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Albert Rosenfield

Circolo degli Antichi
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  1. @SilentWolf Il tuo punto circa la motivazione a positivo è interessante però è secondo me anche molto rischioso, perchè anche se sembra essere un discorso molto concreto in realtà rischia di far passare un ragionamento completamente astratto, passandolo per concreto. Certo, come tu dici, si può deliberatamente scegliere qualcosa al posto di qualcos'altro, perchè non c'è una scala di valori di riferimento oggettiva sul divertimento. Ma di solito chi fa notare le scelte a negativo per rimanere in un determinato sistema non contesta questo tipo di ragionamento, proprio perchè questo tipo di ragionamento è molto astratto, è un elemento marginale della questione. Il punto è che anche le scelte in campo ludico non nascono nell'iperuranico mondo delle idee dove concezioni astratte di gioco si confrontano senza attrito e senza storicità, invece si vive in un contesto molto ben specificato e determinato, di diffusione di giochi, di abitudini consolidate in generazioni di giocatori, di mercato ecc ecc La scelta di rimanere in un determinato campo a negativo è predominante perchè si parte da una situazione data, non da un confronto astratto tra sistemi di gioco. Ora muoversi da una situazione data verso una situazione diversa comporta sempre delle difficoltà. Mettiamo che io sono cresciuto in un paese dove si gioca a calcetto con il pallone cubico, con tutto quello che comporta in termini di regolamento, praticità e competenza giocare con un pallone cubico, me la spasso alla grande con quel pallone cubico. Poi per una ragione od un'altra entro in contatto con un'altra realtà (trasferimento, università, quel che vuoi) e mi invitano a giocare a calcio e con mio sommo sgomento il pallone è tondo. Il rimbalzo, le regole, la velocità di gioco sono tutte diverse. Posso trovarlo entusiasmante, ma anche frustrante, oppure mi può risultare indifferente. Non c'è una legge oggettiva per la mia reazione, come giustamente hai sottolineato tu, ma il punto è che l'elemento dirimente non è il confronto in astratto tra giocare col pallone tondo a giocare col pallone quadrato, quanto l'attrito concreto che c'è tra la mia abitudine a giocare col pallone quadrato e passare al pallone tondo. Il problema è nel passaggio e se questo lo portiamo al campo di un hobby, è chiaro che c'è un mondo con delle sue sedimentazioni, un suo mercato, una sua diffusione ben specifica e, non meno importanti, delle sue mitologie anche che determinano un tipo di aspettative e di fascinazioni. Il tutto è complicato ovviamente dalla natura sociale dell'hobby, dove tutto questo deve incastrarsi moltiplicato per un numero che raramente scende sotto i quattro individui, rendendo l'alchimia molto difficile, perchè se un gruppo ha sedimentato determinate radici, è ancora più difficile promuovere i passaggi da uno stato ad un altro. Con questo non voglio prendere posizione per una scelta e per l'altra, solamente sottolineare come secondo me il modo sbagliato per affrontare il problema sia il confronto astratto tra i sistemi, mentre uno più corretto sarebbe l'esame concreto delle esperienze di gioco.
  2. Per quel che è la mia esperienza, molto si riduce all'accordo tra i giocatori al tavolo. La domanda che abbiamo imparato a farci è "a che cosa vogliamo giocare?" piuttosto che "quali limiti ci pone questo particolare gioco?". Il problema dell'approccio per noi è diventato cruciale. Dopo aver giocato una lunga campagna in freeform che ha portato il nostro gruppo a interrogarsi in maniera più approfondita su cosa comporta la scelta del gioco, l'esperienza di gioco è cambiata molto per noi. L'ho presa larga perchè secondo me la questione abilità si\abilità no è un falso problema che emerge però a partire proprio dal tipo di approccio che il gruppo ha al tavolo. Può avere senso se si cerca una sorta di simulatore complessivo, ma è un problema che noi come gruppo di gioco abbiamo deciso di lasciarci alle spalle. Ci sono giochi che indirizzano verso determinate esperienze ludiche e li scegliamo volta volta in funzione di quello. In determinati giochi, che sia solo uno dei personaggi a saper fare una cosa è un elemento cruciale ed è fonte di divertimento. Il problema della descrizione dell'azione, della cosiddetta interpretazione, è un falso problema se legato alla risoluzione del conflitto. A partire dal fatto che la risoluzione del conflitto non è necessariamente riuscire o non riuscire a fare qualcosa. Da quel che ho potuto vedere negli ultimi anni, ci sono una vasta gamma di giochi che si prefiggono esperienze di tipo diverso (come viene detto anche un paio di post sopra) e che trattano molti di questi temi in modo diverso (alcuni con assoluta eleganza devo dire). Far chiarezza sull'accordo iniziale al tavolo, facilita molto la scelta, anche nei termini a volte usati in modo sfortunato di creatività e interpretazione. Per dire, se noi vogliamo parlare di più e lanciare meno dadi, lasciando libero sfogo a interpretazione, recita e creatività, non sceglieremo mai più un gioco come D&D o simili avendo a disposizione Fiasco, proprio perchè le situazioni che in Fiasco si generano in cui serve interpretazione, recita e creatività, abbiamo visto essere molto più variegate e di solito più intriganti dello scervellarsi su come scassinare una serratura in assenza del Ladro. Ma questo secondo me dipende dal fatto che Fiasco è un gioco che ha un focus e un target chiaro e preciso e che una volta appresolo, ti chiama da solo quando vuoi un certo tipo di esperienza ludica.
