Khalya, paladina di Yvet Lorne
Ricordo vagamente le lacrime amare a cui mi sono abbandonata sotto le coperte, prima di crollare.
Ma è dolce il balsamo delle fede, che lenisce le ferite dell’anima nei modi più inaspettati.
Una luce diversa si gettava sui miei sogni inquieti, dandomi nuova pace, nuove consapevolezze.
Qualcosa in me stava cambiando, ed ora mi ritrovo sorridente mentre mi sveglia il gorgheggio di un uccellino.
Un pettirosso più esattamente, determino schiudendo gli occhi.
Ci osserva inclinando il suo capino, incuriosito dall'insolito spettacolo: un unicorno e una serva di Lorne che condividono lo stesso “nido”.
Chissà, forse è lo stesso pettirosso di ieri, quando ho pregato al fiume Argento.
Vola via portando con sé i miei pensieri, in direzione dell’Accademia.
Non posso non sperare che non siano stati troppo duri con Daleor…
L’unicorno mi guarda con i suoi occhioni innocenti. Chissà quale siano i suoi di pensieri invece.
Ma è ora di abbandonare il calduccio, prima che quel sonnecchiante quartiere bene di Castelfranco, torni alle attività quotidiane, magari ficcando il naso in quel rifugio appartato. Anzi, già sgambettano i primi garzoni, affaccendati nelle loro consegne, e si sentono anche le voci rincorrersi sull’incendio alla magione del marchese.
È probabile che la trascorsa tormenta di acqua e ghiaccio ne abbia placato le fiamme.
Di certo non si placheranno le polemiche, che insieme all’eccitazione per il torneo, offriranno discussioni su discussioni a tutta la città.
Strofino il muso dell’unicorno. Sento crescere la nostra affinità. Non saprei fin dove mi sto rivolgendo al suo spirito, o all’elfo che gli permette di manifestarsi, ma per adesso non importa.
«Lo so Will: anche io vorrei distruggere le pietre…»
«E credo che così accadrà. Ma sono armi del nemico che raramente cadono nelle nostre mani. Adesso abbiamo una possibilità che ieri non c’era: il giudizio della donna più saggia che conosca. E che ti farò conoscere», aggiungo grattandogli dietro le orecchie.
Non mi sembra di averlo convinto. Tuttavia le ultime parole di Daleor sono state agghiaccianti: se anche distruggessi le pietre, in qualche modo ritornerebbero, e forse in mani ancora più pericolose.
Rovistando nel tesoro di Mellario, afferro un paio di grosse caraffe d’oro e gemme.
Di pessimo gusto, probabilmente utilizzate a scopo rituale, ma serviranno allo scopo.
Facendomi guidare da un istinto nuovo, guadagno l’uscita dal vicolo, e con lei, la luce piena del sole, che riesco quasi ad assorbire respirandola a pieni polmoni.
Riempio le caraffe ad una delle tante fontanelle, e le benedico.
‘Fa che quest’acqua sia purificatrice e radiante della tua stessa santità, Madre mia.’
Mi sembra che la sua superficie sussulti leggermente, per poi acquietarsi.
In una caraffa metto le due gemme, con la speranza che l’acqua ne schermi le loro nefaste radiazioni.
Nell’altra metto la mano avvizzita del Magister, sperando che col tempo riacquisti miracolosamente quegli umori vitali, prosciugatigli avidamente dall’artefatto.
Lasciando il carretto in fondo alla titanica scala, arriviamo finalmente a “casa”.
Le consorelle a guardia del Capitolo, mi accolgono dritte ed impettite col saluto dell’ordine.
«Di buon grado», si lascia scappare quella a destra, che abbandonata la compostezza militare, si precipita in un abbraccio.
Erano preoccupate per il mio mancato rientro, e per chissà quali voci circolate dopo gli eventi di ieri.
«Ecco, così va meglio», continua dandomi una ripulita con la sua stola di lino.
«Il Capitano ti aspetta…»
Quelle parole cedono allo stupore di capire che ciò che mi seguiva docilmente, non è un normale cavallo.
«Fedele amico», rivolgendomi a Will «adesso non posso portarti con me, ma ti lascio in buona compagnia. Cercherò di far presto»
Le due si guardano con occhi spalancati, come a sottintendere “l’unicorno capisce cosa gli ha detto?»
Attraverso il salone principale, il cui tappeto è cosparso da petali freschi di rose di stagione, dunque bianche in quella invernale.
