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La Nostra Storia - Fantasy


Joram Rosebringer

Messaggio consigliato


Il sole lanciava un ultimo pallido saluto alle terre che aveva illuminato e riscaldato per tutto il giorno.

Le ombre degli alberi si stavano allungando a dismisura, e il canto degli uccelli diurni stava velocemente lasciando il passo a quello dei loro simili, amanti dell'oscurità.

Il rumore di un legno spezzato fece piombare il bosco in un cauto silenzio. Una figura avanzava tra il fitto fogliame, inseguita dagli ultimi raggi di luce.

Si fece largo tra le ultime fronde e raggiunse una radura leggermente in salita, al centro della quale spiccavano i resti anneriti di un'alta quercia, morta da tempo.

Lo scorrere del tempo non aveva intaccato quella terra, ma aveva lasciato ben più profondi solchi sul volto dell'uomo.

Sembrò accorgersene anche l'uomo, mentre i suoi passi pesanti lo portavano al tronco bruciato. Passò una mano avvolta in un guanto ingioiellato sul legno arso e lavato dalla pioggia. Un timido sorriso increspò il viso forgiato dal vento, dal sole e dall'età.

"Forse non tutto è ancora perduto - mormorò l'uomo, cercando di convincere se stesso con quelle parole - c'è ancora speranza per la mia gente.".

Un usignolo fece capolino da un albero ai margini della radura, e lasciò fluire l'allegria del suo canto in onore dell'uomo.

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Si svegliò di soprassalto.

Mentre un attimo prima era immerso in un sonno profondo ora era perfettamente lucido. Come se non appena aperti gli occhi si fosse reso conto che quello non era il suo posto. Il giaciglio era comodo e caldo, la paglia fresca e profumata e la luce del pomeriggio filtrava da una rozza finestra.

Sembrava essere una capanna di tronchi, nulla di speciale, ma accogliente. Si sollevò, guardandosi intorno. Per la prima volta dopo settimane si sentiva di nuovo in forze e per di più perfettamente riposato. Soltanto che potevano non essere state poche settimane, ma mesi, anni… forse di più.

Chi lo aveva portato lì dentro e perché?

I ricordi erano sfumati e confusi nella sua mente. Ricordava vagamente di essersi trovato in un bosco, debole… quasi spezzato. Ed aveva rischiato di morire. Poi inspiegabilmente erano arrivate quelle persone. Lo avevano raccolto, ospitato, curato. Avevano parlato con lui ma all’inizio non le aveva capite. Poi inspiegabilmente man mano aveva imparato. Non era la sua lingua, ma ci somigliava molto… un po’ di parole alla volta aveva cominciato a parlare con loro ed a capire.

Gli avevano più volte chiesto come fosse finito lì.

Non se lo ricordava.

Da dove veniva?

Non se lo ricordava.

Dove era diretto?

Non se lo ricordava.

Non si ricordava più nulla, se non il proprio nome: Xarioki. Chissà come gli avevano dato un piccolo specchio di metallo. Un oggetto rozzo ma utile. Si era guardato nel riflesso metallico e si era riconosciuto. Il volto scavato ed i lineamenti un po’ provati. Profonde occhiaie. Ma quel viso lo riconosceva… almeno gli era familiare. E poi gli avevano dato lo zaino che gli avevano trovato accanto. Dentro due libri. Li riconobbe subito, od almeno uno di essi. Era il suo libro di incantesimi. Aveva passato in rassegna le pagine, ma nulla era cambiato. Tutto era a posto, poteva ancora contare sulle sue conoscenze.

Invece l’altro libro…

Quella era tutta un’altra storia.

Era rozzo e malamente rilegato. L’aveva aperto ed aveva scorso le pagine: erano fitte di una scrittura minuta ed irregolare. Ma non se la ricordava… in tutto il tempo occorso per la sua convalescenza una volta era riuscito a recuperare una penna d’oca e dell’inchiostro.

Non si era chiesto da dove potessero esserseli procurati i contadini che lo ospitavano. Aveva provato a scrivere su quella carta screpolata in uno spazio lasciato vuoto. E la sua scrittura era identica. L’aveva scritto lui, ma non ricordava… e non riconosceva neppure la lingua che aveva utilizzato. Erano una serie di parole incomprensibili, estranee… inutilizzabili. Poteva essere stato un diario… o qualsiasi altra cosa. In qualche modo era collegato al fatto che non si ricordasse più nulla. Prima di quelle settimane nella sua mente vi era un orribile, gelido pozzo oscuro dal quale non scaturiva più alcun ricordo.

Non poteva rispondere alle domande degli altri perché non sapeva tirar fuori neppure le risposte per sé stesso.

Stanco di quei pensieri si alzò. Si vestì con i vestiti che avevano lasciato lì accanto. Per lo meno erano puliti e profumati e tenevano caldo. Soltanto allora si accorse che nella capanna non vi era alcun rumore. Era solo, probabilmente… e quella era qualcosa di più di una capanna… quella non era l’unica stanza. Con circospezione aprì la porta..

-C’è nessuno?- chiese, usando la lingua che aveva imparato dai contadini.

Nessuna risposta.

Si fermò un istante per allacciarsi la veste sul petto e le sue mani sfiorando qualcosa gli procurarono un brivido di dolore. Allontanò le mani di scatto. Cos’era? Era ferito? Si guardò intorno alla ricerca dello specchio. Non poteva esserselo sognato… doveva essere lì intorno. Lo trovò e nella luce piena del pomeriggio cercò di capire cosa avesse sul petto.

Un tatuaggio. Di due occhi. Chiusi.