  3. Come è già stato sintetizzato sopra, devi approcciare il combattimento in CoC per quello che è: una carneficina. Per questo puoi anche pensare, come dici tu ma in questo modo secondo me si perde qualcosa. In CoC il combattimento, almeno il combattimento con IL mostro o con LA creatura di turno dovrebbe essere qualcosa a mio avviso che rappresenta un apice dell'avventura. Certo puoi anche fare uno stuolo di minions sacrificabili del culto di turno, ma secondo me si perde tanto. L'avversario di CoC dovrebbe essere qualcosa di sfuggente ma incombente (è un gioco di parole, ma spero renda l'idea) e quando si palesa dev'essere un evento drammatico.
  4. Certo, quello che dici è vero e in realtà non intendevo dire molto di differente. Nel caso in oggetto si tratta esattamente di questo caso; un master con esperienze pregresse con un gruppo di giocatori neofiti. Se il master intende sobbarcarsi DW deve stare attento al tipo di gioco che è, altrimenti rischia di passare ai giocatori neofiti le sue sovrastrutture in merito. Un esempio scemo che mi sembra tipico, che è successo a noi e che ho sentito raccontare da altri: trattare i legami come una sorta di instant-background invece che come un elemento attivo del gioco.
  5. Solo su DW. Io ho giocato la mia prima avventura a DW con un gruppo di giocatori esperti ed un master esperto di altri giochi, era la prima a DW per tutti. Malgrado questo ci siamo persi dei pezzi per strada o alcuni aspetti sono stati fraintesi. Ora ne stiamo facendo un altra e solo dopo aver razionalizzato tutti gli errori fatti nella prima siamo riusciti ad eliminarli e devo dire che sono due esperienze completamente differenti. Questo per dire che DW ha un approccio più leggero e un manuale meno spaventoso, ma non per questo non presenta insidie per neofiti. Anzi il rischio semmai è che errori che deviano il gioco si possano incancrenire.
  6. Sono abbastanza d'accordo con l'assunto centrale dell'ultimo post di @greymatter Io credo che parlare di Libertà sia molto fuorviante. E' disputabile che una libertà assoluta esista nella materialità del mondo reale, figuriamoci all'interno dei giochi di ruolo. I paletti esistono sempre. Avete presente The Stanley Parable? Il ragionamento che fa per i videogiochi, vale in qualche modo anche per i giochi da tavolo o di ruolo. Secondo me nei gdr ha più senso parlare di autorità. Ci sono giochi in cui l'autorità sulla creazione è rigidamente suddivisa, altri in cui è parzialmente delegata ai giocatori, altri in cui il master non c'è e l'autorità è in qualche modo condivisa. Il punto secondo me è non confondere libertà e autorità. L'importante è sapere che tipo di esperienza stiamo andando a giocare e che questo sia condiviso da chi sta al tavolo, in ultima istanza, che la scelta del gioco e delle sue regole sia condivisa. Questo vale anche per i giochi da tavolo non di ruolo. Se giochiamo a risiko, ma non tutti hanno voglia e qualcuno gioca controvoglia finirà presumibilmente col sabotare il gioco (suicidandosi ad esempio in attacchi kamikaze, finendo per favorire questo o quel giocatore) e i divertimento. Questo può sembrare OT ma secondo me è invece un discorso importante interno alla diatriba circa la libertà e la narrazione nei giochi di ruolo. Bisogna capire secondo me che libertà è il concetto sbagliato da usare ed essere consapevoli di quale gioco andiamo a giocare o di quale accordo sull'autorità creatrice abbiamo preso prima di sederci al tavolo.
