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Libertà


esahettr

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La vita è un fiume in secca

in cui immergersi da morti

per soffocare nella polvere

le ossa

Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaahhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh!!!!!!!

Trapasso assordante

di rami secchi e riarsi

dalla dodecafonia del vento

Lucono i fantasmi sull'autostrada di campagna e riflettono

la tua immagine distorta

e ghignante e folle

e curva

come cucchiai di lacrime traslucide e ricordi incoerenti

Mangiare le stelle non è più necessario di cagare

mangiare le stelle è molto meno necessario di cagare

oh mio Dio!

Traimi dalla mer*a mio Dio!

Fuori di qui!

LO SPIRITO FUORI DI QUI è scritto

sulla porta del tempio

con l'inchiostro dei grattacieli

Non troverai l'urgenza

fino alla sera del coro delle falde capovolte

E' tardi e la barista è vecchia

e stanca

così stanca

Francesco doveva un centone

a troppa gente

Era urgente?

Poetaaaaaaaaaaa!!!

Era urgente?

Urgente il suo incisivo sinistro

a dissanguare la smalto sul selciato?

Sull'asfalto della periferia della città dei cavoli avariati?

Erano urgenti le sue costole incrinate?

Era uno che doveva troppi soldi in giro e andrà all'inferno con me

perchè doveva un centone a quelli sbagliati

Feci un sogno

e lo dimenticai

perso

sono rivoltanti gli androni dei sogni

e marci

nessuno si specchierà mai nel loro muco

nessuno tranne noi che amiamo

noi che cuciniamo i pipistrelli del Messico

noi che amiamo te

come io credo che sia sano amarti

Ricordo il lamento

degli spiriti a cui rubai la radura

era lo strepito fantasma

di tutte le tombe inedificate

(e struggente)

Biascicavano incanti dimenticati

nella musica approfittando

del nostro stordimento

erano gelosi della radura

gli spiriti amici miei

della radura e degli alberi e dell'erba

e della linfa

della linfa più di ogni altra cosa

erano gelose le dita delle ombre

ma noi lasciammo un sacchetto di plastica

e una bottiglia di plastica

la bandiera universale del progresso

(quando non ribolle di sangue giallo rappreso)

è di plastica

Curiosi i colori

e singolare la loro danza lieve

d'acquerelli trafugati da case morte

frammisti a sapore di tempera cibernetica

Si chiude la tela fagocitante

non più sogni invocati da un battito di ciglia come roghi

o perle di vomito

si chiude su sè stessa estinguendosi al contrario

con l'ansito goloso dell'orgasmo incompiuto

e lascia schiudersi

il sogno intrappolato nel mezzo

si schiude il sogno con i suoi petali e tentacoli e con le sue braccia impersonali

intrappolato nel mezzo della tela

e si dibatte danzando

la danza d'agonia della mosca

sanguinando sulle nostre teste

Sognai un sogno convesso o forse lo sogno ancora il sogno convesso che sognai sto ancora sognando un sogno quel sogno è quel sogno o il successivo o un altro ancora un sogno

Un sogno?

Le loro ali multiformi?

Lo svolazzo carezzevole dei tuoi capelli

onirici e fintamente a caschetto

perchè lo hai baciato?

Il bacio è l'anagramma tarlato del sogno

e la sua chiave e il suo riposo

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  • 2 settimane dopo...

Andremo nelle notti candide sotto il sorriso materno della luna

andremo sul greto del fiume

il fiume inquieto e scintillante e smeraldino sotto i ponti di legno

andremo sul greto del fiume a raccogliere sassi colorati

a fingere che siano ancora incandescenti

sul fiume di smeraldo che sogna senza dormire

andremo insieme con i capelli spenti

con i capelli spenti che fingeranno di ardere ancora

e squarciare il manto della notte

andremo al fiume la sera tardi sul greto

a guardare la processione delle lucciole

o l'agonia

a vederle sguazzare nelle piazze vuote a vederle ansimare sorridendo

sorridendo di un falso sorriso ansimando

fra gli annegati e cavalcandoli

(le lucciole hanno dimenticato

hanno dimenticato la loro luce e la loro regina

le lucciole si credono falene

e si dipingono il viso di luce finta

per coprire il loro scintillio)