Doveva essere stato fatto da poco. Ma da chi e perché? Lui non se lo ricordava. E quei contadini non potevano averlo fatto. Lasciò lo specchio sul giaciglio e raccolse lo zaino lì accanto. Era ora di uscire da quella stanza. Era ora di uscire da lì.

Anche nell’altra stanza il deserto. Nessun rumore e nessuna persona. Una piccola cucina ed alcuni arnesi ben lavati e riposti. Sul tavolo qualcosa da mangiare.

In effetti era affamato.

Mangiò quello che c’era: era delizioso e fresco. Qualora vi fosse stato qualcuno lì dentro era andato via da poco. Ma non c’era nessuno… era tutto come abbandonato. Ed ora cosa poteva fare?

Si rese conto che prima, nella sua vecchia vita doveva aver avuto qualcosa, qualcuno che lo accompagnava. Nessun mago si sarebbe mai avventurato nel mondo là fuori senza. E poi non aveva molto da fare… se non aspettare. Si mise al tavolo e pregò di avere ancora la memoria e le conoscenze necessarie… il rito di evocazione era laborioso e difficile. Le parole gli vennero spontanee, fluivano come un fiume in piena.

Si rese conto di averlo già fatto molte volte… Per un istante ebbe la tentazione di chiedersi chi fosse realmente, ma il rito richiedeva concentrazione e controllo. Liberò la mente dai propri dubbi e lasciò che la magia agisse, mentre là fuori la luce declinava, lentamente, molto lentamente.

Quando ebbe finito aspettò.

A questo punto avrebbe dovuto comparire.

Nulla.

Eppure le parole erano state quelle giuste e la magia aveva richiesto le sue forze e la sua concentrazione. Poteva ancora sentire le tracce sospese nell’aria.

Nulla. Non accadde assolutamente nulla.

Xarioki attese… attese che qualcuno gli spiegasse cosa stava accadendo o cosa gli fosse accaduto. Ma sapeva che non sarebbe mai arrivato. A quel punto non rimaneva altro da fare che cercare là fuori. Raccolse il cibo che era avanzato e frugò nello zaino. A questo punto era presumibile che non sarebbe arrivato nessuno. Dallo zaino estrasse un pezzo d’oro e lo lasciò sul tavolo, dopodichè uscì fuori, diretto ancora non sapeva dove… anche perché neppure là fuori c’erano i contadini. Soltanto un sentiero, quello che doveva percorrere per risalire la china dei propri dubbi. Gettò appena un’occhiata indietro e quindi si inoltrò rapidamente nella foresta. Da qualche parte lì vicino vi fu all’improvviso un enorme baccano di corvi che si levarono in volo a grandi cerchi sugli alberi, protestando vibratamente.

Sul resto della foresta attorno alla capanna rimase solo il silenzio.

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  • Amministratore

La pioggia batteva sulle vetrate colorate dell’aula in cui una trentina di giovani ascoltavano le parole del loro insegnante. Nella luce incerta dei pochi globi magici sospesi al soffitto, cercavano, con più o meno interesse, di prendere appunti sulla lezione.

In uno degli ultimi banchi, Vecadian Kirne scarabocchiava con la matita il banco. La lezione di oggi era particolarmente noiosa... sistemistica arcana storico-comparativa.

“...nel suo lavoro Rakoczy critica anche il modello lachmanniano delle Sfere... qualcuno sa dirmi in cosa consiste?”

“La magia si divide in quattro campi: magia degli elementi, magia dell’essere, magia del buio e magia della luce. La magia dell’essere si divide in spirito, mente e corpo, quella degli elementi nei quattro canonici, e cioé terra, aria, acqua e fuoco.”

A rispondere era stata Lariel Elencur. Eccola lì, naturalmente seduta in prima fila, tutta impettita nella sua saccenza... d’accordo, sapeva citare tutte le Sfere di Lachmann, e allora? Aveva avuto una vita per impararsele a memoria! Vecadian si lasciò sfuggire un sospiro. Lui non se le sarebbe ricordate, naturalmente, ma per quanto preparata fosse l’elfa, era anche piuttosto indisponente.

“Esatto, signorina” proseguì il professor Naragus. “Dicevamo, Rakoczy si oppone sia al modello classico delle otto scuole, sia al sistema delle Sfere. Segnatevi questa parte, che cito dal libro. <<...entrambe le sovrastrutture mistiche, pur compilando ragionatamente una critica suddivisione di effetti, non giustificano in maniera soddisfacente i processi di interazione e iterazione delle applicazioni pratiche, né rispondono alle divergenze di realizzazioni tra i singoli incantatori. Pertanto, ci sembra corretto postulare l’esistenza di una struttura unitaria e univoca, ma che tuttavia permette un ventaglio pressoché infinito di realizzazioni.>> Cosa ci dice il Rakoczy? Lei, laggiù in fondo.”

Vecadian si riscosse. Prese un attimo per formulare la frase, e poi concluse: “In pratica, se le energie magiche fossero suddivise come sostenevano i vecchi sistemi, non sarebbe possibile influenzare in nessun modo gli incantesimi di qualcun altro, cosa che invece è possibilissima con un minimo di preparazione. Per cui, ci deve essere un’unica fonte di magia.”

“Molto bene, signor Kirne. Ragazzi, prendete nota. Rakoczy ha appena introdotto l’idea di Flusso, che avete imparato fin dalle vostre prime lezioni di magia qui all’Accademia. Domani vedremo le dimostrazioni di Rakoczy e dei suoi seguaci. Per oggi abbiamo finito, arrivederci.”