  7. @SilentWolf Ma infatti io ho semplicemente detto che non mi piacciono, non ne ho fatto una lettura più approfondita perché, se proprio mi devo sbilanciare in tal senso mi verrebbe da dire che Stranger Things è un prodottino ben confezionato che ha avuto molto successo principalmente perché è una autopromozione continua attraverso citazioni, ammiccamenti e ganci. Non c'è niente di stravolgente in ST se non la confezione. Questo non rende, secondo me, la visione di ST qualcosa di meno divertente e interessante di quanto lo sia (come ho già scritto sopra, a me è piaciuto e ha coinvolto). Non credo che le scelte di marketing dei produttori abbiano bisogno di essere difese, anche perché il fatto stesso, come tu dici, che si tratta di scelte fatte per acchiappare il pubblico generalista è una risposta già di per sé, il finale di ST non voleva essere un bel finale, voleva essere un finale ottimale per la sopravvivenza della serie. E' lecito, come è lecito che a me non piaccia. E come credo sia lecito che io pensi si potesse ottenere lo stesso risultato, facendolo in modo migliore.
  8. @SilentWolf Ciao Ti rispondo brevemente. In realtà il finale con sensazione da "fine primo tempo" è frequente ma non obbligatorio, penso ad esempio a serie come Buffy, dove i finali sono quasi tutti conclusivi dell'arco narrativo serie per serie. Quello che contesto però non è che rimangano cose insolute, quello va bene. Continuo in spoiler:
  9. Ho finito ieri di vedere la serie. Non voglio addentrarmi troppo nell'analisi di trama, sceneggiatura o regia. Penso che la serie sia una serie ben fatta, con una trama semplice e una storia non troppo originale, che trova il suo punto di forza nei riferimento culturali pop degli anni '80 e nella costruzione intelligente del suo crescendo nella prima parte. Infatti mi interessa giusto sottolineare due cose: 1) I primi quattro episodi sono ottimi, i secondi quattro buoni, ma non allo stesso livello. Non è strano, molte serie non riescono a reggere il ritmo di qualità che loro stesse si impongono. La stessa sensazione, per dire, l'ho avuta con True Detective. L'intreccio di Stranger Things, il suo background culturale e la sua produzione si intrecciano molto bene in un crescendo calibrato per i primi quattro episodi, fino a quando, cioè, le diverse linee narrative rimangono ben separate. Quando queste cominciano a convergere verso la risoluzione della trama, perdono tutte un po' di efficacia, alcune trovate sono un po' forzate o banalotte e in generale gli ultimi 4 episodi, pur piacendomi, mi hanno lasciato una sensazione di "buttato li", in qualche modo la cosa doveva finire e quindi gli autori hanno seguito la corrente senza spremersi troppo le meningi. 2)
  10. Io ho giocato per molti anni, a cavallo tra la seconda metà dei '90 e i primi anni 2000 a MUD online e devo dire che è stata un'esperienza di gioco particolarmente intensa ed appagante. I MUD, proprio per la loro natura essenziale, costruiti intorno all'ASCII o poco più, sebbene avessero in taluni casi dei sistemi di livellaggio da far impallidire WOW o altri MMORPG moderni, spingevano quasi naturalmente all'interpretazione, alla recita, alla descrizione. Molti di questi avevano di sera centinaia di giocatori online contemporaneamente negli anni d'oro il che rendeva tutto molto vivo e intrigante. Devo dire che ho riprovato, da più adulto e molti anni dopo, a giocarci nuovamente in quelli che sono sopravvissuti fino ad oggi, senza ritrovare l'entusiasmo di tanti anni fa. E' vero che presumibilmente in quell'esperienza si fondeva, oltre alla spettacolarità di poter giocare di ruolo in un contesto così nuovo, la scoperta tout court di internet. E' comunque qualcosa che ricordo con estremo piacere e che ha senz'altro contribuito a tenere alta la mia soglia d'attenzione verso il mondo dei GDR in generale, quelli da tavolo compresi.
