in maiuscolo anziché tutte le lettere, è un’usanza del Nordic Larp, quindi in conformità con il principio di autonimia seguirò la stessa convenzione quando parlerò della cultura di gioco, anche se scriverò LARP quando mi riferirò all’attività del ruolare dal vivo.) Il Nordic Larp ruota attorno all’idea che lo scopo principale di un gioco di ruolo sia l’immersione in un’esperienza; in genere quella di un personaggio specifico, ma a volte in un’esperienza di altro tipo in cui giocatore e personaggio non sono nettamente distinti: il gruppo sperimentale Jeep spesso usa giochi astratti per influenzare direttamente il giocatore. Maggiore è il “bleed” che si riesce a creare tra un giocatore e il ruolo che ha nel gioco, e meglio è. Spesso il Nordic Larp comprende delle lunghe “sessioni” (simili a escursioni di un fine settimana) seguite da lunghi debrief in cui ognuno processa l’esperienza che ha avuto attraverso il suo personaggio. Inserire il personaggio all’interno di una storia più grande può essere un modo di produrre esperienze vivide e coinvolgenti, ma non è necessario e potrebbe perfino essere d’intralcio (specialmente se fatto male). I giocatori del Nordic Larp enfatizzano gli aspetti collaborativi, ma guardando più in profondità si vede che si tratta di un rifiuto dell’idea Trad di un singolo DM-autore che crea l’esperienza, e la collaborazione serve a migliorare l’immersione unificando maggiormente l’agency del giocatore e del personaggio. Penso che il termine LARP faccia venire in mente immagini di gente che fa cosplay fantasy, e a volte ci sono elementi del genere in certi giochi di Nordic Larp, ma in realtà credo che la tendenza sia stata quella di allontanarsi dai giochi del fantastico in favore di scenari e situazioni più vicini alla vita reale, dato che ciò permette di incorporare l’architettura moderna, la tecnologia e altri dettagli per facilitare l’immersione. La prima pubblicazione importante riguardo il Nordic Larp di cui sono a conoscenza è il molto timido Manifesto of the Turku School di Mike Pohjola nel 2000, e credo che la comunità originaria abbia dialogato con quella di The Forge, benché avessero ideali di gioco molto differenti. Da lì al 2005 si sono avuti gruppi come Jeep che hanno sviluppato queste idee, e nel 2010 la pubblicazione del libro Nordic Larp. Oggi c’è anche una wiki e un sito web ufficiale. Il Nordic Larp è la parte del gioco di ruolo che sembra beneficiare della quota maggiore di fondi per lo studio accademico. Non so bene perché, ma sospetto che abbia qualcosa a che fare con l’interesse a mercificare i concetti del LARP per creare esperienze immersive di intrattenimento per turisti nei mega-resort delle nazioni del Consiglio di Cooperazione del Golfo. Non linkerò qui nessun individuo specifico connesso al Nordic Larp che lavora laggiù, per non rischiare di infangarlo, ma esistono (per favore, non attaccate nessuno nemmeno nei commenti). 4 - Story Game Di nuovo un autonimo. La maggior parte di coloro a cui non piacciono li chiama con termini come “giochi forgiti” o “giochi indie post-Forgia”, riferendosi al forum di GdR indie the Forge. Anche “GdR Indie” è stata una denominazione utilizzata, a un certo punto, ma non credo che fosse particolarmente azzeccata o edificante, ed evidentemente non lo credevano neanche gli aderenti a questa cultura, visto che l’hanno perlopiù abbandonata. Ecco un post di Across the Table che discute l’origine del termine “story game”. Il Big Model è notoriamente ostico da comprendere e la teoria post-forgita contiene un sacco di idee con cui sono in forte disaccordo, ma credo che un’onesta descrizione della loro posizione, che non usi la loro stessa terminologia, sia che l’esperienza di gioco ideale è quella che minimizza la dissonanza ludonarrativa. Un buon gioco ha una forte consonanza tra i desideri di chi lo gioca, le regole, e le dinamiche derivanti dalla loro interazione. Insieme, queste cose permettono alle persone di realizzare i loro desideri, quali che siano. Va evitata l’incoerenza (“incoherence”) perché da luogo a “zilch play” o “brain damage”, come lo ha chiamato Ron Edwards una volta. La comunità degli Story Game, va detto in suo favore, è disposta a essere molto radicale in termini di tecniche che realizzano questo scopo: sia le meccaniche che lo sviluppo di impostazioni (gli story gamers le chiamano spesso “Intenti Creativi” ovvero “Creative Agendas”) come il “narrativismo” hanno lo scopo di produrre consonanza ed evitare dissonanza su tutti i livelli che si possono prefigurare. Gli Story Game nascono con Ron Edwards nel 1999, quando scrive Il Sistema Conta e crea The Forge. Da lì al 2004 si hanno il Provisional Glossary e il Big Model, e un milione di discussioni su Internet in merito a cosa è o non è “narrativista”, a quanto brain damage stanno causando i GdR, eccetera. I forum veri e propri degli Story Game sono fondati nel 2006 come successori di The Forge. Nell’ultimo decennio il grosso dello sviluppo degli Story Game tende a orientarsi intorno ai sistemi Powered by the Apocalypse, basati su Apocalypse World di Vincent Baker. Se volete un grande esempio di qualcuno che applica le norme culturali degli Story Game ad un gioco che è stato scritto per essere giocato nel modo Trad, The Sacrament of Death di Eero Tuovien descrive le sue esperienze nel fare esattamente questo. 