A queste parole, gli apprendisti dell’Accademia radunarono le loro cose e cominciarono lentamente a defluire dall’aula. Prima che potesse uscire, Vecadian si sentì chiamare dal docente.

“Si fermi un attimo, signor Kirne... anche lei, signorina Elencur.” I due si guardarono per un attimo, sorpresi, poi si avvicinarono al loro insegnante. “Prima che ve ne andiate, vorrei comunicarvi che il rettore vi ha convocati nel suo ufficio, per domani a mezzogiorno. Arrivederci.”

“Arrivederci.” risposero in coro i giovani, mentre l’altro usciva. Ancora una volta, i loro sguardi si incrociarono, mentre rimaneva sospesa una domanda inespressa sul motivo della convocazione. Poi, senza neppure salutarsi, i due uscirono dall’aula, e si avviarono in direzioni opposte nel corridoio.

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«Ooooh! Fermi, belli! Ooooh!»

La sgangherata diligenza si fermò ben poco dolcemente, sballottando i passeggeri.

«Piazza Grande di Aalborg, signori! Si scende! É un'ora dopo mezzogiorno. Mezz'ora di sosta prima della partenza per Aetrain».

Rudin Evarick scese dalla carrozza, e Schultz lo seguì con un balzo. Dietro al cane scese una donna ricoperta di quella che sembrava una pelliccia di orso bianco, che sebbene fosse agghindata da gran dama non riusciva a nascondere la sua natura di mezzorca; non era rimasta zitta per un istante durante il viaggio, continuando a parlare con voce roca e un fiato così fetido da appestare tutta l'angusta cabina. Salutò Rudin con un ridicolo inchino e si allontanò.

L'uomo si strinse il giaccone addosso e sollevò il colletto. Rimpiangeva di non avere un mantello col cappuccio, con quel freddo e la pioggia che lo intirizziva.

Si chinò al fianco del cane e gli levò il laccio che fungeva da museruola «Ecco, b-bello, ora sei l-libero» Schultz gli leccò la mano riconoscente.

Stava per andarsene, quando il cocchiere lo richiamò «Ehi, amico! Mi devi ancora pagare!» Rudin si voltò infastidito. Aveva pagato caro quel viaggio su una carrozza scomoda che era arrivato con un giorno di ritardo, ed aveva ancora biglietto in tasca. «T-temo si-si sia s-sbagliato» disse incespicando parecchio sulle "s" «Io ho già p-pagato a Holmst-Holmstain. 25 corone, come da-d'accordo».

Il cocchiere tratteneva a stento le risate di scherno per il suo balbuziente interlocutore «Hai pagato per te, ma non per quella bestiaccia! Ho portato anche lui, sai!».

Rudin si era sorbito il viaggio con Schultz tra le gambe, senza neanche poterle allungare, tenendo calmo il cane irrequieto per la museruola. E avrebbe anche dovuto pagare. «S-senta. Non-non ho intenzione d-di litigare. Eccole un p-paio di corone p-per il di-disturbo. E t-tanti saluti.» porse all'uomo due monete, desideroso di ripararsi da quella pioggia gelida.

«Niente da fare, amico. Il tuo coso puzzolente paga la stessa tariffa degli halfling. 15 corone» parve pensarci su un attimo «Mmm... vabbè, riduco a 10 perchè è senza bagagli.» tese la mano da sotto la mantella impermeabile.

Rudin non ne poteva più di stare sotto quella pioggia, e anche se sapeva benissimo che il cocchiere lo stava fregando, decise di piantarla lì. Benchè non fosse ricchissimo il denaro non era un problema, almeno nell'immediato futuro. Prese 10 monete dalla borsa e le porse al disonesto cocchiere. Quando questo fece per prenderle le lasciò cadere a terra, fingendo di distrarsi. «Oh, mi-mi scusi... s-sono così maldestro. Arrivederci.» Prese un appunto mentale alquanto negativo sulla linea Holmstain-Aetrain dei fratelli Eydar e si diresse verso il primo locale che vide.

«Brrr... c-come si s-sente il so-sole di Unniver, quando m-manca eh, Schultz?» il cane abbaiò in risposta.

Rudin alzò lo sguardo all'insegna che recitava "l'Orso Rampante". Senza pensarci ulteriormente entrò chiudendosi alle spalle la porta, scrollandosi l'acqua da vestiti e capelli. Cercò un tavolo vicino al camino ma erano, prevedibilmente, tutti occupati. Si limitò a sedersi lontano dall'entrata.

"Aalborg... possibile che l'abbiano portato fin qui?" pensò mentre aspettava l'oste. Ricordava le indagini dei giorni precedenti: la particolare pergamena e l'inchiostro utilizzati l'avevano portato a Holmstain. Lì, dopo tre giorni passati nel quartiere a luci rosse a fare domande senza farsi notare e ad evitare rapine, finalmente la traccia che cercava.

"Una carrozza a poco prezzo, con tende spesse, in grado di viaggiare senza destare sospetti". Sembrava l'ideale per trasportare qualcosa di voluminoso e segreto senza sottostare ai ritmi fiacchi dei carri trainati da buoi. E Malcolm era decisamente voluminoso. Ma Holmstain era poco più che un paese, trovare tracce era semplice. Qui ad Aalborg, ben lontano dal suo abituale campo, avrebbe trovato una sfida molto più ardua.

Ordinò un piatto di fagioli e carne e si mise a ragionare.

Schultz attendeva paziente gli avanzi accoccolato ai suoi piedi.

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"Bah, questa birra fa schifo!