  11. Ti prego di non tirare a indovinare su quello che dovrei, avrei, potrei aver detto e attenerti a ciò che sta scritto. Se non avessi ritenuto interessante la discussione non sarei intervenuto, al di là di ogni riformulazione che ritieni di poter fare di ciò che ho scritto. Detto questo, semplificherò tutto quello che ho scritto nei precedenti post, anche per evitare di continuare con questo ping pong tra di noi ed eventualmente lasciare spazio anche ad altri interventi. 1) Ho ritenuto interessante la discussione, perchè mi interessa il rapporto tra i giochi e la forma mentis. a) Non credo che la forma mentis di chi gioca ai giochi di ruolo sia minimanente intaccata dalla narrazione che avviene durante i giochi. b)Credo altresì che se la forma mentis di chi gioca possa essere inteccata, questo avvenga solo a partire dalle meccaniche dei giochi, non dalle narrazioni che vengono fatte in questi giochi. c) Credo, da ultimo, che il modo in cui la forma mentis viene intaccata dalle meccaniche dei giochi abbia principalmente ricadute sulle dinamiche intra-giochi e poca o nulla influenza abbia sulla vita di tutti i giorni. 2) In generale credo che la forma mentis di un soggetto non sia qualcosa di così facilmente malleabile, prova ne è la tendenza al conservatorismo di praticamente quasi tutte le società (e questo dipende in gran parte dal fatto che le formae mentium discendono in buona parte dal tipo di organizzazione sociale in cui crescono) Questo è quanto, se poi non credi che sia pertinente, non so che dirti di più, ho comunque voluto dire la mia.
  12. Nessun monarca. E' solo quello che penso io e il modo in cui mi rapporto ai gdr. Mi sembrava una discussione interessante e ho detto la mia. In realtà dalla mia esperienza molti giochi di ruolo funzionano esattamente come gli scacchi, solo che i giocatori danno più peso alle cose che si raccontano che non al fatto che la torre mangi il pedone. Non ho mai trovato troppa differenza tra il guerriero che ne attacca un altro attribuendo una incredibile varietà di significati e di storia a seguire rispetto a una partita a scacchi. Se il mio Alfiere mangia il Pedone posso attribuirgli una incredibile varietà di significati (a partire dall'inquisizione?) e questo condiziona la storia a seguire (il pedone sulla scacchiera non c'è più e l'alfiere si trova in una posizione nuova)
  13. Intanto ribadisco quello che ho detto sopra e che è stato segato nel tuo quote, ovvero che il divertimento dei gdr sta in altro e non nelle narrazioni prodotte. Con questo intendo dire che io gioco a scacchi perchè è la meccanica del gioco degli scacchi che è divertente. E questo vale anche se io ed un altro attore giochiamo a scacchi e recitiamo ogni volta che muoviamo una pedina e inventiamo una storia su come il terribile e gelido Re Bianco vuole annientare con le sue orde di ghiaccioli al limone il pacifico e marcescente regno del Re Nero. Se io giocassi ai gdr semplicemente perchè in questi ci trovo delle belle storie, sarei tornato a leggere i libri e basta già da 20 anni, invece nel gdr le storie assumono significato non in quanto tali, ma perchè vissute attraverso delle meccaniche di gioco che ti permettono di avere un rapporto privilegiato con le storie stesse e perchè la dimensione del "tavolo" ha la capacità di rendere divertente ed emozionante anche una trama da Serie TV tra le peggiori. Spero con questo di aver risposto anche alla tua domanda. E' vero come dici che noi come Soggetti siamo capaci di "far tesoro" di tutte le esperienze che facciamo. Mi preme però fare solo una sottolineatura alla tua risposta: se la nostra cosiddetta "forma mentis" fosse davvero una sorta di gomma malleabile ad ogni nuova o ripetuta esperienza senza una capacità di solidificazione e di resistenza ad esse, avremmo davvero delle grosse difficoltà ad avere una qualche forma di identità. In realtà io credo le identità dei soggetti si formino in modo molto granitico e creino resistenze molto forti alle novità (e questo dipende in ultima istanza dalla società in cui questi soggetti vivono: la nostra società ad esempio, quella occitendale, postmoderna bla bla bla è terribilmente conservatrice). Per questo non credo che sia vero che ogni attività influenza la forma mentis, non in termini assoluti e non tutte allo stesso modo.