5 - OSR (“Old School Renaissance / Revival”) Sì, appare così tardi, nell’ordine cronologico. E sì, l’OSR non è il gioco Classico: è una reinvenzione romantica, non una catena di tradizione ininterrotta. L’OSR attinge al gioco basato sulla sfida, tipico della proto-cultura di D&D, e lo combina con un interesse all’agency dei PG, in particolare nella forma della capacità decisionale. L’obiettivo è un gioco dove le decisioni dei PG, specialmente quelle diegetiche, fanno da traino. Penso che lo possiate vedere in forma molto chiara nei consigli che ha dato Chris McDowall, sul suo blog, su come condurre Into the Odd ed Electric Bastionland. Un’osservazione importante che vorrei fare è la distinzione tra la sfida progressiva della cultura Classica e la sfida più variabile dell’OSR. L’OSR perlopiù non bada a cose come l’“equità” nel contesto dell’“equilibrio di gioco” (mentre Gygax lo faceva). La variabilità dell’agency dei giocatori attraverso una serie di decisioni è molto più interessante, per la maggior parte degli aderenti all’OSR, di quanto non lo sia per gli aderenti al Classico. L’OSR rifiuta espressamente la mediazione di autorità svolta da una struttura di regole preesistente, incoraggiando invece le interazioni diegetiche attraverso ciò che S. John Ross chiamerebbe “ephemeral resources” e “invisible rulebooks”, e che l’OSR chiama rispettivamente “giocare il mondo” (“playing the world”) e “abilità del giocatore” (“player skill”). Essenzialmente, se non si è vincolati dalle regole si può giocare con uno spazio di risorse più ampio, che può contribuire a inquadrare le sfumature dell’agency dei PG in modi potenzialmente molto precisi e dotati di grande finezza; questo permette di far fronteggiare ai giocatori una maggiore varietà di sfide da superare. Potrei scrivere un intero post solo sulle funzioni delle tabelle casuali, comunque si legano al punto della variabilità dell’agency: introducono sorprese e imprevedibilità, assicurando che l’agency cambi nel tempo. Tendo a far risalire l’inizio dell’OSR a poco dopo la pubblicazione di OSRIC (2006), che ha spalancato le porte alla possibilità di usare l’OGL per ripubblicare le meccaniche del vecchio D&D pre-3.x. Con questa nuova opzione, ci sono state persone che hanno solo voluto far rivivere AD&D 1e, e altre che invece hanno voluto usare i vecchi set di regole come piattaforma di lancio per le loro nuove creazioni. Nel 2007 c’è stato Labyrinth Lord, e la valanga è seguita in breve tempo. Gli esordi dell’OSR hanno avuto da Grognardia una visione ricostruita del passato rispetto a cui posizionarsi come eredi. Ci sono stati anche notevoli sviluppi intellettuali come i “diagrammi di Melan” per i dungeon e i pointcrawl di Chris Kutalik. Direi che tra il 2006 e, più o meno, il 2012 l’OSR ha organizzato le sue norme in un corpo di idee relativamente coerente sul modo di giocare considerato appropriato. 6 - OC / Neo-trad Questo è l’unico termine che non è pienamente autonimo, sebbene sia possibile aggiungere “OC” ad un post di ricerca per giocare online e reclutare così in modo ripetibile persone di questa cultura, quindi ci siamo abbastanza vicini. La chiamo anche Neo-trad, innanzitutto perché condivide molte delle norme della cultura Trad, e in secondo luogo perché penso che chi appartiene a questa cultura si creda parte del Trad. Talvolta potrete veder chiamare questo stile anche “moderno” (“the modern style”), in contrapposizione all’OSR. Ecco un esempio di qualcuno che lo chiama Neo-trad ed elabora una visione pura di questi stile (benché io non sia d’accordo con la lista di giochi che fornisce come esempi di Neo-trad alla fine dell’articolo). Su Reddit, l’OC è spesso chiamato “moderno”, in espressioni come “il modo moderno di giocare” o “i giochi moderni”. L’OC, di base, concorda con il Trad che lo scopo del gioco sia di raccontare una storia, ma riduce l’autorità del DM come creatore di quella storia ed esalta il ruolo dei giocatori come contributori e creatori. Il DM diventa un curatore e facilitatore che lavora principalmente con materiale fatto da altri: in pratica, gli autori/editori e i giocatori. La cultura OC ha un concetto diverso di cosa sia una “storia”: si focalizza sulle aspirazioni e gli interessi dei giocatori, e nella loro realizzazione come miglior modo di farli “divertire”. Il focus sul realizzare le aspirazioni dei giocatori è ciò che permette al mago di 20° livello, che lancia sciame di meteore per annichilire un nemico, e alla gente che usa D&D 5e per giocare a gestire il proprio ristorante, di coesistere nella stessa cultura comune. Questa cultura è chiamata talvolta, in modo dispregiativo, “Tirannia del Divertimento” (“Tyranny of Fun”, un termine coniato dall’OSR) a causa del suo concentrarsi sulla gratificazione immediata, rispetto ad altri stili di gioco. Il termine “OC” sta per “Personaggio Originale” (“Original Character”) e viene dal gioco di ruolo fandom online in forma libera (“freeform”) che era popolare su piattaforme come Livejournal nei primi anni 2000. OC è quando inserisci un personaggio originale in un gioco di ruolo ambientato nell’universo di Harry Potter, invece che giocare come Harold the Cop in persona. Nonostante fossero in forma libera, ciò senza tiri di dado né Dungeon Master, questi giochi avevano spesso estesi complessi di regole in merito a quali affermazioni si potessero introdurre nella giocata, con giocatori che si appellavano a tali regole l’uno contro l’altro per risolvere le dispute. Per le generazioni più giovani di giocatori di ruolo, giochi di questo tipo sono stati spesso il canale che li ha introdotti all’hobby. Penso che il GdR OC sia emerso durante l’era 3.x (2000-2008), probabilmente con la crescita di Living Greyhawk Core Adventures, e dell’apparato del gioco organizzato e più in generale del gioco online con estranei. Il gioco organizzato ha finito per ridurre il potere del DM in favore dell’autorità dei testi di regole, degli editori, degli amministratori e, assolutamente, dei giocatori. Dal momento che i DM possono cambiare da un’avventura all’altra mentre i personaggi giocanti rimangono, questi ultimi diventano più importanti, con le regole standard che garantiscono la compatibilità attraverso le diverse giocate. La discrezionalità e inventiva del DM diventano un ostacolo a questa intercompatibilità, quindi vengono svalutate. È da qui che proviene l’enfasi su “RAW” e sull’usare solo materiale ufficiale (ma anche l’idea che se qualcosa è pubblicato dovrebbe essere disponibile al tavolo): sono cose che erodono il potere del DM e trasferiscono quel