Zandher, Mago (Archivista)
Sono da mesi alla ricerca del Kendra Gemello da qualche parte nello sconfinato nord, ed ora eccomi qui, tra desolazione, umidità e freddo.
Tanto freddo. ‘Non mi ci abituerò mai’, penso mentre mi riassetto il camicione di flanella spessa, che riscaldo di tanto in tanto con un “mio sistema”.
Estraggo da una tasca interna del mantello i miei carteggi.
Ho annotato tutto: dal numero dei miei passi, alla composizione del terreno, alle evoluzioni degli stormi in volo.
Ogni anomalia è stata trascritta e oggetto di indagine, con tanto di equazioni a margine, che solo un Magus riuscirebbe ad interpretare.
Ma finalmente un’anomalia interessante…
Dapprima un tizio esce da un tugurio a passo svelto, guardando sottecchi di tanto in tanto, come per assicurarsi che nessuno lo stesse seguendo, e farfugliando nervosamente parole apparentemente senza senso.
Le ripete ancora ed ancora, come per non dimenticarle, mentre fila via ad un palmo dal mio naso.
Riesco a contargli le gocce che gli imperlano la fronte, mentre lui non mi vede nemmeno, ovviamente.
Viaggiare sotto invisibilità ha molti aspetti divertenti.
Sono tentato di seguirlo, se la mia attenzione non ricadesse su un uomo sulla quarantina, con al seguito una ragazzina dall’aspetto che definirei “fuori contesto”.
Li vedo uscire dallo stesso tugurio, per poi irrompere nel vecchio faro abbandonato: L’Occhio degli Antichi.
Interessante.
Li seguo, ma facendo il giro largo.
Costeggio la parete del faro, quella controvento. Minimizzo il rischio che arrivino a loro, suoni e odori da parte mia.
È solo logica, non paranoia: se ho più opzioni, perché non scegliere quella migliore?
La stanza in cui si trovano è un ottima cassa di risonanza, mentre la pietra del muro su cui è incollato il mio orecchio conduce egregiamente ogni loro vibrazione al mio udito: il “crack” di lui, le parole che si scambiano, e tutto il resto.
Mi accarezzo la barba; ancora più interessante!
“Lo sguardo si trova sotto all'Occhio, non sopra…”, lo rimbrotta lei come una mammina al figlio pasticcione.
Prendo appunti mentali: no, non possono essere pericolosi.
È arrivato il momento di far cadere il velo di invisibilità, e che mi presenti.
«Toc, toc», dico a voce, poiché la porta era già ben aperta.
«Mi chiamo Zandher, sono un tipo tranquillo, e spero che il vostro amico arrivi ad “Atlantis” sano e salvo… Perché quello che dovrà dire a Jhavis, cambiava leggermente ogni volta che se lo ripeteva tra sé e sé…»
I due mi fissano, poi si guardano l’un l’altro, e poi mi fissano ancora con una faccia che è tutta una programma.
«Forse avete bisogno di questo», tiro fuori dalla tasca un grosso sasso, raccolto a “titolo precauzionale”.
Il sasso emana una luce biancoazzurra che finalmente rischiara i miei lineamenti, dapprima stagliati loscamente in controluce sull’uscio.
Adesso il mio sorriso bonario gli è del tutto evidente… o forse no?
La luce lampeggia solo per un attimo per poi spegnersi miseramente.
«Beh, è il bello della magia», aggiungo frettolosamente, senza tradire un certo imbarazzo.
L’idea era quella di lanciare il sasso nella botola, per illuminarne il disotto. Ma forse è meglio lasciarlo cadere ai miei piedi: non vorrei che mi vedessero come un matto, perdipiù con un oggetto contundente in mano…
«Ve l’ho già detto che sono un tipo tranquillo?», cerco almeno di buttarla in ironia…