andremo insieme

insieme

insieme come siamo andati per migliaia d'anni

per miliardi di costellazioni di volte fianco a fianco

spezzando il pane e mangiando la carta vetrata

andremo ancora una volta nel respiro quieto dell'estate sul fiume

sul fiume dove tu una volta vedesti una lucciola antica

tu la vedesti e io mentii e dissi di vederla

andremo insieme impalpabili ed effimeri ed eterni sotto lo splendore delle stelle artificiali

fra le vere stelle invisibili andremo

invulnerabili alle calcificazioni del tempo sanguinante

al suo cristallo imperdonabile

andremo come siamo andati per anni nei campi di calcio dell'ultimo guizzo dell'innocenza

andremo nel buio sorridendo

sorridendo un po'

e i portali della notte si apriranno per noi

faranno un'eccezione

andremo cantando una vecchia canzone

e io non cercherò nel cielo il fantasma dell'arcobaleno

andremo ignari della nostra piccolezza

taceremo delle occasioni perdute alle spalle

ormai sommerse ed espiate come gli schizzi di un bambino sulla spiaggia

andremo assieme negli spazii infiniti della memoria

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L'ultima volta che hanno sco*ato

è stato quattordici anni fa quando hanno concepito la figlia

poi era solo dormire separati (a casa della famiglia di lei)

e poi lanciarsi le stoviglie e una volta un tostapane

farle volare da una parte all'altra della cucina ampia e sporca e disordinata

ma c'erano sempre le cene e il Rotari e gli amici di famiglia

(anche se lui si era sempre sentito inferiore)

e andavano tutti in chiesa alla domenica

quasi sempre tutti tranne il figlio che dormiva

(poverino era stanco e la scuola era difficile)

e poi non c'erano più i soldi per compararne altre

per comprare altre stoviglie

lui non pagava le tasse

ma finchè andava a lavorare era riuscito a stare fuori dai casini

poi l'incidente e i Valium e i Prozac e tre pacchetti di Marlboro rosse al giorno

tre pacchetti di cicche al giorno tutti i giorni

mentre tornava bambino davanti al computer

e giocava e giocava e giocava

e non pensava all'incidente

e non pensava che avrebbe potuto studiare di più

quando era giovane

e non pensava che abitava da diciotto anni a casa di sua moglie

sua moglie che non riusciva neanche più a sco*are

e giocava ed era qualcun altro

era un elfo un mago un orco e lo rispettavano tutti

e non pensava e fumava e si faceva di Valium

e il Valium gli lobotomizzava l'uccello e la vita

e l'anima mentre lui era un elfo

il vuoto lo inghiottiva e lui sorrideva e faceva sì con la testa

per la riuscita dell'incantesimo

lei faceva finta di fare il giudice

ma era ricca di famiglia e aveva la casa e suo marito aveva fiuto per i soldi

aveva la casa di suo padre e prendeva anche qualche affitto

certo la casa era un po' in disordine ma era grande

era grande e la rumena veniva a pulire solo quattro ore alla settimana

e poi lei doveva occuparsi di sua madre

della nonna che erano quindici anni che aveva il tumore

ma non si decideva a espletare l'ultima formalità

a firmare l'ultimo pezzo di carta della sua vita di firme di pezzi di carta

non era proprio la buona vecchia borghesia

(quella che stuprava sorridendo e NON DICEVA PAROLACCE)

proprio no però non stavano male in fondo

(ah, se solo fossero riusciti a farlo di nuovo come una volta!

a farlo di nuovo!)

e anche se in casa non avevano tanti libri

come in casa dell'amico di suo figlio

(quegli intellettuali un po' la inquietavano a dire il vero

ma suo figlio era un tipo responsabile

e c'erano già abbastanza casini)

e anche se quei comunisti avevano più libri

loro avevano la TV più grande

(i Totem sono importanti)

il vuoto la inghiottiva e lei avrebbe tanto voluto sco*are

(o che sua madre morrisse o entrambe le cose)

c'era un figlio di sedici anni

che si sfondava il cervello tutti i sabati sera

(a volte anche il mercoledì pomeriggio)

si sfondava il cervello di qualsiasi me*** riuscisse a trovare in giro

(c'entrava qualcosa anche l'amico con i genitori tanto colti forse)

un figlio di sedici anni che una volta era tornato a casa con due pupille così

due occhi neri grandi come meloni due abissi in cui annegare

era tornato a casa con la mascella da raccogliere con il cucchiaino

muovendo la testa a scatti

e visto che non se n'era accorto nessuno

aveva deciso di andare avanti così

visto che suo padre non alzava neanche la testa dal computer

quando tornava a casa il sabato sera

(verso le tre mezzo di mattina)