potere nelle mani dei PG. Queste norme sono state rinforzate e diffuse dai forum di “ottimizzazione del personaggio”, che si affidavano solamente al testo e criticavano formalmente il “DM fiat”, e dai character builder ufficiali di D&D e di altri giochi. I moduli, che limitano in modo importante la discrezione del DM per fornire un set costante di condizioni ai giocatori, sono un altro importante elemento a sostegno di questo stile. Lo stile OC è reso, inoltre, particolarmente popolare dai giochi in streaming online come Critical Role, dato che, se fatto bene, tende a produrre giocate abbastanza facili da guardare come se fossero show televisivi. I personaggi di queste serie diventano figure di ispirazione con cui la fanbase sviluppa un rapporto para-sociale ("parasocial interaction"), e al cui fianco esulta quando realizzano il proprio “arco”. Niente quiz né etichette Quando ho presentato per la prima volta queste categorie su un forum, qualcuno scherzando ha detto che avrei dovuto creare un quiz che permettesse alle persone di determinare a quale cultura tra queste appartengono, ma preferisco di no. Sinceramente, penso che la maggior parte dei singoli giocatori o gruppi siano un amalgama di culture, che si realizza in uno stile individuale. Le culture di gioco sono più simili a paradigmi: hanno il loro punto di coesione nei valori e nell’idea di cosa potrebbe costituire un “gioco ideale” (più formalmente, condividono teloi di gioco). Essere parte di una cultura di gioco è, in un certo senso, la capacità di riconoscere quando qualcun altro sta giocando in accordo con un set di valori che avete in comune. Il mio scopo principale nella tassonomia qui esposta è aiutare le persone a capire meglio che esistono diversi paradigmi di gioco, che considerano positive cose diverse, benché possano essere combinati insieme (con una varietà di risultati divertenti) in situazioni concrete. Dubito che questa lista sia esaustiva, e probabimente ci sono culture che ho trascurato, nonché altre che devono ancora emergere. Lo scopo della lista è soprattutto di illustrare brevemente che ci sono molti diversi valori di gioco, e di discutere la logica che anima alcuni tra i più conosciuti. L’intento originario di questa trattazione era parlare del gioco di ruolo OC, perché penso che sia quello meno analizzato in genere, e che molte analisi siano relativamente dispregiative (tra cui la “tirannia del divertimento”, vedi sopra). Inoltre tende ad esserci un sacco di confusione tra persone che operano nel paradigma OC e in quello Trad, dato che spesso usano gli stessi termini per riferirsi a cosa molto diverse. In aggiunta, senza voler essere antipatico, il gioco di ruolo OC tende ad essere il paradigma di default dei nuovi giocatori che si avvicinano all’hobby attraverso lo streaming, di conseguenza contiene la più ampia quota di persone inesperte e inconsapevoli della storia del GdR. Spero che articolare i loro valori mettendoli in relazione con il quadro più grande li incoraggi a sviluppare la cultura OC in modi interessanti e robusti, allontanandosi al contempo da un’arrogante pretesa di universalità della loro visione. Spero anche che questa tassonomia aiuti le persone a valutare le differenze tra le culture e gli stili e ad orientarsi tra di esse, anziché mettersi ripetutamente in vicoli ciechi ogni volta che salta fuori che le assunzioni di base sul gioco che uno sta utilizzando semplicemente non sono condivise dai suoi interlocutori. Sfortunatamente non posso rispondere ai commenti sul blog direttamente, quindi se qualcuno lascerà commenti o domande su questa tassonomia le collezionerò e risponderò con un altro post. Link all'articolo originale: https://retiredadventurer.blogspot.com/2021/04/six-cultures-of-play.html Visualizza tutto articolo
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Sei Culture del Gioco di Ruolo
Articolo di John B. del 06 Aprile 2021, dal blog The Retired Adventurer In questo post presenterò la tassonomia delle sei principali culture di gioco, insieme a qualche nota sulle loro origini storiche. Lo faccio sia per aiutare le persone appartenenti a queste diverse culture di gioco a comprendere meglio i valori della propria, sia per incoraggiare una discussione interculturale più densa e produttiva. Sono almeno sei le culture di gioco principali che sono emerse nella storia dell’hobby del GdR. Potrebbero essercene di più: la mia analisi si concentra essenzialmente su quelle di lingua inglese, benché almeno tre di loro abbiano una presenza non anglofona significativa. In aggiunta, esiste una proto-cultura che è esistita tra il 1970 e il 1976 prima che la suddivisione delle diverse culture iniziasse. Una cultura di gioco è un set di norme condivise (obiettivi, valori, tabù, etc.), considerazioni e tecniche che accomunano un gruppo di persone abbastanza vasto da far sì che non tutte siano in contatto diretto tra loro (chiamiamolo community). Le culture di gioco sono trasmesse attraverso una varietà di canali: dai libri alle avventure, passando per l’insegnamento di un individuo ad un altro, fino agli articoli sulle riviste e agli spettacoli in streaming. Una cultura di gioco è vagamente simile a un network of practice, se il termine vi è familiare. Gli individui che hanno appreso una o più di queste culture sviluppano poi stili di gioco personali. Voglio precisare che, secondo me, parlare di giochi specifici come intrinsecamente associati a specifiche culture è fuorviante: i giochi possono essere giocati con vari stili diversi, anche in linea con i valori di culture differenti. È vero, tuttavia, che molti giochi contengono un testo che raccomanda di giocarli in un certo modo, in linea con una cultura particolare, o contengono elementi che esprimono l’adesione del creatore ai valori di quella cultura. Le Sei Culture 1 - Classica Il gioco Classico ruota attorno allo sviluppo progressivo del potere dei PG e delle sfide che essi affrontano, con regole che