@Voignar Darius Whitesand Suor Margaret alza lo sguardo dal libro di preghiere che stava sistemando sull’altare. Ti osserva con quell’aria severa che sembra quasi leggere dentro, poi accenna un lieve sorriso. «È una domanda insolita, Darius...» Si avvicina lentamente, le mani intrecciate sul rosario. Le vetrate colorate proiettano riflessi rossi e verdi sul suo velo bianco. «Hai ragione: in Europa, per secoli, la Chiesa ha combattuto ogni traccia di superstizione, di fiaba, di mito. Non era solo per un capriccio d’autorità… ma perché certe storie, dietro la maschera di leggende, contenevano frammenti di verità pericolose. Più di una volta quelle fiabe si sono rivelate il modo in cui la gente comune tentava di dare forma a qualcosa che non riusciva a spiegarsi.» Fa una pausa, la voce bassa, quasi confidenziale. «E non si trattava sempre di fantasia. A volte… le ombre si muovevano davvero. E allora la Chiesa non si limitava a bruciare libri o a zittire i racconti. Si ricorreva all’esorcismo, alla reclusione, perfino al sigillo. Ci sono cronache… anche qui in America… di vescovi che ordinarono di murare cripte intere, perché si diceva che spiriti o demoni si agitassero all’interno. Non tutte queste storie hanno lasciato prove concrete, ma… l’eco resta.» Ti guarda intensamente, come a voler sottolineare il peso di ciò che sta dicendo. «La giovane America non fu da meno, sai? I puritani, i coloni… non erano immuni a certi timori. Pensiamo ai processi di Salem. Ma oltre alle streghe, oltre alle isterie collettive, ci sono stati anche sacerdoti che hanno parlato di presenze oscure legate alla terra stessa, vincoli che venivano tramandati da un secolo all’altro. In certi casi… la Chiesa ha scelto il silenzio, limitandosi a custodire.» Abbassa appena lo sguardo, sistemando il velo sul capo. «Se hai letto storie di fate innamorate degli uomini, di spiriti che legano a sé i mortali, non ti stupire. Sono allegorie. Metafore, forse. Ma le radici… le radici spesso affondano più in profondità di quanto sembri. È meglio non scavarle troppo, se non si è pronti a ciò che si può trovare.» Poi ti indica una panca vicina, con un gesto gentile. «Vieni, siediti. Dimmi… perché questo improvviso interesse per i demoni, per le favole oscure? Hai letto qualcosa in particolare?» @SNESferatu Ana Rivero Eliza porta una mano al mento e rimane un attimo a rimuginare, gli occhi socchiusi. «Mh… potremmo dire che cercavamo dei documenti… o che avevamo bisogno di…» Si interrompe, si gratta la fronte con aria pensierosa e poi lascia andare una risatina ironica. «No, ok, non mi viene in mente niente che non suoni come una balla patetica. Meglio non farsi beccare, allora.» Nelle sue pupille brilla un lampo eccitato, un brivido che non ha nulla a che fare con la paura: sembra quasi divertirsi all’idea del rischio. Ti guarda un istante con quel suo mezzo sorriso tagliente. «Sarà più bello così, no?» Mentre parlate, la mensa comincia lentamente a svuotarsi: vassoi che sbattono, sedie che stridono sul pavimento, gruppetti di studenti che si trascinano fuori chiacchierando a voce alta. L’atmosfera si fa più rarefatta, e il vociare confuso della folla lascia spazio a un brusio più leggero. Eliza segue con lo sguardo un gruppetto che esce dalla porta, poi torna su di te. Si china leggermente in avanti, quasi a voler condividere un segreto. Il suo profumo ti travolge con prepotenza. «Allora, come la facciamo? Andiamo subito, rischiando di incrociare ancora un po’ di gente… oppure aspettiamo che siano tutti chiusi in aula, così abbiamo più campo libero?» Ti lancia un’occhiata complice, come se stesse già pregustando il momento. @Theraimbownerd Orion Kykero La mensa si sta lentamente svuotando, lo scrosciare dei vassoi restituiti e lo stridio delle sedie trascinate riempiono l’aria. Il brusio di fondo si attenua, lasciando lo spazio a conversazioni isolate. Juno resta un attimo in silenzio, con quell’aria da muso lungo che ormai conosci bene: la tua “scusa” non l’ha convinta del tutto. Poi, però, alla tua risposta