e non riusciva ad addormentarsi fino alle dieci

e poi dormiva fino a ora di cena

(surgelata)

il vuoto lo inghiottiva e lui pensava che tre cartoni il prossimo sabato

non glieli avrebbe tolti nessuno tre bei cartoni di quelli buoni

(anche perchè questi non li aveva ancora provati)

c'era una figlia un po' più piccola era bionda e carina

e aveva un sorriso malizioso e già a dodici anni

le erano venute le tette

era carina e in città quelli più grandi

quelli più grandi se la sco*avano un po' tutti in città

mentre i suoi gentori dormivano in stanze diverse tanto la casa era grande

("pechè papà russa")

si faceva tutti quelli decenti del liceo

e quando quelli decenti finirono incominciò con gli altri

suo padre non entrò mai in camera sua

quando scappava (aveva la finestra comoda)

e sua madre nemmeno

e così non videro il diario strappato non videro le pagine stampate da Intenet

così non videro sotto il letto il test di gravidanza

(positivo)

il vuoto la inghiottiva e lei pensava a dove ca*** andare ad abortire

e così un giorno un giorno che arriva sempre per tutti

per tutti i maledetti figli di putta*a del buon Dio

ma che per qualcuno è peggio

un giorno la Guardia di Finanza parcheggiò la macchina

nel giardino mal curato incolto e pieno d'erbacce di casa

(di casa di lei)

il vuoto li inghiottì

gli pignorarono la Jaguar con i sedili di pelle bianca ormai marroni

e gli pignorarono i tappetti persiani (di sua moglie)

gli pignorarono la TV da cinquanta pollici (ne avevano altre due ma più piccole)

e i videogiochi del figlio

(che quella mattina non era a scuola ma al parco perchè era arrivata l'erba

e che appena tornò a casa andò a controllare il bong da mezza milionata)

e gli pignorarono il computer

(quello no quello lo distrusse era la goccia che fece esplodere il vaso togliergli il computer

quella fu la dannatissima fine il suo computer la fine)

il vuoto li masticò e non li trovò di suo gradimento

un giorno lui se ne stava sul divano a guardare la TV

(era più piccola e non prendeva neanche tutti canali e non si vedeva neanche bene)

mentre suo figlio in camera arrotolava una banconota

mentre sua figlia si guardava la pancia allo specchio

mentre sua moglie in cucina piangeva in silenzio

e prese venti o trenta o quaranta pasticche di sonnifero

e le buttò giù con tutto l'alcol che il figlio aveva risparmiato

il vuoto li risputò

(a pezzetti)

non proprio la buona vecchia borghesia quella che strangolava cantando le canzoni dello Zecchino D'Oro

lo trovarono morto nel cesso un paio d'ore dopo

aveva vomitato la pizza surgelata del pranzo

(probabilmente era scaduta)

suo figlio (ancora abbastanza incastrato dalla keta e presangendo la propria dipartita di lì a due anni al parco della stazione con una siringa nel braccio)

pensò che lui se ne sarebbe andato sorridendo

sua figlia (che di lì a sei mesi avrebbe scodellato una rosea e piangente sopresa a mamma)

pensò che avrebbero dovuto sco*are di più i suoi

(e lei di meno ca*** il pancione cosa faccio)

sua moglie (con gli occhi rossi di pianto)

pensò che le lasciava solo debiti e

scoprì di averlo sempre odiato e lo odiò per sempre

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Canzone per il Futuro

Questa è per quello che sarò stato

per il ragazzo che sarò stato

per la mia rabbia trasparente

per quando levigo con l'alcol la mia solitudine

perchè non si trova altro

per il ragazzo incerto e dubbioso così maledettamente incerto

e così pieno di rabbia di risentimento

così pieno d'amore

per quell'amore struggente e inespresso

per la necessità e la mortificazione poetica

per il ragazzo incapace di esprimersi e incapace d'amare

per l'amore che non riesco ad amare

questa poesia è per tutte le sbronze tristi

e per le canne inutili

per le illuminazioni di mezzanotte o delle tre e tre quarti del pomeriggio

per il bisogno di avere bisogno di avere bisogno

per tutta la vodka da poco che sa di medicina da ciarlatano

per tutta la vodka trangugiata a forza per non pensare

per quella volta che comprammo tre bottiglie e il vecchio commesso ci guardava come fossimo pazzi (e forse lo eravamo)