aiutano a mantenere le due cose grossomodo in proporzione tra loro, e a risolvere in modo “equo” le loro interazioni. Questo è esplicitato nei consigli ai dungeon master della Guida del DM di AD&D 1E, ma si ripresenta in diverse altre fonti; le più ovvie, probabilmente, sono i moduli da torneo, soprattutto quelli della Serie R distribuiti dalla RPGA nei suoi primi tre anni di attività, che evidenziano dei “reset” periodici tra le sezioni dell’avventura per assicurare un’esperienza “equa” ai giocatori, mentre passano da un tavolo da torneo all’altro a giocare tali sezioni. L’accento sul gioco come sfida porta a un sacco di avventure tra terre selvagge e labirinti tentacolari, e ricicla la medesima notazione anche per descrivere le città, a loro volta trattate come scenario di sfide. A un certo punto i PG diventano abbastanza potenti da comandare una signoria, e questo allarga ulteriormente la gamma delle sfide, permettendo di ingaggiare scontri di massa in stile wargame. Il punto del giocare, nella cultura Classica, non è il raccontare una storia (benché non sia un problema se ciò avviene), bensì affrontare sfide e minacce che gradualmente aumentano di importanza e di potenza, man mano che i PG salgono di livello. Una lunga campagna con una lenta progressione di potere dei PG, interrotta solo dall’occasionale morte, è una giocata ideale per la cultura Classica. Tutto questo nasce più o meno tra il 1976 e il 1977, quando Gygax passa, dalla sua idea iniziale di OD&D come un non-gioco (“non-game”), al tentare di stabilizzare l’esperienza di gioco. Inizia con la sua invettiva contro “Dungeons and Beavers” e altre deviazioni dal suo proprio stile in Strategic Review dell’Aprile 1976, quindi diventa un più ampio riassetto delle pubblicazioni della TSR dal 1977 in poi. Nello specifico, esse iniziano a fornire al pubblico esempi concreti di gioco (tra cui esempi di dungeon e scenari, inclusi interi moduli) e consigli specifici sulle procedure e i valori più appropriati per il gioco. Il riassetto ha inizio con la pubblicazione del Holmes Basic (1977) e di Lost Caverns of Tsojcanth (1977), per poi culminare in AD&D (1977-1979) e la serie BECMI scritta da Mentzer (1983-1986). La Judges Guild, la RPGA, Dragon Magazine e anche altri editori (ad esempio Mayfair Games) si allineano a questo approccio e diffondono i princìpi Classici, prima che Gygax e Mentzer abbandonino la TSR tra fine 1985 e inizio 1986. La Judges Guild perde la sua licenza di stampa per il materiale di D&D nel 1985, e i tornei RPGA si allontanano dal gioco Classico intorno al 1983. La maggioranza degli altri autori alla TSR si converte al Trad (vedi sotto) entro la metà degli anni ’80, perciò il supporto ufficiale per lo stile Classico inizia a prosciugarsi, benché diverse persone continuino ad adottarlo nel loro gioco. Il Classico resuscita nei primi anni 2000 quando gli irriducibili che hanno continuato a giocare in questa maniera usano Internet per ritrovarsi su forum come Dragonsfoot, Knights and Knaves Alehouse, e altri. Questo revival è parte delle ragioni che portano al rilascio di OSRIC (2006). NB: “Classico” è l’unica denominazione, in questa trattazione, a non essere un autonimo usato dai suoi stessi praticanti, sebbene Gus L. di All Dead Generations abbia molto in comune con le loro idee e definisca effettivamente il proprio stile con questa parola. Una stranezza della storia è che le persone che nei primi anni 2000 tentavano di revitalizzare il Classico sono spesso confluite nell’OSR, malgrado i due gruppi abbiano norme e valori distinti. Ha portato a un po’ di confusione il fatto che alcuni soggetti importanti (come Matt Finch) siano effettivamente passati dall’essere revivalisti del Classico all’essere tra i fondatori dell’OSR. Dato che entrambi i gruppi sono interessati al gioco incentrato sulla sfida, anche se hanno punti di vista diversi sul significato di tale termine, ci sono state fasi di intersezione e interazione produttiva tra loro (e anche un sacco di sciocchi litigi e derisioni: questa è la vita). Questa mescolanza di persone che hanno diverse culture di gioco, e che sembrano inizialmente far parte dello stesso movimento ma poi si rivelano interessate a cose diverse, è abbastanza comune: gli Story Game e il Nordic Larp sono passati attraverso un processo simile (lo vedremo tra breve). 2 - Trad (abbreviazione di Tradizionale) Anche se i suoi aderenti lo chiamano Trad, non dobbiamo pensare che sia il modo più vecchio di giocare di ruolo (non lo è). Il Trad non è ciò che facevano Gary e compagni: quello è il Classico. Piuttosto, è la reazione a quello che stavano facendo. Il Trad si basa sul concetto che l’obiettivo primario del giocare sia il narrare una storia emozionalmente soddisfacente, e che il DM è l’agente creativo primario che lo fa avvenire: costruendo il mondo, stabilendo tutti i dettagli della storia, interpretando gli antagonisti, il tutto principalmente seguendo i propri gusti e la propria visione personale. I PG possono contribuire, ma i loro contributi sono secondari come valore e autorità rispetto a quelli del DM. Se mai avete sentito qualcuno lamentarsi (o entusiasmarsi!) per giocate che erano come scorrere un romanzo fantasy, quello era Trad. Il Trad esalta un modo di giocare che produce esperienze comparabili ad altri mezzi di intrattenimento, come film, romanzi, televisione, mitologia eccetera, e i suoi valori spesso incoraggiano ad adottare tecniche derivanti da quei mezzi. Il Trad emerge nei tardi anni ’70, con un primo embrione concettuale nel gruppo di Dungeons and Beavers al Caletch, ma anche nel circolo di gioco di Tracy e Laura Hickman nello Utah. L’avvenimento fondante, per Tracy, a quanto pare è stato imbattersi in un vampiro in un dungeon e pensare che aveva davvero bisogno di una storia che spiegasse cosa ci facesse a vagare laggiù. Hickman ha scritto una serie di avventure nel 1980 (la serie del Night Verse) che tentava di introdurre più elementi