i suoi occhi si illuminano e un sorrisetto soddisfatto le curva le labbra. «Ok allora! Vedo di organizzare io la cosa. Tanto io e Tyler oggi abbiamo due ore buche nel pomeriggio, ci saremmo già dovuti incontrare in aula studio… vedrò di parlargli e buttare lì la proposta. Poi vi aggiorno.» Diana, che nel frattempo aveva incrociato le braccia con aria severa, scuote la testa e sospira. «Juno… solo una cosa: discrezione. Tyler è un gran figaccione, sì, ma è anche troppo buono. Non approverebbe mai se sospettasse che dietro ci sono altri intenti...» Juno sbuffa platealmente, alzando gli occhi al cielo come a dire “uff, non vi fidate mai di me”. «Sì, sì, tranquilla. Sarò discreta, ok? Fidatevi di me.» Lo dice con tono quasi offeso, ma l’entusiasmo che le vibra addosso è innegabile. Il tempo di uno scambio di sguardi complice tra voi tre e vi rendete conto che è ormai l’ora di avviarsi verso le lezioni pomeridiane. La mensa, ormai quasi vuota, lascia dietro di sé solo il rumore lontano dei bidelli che sparecchiano. @Ghal Maraz Nathan Clark Kathlyn ti ascolta in silenzio, senza mai distogliere i suoi grandi occhi azzurri da te. Non accenna nemmeno a muoversi mentre racconti, come se ogni parola fosse una corda che la lega più forte al tuo racconto. E quando concludi con quell’avvertimento scherzoso, invece di ridere, si avvicina ancora di più. Con un gesto lento ti porta entrambe le mani attorno al collo, il tocco è caldo e sicuro. Una delle sue dita sposta una ciocca ribelle dei tuoi capelli, lasciandola cadere di lato. «Il matto è misterioso, Nathan Clark…» mormora con un sorrisetto, e prima che tu possa reagire le sue labbra sono sulle tue. Il bacio è intenso, appassionato, ma non solo: c’è una nuova vibrazione, più profonda, perché ora che ti sei aperto con lei, c’è qualcosa di diverso, quasi un trasporto reciproco che va oltre la semplice attrazione. Quando si stacca, ti guarda ancora sorridendo: «Mi piacciono i ragazzi… strani… e non noiosi!» Poi ti cattura ancora per un altro bacio, breve ma pieno di elettricità. Proprio allora, dall’istituto si alza il suono della campanella: cinque minuti prima delle lezioni pomeridiane. Kathlyn sbuffa, sollevando appena gli occhi al cielo. «Uff… pausa già finita… avrei voluto durasse di più!» dice con un’aria un po’ dispiaciuta, ma ancora divertita. @TheBaddus Scarlett Bloomblight Quando richiami Tanaka, lui si volta di scatto. Ti osserva un istante con quell’aria da duro che sembra non abbandonarlo mai, anche se sai bene che poco fa hai spezzato qualcosa dentro di lui. Rimugina un secondo, poi si schiarisce la voce e ritrova la sua solita sicurezza. «Tranquilla… mi inventerò qualcosa io.» Le sue parole escono con un tono leggermente più basso del solito. Ti fissa ancora un istante, e quello sguardo ti colpisce più di quanto vorresti ammettere: un mix perverso di desiderio e disprezzo, come se le tue emozioni si fossero riversate fuori da te e lo avessero toccato, contagiato. Poi si gira e si allontana, lasciandoti sola col battito accelerato. Quando finalmente raggiungi il bagno delle ragazze, la tensione che ti divora si scioglie tutta insieme. Ti chiudi nello stallo più isolato, ti lasci cadere sul gabinetto e ti abbandoni alla lussuria che ti ha travolto. È più forte di tutto quello che hai mai provato, quasi al pari del piacere febbrile del sogno di stanotte. Ti ritrovi a rimpiangere di non esserti lasciata andare lì, in mensa, davanti a lui, proprio mentre lo tenevi in pugno. La manica della felpa fra i denti attutisce i tuoi suoni, ma qualche mugolio inevitabilmente ti sfugge. Ed è in quel momento, all’apice del piacere, che il gelo ti attraversa la schiena: lo sciacquone parte da qualche stallo più in là, seguito da un risolino trattenuto. Un attimo dopo senti lo scricchiolio di una porta che si apre, l’acqua del lavandino che scorre, e poi il rumore secco della porta principale che sbatte, lasciandoti sola. Ora la toilette è deserta. Solo tu, il tuo respiro affannato e il silenzio sospeso che pesa come un macigno.