per le seg*e a denti stretti

per lo zaino che porto sempre sulle spalle

pieno di mologhi e deliri e poesie e racconti e romanzi mai scritti

per le pomposità e per l'esibizionismo infantile e per l'autocelebrazione vuota

per le battute razziste e per le barzellette sporche

che mi hanno sempre fatto venire voglia di piangere

per la lunga fila di bottiglie rotte e mozziconi e rimpianti e rimorsi e paure e occasioni andate sul mio davanzale

questa è per l'illusione di potersi accendere a comando

per le notti in cui non riesco a dormire e di colpo incomincio a brillare

ma sono troppo stanco per dare ascolto

per tutti i pomeriggi di sole sprecati davanti a uno schermo

a tentare di ingabbiare il fuoco fatuo la maledetta scintilla intermittente

il lampione lunatico il fuoco d'artificio svogliato

la stella pigra che mi ossessiona e mi comanda e mi fa sognare sogni di claustrofobia infinita

il tarlo che mi divora tutto da quando ha raggiunto la cosiddetta ragione

la necessità assoluta di dovermi accendere di dover brillare

per l'interruttore nello stomaco che non troverò mai per la chiave spezzata nel fegato che ho frantuamato a forza di porcate e che forse non ho mai avuto

per la porta introvata che separa la mia mente dalle luci fantastiche

per quella porta che qualche volta la musica fa socchiudere

per la fucina spenta il vulcano ipotetico

per il profeta delle ventitrè e trenta

per la pupilla dilatata e per la pupilla a spillo

per la pupilla dilatata del sabato sera che mi dà tanti probelmi con le vecchie benpensanti e i genitori degli amici

per il ragazzo scontroso seduto in fondo alla camera

mentre gli altri si abbracciano sul letto e contano le stelle finte

per lo sguardo vuoto fisso sull'immensità candida del muro

che ho guardato per tanto tempo senza capirla mai fino in fondo

questa poesia è per quando vado a droga

per quando piango e prometto e giuro e spergiuro e piango e giuro

per tutte le volte buone mai concretizzate

per quell'unica volta buona che non verrà ma se verrà la sentirò rintoccare

per il ragazzo che da sobrio non riesce a spiccicare parola

e fugge da solo nel parco a biascicare incantesimi

o nel retro di qualche cortile a pisciare

in un parcheggio vuoto e silenzioso e buio

per fissare di nuovo il muro

per quando gli altri parlano e io non riesco a dire nulla

per quelle manciate di conversazioni degne di questo nome

quando davanti agli occhi aggrottati dei secchioni della città

sviscero con nonchalance tre quarti della filosofia mai scritta

e la getta nel fiume ancora incandescente della mia condiscendenza

per tutti i deliri sul nuovo misticismo sincretista

che salverà la Terra dal materialismo occidentale

e dalla pigrizia buddista

questa poesia è per gli amici che mi avranno lasciato troppo presto lo so

per tutti i profeti del tramonto che se ne saranno andati sorridendo a sorgere per sempre fra le stelle

per i loro ricordi trasformati in fantasmi della notte dall'ineffabile incanto della morte

per le loro ombre struggenti che non mi lasceranno dormire non mi lasceranno in pace e al mattino si disintegreranno nel sole come polvere

per i loro poveri spiriti martoriati dalla morsa del gelo della tenebra

per tutti i profeti che cercavano l'arcobaleno che volavano troppo alto Dio gli ha bruciato le ali hanno sbattuto la testa contro il tetto dell'etere

per tutta l'ansia per le botte per la Paranoia

la Paranoia la Paranoia la Paranoia

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Ma chi ca*** te la scrive una poesia, eh? Eccheccazz!!! :lol:

Ti strappa il cuore e lo fa a fette

con un coltello da cucina

ma tu non te ne accorgi

perchè quando lei è in una stanza

la stanza svapora come cenere

la stanza scompare come fumo

soffiato dal vento impetuoso

il tempo si ferma e il mondo comincia

a vorticare rombando di desiderio

tu sei incantato cotto stordito

e l'unica cosa che puoi fare è adorarla

amare ogni atomo della sua pelle vellutata

e non vedi niente tranne la luce

puoi soltanto rimirare l'ossessione martellante

il delirio del suo corpo che sfiora il tuo

di un'onda sinuosa come l'oceano

le sue mani fredde sul tuo petto

che respira il suo fiato caldo

il tuo petto che ondeggia stremato

dal sortilegio ancestrale delle tue labbra

incandescenti come neve fiammeggiante

puoi soltanto fissare i suoi capelli incandescenti

sviscerare l'alfabeto delle tue infime carezze

sapendo di non poterla toccare mai

dilaniare il regno dei tuoi baci di strada

alla ricerca di quello che vada bene per lei

E mentre ti inebri del suo profumo

della canzone conturbante dei suoi occhi

come lampioni di sole sotto un crepuscolo perlaceo

ti strappa il cuore e lo fa a fette

con un coltello da cucina

e tu sei contento come non sei mai stato

e mentre vomiti un fiotto di sangue

e ti premuri con tutto te stesso

con tutte le slegate vestigia del tuo corpo morente

e la tua mente agonizzante

di non sporcarle i vestiti

arriva la morte e muori contento

di morire al suo cospetto

e muori contento del tuo amore sofferente

e sprecato il tuo amore di polvere

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La città sotto il mare

Ci siamo attardati troppo nelle camere del mare

Con le figlie del mare incoronate d'alghe rosse e brune

finchè le voci umane ci svegliano, e anneghiamo.

T.S. ELIOT

Il mare prende e il mare dà

e divora il mare

e dimentica.

(Che cos’è la sabbia se non tempo perduto?)

Il mare distrugge

e dall'oblio risorge.

Chiedi agli annegati

se è profondo l’oceano.

(Laghi come pozze di tramonto liquefatto d’occhi

fuochi sull’acqua)

Fratelli andati nel vento

con la schiuma delle onde,

maledetti,

perdonatemi.

Ti mostrerò la terra dove le ombre sfumano

Ti mostrerò la città degli spiriti dolenti.

Sotto il mare sotto l’oceano

sotto le onde, fratello, sotto il ponte coriaceo delle onde

negli anditi subacquei dove non fiammeggia lo spazio,

dove la marea accoltella d’immagini il fondale sabbioso

(non c’è luce là sotto, soltanto fuochi di buio nell’ombra

e non c’è pace, soltanto il silenzio inquieto del sonno agitato)

e i teschi affranti delle rocce si frantumano nel frinire senza fine delle vongole,

vedrai cadere le stelle marine e sanguinare

vedrai nuotare i velieri fantasma, rovesciati e con le vele fradice maciullate.

E il vento è incessante laggiù, e soffia la sua anemone di fiato musicale

solleticando il ghigno delle zucche azzurre (e marce e dimenticate). Guardale

rotolare e rotolare e rotolare senza peso, le bocche e i nasi

che vomitano le carni bluastre e pestate e sofferenti.

Rotolare rotolare rotolare nei canali delle correnti gelide,

rotolare, sempre più veloci, sempre più vicine

al vorticante grembo di tamburo dell’abisso perlaceo.

Rotolare rotolare rotolare vomitando la polpa iridescente, guardale.

(Avanti, sorelle, andiamo a respirare le tossine dell’estremo frutto della mente!)

Gli echi smorzati degli oblii dell’amore si rincorrono come

scariche elettriche nelle gallerie del respiro del mare, nelle grotte.

Si baciano sfiorandosi con gli artigli di aragosta,

perchè non possono toccarsi senza morire.

Viene lo scorfano sornione a deriderli,

viene la triglia sanguinante a divorarli.

I cadaveri dei marinai fioriscono nell’acqua come fiocchi di neve

che galleggiano, si imbibiscono d’acqua i vestiti e le membra irrigidite dall’addio

e affondano a nutrire le chele villose dei granchi senz’occhi e rosso sangue.

E si strusciano i serpenti dal verde collare sciaguattanti

nella vitrea pioggia dorata della polvere liquefatta del sole sott’acqua.

Si aggrovigliano viscidi in gomitoli rettili, i serpenti marini si aggrovigliano danzando

nell’alfabeto degli oceani.

I volti degli annegati lampeggiano come vetro incrinato

alberi salati di ghiaccio e d’alghe tremando gli rispondono,

colore schizzato nella tromba impazzita dei ruggiti delle balene

nei gorghi perduti delle profondità.

Guarda il sentiero di fango rosso brulicante di lumache di mare

(all’ombra di tombe di denti di squalo nei cimiteri delle inondazioni

all’ombra degli altari di tendini di balena).

Segui l’ossessione senza patria della marcia bisbigliante.

Tutti i naufraghi, tutti gli annegati, i pirati e i marinai, tutti gli amici perduti, qui,

che camminano le strade del mare con le alghe verdi fra i verdi capelli marini

con viscidi molluschi che nuotano negli occhi.