narrativi, ma l’azienda che avrebbe dovuto pubblicarla è fallita. Quindi ha deciso di venderla alla TSR, che però disse che l’avrebbe acquistata solo se Hickman fosse andato a lavorare per loro. Perciò, nel 1982, lo ha fatto e nel giro di pochi anni le sue idee si sono diffuse nella compagnia fino a diventare la visione dominante del concetto di gioco di ruolo. La prima importante pubblicazione, al di fuori del circuito TSR, che articola la visione Trad è Call of Cthulhu di Sandy Petersen (1981), il quale spiega ai lettori che lo scopo del giocare è creare un’esperienza simile a una storia horror, e fornisce consigli specifici per farlo (come il “modello a cipolla”). I valori Trad si cristallizzano come una rilevante e distinta cultura di gioco in D&D con i moduli di Ravenloft (1983) e Dragonlance (1984) scritti da Hickman. La TSR pubblica Ravenloft in risposta al successo commerciale e di critica di Call of Cthulhu, e in tal modo vince dei premi e vende un sacco di copie. In pochi anni l’idea di “roleplaying, not rollplaying”, e l’importanza del Dungeon Master come creatore di una narrativa elaborata ed emozionalmente gratificante, prevalsero. Penso che la capacità di importare termini e idee da altre forme d’arte abbia probabilmente aiutato molto, perché rende il Trad accessibile a chiunque abbia frequentato qualche lezione di scienze umane all’Università. Il Trad fu la cultura di gioco dominante almeno dalla metà degli anni ’80 sino ai primi anni 2000, ed è tuttora uno stile molto comune. Per un esempio abbastanza ben strutturato nell’ambito dello stile Trad, da parte di qualcuno che è stato un autore autorevole per gli ultimi 15 anni circa, date un’occhiata al S. John Ross’s RPG Lexicon. Entrambi i prossimi due stili emergono in seguito a problemi con il Trad, soprattutto con l’esperienza di giocare Vampiri (che nell’aspirazione dei suoi autori voleva essere “il più Trad dei Trad”), ma scendere nei dettagli sarebbe troppo per questo articolo, quindi mi limito a menzionarlo e ci tornerò un’altra volta. 3 - Nordic Larp Anche questo è un autonimo. “Nordic” si riferisce all’origine e alla massa principale della base giocante, non a una vera limitazione geografica di qualche genere. “Larp” [acronimo di Live Action Role Playing, “gioco di ruolo dal vivo”, NdT] fa parte della designazione per ragioni che non mi sono chiare, visto che le sue idee sono nate nel gioco di ruolo da tavolo, e la sua filosofia e le sue aspirazioni sono realizzabili tanto nei GdR da tavolo quanto in quelli in costume. (Scriverlo come se non fosse un acronimo, quindi con solo l’iniziale in maiuscolo anziché tutte le lettere, è un’usanza del Nordic Larp, quindi in conformità con il principio di autonimia seguirò la stessa convenzione quando parlerò della cultura di gioco, anche se scriverò LARP quando mi riferirò all’attività del ruolare dal vivo.) Il Nordic Larp ruota attorno all’idea che lo scopo principale di un gioco di ruolo sia l’immersione in un’esperienza; in genere quella di un personaggio specifico, ma a volte in un’esperienza di altro tipo in cui giocatore e personaggio non sono nettamente distinti: il gruppo sperimentale Jeep spesso usa giochi astratti per influenzare direttamente il giocatore. Maggiore è il “bleed” che si riesce a creare tra un giocatore e il ruolo che ha nel gioco, e meglio è. Spesso il Nordic Larp comprende delle lunghe “sessioni” (simili a escursioni di un fine settimana) seguite da lunghi debrief in cui ognuno processa l’esperienza che ha avuto attraverso il suo personaggio. Inserire il personaggio all’interno di una storia più grande può essere un modo di produrre esperienze vivide e coinvolgenti, ma non è necessario e potrebbe perfino essere d’intralcio (specialmente se fatto male). I giocatori del Nordic Larp enfatizzano gli aspetti collaborativi, ma guardando più in profondità si vede che si tratta di un rifiuto dell’idea Trad di un singolo DM-autore che crea l’esperienza, e la collaborazione serve a migliorare l’immersione unificando maggiormente l’agency del giocatore e del personaggio. Penso che il termine LARP faccia venire in mente immagini di gente che fa cosplay fantasy, e a volte ci sono elementi del genere in certi giochi di Nordic Larp, ma in realtà credo che la tendenza sia stata quella di allontanarsi dai giochi del fantastico in favore di scenari e situazioni più vicini alla vita reale, dato che ciò permette di incorporare l’architettura moderna, la tecnologia e altri dettagli per facilitare l’immersione. La prima pubblicazione importante riguardo il Nordic Larp di cui sono a conoscenza è il molto timido Manifesto of the Turku School di Mike Pohjola nel 2000, e credo che la comunità originaria abbia dialogato con quella di The Forge, benché avessero ideali di gioco molto differenti. Da lì al 2005 si sono avuti gruppi come Jeep che hanno sviluppato queste idee, e nel 2010 la pubblicazione del libro Nordic Larp. Oggi c’è anche una wiki e un sito web ufficiale. Il Nordic Larp è la parte del gioco di ruolo che sembra beneficiare della quota maggiore di fondi per lo studio accademico. Non so bene perché, ma sospetto che abbia qualcosa a che fare con l’interesse a mercificare i concetti del LARP per creare esperienze immersive di intrattenimento per turisti nei mega-resort delle nazioni del Consiglio di Cooperazione del Golfo. Non linkerò qui nessun individuo specifico connesso al Nordic Larp che lavora laggiù, per non rischiare di infangarlo, ma esistono (per favore, non attaccate nessuno nemmeno nei commenti). 