  14. Ho capito meglio quello che intendi e ora posso rispondere con più precisione. Sinceramente non mi è mai capitato qualcosa del genere, ovvero che le dinamiche createsi nella narrazione in-gioco avessero una qualche ricaduta fuori dal gioco. Devo dire che secondo me il 99% delle narrazioni prodotte nei giochi di ruolo sono piuttosto di bassa lega e che il divertimento sta in altro, altrimenti saremmo tutti sceneggiatori, scrittori o drammaturghi. Anche per questo c'è "poco" da prendere dalle narrazioni dei giochi di ruolo, salvo rari casi, molto specifici e particolari. Credo inoltre che se qualcosa possa influenzare sul modo di pensare non è l'aspetto della narrazione in-gioco (se i personaggi sono malvagi, se sono paladini, se rispettano questo o quel culto, se sono panteisti ecc ecc ecc) ma è casomai il modo in cui funziona il gioco. Quello si, secondo me, può avere in determinati casi, a lungo termine, una ricaduta di qualche tipo, che comunque tendo a credere circoscritta all'ambiente di gioco, non credo che ci possano essere sconfinamenti nella vita di tutti i giorni.
  15. Ci sono altri aspetti o ambiti della tua vita in cui esprimi queste tue convinzioni? Perchè messa così sembra un banale caso di "sfogo", proprio nel senso in cui determinate idee sono messe alla prova esclusivamente in un campo: quello del gioco di ruolo. Devo dire però che delle spiegazioni dei tre "campi" che hai nominato non ho capito un granchè, nè cosa tu intenda con la specifica cosa (assolutezza dei valori morali, culto dei morti, sacralità della vita) nè tantomeno che tipo di domanda hai posto nel rapporto tra queste tue convinzioni e il gioco di ruolo.
  16. Estrapolo questa frase di Fenna dal dialogo tra lui e bobon non per entrare nel merito della discussione specifica che stanno affrontando ma perchè mi sembra molto interessante per il tema generale del thread. Intanto però devo ammettere che faccio un pò fatica a seguire i post di Fenna, limite mio, quindi devo preliminarmente chiedere se ho capito bene il senso della frase, perchè ovviamente se ho capito fischi per fiaschi anche il senso delle cose che dirò sotto perdono un pò di legame con la frase di Fenna, anche se rimango generalmente convinto della loro validità. Ecco ciò che ho capito della frase quotata: Le regole di giochi come Polaris permettono di modificare lo svolgimento della narrazione, cancellando nel vero senso della parola frasi e quindi modificando gli eventi del gioco. In giochi di ruolo tradizionali, la modifica è spesso negata perchè il GM o DM o quale sia il suo nome ha il controllo totale sullo sviluppo della narrazione e la possibilità di modificare gli eventi produrrebbe un cortocircuito. Se mi sono sbagliato su questa lettura del passaggio quotato correggetemi pure. Ad ogni modo, tutto questo preambolo, per dire che nella mia esperienza come narratore in giochi di ruolo tradizionali, non ho mai trovato alcuna difficoltà o cortocircuito nei giochi, appunto, tradizionali. Anzi capita spesso che io venga sorpreso dallo sviluppo delle storie e sono praticamente sempre sorpreso in positivo. In una lunga campagna di ambientazione pseudocthuliana di qualche anno fa, introdussi in una delle prime sessioni un artefatto che nelle mie previsioni avrebbe avuto un ruolo centrale nella campagna e in qualche modo accompagnato per un certo periodo il gruppo, avevo anche già in mente diverse scene e possibilità di gioco da offrire ai giocatori in virtù del possesso di quel determinato oggetto. Non fosse che, nel primissimo momento in cui i personaggi vengono a contatto con questo oggetto e ne iniziano a scoprire le misteriose proprietà, uno dei PG, particolarmente investito dalle manifestazioni dell'oggetto e particolarmente emotivo, decide di fracassarlo lanciandoci contro un altro oggetto bello pesante e macignoso, nello stupore generale mio e degli altri giocatori. Ovviamente lo svolgimento della campagna è cambiato da li in poi ma è cambiato in meglio, perchè questo ha messo in moto meccanismo di relazioni tra i vari PG e ha portato me a ricamare su tutte le conseguenze che quell'atto ha avuto. E' stato un momento molto soddisfacente. Ma questo è solo un esempio, nelle campagne di cui ho esperienza, molti luoghi, png, situazioni, eventi centrali, sono avvenuti solamente perchè i giocatori hanno deciso in un certo modo. Ribadisco ovviamente che tutto questo è valido se preliminarmente si accetta l'accordo tra giocatori di giocare una campagna orientata