Verso la città tre volte promessa

verso l’azzurro monte di fumo

verso le torri dell’abisso.

Ecco il triste sobborgo dei relitti arrugginiti e ricoperti d’erba di mare,

carcasse di navi che non navigheranno mai più, colate a picco,

in cui nuotano magri squali affamati dai denti crudeli

con gli occhi bianchi e più ciechi dell’abisso,

più bianchi delle cataste madreperlacee delle ossa dei padri

pronte per il rogo dei delfini.

Ecco le capanne d’alghe e fango dei tritoni minacciosi, e le sirene loro sangue.

Guarda il giardino in eterno fiorito dove le figlie del mare

danzano la perduta danza ammaliatrice degli annegati.

Guarda la pelle liscia e i capelli lucenti bruciare e avvizzire

guarda i loro biondi visi maliziosi splendere e marcire

guarda la loro danza diventare un vortice di polvere.

Il delirio della carne appassisce come una candela nel vento.

La loro danza arde del fuoco nelle vene degli uomini,

ma non c’è sangue nelle vene d’aria degli spettri insensibili alla carne.

I morti danzano soltanto la morte.

Ecco la città, fratello, con le sue cupole di ragnatela

e le sue porte di pioggia.

Sul fondo dell’oceano, nell’intestino dell’abisso, la città annega, annega.

Affonda con i suoi specchi di sogno e i suoi altari di alghe marce

con le sue case vuote e lucenti, distorte al bagliore delle ombre

nel rintocco freddo dei cocci di vetro della clessidra del tempo

contro il pavimento di roccia dei saloni del mare.

Affonda la città nella piaga aperta sul suolo del mare,

nella voragine cauterizzata da fiamme antiche,

con le sue bianche scalinate di marmo dell’abisso,

con i suoi templi di ossa di balena,

sul cui pulpito a volte il fantasma di un falso profeta vomita il suo muto sermone di bolle.

E’ un puntino, è microscopico nell’accecante vastità azzurra dell’oceano infinito

e sacrifica un ricordo a dei dimenticati, e piange vento nel vento dell’abisso.

Su, monte, torri, Torre!

Tanti, tantissimi, tutti gli spiriti azzurri accalcati uno sull’altro, all’infinito!

Ecco il monte, gli spiriti! Ecco le torri e la loro bianca regina capovolta! La porta!

I marinai cavalcheranno di nuovo! Di nuovo! La torre svanisce!

Guarda! Gli annegati risorgono e la città affonda!

Sacrifica un fiore

alla Madre degli Abissi

per l’amore sfiorito.

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Sperando di non essere caduto nell'abisso del buonismo, tomba dell'arte. E poi menate a parte essere buonista mi starebbe proprio sulle palle.

Ballata

Sono caduto fra le rose

per commuoverle

(fammi piangere)

fammipiangerefammipiangerefammipiangere

sono apparso al confine

fra gli alberi e l'abisso

dove il vento abbraccia con le sue dita gelide

le liane del tempo

ho dato le spalle agli alberi

e ho cominciato a costruire un ponte

che non finirò mai

un ponte oltre l'abisso

un ponte dìinquietudine e di squarci di ombra e di luci aliene

quando ero piccolo mi piaceva dondolare

quando ero piccolo mi piaceva dondolare

quando ero piccolo mi piaceva dondolare

eiaculazione di lacrime a comando

i miei avi hanno tagliato la foresta

tutte le mie immagini infrante così potenti così infrante

sono per voi

martiri insonni navigatori dello spazio avventurieri pazzi

ho masticato l'amore

della gomma di tutti i vostri occhi

abbiamo mangiato il sacramento dell'amore

fianco a fianco di notte

verrà il giorno in cui gli dei

verrà il giorno in cui gli dei

si riprenderanno la mia creta il mio pugno di terra

verrà il giorno in cui la mia sabbia si asciugherà

verrà il giorno in cui gli dei

concimeranno delle mie ossa l'immensità

verrà il giorno del sacrificio

verrà il giorno dei vermi

le luci rotanti

hanno uno sguardo strano

cammina cammina cammina

nei profondissimi fiumi di nebbia d'autunno

e ama il vento

e sii il vento

quante volte dovrò buttarmi giù?

