Provo a buttare giù un'ipotesi ma libero a discutere di possibili modifiche/stravolgimenti, spero di non aver esagerato e di aver risposto in maniera più o meno prolissa alle domande 😅 Nivara non ha ricordi antecedenti ai suoi 14 anni (età confessatale dal Protettore). Nessun volto, nessun nome, nessuna voce che le parlasse. Solo un vuoto profondo, nero come una notte senza stelle. Fu il Protettore a dirle che l'aveva trovata in fin di vita sulla Pietra di Mirir, come se fosse un segno, di chi non si sa, ma doveva essere importante visto che non si vedeva un druido da molto tempo (lui di magia se ne intende). O, almeno, così le è stato detto. Cresciuta tra le alte torri di Virelach, la capitale della Marca dell'Est, Nivara ha vissuto una vita di studio, disciplina e rigore. Non ricorda mai un abbraccio, una risata o un gesto di affetto, non ricorda neanche la violenza, ma ricorda le urla e le imprecazioni quando non ricordava i dettagli o, in generale le quanto aveva studiato la volta precedente. Arkastel Aurelian, il Signore del Fulmine, il Protettore, l’ha sempre trattata con quella freddezza distante che alcuni chiamerebbero diffidenza. Era la sua Perla, la sua copia, la sua scommessa. "Tu sei diversa, Nivara. Tu sei destinata a qualcosa di più grande." Queste parole riecheggiavano in ogni aula, in ogni lezione, in ogni giorno passato tra trattati di storia imperiale, dottrine militari, codici di condotta, e (quando era fortunata) testi antichi di erboristeria e naturalismo. Non le era concesso uscire, se non in rare occasioni, sempre sotto l’occhio vigile del Protettore e comunque sempre in boschi o vicino ai delta dei fiumi. Anche allora, si trasformava in un test, un enigma da risolvere, un animale da riconoscere o una reazione da prevedere. Tutti nella Marca sapevano chi fosse. La Perla del Protettore. Dovevano trattarla come lui stesso, anche se lui era sempre lì a osservare. Era come vivere in una gabbia dorata, adornata di promesse: il comando di una Marca, un ruolo centrale nel futuro Impero che Arkastel bramava costruire. Ma col tempo, l’oro si rivelò ruggine. Nei sogni, frammenti di qualcosa (forse ricordi) affioravano. Un volto avvolto nel fumo, il suono dolce del vento tra le fronde, il calore dell’erba sotto la pelle nuda. Suoni, odori, emozioni, mai parole. Una voce (la sua, forse?) la chiamava, la invitava ad andare oltre le mura, a cercare la verità nella Natura. E così, ogni volta che poteva, Nivara sfruttava ogni minimo momento di libertà che le veniva offerto all’aria aperta. Si sdraiava tra l’erba alta, accarezzava le foglie, parlava agli animali come fossero amici. Era lì che i suoi poteri si manifestavano con più forza: i fiori germogliavano al suo passaggio, gli animali si avvicinavano senza paura, l'acqua sembrava seguirla con lo sguardo. Non sapeva da dove provenisse quella magia, ma la sentiva sua, naturale. Quando il Protettore cominciò a limitare anche questi momenti, quando iniziò a chiuderla ancora di più, Nivara comprese che qualcosa non andava. Non era solo rigore o educazione, era controllo. E dietro quel controllo si nascondeva paura. Aveva già intuito qualcosa. Lo sguardo del Protettore cambiava quando lei manifestava i suoi doni, quando parlava troppo con gli animali o quando si avventurava troppo lontano. Non era il timore che si potesse fare del male, ma che potesse capire. All'inizio pensò fosse solo stress, o un senso di paternità. Ma poi cominciò a notare episodi strani. Comandanti che discutevano con Arkastel fino a che, all’improvviso, cambiavano idea. Funzionari che si congedavano con convinzioni che non erano loro. Il Protettore riusciva sempre a imporsi, ma con una calma innaturale. C’era qualcosa nella sua voce, nei suoi occhi. Nivara cominciò a temere che ci fosse la sua magia, o qualcosa di peggio, dietro tutto ciò. Col tempo, la sua gratitudine si tramutò in sospetto, poi in rancore. Ma mai lo mostrò. Era brava a mascherare i pensieri, a recitare il ruolo della perfetta allieva. Aveva imparato da lui, dopotutto. Poi, un giorno, giunse la notizia: un Consiglio di Guerra si sarebbe tenuto nella Marca del Trono, e il Protettore non poteva assentarsi. Era l'occasione perfetta per testare Nivara. Le affidò il compito con parole solenni e un ordine chiaro: "Porta la mia visione. Convincili. Sii la mia voce." Ma Nivara non vide in quell’incarico un premio o una prova. Vide una porta. Una via d’uscita. Sapeva che non poteva semplicemente fuggire. Sarebbe stata rintracciata, riportata indietro. Ma se fosse andata al Consiglio, avrebbe potuto conoscere altri, stringere contatti, capire il mondo fuori dalle mura di Virelach. Forse (solo forse) avrebbe potuto ricostruire chi era veramente. C’era qualcosa di antico dentro di lei, qualcosa che premeva per uscire. Una voce che parlava la lingua del vento, che conosceva il nome segreto degli alberi. Non era un soldato. Non era una funzionaria. Non era nemmeno un’arma nelle mani di Arkastel. Era Natura. Era selvaggia. Era viva. E finalmente, per la prima volta in tutta la sua vita, era anche libera. P.S.: sulla razza d'accordo, nessun problema, l'avevo già messo in conto visto quanto avevi già scritto ma volevo tenere segnato nella scheda la mossa relativa agli elfi.