«Grazie care», dico alla consorelle che mi hanno aiutato con il sacco e le caraffe.
Do loro indicazioni affinché qualcuno riporti il carretto dove lo avevo requisito.
«Il Capitano è in preghiera con le altre, ma ti raggiungerà presto», mi rassicura una di loro, prima di tornare alle sue mansioni.
Nel mentre, verso in due lunghi calici di cristallo l’acqua sacra, facendo scivolare con un “tick” nell’uno e nell’altro, le due gemme.
Adesso si possono osservare distintamente.
Dai beni sequestrati al marchese recupero un mortaio con il suo pestello, e lo metto sulla consolle, in minacciosa prossimità dei due calici.
«Khalia!», mi sorprende una voce che ho imparato a conoscere ed amare.
Il Capitano Selunya attraversa la sala a grandi falcate, con una formazione disciplinata di consorelle al seguito.
Il suo sguardo si sposta interrogativo dai calici al sacco colmo di preziosi.
«Credo che tu abbia molte cose da raccontare, paladina.»
Selunya è una donna eccezionale, saggia ed incantevole. Apparentemente sui quaranta – seppur le leggende si sprechino sulla sua reale età – dall’aspetto austero, ma che tradisce di tanto in tanto un moto compassionevole. Incute imponenza e reverenza nella sua armatura pluridecorata, che quasi ne raddoppia la stazza, ma che tuttavia indossa con la levità del velo di una ninfa.
Capelli lunghissimi, fluenti e rossi – eccetto due vene argentee che partono dalle tempie – diffondono una fragranza sovrannaturale al suo passaggio, mentre i suoi occhi verdi e materni, riescono a cogliere e a comunicare senza bisogno di tante parole, sapendo alternare la giusta dose di dolcezza e rigore.
«Capitano», sollevandomi dalla semi-genuflessione (quella totale è dovuta solo ad Yvet Lorn e al dio della Luce).
«Devo innanzitutto sdebitarmi con un elfo che mi ha salvato la vita. Un elfo dai poteri eccezionali.»
Lei mi osserva come se avesse già capito tutto.
«È uno spirito generoso e libero, ora in forma di unicorno, e non credo che accetterebbe le catene dorate dell’Accademia. Attualmente è senza dimora, e temo che il suo dono possa essere sprecato se non lo tuteliamo in qualche modo.»
«Veniamo alle due gemme», arriva al dunque il Capitano, come se avesse tacitamente promesso che la questione dell’elfo verrà ripresa a tempo debito. Tanto mi basta.
«Sono due artefatti», riprendo afferrando e facendo tintinnare i calici «attraverso i quali il possessore stabilisce un contatto con delle entità maligne più o meno rilevanti. Queste ultime lo sfruttano per trarre grande potere, lasciandogli le briciole, e obnubilandolo con perniciose brame di potere.
La rossa apparteneva ad un Magister, e l’entità associata ad essa è un certo Ansell. Il Magister stesso lo definiva come un guerriero caduto secoli orsono.
La seconda, quella verde, è molto più potente ed apparteneva al marchese Adrien Mellario, le cui segrete erano infestate degli stessi simboli rituali scoperti al magazzino portuale. L’entità ad essa associata è un certo Sigvald.
So per certo che Ansell è sottoposto a Sigvald, per cui non oso immaginare quanto grande sia il potere di quest’ultimo.»
«Perché le hai portate qui?», replica Selunya con la risolutezza di chi è abituato a dare ordini.
«Capitano, il nostro è un nemico che gioca sporco. Noi ci muoviamo alla luce del sole, e tutti conoscono le nostre carte, le nostre mosse. Lui invece si nasconde in questo o quel personaggio insospettabile, intoccabile, e dalle tenebre trama per colpire dove e quando non ce lo aspettiamo. È una lotta impari.»
«E cosa pensi di fare allora?», aggiunge, non per farsi influenzare dalla mia idea, ma solo per il piacere di conoscerla.
«La mia è solo un’ipotesi. C’è la possibilità che studiando queste gemme e l’energia che sprigionano, possiamo imparare ad individuarla e capire dove e in chi cercare, senza andare più alla cieca. Ma mi rimetto alla sua saggezza Capitano: ad un suo ordine sarò io stessa ad “occuparmene”», concludo accennando significativamente al pestello e mortaio.
Il capitano riflette attentamente sulle mie parole…