4 - Story Game Di nuovo un autonimo. La maggior parte di coloro a cui non piacciono li chiama con termini come “giochi forgiti” o “giochi indie post-Forgia”, riferendosi al forum di GdR indie the Forge. Anche “GdR Indie” è stata una denominazione utilizzata, a un certo punto, ma non credo che fosse particolarmente azzeccata o edificante, ed evidentemente non lo credevano neanche gli aderenti a questa cultura, visto che l’hanno perlopiù abbandonata. Ecco un post di Across the Table che discute l’origine del termine “story game”. Il Big Model è notoriamente ostico da comprendere e la teoria post-forgita contiene un sacco di idee con cui sono in forte disaccordo, ma credo che un’onesta descrizione della loro posizione, che non usi la loro stessa terminologia, sia che l’esperienza di gioco ideale è quella che minimizza la dissonanza ludonarrativa. Un buon gioco ha una forte consonanza tra i desideri di chi lo gioca, le regole, e le dinamiche derivanti dalla loro interazione. Insieme, queste cose permettono alle persone di realizzare i loro desideri, quali che siano. Va evitata l’incoerenza (“incoherence”) perché da luogo a “zilch play” o “brain damage”, come lo ha chiamato Ron Edwards una volta. La comunità degli Story Game, va detto in suo favore, è disposta a essere molto radicale in termini di tecniche che realizzano questo scopo: sia le meccaniche che lo sviluppo di impostazioni (gli story gamers le chiamano spesso “Intenti Creativi” ovvero “Creative Agendas”) come il “narrativismo” hanno lo scopo di produrre consonanza ed evitare dissonanza su tutti i livelli che si possono prefigurare. Gli Story Game nascono con Ron Edwards nel 1999, quando scrive Il Sistema Conta e crea The Forge. Da lì al 2004 si hanno il Provisional Glossary e il Big Model, e un milione di discussioni su Internet in merito a cosa è o non è “narrativista”, a quanto brain damage stanno causando i GdR, eccetera. I forum veri e propri degli Story Game sono fondati nel 2006 come successori di The Forge. Nell’ultimo decennio il grosso dello sviluppo degli Story Game tende a orientarsi intorno ai sistemi Powered by the Apocalypse, basati su Apocalypse World di Vincent Baker. Se volete un grande esempio di qualcuno che applica le norme culturali degli Story Game ad un gioco che è stato scritto per essere giocato nel modo Trad, The Sacrament of Death di Eero Tuovien descrive le sue esperienze nel fare esattamente questo. 5 - OSR (“Old School Renaissance / Revival”) Sì, appare così tardi, nell’ordine cronologico. E sì, l’OSR non è il gioco Classico: è una reinvenzione romantica, non una catena di tradizione ininterrotta. L’OSR attinge al gioco basato sulla sfida, tipico della proto-cultura di D&D, e lo combina con un interesse all’agency dei PG, in particolare nella forma della capacità decisionale. L’obiettivo è un gioco dove le decisioni dei PG, specialmente quelle diegetiche, fanno da traino. Penso che lo possiate vedere in forma molto chiara nei consigli che ha dato Chris McDowall, sul suo blog, su come condurre Into the Odd ed Electric Bastionland. Un’osservazione importante che vorrei fare è la distinzione tra la sfida progressiva della cultura Classica e la sfida più variabile dell’OSR. L’OSR perlopiù non bada a cose come l’“equità” nel contesto dell’“equilibrio di gioco” (mentre Gygax lo faceva). La variabilità dell’agency dei giocatori attraverso una serie di decisioni è molto più interessante, per la maggior parte degli aderenti all’OSR, di quanto non lo sia per gli aderenti al Classico. L’OSR rifiuta espressamente la mediazione di autorità svolta da una struttura di regole preesistente, incoraggiando invece le interazioni diegetiche attraverso ciò che S. John Ross chiamerebbe “ephemeral resources” e “invisible rulebooks”, e che l’OSR chiama rispettivamente “giocare il mondo” (“playing the world”) e “abilità del giocatore” (“player skill”). Essenzialmente, se non si è vincolati dalle regole si può giocare con uno spazio di risorse più ampio, che può contribuire a inquadrare le sfumature dell’agency dei PG in modi potenzialmente molto precisi e dotati di grande finezza; questo permette di far fronteggiare ai giocatori una maggiore varietà di sfide da superare. Potrei scrivere un intero post solo sulle funzioni delle tabelle casuali, comunque si legano al punto della variabilità dell’agency: introducono sorprese e imprevedibilità, assicurando che l’agency cambi nel tempo. Tendo a far risalire l’inizio dell’OSR a poco dopo la pubblicazione di OSRIC (2006), che ha spalancato le porte alla possibilità di usare l’OGL per ripubblicare le meccaniche del vecchio D&D pre-3.x. Con questa nuova opzione, ci sono state persone che hanno solo voluto far rivivere AD&D 1e, e altre che invece hanno voluto usare i vecchi set di regole come piattaforma di lancio per le loro nuove creazioni. Nel 2007 c’è stato Labyrinth Lord, e la valanga è seguita in breve tempo. Gli esordi dell’OSR hanno avuto da Grognardia una visione ricostruita del passato rispetto a cui posizionarsi come eredi. Ci sono stati anche notevoli sviluppi intellettuali come i “diagrammi di Melan” per i dungeon e i pointcrawl di Chris Kutalik. Direi che tra il 2006 e, più o meno, il 2012 l’OSR ha organizzato le sue norme in un corpo di idee relativamente coerente sul modo di giocare considerato appropriato. 6 - OC / Neo-trad Questo è l’unico termine che non è pienamente autonimo, sebbene sia possibile aggiungere “OC” ad un post di ricerca per giocare online e reclutare così in modo ripetibile persone di questa cultura, quindi ci siamo abbastanza vicini. La chiamo anche Neo-trad, innanzitutto perché condivide molte delle norme della cultura Trad, e in secondo luogo perché penso che chi appartiene a questa cultura si creda parte del Trad. Talvolta potrete veder chiamare questo stile anche “moderno” (“the modern style”), in contrapposizione all’OSR. Ecco un esempio di qualcuno che lo chiama Neo-trad ed elabora una visione pura di questi stile (benché io non sia d’accordo con la lista di giochi che fornisce come esempi di Neo-trad alla fine dell’articolo). Su Reddit, l’OC è spesso chiamato “moderno”, in espressioni come “il modo moderno di giocare” o “i giochi moderni”. L’OC, di base, concorda con il Trad che lo scopo del gioco sia di raccontare una storia, ma riduce l’autorità del DM come creatore di quella storia ed esalta il ruolo dei giocatori come contributori e creatori. Il