Chi cavolo me lo fa fare di rimanere ancora in questa locanda, eh ostè?"

Olbeon era nervoso, quella mattina.

Stava sorseggiando la sua birra, l'ennesima, subito dopo aver mangiato un po' di maiale mal cotto.

L'Orso Rampante non era niente di che, come locanda, ma lui si costringeva a rimanerci dentro da due giorni, per colpa della pioggia.

Ma si conosceva, e sapeva che non sarebbe durato ancora molto dentro quella betola: birra scadente, oste antipatico, mangiare che era meglio dimenticare, e neanche una p*ttana.

Scolò d'un fiato quello che rimaneva della sua birra, infastidito dal fatto che l'oste non lo degnasse di uno sguardo.

Sbattè il boccale sul tavolo, proprio in centro stanza, richiamando l'attenzione degli altri presenti.

"Un altra, oste!"

L'omone grasso si avvicinò a lui grugnendo, prese il boccale e andò verso il banco per riempirlo nuovamente.

Mentre aspettava, Olbeon roteò lo sguardo leggermente annebbiato per la stanza, e notò un cliente che non aveva neanche visto entrare.

A incuriosirlo erano gli assurdi capelli, di quest'uomo, che gli facevano venire in mente un pazzo scatenato che ogni tanto aveva visto in una città lontana.

Lo squadrò brevemente, senza troppo interesse oltre ai suoi capelli, e poi volse il suo sguardo al cane che stava ai piedi dello sconosciuto.

Uhm...potrebbe venir buono, cotto con il sugo, se non fosse cosi magro..

Il pensierò lo abbandonò subito, all'arrivo della sua nuova birra.

"Aarrgh, farà schifo come quella di prima.

Chissà perchè cavolo l'avrò ordinata?

Eh oste, perchè me l'hai portata?"

Olbeon provocò appositamente l'oste, per muovere un po' la situazione triste di quella stanza, in cui tutti tacevano.

"PERCHE' SEI UN MALEDETTO UBRIACONE SENZA CERVELLO!"

Tuonò l'oste nella stanza.

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La carne era ottima.

Cassièl ne addentò un altro pezzo con avidità. Non aveva mai apprezzato così tanto un arrosto di lepre. Sembrava la prima volta che ne mangiava uno. Si guardò attorno, cercando la sua compagna, ma si trovò a vagare con lo sguardo tra gli alti alberi della foresta. Immaginava che se ne sarebbe andata a cercare altra selvaggina, quindi avrebbe dovuto solo aspettare il suo ritorno… e intanto gustarsi quel pezzo di carne meraviglioso.

Gettò a terra l’ultimo osso quasi perfettamente pulito e si alzò, stirandosi vistosamente con un mugugno. Poi si zittì, maledicendosi per la sua imprudenza e chinandosi furtivamente. Il fuoco, anche se al tramonto, era già stato un azzardo in una terra che non aveva mai visto e che forse aveva in serbo brutti incontri. Istintivamente portò la mano alla spada e si rassicurò nel sentirne la consistenza. Si chinò e raccolse da terra una sacca composta da uno zaino e una faretra colma di frecce. Le contò e si disse che erano abbastanza, contando anche quelle della sua compagna.

A proposito di lei… che fine aveva fatto? Ormai era passata un’ora dalla sua partenza per un’altra battuta di caccia. Cassièl sapeva benissimo che era capace di cavarsela da sola, riuscendo ad essere letale tanto con quella spada bellissima quanto con quell’arco rifinitissimo, ma comunque non riusciva a nascondere una certa apprensione.

Spense del tutto il fuoco, mettendosi l’arco in spalla e nascondendosi in un tronco vuoto, in attesa di sentire il familiare rumore di zoccoli. Invece udì un fruscio ed il chiaro suono di passi in avvicinamento.

Si spinse più a fondo nel tronco. Attraverso la nebbia dei suoi lunghi capelli castani caduti davanti agli occhi vide avanzare una figura solitaria. Si scostò i capelli dal viso e la guardò meglio. La prima cosa che gli risaltò agli occhi fu il vestito, sicuramente di una terra straniera visto che non ricordava di averne mai visto uno simile. Aveva solo uno zaino in spalla e sembrava essersi smarrito.

Appena la figura si fermò al centro della piccola radura, Cassièl estrasse la spada cercando di fare il minimo rumore. Poi lo seguì con lo sguardo mentre si chinava proprio dove c’era stato il fuoco, solo per poi alzarsi di scatto e guardarsi intorno guardingo. Aveva sicuramente capito che chi aveva acceso quel falò non poteva essere andato lontano. Non c’era tempo da perdere.

Cercando di fare meno rumore possibile, Cassièl attese che quell’uomo gli desse le spalle. Poi si lanciò con tutta la sua velocità verso di lui… solo per venire scaraventato a terra da un campo di forza invisibile. Si rialzò subito, ma capì immediatamente l’errore: quell’uomo era un mago e, come se non bastasse, la sua azione ed il suo abbigliamento lo avevano appena identificato agli occhi di lui come un bandito, quindi come un soggetto pericoloso da eliminare.

Cassièl vide il mago alzare una mano e salmodiare. Sapeva che la fine era vicina. Si trovò a pensare a quanto dolore avrebbe sentito… finché una voce interruppe i suoi pensieri.

«Non fargli del male! Non siamo banditi…»

Era lei, la sua compagna.