mi fa male qui

mi fa male qui

tutti i miei errori

e i miei rimpianti

i miei occhi rivoltati

un altro giro sprecato

e il mulino va ad incupire altre notti

avvitando il pozzo delle mie tristezze

e il mulino va a insudiciare altri santi

davanti al tuo viso a zigzag

una notte d'euforia

volevo cantare le onde delle strade

la resurrezione dello spirito delle maree delle piazze

l'amore è la canzone di un giorno

l'amore è una canzone spezzata

l'amore è l'istante in cui la polvere è eterna

per i fratelli rotti

per le epifanie della strada

per tutta la luce che danza nel buio

sono triste ed è per questo che canto

per tutti quei ragazzi tristi

che non hanno nulla

tranne un sogno e una maledetta ostia

alla fine, riesco sempre a commuovermi

fingendo

appartenenza

e forse non fingendo del tutto

alla molecola dell'amore

la comunione sacra dei ragazzi delle strade

sorgeremo

sorgeremo

sorgeremo

senti le grida degli anni sprecati

il paradiso dei dannati

per me

per tutti voi

per tutti noi

le rovine fumanti del cielo

ricordo

tutte le notti di mura di volti di streghe liquefatte

le idee pazze per le idee distorte

i lampi di cristallo che per una notte

aprivano in due il cielo

e ci tenevano al caldo

e ci tenevano al caldo tutti insieme abbracciati

non perdete la speranza

smarriti nel lussuoso labirnto della miseria

annegati nelle strade allagate del fango del nostro amore troppo grande per amare

quando progettavamo improbabili fughe dal grigiore della provincia

mi sentivo vivo

perchè non abbiamo mai preso quel treno?

abbiamo fatto bene a non farlo

così nel giorno cruciale

avremo rimpianti a sufficienza

per restare un attimo

a contemplare tutto questo amore soffocato

che fiorisce morendo

ogni secondo

e non perderà mai e non trionferà mai

tutto questo amore

ma è bello sperare che trionferà

e per una notte

se piacerà alle stelle mute

trionferà ancora

e se alle stelle mute piacerà per una notte questo amore trionferà

e per altre notte e ancora altre notti

e ancora e ancora e tutte le notti d'amore e i fratelli della notte di tutte le notti

si prenderanno per mano

e si illuderanno e crederanno che l'amore abbia trionfato per sempre

e invece è solo una notte

ma non sarò certo io a dirgli

che è questione soltanto di una notte

perchè saranno al caldo e non vorrò disturbarli

sfonderete le vostre tombe d'asfalto

e i vostri teschi di cemento

le vostre catene di paranoia

risorgerete di luce

e cavalcherete le cime innevate dei monti

e le stelle viola e verdi e gialle come frutti

e l'albero del cielo lontano

risorgeremo per divorare il sole

il profeta con gli occhi di gomma

andrà per tutte le strade

a dare l'amore ai disperati

ai disperati

tutto l'amore ai disperati

tutto l'oblio ai disperati

tutta la sofferenza andata

tutto il mio amore sprecato

i miei altari di cenere

il miei templi di parole inutili

forse siamo stati liberi

forse saremo liberi

forse non potevamo essere più liberi

forse non poteva andare meglio di così

forse andrà meglio di così

certe notti non poteva andare meglio di così

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Cesseranno un giorno le vibrazioni siderali

cesseranno tutte

Com'è vuoto questo cielo, notte!

Come sono spente le stelle, luna!

Il sole è morto

mortomortomortomortomortomortomorto

e non è nemmeno esploso

Ho sognato la slavata perdizione dell'infanzia

larve negli occhi di un pupazzo

e stridore di foresta ancestrale

le creature spezzate escono dagli anfratti

Il potere è quietato ora

nel grembo delle viscere del mondo

fra le radici antiche dei faggi onniscenti

Scaveremo nel manto umido dell'orrore

e nel fango accecante della morte

nello spettrale terrore dei villaggi abbandonati

il terrore senz'occhi

ma con mille tentacoli dissonanti

I cani risorgono due a due

nella terra delle sorgenti disseccate

e i pipistrelli di polvere

con le cieche ali violacee spalancate

nella notte eterna riemergono

dagli occhi di pietra degli antichi dei

Le querce dai rami fitti di visioni

echeggiano il respiro lampeggiante

del cielo spiritato di candele

e poi il deserto rosso dei campi

coperti di rocce bluastre rabbrividisce

e il vento ne infrange i sospiri

La pace verde e assolata del mio capo incoronato

dalla luce tremula della vite di maggio

Il richiamo dell'ingranaggio triangolare dei fari della macchina argento

mi disintegra

E' bene

o è male

sarchiare il fiume?