DM diventa un curatore e facilitatore che lavora principalmente con materiale fatto da altri: in pratica, gli autori/editori e i giocatori. La cultura OC ha un concetto diverso di cosa sia una “storia”: si focalizza sulle aspirazioni e gli interessi dei giocatori, e nella loro realizzazione come miglior modo di farli “divertire”. Il focus sul realizzare le aspirazioni dei giocatori è ciò che permette al mago di 20° livello, che lancia sciame di meteore per annichilire un nemico, e alla gente che usa D&D 5e per giocare a gestire il proprio ristorante, di coesistere nella stessa cultura comune. Questa cultura è chiamata talvolta, in modo dispregiativo, “Tirannia del Divertimento” (“Tyranny of Fun”, un termine coniato dall’OSR) a causa del suo concentrarsi sulla gratificazione immediata, rispetto ad altri stili di gioco. Il termine “OC” sta per “Personaggio Originale” (“Original Character”) e viene dal gioco di ruolo fandom online in forma libera (“freeform”) che era popolare su piattaforme come Livejournal nei primi anni 2000. OC è quando inserisci un personaggio originale in un gioco di ruolo ambientato nell’universo di Harry Potter, invece che giocare come Harold the Cop in persona. Nonostante fossero in forma libera, ciò senza tiri di dado né Dungeon Master, questi giochi avevano spesso estesi complessi di regole in merito a quali affermazioni si potessero introdurre nella giocata, con giocatori che si appellavano a tali regole l’uno contro l’altro per risolvere le dispute. Per le generazioni più giovani di giocatori di ruolo, giochi di questo tipo sono stati spesso il canale che li ha introdotti all’hobby. Penso che il GdR OC sia emerso durante l’era 3.x (2000-2008), probabilmente con la crescita di Living Greyhawk Core Adventures, e dell’apparato del gioco organizzato e più in generale del gioco online con estranei. Il gioco organizzato ha finito per ridurre il potere del DM in favore dell’autorità dei testi di regole, degli editori, degli amministratori e, assolutamente, dei giocatori. Dal momento che i DM possono cambiare da un’avventura all’altra mentre i personaggi giocanti rimangono, questi ultimi diventano più importanti, con le regole standard che garantiscono la compatibilità attraverso le diverse giocate. La discrezionalità e inventiva del DM diventano un ostacolo a questa intercompatibilità, quindi vengono svalutate. È da qui che proviene l’enfasi su “RAW” e sull’usare solo materiale ufficiale (ma anche l’idea che se qualcosa è pubblicato dovrebbe essere disponibile al tavolo): sono cose che erodono il potere del DM e trasferiscono quel potere nelle mani dei PG. Queste norme sono state rinforzate e diffuse dai forum di “ottimizzazione del personaggio”, che si affidavano solamente al testo e criticavano formalmente il “DM fiat”, e dai character builder ufficiali di D&D e di altri giochi. I moduli, che limitano in modo importante la discrezione del DM per fornire un set costante di condizioni ai giocatori, sono un altro importante elemento a sostegno di questo stile. Lo stile OC è reso, inoltre, particolarmente popolare dai giochi in streaming online come Critical Role, dato che, se fatto bene, tende a produrre giocate abbastanza facili da guardare come se fossero show televisivi. I personaggi di queste serie diventano figure di ispirazione con cui la fanbase sviluppa un rapporto para-sociale ("parasocial interaction"), e al cui fianco esulta quando realizzano il proprio “arco”. Niente quiz né etichette Quando ho presentato per la prima volta queste categorie su un forum, qualcuno scherzando ha detto che avrei dovuto creare un quiz che permettesse alle persone di determinare a quale cultura tra queste appartengono, ma preferisco di no. Sinceramente, penso che la maggior parte dei singoli giocatori o gruppi siano un amalgama di culture, che si realizza in uno stile individuale. Le culture di gioco sono più simili a paradigmi: hanno il loro punto di coesione nei valori e nell’idea di cosa potrebbe costituire un “gioco ideale” (più formalmente, condividono teloi di gioco). Essere parte di una cultura di gioco è, in un certo senso, la capacità di riconoscere quando qualcun altro sta giocando in accordo con un set di valori che avete in comune. Il mio scopo principale nella tassonomia qui esposta è aiutare le persone a capire meglio che esistono diversi paradigmi di gioco, che considerano positive cose diverse, benché possano essere combinati insieme (con una varietà di risultati divertenti) in situazioni concrete. Dubito che questa lista sia esaustiva, e probabimente ci sono culture che ho trascurato, nonché altre che devono ancora emergere. Lo scopo della lista è soprattutto di illustrare brevemente che ci sono molti diversi valori di gioco, e di discutere la logica che anima alcuni tra i più conosciuti. L’intento originario di questa trattazione era parlare del gioco di ruolo OC, perché penso che sia quello meno analizzato in genere, e che molte analisi siano relativamente dispregiative (tra cui la “tirannia del divertimento”, vedi sopra). Inoltre tende ad esserci un sacco di confusione tra persone che operano nel paradigma OC e in quello Trad, dato che spesso usano gli stessi termini per riferirsi a cosa molto diverse. In aggiunta, senza voler essere antipatico, il gioco di ruolo OC tende ad essere il paradigma di default dei nuovi giocatori che si avvicinano all’hobby attraverso lo streaming, di conseguenza contiene la più ampia quota di persone inesperte e inconsapevoli della storia del GdR. Spero che articolare i loro valori mettendoli in relazione con il quadro più grande li incoraggi a sviluppare la cultura OC in modi interessanti e robusti, allontanandosi al contempo da un’arrogante pretesa di universalità della loro visione. Spero anche che questa tassonomia aiuti le persone a valutare le differenze tra le culture e gli stili e ad orientarsi tra di esse, anziché mettersi ripetutamente in vicoli ciechi ogni volta che salta fuori che le assunzioni di base sul gioco che uno sta utilizzando semplicemente non sono condivise dai suoi interlocutori. Sfortunatamente non posso rispondere ai commenti sul blog direttamente, quindi se qualcuno lascerà commenti o domande su questa tassonomia le collezionerò e risponderò con un altro post. Link all'articolo originale: https://retiredadventurer.blogspot.com/2021/04/six-cultures-of-play.html