La guardò mentre avanzava nella radura con passo nobile e deciso. Teneva il suo arco nella mano sinistra, mentre la destra reggeva il sacco della selvaggina. Lo chiuse e se lo attaccò ad un gancio della sua sella. Alzò lo sguardo e gli ultimi raggi del sole andarono a colpire i suoi capelli rossi, creandole una cornice di fuoco intorno alla testa, risaltando su una camicia anch’essa rosso fuoco, indossata sotto un corpetto di cuoio finemente lavorato. Il suo viso era bellissimo e nobile, lasciando trasparire una calma ed una serenità infiniti. Ma i suoi zoccoli che colpivano il terreno con impazienza malcelavano il suo nervosismo si fronte ad una situazione di pericolo.

L’uomo abbassò la mano e guardò stupito la bellissima centaura davanti a lui, mentre Cassièl abbassava la guardia e tornava a respirare.

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Camminò a lungo.

Quanto tempo era rimasto in quella casa? Non se lo ricordava.

Ed ora vagava in quel bosco fitto senza una meta apparente, soltanto alla ricerca di un posto abitato. alla ricerca di un posto dove vi fosse qualche persona... ma erano ore che camminava senza vedere nessuno. Perfino gli animali lo evitavano: camminava assorto nel silenzio più assoluto.

Chiedendosi di tanto in tanto come mai la magia di convocazione del suo famiglio non avesse funzionato.

Stava rapidamente calando la sera quando vide il fuoco, lontano in mezzo agli alberi. Si fermò un istante, indeciso sul da farsi. Là da quel fuoco poteva esserci qualcuno e quel qualcuno avrebbe potuto indicargli la strada. Però era un rischio.

Un rischio che doveva correre.

Si diresse in direzione di quella luce, affrettando il passo per paura di non perderla. E difatti proprio mentre si avvicinava la luce si spense all'improvviso. Lo avevano sentito? Si erano spaventati?

Andò avanti a tentoni fino a sbucare in una piccola radura.

Silenzio ed un mucchio di braci fumanti.

Il rumore dietro di lui fu improvviso.

Mosse la lingua prima di potersene rendere conto. Imn qualche modo la magia fluì in lui spontanea. Facile.

Ed il bandito andò a far cozzare la sua arma contro lo scudo magico.

Ed ora?

Si voltò verso il suo avversario e si rese conto di non poterlo affrontare. L'unica cosa che poteva fare era distrarlo e scappare... ma quanto sarebbe riuscito ad allontanarsi prima che lo riprendesse?

Questa volta le parole della magia vennero dalla sua mente. Ricordava bene quell'incantesimo, i muscoli tesi a scattare, si sarebbe infilato nel sottobosco e di lì si sarebbe velocemente allontanato.

Come ancora non lo sapeva.

L'adrenalina pompava dentro di lui.

Ed il ragazzo che lo stava affrontando sembrava quasi spaventato.

Poi la vide: un centauro, gli zoccoli che battevano con impazienza dsul terreno di radici nodose. Ma soprattutto quei capelli rossi... che gli ricordavano qualcosa.

Le parole dell'incantesimo gli morirono in bocca mentre qualcosa cercava inutilmente di venire a galla nella sua memoria...

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Non era l'ambiente più adatto a ragionare, l'Orso Rampante, e Rudin se ne accorse subito. C'era il normale rumore proprio di una locanda, e in più un chiassoso nano che continuava a borbottare sbraitare. Quando l'oste sbottò e gli urlò dietro di rimando, Rudin venne repentinamente scosso dai suoi ragionamenti. Tornando al banco infuriato, l'oste si rivolse all'uomo:

«Desidera della birra, signore?»

Rudin non alzò lo sguardo, cercando di mantenere la concentrazione:

«N-n... ehm... No, grazie, po-potrebbe portarmi solo dell-dell'acqua, p-per cortesia, non troppo ge-gelata. Grazie»

Non vide l'espressione di esasperazione mista a disprezzo dell'oste, e continuò a pensare, carezzando meccanicamente Schultz e roteando con l'altra mano la forchetta, lo sguardo perso come se il piatto di fagioli che aveva davanti fosse il più splendido degli arazzi.

L'oste, intanto aveva sporto una brocca fuori dalla sgangherata finestra, riempiendola di pioggia, poi la posò sul tavolo di Rudin con un gesto secco.

«Ecco a lei, signore» e si allontanò con un ghigno.

«G-grazie» rispose meccanicamente lui. Ne assaggiò un goccio: "Prevedibile: acqua appena raccolta, magari dalla grondaia, gelida e con un saporaccio. Ma non importa". Era abituato a questo trattamento, ogni qualvolta chiedeva dell'acqua in una locanda. Almeno non era presa da uno stagno come quella che ogni tanto servivano nelle taverne dei bassifondi che era costretto a frequentare per lavoro, come il Drago Assetato. Ma non poteva assumere alcolici, non mentre cercava Malcolm. Rudin Evarick stava seguendo la pista più importante della sua vita!

Il nano continuava a sbraitare alle sue spalle, e Rudin notò anche un paio di altri avventori che erano infastiditi dai modi barbarici di quel personaggio. Si voltò e con tutta la calma di cui era capace disse:

«Le dis-dispiacerebbe ab-b-bassare il tono d-di voce, p-per cortesia?»

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Una voce strana, nervosa nonostante lo sforzo, lo interruppe mentre scolava un po' di birra.

"Le dis-dispiacerebbe ab-b-bassare il tono d-di voce, p-per cortesia?"

Olbeon deglutì frettolosamente, spalancando gli occhi sorpreso, e sbattè il boccale sul tavolo, mentre si voltava a guardare quello strano personaggio.

Il silenzio calò sulla stanza, mentre tutti aspettavano la reazione del nano.

Olbeon guardò prima quel volto stralunato, del nuovo arrivato.

