Khalya, paladina di Yvet Lorne
Dal polverone e fracasso di travi ed assi, emerge un’enorme bestia.
Riprendo il respiro interrotto: dal monociglio riconosco essere il buon Druido.
‘Grande Will!’, replico con un inchino al suo barrito.
‘Grande… in tutti i sensi!’, quasi sorrido prima di accorgermi che è presto per cantar vittoria:
Una colonna di un rosso necrotizzato, si innalza gorgogliando, tremolando ed infine torreggiando. Assume dei tratti amorfi e cangianti, eccetto per il volto, fissato in un abominevole urlo muto.
È un golem!
La mia mente vaga…
Lei, la sua aquila nera, il suo armamentario di lame celate – perlopiù d’argento o altri metalli insoliti – e le sue innumerevoli cicatrici. Misteriosa e silenziosa veniva sempre nei bui meriggi invernali.
Lei, la Cacciatrice Val Hennet.
L’unica non consacrata a cui era permesso entrare nel Tempio di Alabastro. L’unica a cui era permesso nascondere il volto e vestire di nero.
Avevo dodici anni quando tenne cattedra la prima volta su Creature e Manifestazioni Occulte. Sostituiva la paladina che, per le sue ricerche, trovò un orribile quanto glorioso martirio nelle lande del nord.
‘Val Hennet…’, scandisco il suo nome mentalmente, mentre osservo il golem muovere i suoi primi passi impacciati ‘…cosa faresti in questa situazione?’
Non mi stupirebbe vederla a Castelfranco in occasione del Gran Torneo.
‘Proteggimi o Madre: letale è il pericolo che sto per affrontare’, chino il capo accettando la sua benedizione.
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…ma non è il golem a lasciarmi basita.
Al mio ordine di non muoversi, un manipolo di soldati e cacciatori di streghe decidono inspiegabilmente di attaccarmi.
O forse una spiegazione c’è.
Che ben venga, se questo è il modo in cui i traditori decidono di venire allo scoperto.
Un’ultima occhiata al pachiderma: ‘Amico mio, dovrai occuparti tu del golem…’
Mi restituisce un secondo barrito, che questa volta suona più come un urlo di battaglia.
«Presto. Aggirate e sorprendete i quattro cacciatori. Sono degli impostori. Hanno le armi puntate su di me, e sul corpo a corpo sarete in vantaggio», ordino ai soldati rimasti fedeli alla mia autorità.
Ben sei di loro si dividono sui due lati, con una manovra a tenaglia.
Altri tre invece mi sono già addosso, offrendomi però momentanea copertura contro i quadrelli.
«Arnald resta dietro di me!», dico al giovane ufficiale con fare protettivo.
Attutisco e devio il primo fendente con la destra, mentre con un sonoro colpo di scudo respingo l’attaccante contro quell’altro in carica. Lo scontro è violentissimo e li manda entrambi gambe all’aria.
Poi, dopo un lungo scambio di colpi, con un ultimo guizzo anticipo il terzo, affondandogli la lama nella petto. La sento tranciare muscoli ossa ed organi interni.
Per ultimo sopraggiunge il comandante, con la sua luccicante quanto ingombrante uniforme.
Il mio sguardo di condanna è implacabile: «Quando ti avrò gettato nel fiume, sarà la tua stessa armatura a sprofondarti nell’oblio e a farti da bara!».
Vedo il puro terrore nei suoi occhi… mentre i primi due attaccanti, ancora intontiti si appoggiano l’un l’altro per rialzarsi.
«Voi due state giù se non volete saggiare la mia lama come il vostro amico…», indicandogli l’altro riverso a terra, nel suo stesso sangue.
Quasi mi fa tenerezza il vederli tremare come delle foglie.
«E ora a noi…», verso il comandante.
La mia spada pulsa di una luce rossa come l’ira che traspare dal mio sguardo…