all'interpretazione, formula con cui noi intendiamo semplicemente una campagna centrata sulla narrazione orale, con pochi lanci di dadi e con lo sviluppo mutuale e non necessariamente lineare di storia generale e storia personale dei personaggi giocati, sviluppo che procede per situazioni, non necessariamente per duelli risolti con dadi, ma anche e sinceramente molto più spesso, con situazioni risolte per dialoghi e comunque dalle decisioni che i giocatori fanno assumere ai personaggi. Ripeto anche che la nostra esperienza è limitata ai giochi con il classico schieramento gruppo di giocatori\narratore. Con questo non voglio dire che l'esperienza dell'interpretazione sia sufficentemente svolta dai giochi tradizionali, anzi sono certo che giochi come tutti quelli che ho letto qui, come Cani, POlaris e altri siano altrettanto divertenti. Ciò che voglio dire alla fine della fiera è che, se si vuole centrare una campagna di un gioco tradizionale sull'interpretazione, questo è perfettamente plausibile senza sentirsi figlio di un dio minore solo perchè il gioco è stato pensato per essere un hack'n'slash e non offrirebbe chissà quale regolamento favorente l'interpretazione. L'unico regolamento necessario per me è il buon senso e l'accordo preliminare tra giocatori. Volevo poi, per concludere, buttarmi un secondo nella diatriba semantica sulla differenza tra narrare e interpretare o comunque giochi narrativi e giochi interpretativi. Interpretare, zanichelli alla mano, è, oltre che lo schiarimento di qualcosa di poco comprensibile, l'atto di recitare un ruolo. Ed è un termine particolarmente usato per gli attori, ovvero per coloro che seguono strettamente un copione e che hanno ben poco spazio di manovra. Per quello che mi riguarda l'interpretazione nei giochi di ruolo è quello di darsi alcune linee guida del proprio personaggio e poi interpretarlo, ovvero farlo reagire alle determinate situazioni nel modo più consono alle sue linee guida, che ovviamente possono cambiare nel corso della campagna (ricordo a questo proposito un personaggio, fedele devoto, che nel corso della campagna perde la fede e di conseguenza inizia a reagire alle questioni in modo sensibilmente differente). La narrazione non è necessariamente legata all'interpretazione, si può fare un gioco narrativo senza la minima interpretazione di ruoli, il facciamo che dei bambini è l'esempio più classico, anzi proprio in virtù di questo esempio tendo a credere che il tipo narrativo si adatti di più ad un gioco competitivo che non ad uno cooperativo. In soldoni, il nostro approccio ai giochi tradizionali è, utilizzando questa terminologia su cui ho riflettuto ora per la prima volta, una sorta di misto tra narrazione e interpretazione, col che voglio dire che l'aspetto narrativo si rispecchia nel fatto che non esiste un copione ultimato dalla prima all'ultima parola e lo scorrere della storia è determinato dalle scelte dei giocatori tutti. Nella campagna ad ambientazione pseudocthulhiana di cui sopra, l'antagonista principale alla fine si è trovato ad essere il principale alleato dei PG per via delle loro scelte durante il gioco, e l'aspetto interpretativo si rispecchia nel fatto che i giocatori hanno dei personaggi con la loro scheda, delle loro caratteristiche (intendendo con questo non solo quelle lanciate con i dadi, ma quelle stabilite dai giocatori in fase di creazione), con delle loro linee guida che ne determinano a grandi linee il comportamento e che sono di conseguenza interpretati dai giocatori.
  17. Il risiko è un gioco preponderantemente governato dalla fortuna. Detta questa ovvietà, mi sento di aggiungere che risiko è un gioco fondamentalmente di economia, tendenzialmente vince chi è in grado di economizzare al meglio le proprie armate, ovvero attaccando quando la probabilità è della tua e cercando di difendersi in modo che quando si viene attaccati la probabilità di assista sempre. Bisogna anche aggiungere che oltre all'elemento aleatorio per eccellenza, ovvero il lancio dei dadi, casuali sono anche il sorteggio dei territori e la pesca delle combinazioni, che forse è l'aspetto più devastante di tutti, perchè pescare una combinazione da 10\12 alla 3 carta pescata (supponendo che tutti peschino ad ogni turno) e invece trovarsi con una combinazione da 4 rinforzi alla 5 carta pescata (pescando 5 cannoni consecutivamente, ad esempio) è un elemento che sbilancia la partita in modo quasi incontrovertibile. Detto questo, Risiko rimane un gioco molto divertente.