Poi voltò lentamente la testa a destra e sinistra, come a controllare che stesse parlando veramente con lui.

Abbassò un attimo gli occhi, poi scolò un altra sorsata di birra, avidamente, facendola colare sulla barba bionda.

"Ce l'hai con me nanerottolo?", apostrofò lo strano personaggio che si trovava di fronte.

"Si, credo proprio di si. Cosa c'è? Le tue delicate orecchie si irritano a sentire la voce di un nano??"

Si agitò sulla sedia, nervoso e provocatore, con tono chiaramente irritato e ubriaco.

Il cane ai piedi di quell'uomo si voltò a guardarlo, incuriosito e forse insospettito dall'andamento delle cose.

"E SE DECIDESSI DI URLARE TUTTO IL GIORNO?" la voce del nano tuonò nella stanza.

Probabilmente nessuno dei due interlocutori si accorse del bastone che stava impugnando l'ostè furioso dietro al bancone..

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Veck si affrettò nel corridoio, mentre le campane cominciavano a battere il mezzogiorno. Bussò alla porta del rettore, e dall’interno gli fu detto di entrare. L’ufficio del rettore era piccolo e arredato in modo molto semplice, contrariamente a quanto uno si sarebbe aspettato. C’erano solo una scrivania e uno scaffale, con vari libri, pergamene e piccoli oggetti magici, oltre che naturalmente un paio di sedie per gli “ospiti”. Naturalmente, una delle sedie era già occupata da Lariel, che stava guardando il giovane con la solita aria infastidita.

“Ben arrivato, signor Kirne. Si accomodi.” Disse il rettore, indicando la sedia libera. “Visto che siete qua, io direi di saltare i convenevoli, e arrivare direttamente al motivo della convocazione.”

Vecadian deglutì. “Se è per quel piccolo incidente con gli omuncoli, ho già spiegato al professore che non...”

Il rettore lo fermò. Lo sguardo di Lariel passò dal fastidio al disgusto. “Non si preoccupi, signor Kirne” disse l’anziano mago, divertito. “Non siete qui per gli omuncoli, anzi. Siete stati entrambi segnalati per l’Ordine.”

Ancora una volta, gli sguardi dei due apprendisti si incrociarono, pieni di stupore. Veck era letteralmente rimasto a bocca aperta. Lariel, invece, non perse la sua presenza di spirito: “Mi scusi, professore... ma noi siamo del nono anno, voglio dire... pensavo che l’ingresso nell’Ordine fosse riservato ai diplomati...”

“Normalmente è così, signorina Elencur. Al termine del decimo anno di studio, noi accettiamo come membri in prova tutti i diplomati che lo desiderino. Tuttavia, di tanto in tanto, uno studente ci viene segnalato per le sue capacità... due studenti, in questo caso. Non è la prima volta che succede, anche se è piuttosto raro.”

“E... e quindi... entreremo nell’Ordine?” chiese Veck.

“Con calma. Ho detto che ci siete stati segnalati... avete ottenuto ottimi risultati negli insegnamenti teorici, e con la pratica magica siete praticamente avanti di un anno, nelle vostre rispettive specializzazioni. Sono ottime premesse... ma dovete dimostrare di meritarvi questa promozione. Pertanto, se accettate, vi verranno affidati alcuni lavori di ricerca, in modo da valutare le vostre capacità di applicare quello che vi è stato insegnato. Pratica sul campo. Naturalmente, alla fine dell’anno sosterrete un esame ridotto sugli insegnamenti curricolari. Che ne dite?”

Veck annuì vigorosamente. Lariel si concesse un attimo di riflessione, e accettò. “Quindi? Qual’è l’incarico?”

“Trovate tutto in questa busta. Mi aspetto una relazione entro la fine della settimana. Arrivederci.”

“Signore, scusi... una busta sola?”

“Certo. Se non l’avete capito, lavorerete insieme.”

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tz, e questo che sarebbe? un incantesimo di evocazione?

che affronto, questa possibilità non l'avevo mai affrontata, ora finalmete mi è chiaro il perchè di questo corpo....

dopo averla recisa sarei dovuto scomparire per poi tornare nel mio corpo modificato dalla nostra unione, ma non pensavo che qualche pivellino magico avrebbe interferito con il processo di reincarnazione.....

-chiuse gli occhi e si concentrò a fondo, dopo qualche minuto necessario per ottenere il vuoto nella mente, si concentrò sulla propia forma originale e sentì che sarebbe riuscito con un poa volontà a ottenere il cambiamento...-

beh, forse gli devo un corpo in più a questo "magico", vediaqmo un pò che tipo è...magari potrei divertirmi un pò, e al massimo se non varrà la pena, potrò sempre abbandonarlo o divertirmi a ucciderlo....

detto ciò si stiracchiò un pò e infine richiamò il flusso dell'incantesimo che lo legava all'evocatore e si fece trasportare nel fitto di un bosco dove un volgare bandito stava fuggendo e dove il "magico" che risultò essere un umano un pò strano, e con addosso una puzza terribile, si trovava sconcertato di fronte a una centaura....

ancora nessuno si era accorto di lui, anche perchè la presenza di un gatto arancione nel fitto di un bosco tendeva a passare inosservata, quindi sedette e provò ad aspettare, giusto per decidersi sul dafarsi ed eventualmente godersi un combattimento....

ma nulla....

passò qualche secondo, ma non accade nulla...

allora decise di ravvivare un minimo la festa e con un balzo assalì al volto il bandito graffiandolo e enomandolo, per poi balzare ignorando quelle urla di dolore, e piazzandosi tra i due esseri rimasti, osservando compiaciuto con la coda dell'occhio il brigante fuggire

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Ma si può sapere che diavolo?

