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Solo un'altra notte


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Solo un’altra notte

Joram Rosebringer

Un bicchierino di vodka semivuoto.

Una fitta nebbia di nicotina e condensato.

Risate rauche di una banda di booster radunati intorno al palco dove un agglomerato sexy di lattice e metallo si esibisce in pose che definire pornografiche è riduttivo.

Un grassottello barista si dà da fare con piattini e tazzine, asciugando con lo stesso straccio l'olio che gli cola dal gomito del braccio cromato, mentre la gente si spinge verso il bancone, ansiosa di ordinare un altro cocktail dal misterioso contenuto ed incuriosita da quel bicchierino. I loro occhi dicono che non capiscono come una persona possa bere una bevanda così sorpassata.

Ricambio i loro sguardi freddamente, distogliendoli solo quando uno scrosciante applauso saluta la fine dello spettacolo, prontamente soppiantato da uno scontro tra un draghetto artificiale e tre cani affamati. Mi giro per vederlo, poi distolgo gli occhi annoiato, conoscendone già l'esito. Ogni volta è la stessa storia: le bestie create in laboratorio vincono sempre. La Natura ormai è stata battuta.

Guardo il bicchierino di vodka e ne annuso il contenuto. Immediatamente il mio stomaco si ribella. E mi chiedo ancora una volta perché mai abbia voluto ordinarne una. La sposto leggermente in avanti e alzo un braccio per chiedere una Coca-Cola.

Arriva una cameriera che, con lo sguardo interrogativo e cortese di chi è abituato a vedere delle stranezze, annoverandole ormai nella normalità, mi toglie la vodka per mettermi davanti uno sgocciolante bicchiere di quella nera bevanda, una delle poche cose salutari che si possono bere in un locale, perlomeno la meno sintetica. Seguo con lo sguardo la cameriera mentre si allontana di nuovo per tornare nelle attenzioni di quell'uomo che puzza di killer a miglia di distanza. Lei si lascia toccare, come fosse creta nelle sue mani, ma dalla cinta della gonna inesistente le spuntano 20 EuroDollari. Eppure è così carina. Se solo potessi...

No!

Bevo la Coca-Cola con avidità, le lacrime agli occhi che salgono ad ogni sorso, finché una straripa e mi riga la guancia. Mi guardo intorno con la vista leggermente appannata e sento gli occhi della gente addosso. Sorrido e capisco: non è normale bere una cosa del genere con tale avidità.

Ma io non ho mai detto di essere normale.

Ed inoltre ho poco tempo.

Pago ed esco.

La pioggia mi cade sui capelli sintetici mentre sotto la pelle del mio polso destro i LED luminosi stanno dirigendosi verso lo zero.

Allungo il passo e mi torna in mente un’immagine della cameriera, unita a scene di fantasia in cui la vedo correre per verdi prati insieme ad un uomo, felice e con un bimbo… e ringrazio il cielo che ci sia la pioggia a mischiarsi alle mie lacrime.

Poi… il boato!

Il bar esplode in mille pezzi, facendo risuonare l'aria di grida, vetri infranti e di un cupo rimbombo che si allunga per il metallo della città come a volerla avvisare della tragedia.

Ed ecco dal cielo le prime sirene blu e rosse a soccorso di chi non può essere salvato. Non c'è più niente da fare: è tutto distrutto, tutto finito... ma non per me.

Frugo nella tasca dell'impermeabile e tiro fuori una foto... la solita. La guardo e la pioggia acida diventa ancora più salata nella mia bocca.

Un lavoretto facile.

Grazie ad esso posso ancora pagarle una settimana di ospedale, sperando che esca dal coma. Oppure dovrò ancora uccidere… al modico prezzo della mia anima.

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Principali partecipanti

Bella. Davvero.

Ben fatte le descrizioni, che sembrano voler aumentare da sole, diventando loro stesse immagini.

Bella l’idea.. si sente subito che il protagonista ha qualcosa di diverso, ha qualcosa che sa di futuro, e questa “aspettativa” non solo non viene a mancare, ma non esagera in nessun senso. Cioè non è il punto principale della storia, come non deve essere.

Si sente anche che dovrà fare qualcosa di… brutto. Ci si domanda fino a che non succede se è un omicidio, un suicidio, o simili. – Sì, ho pensato anche al suicidio, il fatto che cercasse emozioni così forti in cose così “normali”, mi ha fatto pensare che forse erano le ultime volte che provava quelle emozioni.

È… senza cattiveria, quasi banale il perché, e cioè una lei. Non è realmente banale, per via del fatto che è in coma. Da un senso diverso a tutta la storia… cioè, in ogni caso ci si pone dalla parte dell’io-narratore, e si decide che è dalla parte del giusto nel fare quello che ha fatto, e non si chiede il perché. Ma in fondo c’è la vocina che dice “Però ha fatto saltrare in aria un locale…” ma quando si legge che c’è un perché, si fa tacere la vocina… e se il perché è questo, permette di essere quasi felici per lui. Si perde la felicità di base, ne rimane una più… amara, con le ultime parole. E si sente che uccidere, per l’io-narratore, deve essere tremendamente difficile.

;-):cool::-D:lollollol

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