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Un primo sguardo a Mordenkainen Presents: Monsters of the Multiverse
La cosa divertente è che, in altri contesti, sono i cultori del D&D Vecchia Scuola, il "vero" D&D delle origini, a esaltare come un valore il fatto che il gioco incentivi a trovare strade alternative al combattimento, e che questo rimanga perlopiù un'ultima risorsa. 🙂
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Ambientazione "elementale"
Per fulmine sono d'accordo con quello che hanno detto tutti, la cosa più a tema sarebbe una civiltà basata su tecnologia, innovazione, costrutti, alchimia, magari armi da fuoco. Se questa roba vagamente "steampunk" ti stona troppo, considera invece una civiltà barbarica di stampo pseudo-vichingo: il "dio del fulmine" a capo del pantheon, le tempeste marittime, le scorrerie mordi-e-fuggi. Per ghiaccio quoto @Thaeris in toto: mi piace l'idea di una società molto tradizionalista e conservatrice. Magari potresti aggiungere che la cultura scoraggia qualsiasi espressione emotiva (insomma, incoraggia la... "freddezza"). Per tuono puoi usare la cultura pseudo-vichinga che dicevo sopra (in effetti ci sono molti punti di contatto ineludibili tra tuono e fulmine), ma ti faccio un'altra proposta: una cultura estremamente estroversa. Naturalmente va bene incorporare il suono in sé (grande diffusione della musica, tamburi, segnali sonori eccetera), ma mi è sembrato che per tutti gli altri elementi tu cercassi di interpretare il concetto in modo più filosofico che letterale. Direi che il suono richiama il farsi notare, la vivacità, il clamore. Immagino una società in cui c'è pochissima riservatezza, ogni cosa è esposta, gli abiti sono appariscenti, si dicono le cose apertamente senza freni, eccetera. Dal punto di vista politico può essere molto caotica, soggetta a continui rovesci e mutamenti; magari addirittura con grandi agorà popolari e discussioni pubbliche su ogni cosa.
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Posti liberi in campagna lunga sperimentale, difficile
Ciao, secondo me, molto poco 5.0 😅... ma dipende da quali elementi si ritengono caratteristici dell'edizione potenzialmente Scrivimi pure in privato per saperne di più, così ti mando anche il contatto Discord. Grazie!
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Reclutamento 'apprendisti' D&D
Ciao, qualche anno fa ho provato a fare esattamente questo: un'avventura di D&D con giocatori tutti assolutamente novizi. C'è da dire che era un'avventura di più sessioni (3 o 4, non ricordo), non una one-shot. Ma c'è anche da dire che usavo un regolamento mio personale, decisamente più complicato di D&D 5e da molti punti di vista. L'approccio che ho deciso di usare è stato questo: personaggi pregenerati da me (con qualche indicazione di massima da parte loro, se volevano), e assolutamente nessuna spiegazione sulle regole, abbiamo iniziato direttamente a giocare, dopo una breve chiacchierata conoscitiva per rompere il ghiaccio. Ho spiegato le regole piano piano, man mano che venivano usate, e sempre in modo molto essenziale. E' andata così bene che dopo quell'avventura hanno voluto andare avanti e ne è nata una campagna lunga che continua tuttora. Mi sento di raccomandare questo approccio con tutto il cuore. Seconda cosa. Mi è capitato di recente di partecipare, come giocatore, a un'avventura autoconclusiva (quella, sì, one-shot, di poche ore) con due giocatori totalmente novizi; mi hanno chiesto di fare da "tappabuchi" e ho accettato molto volentieri perché ero curioso di vedere come andava. Un giorno la racconterò sul mio blog, perché è stata molto istruttiva. In breve: i primi 40 - 45 minuti li abbiamo passati con il master che introduceva i nostri PG uno alla volta e ci faceva "ruolare" delle scenette tra di noi, che "giustificassero" la nostra collaborazione e presenza sulla scena. Nel seguito, a brevi scene in cui si agiva (tutte scene a senso unico, railroad molto deciso, ma questo è il male minore, in una one-shot introduttiva ci può anche stare) si sono alternate scene molto lunghe con il master che interpretava compiaciuto i vari PNG (dando prova di notevoli doti attoriali, questo gli va concesso) ed esortava anche noi a fare altrettanto. Morale: non sono ancora riuscito a parlare con i due nuovi che sono stati introdotti quella volta (mi piacerebbe molto, ma ho perso i contatti); ma penso che si siano fatti l'idea che l'essenza di D&D, il pilastro portante, sia tutto quell'intrattenersi a vicenda "recitando" in-character, facendo le voci, gesticolando, riscuotendo approvazione dagli altri per la propria performance teatrale. E poi ci siano anche dei dadi e dei numeri in qualche caso, quando proprio ci vuole, come aggiunta. Siccome io sono convinto che l'essenza e pilastro portante di D&D sia invece prendere delle decisioni significative e affrontarne le conseguenze, la mia raccomandazione fortissima sarebbe: non farti tentare da un'avventura piena di "trama" e di PNG interessanti e di relazioni sociali; usa un dungeon. Il dungeon è l'ambiente nativo di D&D, è il suo elemento, è pieno di decisioni da prendere, mette tutto nelle mani dei giocatori. E, per l'amor di Pelor, inizia con i PG che sono già insieme e già sulla porta del dungeon. Fai tre o quattro righe di discorso introduttivo per giustificare la loro presenza e dar loro un obiettivo da raggiungere (dentro il dungeon), quindi passa all'azione. In bocca al lupo!
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Elezioni in Città - come coinvolgere i PG
Mi sembra un'ottima idea