Il gatto era passato tra loro come un fulmine, soffiando come un forsennato. Ma da dov'era sbucato? La centaura non mosse un muscolo quando si interpose tra lei e Xarioki. Il gatto guardava a turno l'una e l'altro, pronto a scattare. Eppure c'era qualcosa di strano in quel gatto dal pelo rosso come un incendio. Xarioki provò a concentrarsi e seppe che uno dei suoi peggiori timori poteva essere vero.

L'evocazione del famiglio prima.

Era lui? Perché non si era materializzato subito dopo il termine delle formule magiche?

Il gatto si volse in direzione del mago, disinteressato per il momento alla centaura.

-Sei tu vero?- chiese Xarioki, con la voce incrinata dal dubbio.

Il gatto non si mosse, ma continuò a fissarlo. Soltanto che ora non era più pronto a saltare.

Xarioki estese la propria mente alla bestia. C'era solo un modo per capire se fosse veramente il suo famiglio. Nel momento in cui la sua mente lo toccò provò una sensazione di pericolo e curiosità insieme… anche quasi divertimento. Sì non c'erano dubbi c'era un legame tra loro. Con cautela gli trasmise pochi rozzi concetti: non muoverti per ora, non sono persone malvage. Non ci vogliono fare del male. La comunicazione era ridotta all'essenziale, non poteva pretendere di più. Sperò che il gatto avesse capito. Al limitare del fuoco giungevano ancora delle esclamazioni di rabbia. Il gatto doveva aver graffiato per bene il ragazzo.

La bestia si rilassò e si acciambellò a terra, leccandosi con calma una zampa. Quello non era un semplice gatto, ma era il famiglio che aveva evocato prima, senza apparente successo. Soltanto che la magia non aveva funzionato nel senso stretto del termine… Ebbe l'impressione che quello non fosse soltanto un famiglio. Forse era qualcosa di più…

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il gatto si mise a ridere delle facce impaurite che si affollavano appena oltre il cerchio di luce barcollante che si stendeva oltre al fuoco....hehehe con quel corpo riusciva a far scena con ben poco....era davvero eccitato, l'adrenalina iniziava a correre e finalmente i muscoli iniziavano a risvegliarglisi....

beh ora vediamo un pò che riesce a combinare l'uomo e che farà sta puledrona...

<Muoviti scimmietta... fammi un pò vedere cosa sei capace di fare, fammi divertire>

gli proiettò con tono sarcastico direttamente nel cervello e fu certo da come lo guardò che fosse riuscito a sentire pure la risata

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"C-credo non serva a-a-arrabbiarsi."

Lo strano uomo farfugliò delle parole, ma Olbeon non le capì tanto bene.

"Cosa? Cosa stai dicendo?"

"D-dico solo che a-arrabbiarsi non serve; le ho chiesto g-g-gentilmente di non urlare, perchè urla di più?"

Questa volta Olbeon riuscì a distinguere le parole, tra il tartagliamento dell'uomo e lo stordimento della birra che lo assaliva.

Si alzò di scatto in piedi, ergendosi di pochi centimetri più in alto dell'uomo seduto al tavolo; barcollò lievemente, mentre un po' di nausea gli saliva dallo stomaco.

Ruttò, rumorosamente, in faccia allo straniero, che rimase disgustato dal puzzo di birra che aleggiò nell'aria.

Con aria stralunata il nano si girò, afferrò il boccale di birra e lo svuotò quasi completamente in un unica sorsata.

Ne avanzò solo un goccio.

Allontanò il boccale dalla bocca, e lo guardò, evidentemente ubriaco.

Poi guardò lo straniero.

E gli rovesciò la birra sulla testa.

Quando smise di ridere rumorosamente si accorse, seppur a fatica, della situazione che lo circondava.

Il cane ringhiava, l'oste era alle sue spalle con un bastone in mano e accompagnato da un altro paio di omoni grassi e robusti, l'uomo davanti a se aveva una strana espressione sul volto, forse un misto di rabbia e paura,e lui si reggeva a mala pena in piedi, dopo la sorsata di birra.

La giornata si faceva interessante.

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Le parole gli rimbombavano in testa... bene, non solo aveva evocato un famiglio, ma era pure rissoso... e poco intelligente.

La risata non lo impressionò più di tanto. Guardò il gatto e gli trasmise il proprio pensiero:

"Stai calmo potrebbero esserci utili. Non c'è alcun bisogno di farsi attaccare inutilmente."

Non rise.

Fece in modo da trasmettere estrema gravità. Era solo, in una foresta sconosciuta e quella coppia mal assortita poteva essere un ottimo punto di partenza.

Per sapere dove andare... se non altro fuori da quella maledetta foresta.

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il gatto si stiracchiò un pò.... il profumo del fiore iniziava ad avvolgerlo, e questo lo rilassò un pò....iniziava ad annoiarsi di quell'umano inpaurito per una ciclopa un umano che stava con la ciclopa ma si teneva nell'ombra e una serie di briganti che odoravano di letame e fieno....

se non fosse stato per il recente "evento" che lo aveva unito a quel fiore tanto odiato, si sarebbe gia annoiato....e nei 400 anni in cui era esistito non vi era mai stato peggio di lui annoiato.....