  18. Credo che questo sia perfettamente plausibile. D'altro canto credo anche che il concetto opposto di "regole che aiutano, facilitano o migliorano l'interpretazione" sia piuttosto superfluo, almeno nella nostra esperienza in cui riusciamo ad autogestirci in modo efficente e soddisfacente. La regola fondamentale per un'esperienza di gioco centrata sull'interpretazione secondo me rimane esclusivamente l'accordo preliminare tra i giocatori. Assunto questo il gioco assume una forma principalmente narrativa, non troppo dissimile dal "Facciamo che" dei bambini e tendo a credere si potrebbe benissimo fare a meno di regole e regolamenti. Ovviamente sto parlando di un gioco non competitivo, in cui, in presenza del master\custode\narratore, gli altri giocatori cooperano e lo stesso master\custode\narratore non si pone come antagonista ma come narratore. Si spera che gli antagonisti nel gioco, per quanto interpretati dal narratore, abbiano una consistenza sufficente da sapersi difendere da soli senza che ci sia bisogno della competitività del giocatore-narratore. Un gioco competitivo centrato sulla interpretazione invece, così su sue piedi, tendo a pensare abbia bisogno di regole che facciano il loro mestiere.
  19. Beh a voler essere malsani a tutti i costi, leggere Lacan può essere un personale ludibrio non indifferente, come in generale molta letteratura psicanalitica. Ho trovato molto interessanti ad esempio le cose scritte da Francesco Orlando, Per una teoria freudiana della letteratura, e tutti gli studi che ci girano intorno. Per quanto riguarda la narrativa in questo periodo non riesco a dedicarmi a cose troppo lunghe, quindi capita che legga a caso da raccolte di racconti, ultimamente, principalmente, dal malloppone di Tutti i Racconti di Kafka o dalle raccolte di Borges.
  20. Io continuo a credere che il funzionamento di un gioco centrato sull'interpretazione piuttosto che su altri aspetti sia l'accordo preliminare tra tutti i giocatori su questo specifico punto. Se l'accordo esiste l'avventura o la campagna funzionerà in quel modo. Io non sono esperto di GdR non tradizionali, anzi a dire il vero io con i miei amici abbiamo sempre giocato ai GdR tradizionali (lo schema master - giocatori e solamente a Cyberpunk, CallOfCthulhu e D&D), ma questo non ci ha impedito di sviluppare nel tempo un amore per l'interpretazione ed un disprezzo generalizzato per le regole che ha portato ad una naturale evoluzione del nostro modo di giocare in un gioco centrato sull'interpretazione. Si potrebbe obbiettare che de facto non giochiamo piu' a D&D o a CallOfCthulhu per come sono stati pensati e piuttosto ad una loro versione stravolta e smembrata dalle home rules ma, io credo, questa è un obiezione che lascia il tempo che trova (anche se veritiera) perchè quel che conta è il risultato finale. In generale comunque sono fortemente contrario ai premi di vario tipo per l'interpretazione. In una campagna strutturata in modo centrato sull'interpretazione la ricompensa è lo sviluppo del gioco stesso. Se invece, lasciando da parte il modo di giocare che abbiamo io ed il mio gruppo di amici, il tema è dare una spruzzata interpretativa a giochi che rimangono legati allo svolgimento hack'n'slash, questo può essere fatto in mille modi e con mille toni diversi di soddisfazione. Penso che anche in questo caso sia una pessima idea dare premi per l'interpretazione (cosa che in questo contesto avrebbe ancora meno senso) e generalmente sia una pessima idea anche quella di dare troppo peso ai background scritti. Se il background deve esserci, non devono essere più di 4 o 5 righe generalissime in cui si delineano alcuni tratti della personalità che piu' ci piacerebbe esprimere in quei personaggi per caratterizzarli. Scrivere background della lunghezza di un breve romanzo per rivangare le sorti della famiglia del personaggio fin dai tempi dei suoi trisnonni può essere soddisfacente per chi lo scrive e anche per chi lo legge, ma è generalmente completamente inutile ai fini del gioco stesso.