...invece quella sera eccolo li, un pò rintronato, a grattarsi la testa e guardare un teatrino scadente

-Muoviti,- comunicò all'umano -e non tentare di intimorirmi con quei toni così gravi....e soprattutto qualsiasi sorte tu abbia deciso per sti qui vedi di fare in fretta...ho da sistemare un ultima cosa a colpa di quella ** di un Heaven's White Rose-

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"Rapido, immediato: sollevi la balestra, un dardo nel ginocchio, poi mentre quello cade a terra urlando dal dolore gli pianti un calcio nello stomaco, gli fai vomitare l'anima e vedi che impara chi comanda, poi se ti ha fatto proprio incazzare mandi il cane a mordergli le pallNO! No, diamine, no!" la voce dell'istruttore della Guardia Urbana di Unniver si spense nella mente di Rudin, mentre questi riprendeva controllo dei suoi pensieri.

"Ho già attirato abbastanza l'attenzione e non è certo il caso. E poi questo non è mica un criminale violento da sottomettere, è solo uno spaccone ubriaco poco cervello e tanto alcol. Non è il caso di storpiarlo".

Fece un profondo respiro.

«B-buono Schultz, buono» Meccanicamente lisciò il pelo al cane; questo si accucciò senza smettere di fissare il nano, ringhiando. Poi Rudin bevve una breve sorsata d'acqua, il tutto sotto gli occhi vacui e strafottenti del nano e quelli curiosi e un po' intimoriti del resto degli avventori.

Facendo violenza al suo corpo per non cadere preda dei suoi tic, si mosse lentamente, immerse una mano nella brocca d'acqua e si bagnò i capelli più volte.

Il suo occhio osservatore aveva già notato l'oste con i suoi due compari, armati di randelli, che si stavano avvicinando.

"Ottimo" pensò "vediamo di defilarci mentre questo idiota viene sbattuto fuori a bastonate".

Raccolse brevemente le sue cose, lasciò cadere qualche moneta sul tavolo, in modo che si sentissero. Il nano era rimasto piantato davanti a lui, con l'aria di sfida annebbiata dall'alcol, barcollando un po' ma senza muoversi. Ma quando vide che Rudin aveva intenzione di defilarsi, si mosse con passo incerto.

«Ehi... razza di sfig...ehi!» la pesante mano dell'oste trattenne il nano per la spalla, mentre un nodoso bastone era agitato sotto il suo naso.

«V-vieni Schultz. N-non p-perdiamo altro t-tempo qui.»

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  • Amministratore

Lariel procedeva a passo spedito sotto la pioggia, incurante dell’acqua che appesantiva i suoi abiti. Qualche passo dietro di lei, con un’andatura decisamente più rilassata, Veck si guardava attorno, cercando di godersi l’uscita nonostante il tempo.

Non si era accorto che la sua collega si era fermata, per cui le finì addosso in pieno.

“Kirne, muoviti! Non ho tutto il giorno da perdere, e per di più piove!” disse l’elfa, piuttosto infastidita.

“Ma mi spieghi che fretta hai, Lari? Dobbiamo solo arrivare in un qualche palazzo in centro e dare un’occhiata a... a cosa?”

Lariel si accigliò ancora di più. “Al luogo di un’esplosione. C’é stata un’esplosione, e le guardie hanno chiesto una perizia arcana all’Accademia. Per cui tocca a noi. Quindi, muoviti.” concluse, in tono gelido.

“Va bene, va bene... tanto sarà una sciocchezza. Se ha mandato noi due, vuol dire che non è importante, ti pare? Sarà la solita luce magica che non funziona.” Il giovane riprese a camminare, subito imitato da Lariel. “In piazza Markus, vero? Conosco la zona... c’era una locanda, dove si andava ogni tanto con gli altri del corso... possiamo fare un salto dopo, Lari.”

“Non mi interessa.” Il volto dell’elfa era una maschera di ghiaccio. “Abbiamo un lavoro da fare, e purtroppo dobbiamo farlo insieme, per cui facciamolo in fretta. Ah, un’altra cosa... Non chiamarmi Lari.”

I due giovani maghi proseguirono in silenzio, sotto la pioggia, fino alla piazza. Apparentemente, nella locanda di cui parlava Veck c’era un po’ di trambusto. La loro destinazione, comunque, era un edificio di fronte ad essa, un caseggiato di diversi piani. Dalla strada, potevano vedere una delle finestre del quarto piano divelta dalla sua intelaiatura.

“Quindi dobbiamo andare lassù?” chiese Veck. Lariel annuì. Entrambi, ora che si trovavano davanti al loro obiettivo, provavano un misto di eccitazione per l’incarico che li aspettava, e inquietudine – vista da lì, la cosa sembrava quasi pericolosa. I due varcarono la porta del palazzo.

Non si erano accorti che qualcuno li osservava dalla finestra del quarto piano.

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Questi ci sono utili. E non ci possono fare del male. Ho bisogno che mi dicano dove sono, quindi non farò loro alcun male.

Xarioki impresse in questi brevi pensieri tutta la propria forza di volontà. Il contatto con la mente di quel famiglio era qualcosa di strano. Come se pur sentendo il legame che li univa allo stesso tempo fosse perfettamente percepibile qualcos'altro. Si spostò lentamente, passo dopo passo, mettendosi in mezzo tra il gatto e la centaura... continuando a fissare quasi impaurito quei capelli ramati. Perchè guardandoli era come se si affacciasse alla sua mente un ricordo.

Qualcosa di terribilmente importante.

Qualcosa che avrebbe risolto tutto.

Mi scuso per il gatto. Ma mi ha difeso, non era mia intenzione fare del male ad alcuno. Il mio nome è Xarioki e... -indugiò un attimo indecis, poi concluse- ...mi sono perso.-

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