  21. Giocare ad un gioco di ruolo centrando l'esperienza sull'interpretazione e sulla narrazione è una cosa molto bella, ma dev'essere una decisione presa collettivamente dal gruppo di giocatori e dal master, se è previsto. Se tutti i giocatori (intendendo con giocatori tutti quelli che si siedono al tavolo) sono d'accordo nel giocare in questo modo la cosa risulterà abbastanza semplice. Penso che l'unico modo per mettere d'accordo tutti sia quello di decidere prima di cominciare a giocare una campagna od un avventura che taglio questa deve avere. Io quando interpreto il ruolo del master metto sempre su campagne o avventure centrare sullo sviluppo dei personaggi, sulla loro interpretazione e sullo sviluppo dell'aspetto narrativo. I giocatori lo sanno e l'accordo tra noi è questo, se non volessero giocare in un certo modo, non avremmo nemmeno cominciato. Certo devo dire che il nostro modo di utilizzare le piattaforme è molto poco ortodosso. La nostra ultima campagna a IL RIchiamo di Cthulhu ha avuto un tasso di mortalità e di scontri prossima allo 0, cosa assai rara nell'impostazione standard e nelle avventure o campagne ufficiali. PEnso che in 2 anni di campagna siano stati sparati non più di 7 o 8 proiettili dalle pistole di PG e PNG. Ugualmente per D&D si utilizza il regolamento molto grossolanamente e così per ogni altra piattaforma. Questo è il nostro accordo ed il risultato è molto divertente e soddisfacente. Ma non è certo obbligatorio che sia l'accordo più consono per tutti, lo è allo stesso modo quello degli "spaccaporte". E' sufficente che l'accordo sia paritario e non sia frustrante per nessuno che sta seduto al tavolo.
  22. Albert Rosenfield

    Eraserhead

    Eraserhead è un film praticamente irrecensibile. Io penso che sia un condensato del talento e della ingenua spontaneità del primissimo Lynch. Credo che sia spesso un modo sbagliato di guardare un film (come di leggere un libro o altro) cercando di forzare troppo l'aspetto psicologico del regista sulla pellicola in quanto tale, come spesso accade in moltissime recensioni di Erasehead sparse su internet, in cui si vuol vedere in Eraserhead una sorta di autoanalisi di Lynch in seguito del suo primo matrimonio, della nascita di sua figlia e quant'altro. Credo che Eraserhead sia un film straordinariamente bello da vedere, pur non avendo dietro una costruzione "teoretica" superiore come invece sarà per molti altri film successivi di Lynch (penso alla "triologia" Lost Highways, Mulholland DR, INLAND EMPIRE). Eraserhead dal punto di vista del concetto è un abbozzo del cinema onirico e freudiano che Lynch svilupperà maggiormente nei tre film sopracitati. Per quanto riguarda la presunta non organicità dei film di Lynch o il suo ancor più presunto "non spiegare niente" non è assolutamente vero ne per Mulholland DR, ne tantomeno per INLAND EMPIRE, che sono due film in perfetta continuità. Mulholland DR è perfettamente spiegato in modo immanente, nella pellicola c'è tutto quel che serve per capire l'intreccio. Se proprio è particolarmente ostico, vi consiglio di riguardarlo dopo aver letto "L'interpretazione dei Sogni" di Freud e tutto risulterà molto piu' chiaro. Per quanto riguarda INLAND EMPIRE io penso che sia un film strutturato quasi come Mulholland DR ma con una sottile differenza. Spoiler: Mulholland DR è diviso in due parti, una onirica e una della veglia. Tutti i simboli e le espressioni dell'inconscio della prima parte possono essere riscoperte nella seconda parte della veglia. La prima parte è un sogno, la seconda la cruda realtà con cui Diane deve confrontarsi. INLAND EMPIRE invece è come se fosse solo una prima parte, seguendo lo schema di Mulholland DR. Ovvero è solo la parte onirica senza la parte della veglia, per questo è incomprensibile, perchè i modi in cui l'inconscio si manifesta sono comprensibili solo se si parla effettivamente di qualcuno. In mulholland DR la prima parte è un sogno di Diane, una manifestazione del suo Inconscio, la seconda parte è la sua realtà, la realtò della sua coscienza. In INLAND EMPIRE abbiamo solo la rappresentazione di un sogno di cui non sappiamo nemmeno a chi appartenga, chi lo stia sognando, a meno che non si voglia intendere (e io non lo intendo) che sia un sogno di Lynch stesso. INLAND EMPIRE è completamente onirico e quindi non è comprensibile per questo. E' la rappresentazione filmica di un sogno nel senso più freudiano possibile e io penso che ci voglia veramente il talento di uno come Lynch per fare una cosa del genere.
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