Chiedilo alla tempesta che ritorna

chiedi alla muta tempesta

chiedilo alla falce

Frammenti prismatici di allucinazione materializzata di collina che rotola

accecandoci con il fulgore di una visione di scorrere di ruscello d'acciaio

i fili del nulla

combaceranno ancora

e il sole masturberà altre ombre

Tutta la nostra vita fluisce

in quegli sferraglianti fremiti d'immagini cieche e di siepi di labirinto

a nutrire l'adunata-miraggio dei volti nelle bolle iridescenti sulle spalle dei pini

E' l'imbrunire

e le carovane della notte cominciano a viaggiare

fra le luci

Nelle case degli idoli di fango

i lupi d'acqua s'impiccano alle stelle

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Con un rogo

cominciò la vita.

La contemplazione cieca

del signhiozzo della notte

giunge in silenzio

a trarre in salvo la luce

in suppurazione.

Pazzesco è come infine

ogni stella sanguini la sua

dose di nubi automatiche

senza alcun impegno

come una gran cassa sghemba.

O mia morte sfrontata

ho paura di annoiarti troppo a lungo?

Mi nauseranno queste strade

serpeggianti fra le siepi

un giorno o l'altro? Tocca.

Ho paura che la melma

contenga solo scarafaggi.

La serenità è il cielo riflesso

sullo specchio degli orti dei sogni.

L'anima è una vecchia palla

da biliardo e la puoi imbucare

soltanto nella buca del tempo.

Spiriti, cosa vi ho fatto?

Con un rogo immenso

cominciò.

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Verremo nudi alla morte

come da bimbi nei campi

le gote vitree dimenticate le fantasie

ritorte andati gli affanni sull'ala muta degli artigli

Cosa sono diventato?

Devi suonare la morte quando

chiama il cielo e gli angeli

vomitano sabbia dai ponti

e si accarezzano i capelli di carezze incandescenti

e si baciano le ali di gemiti impossibili

froci

La tenebra ha occhi di diamante

socchiusi nel respiro

del re della collina

incoronato di rupi e nebbia

che culla i suoi stracci di vetri rotti

e li stringe al petto piangendo un lieve pianto

di foglie secche riarse e topi di campagna

Il mare feconda la luna di parole grevi e

brucianti come stelle cadenti

al ritmo d'argento della cavalletta

e in calore per il fallo meccanico

degli occhi di fuoco e roteanti

un cimitero di costole di stella

In ginocchio a baciare le orbite vuote

del teschio d'edera

il fascio di fantasie ritorte

che disse alle nubi siate grigie

che disse al vento sii una vampa bizzosa

disse al sole di bruciare ardendo

Ne avrei di urla da sussurrare

nell'etere e incendiare danzando

fino a incenerire la mia camicia a scacchi

e precipitare il mio giardino irrequieto

nelle pornografie ghiacciate

dei cieli dell'inferno

ai cui è impiccato un uomo

con un chitarra nello sterno

costretto a intirizzire litanie di foreste

e ruggiti di dissonanze ormai annegate

Nevica la neve fresca delle estati

sui fari azzurri delle macchine cieche

che cieche nella neve affondano

e Satana ammantato d'inverno

fa l'amore con i cani rabbiosi sul cornicione

Per te si compie l'eclisse

lo scialbo miracolo serotino della luce

attanagliata dalle serpi

il brivido degli alberi elettrici

con i volti rugosi e i capelli di foglie ritti

sulla testa sapiente e antica

Oltre l'erba violacea e i campi spenti

il camposanto di croci scintillanti

sogna i suoi sogni di vetro

in attesa della fine del nostro sentiero

fra le ragazze bellissime e terribili

inginocchiate sui rami più alti degli alberi

un bisbiglio più in alto dello sguardo

Le rane cantano e tossiscono

rincorrendo il sorriso sghembo del sole dell'abisso

proliferante d'ombre più dense del sangue

le rane cantano e tossiscono

e le cose non cambiano

Piovono palle di tennis nella palude

mentre il cielo aspira le gocce

del proprio manto lucente

E ruzzeremo con gli unicorni

eterni cuccioli

sulle bianche spiagge del sogno

e dormiremo sereni

con i polsi tagliati

Strane creature le creature

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Questa l'ho scritta ieri notte, completamente di getto, in mezz'ora.

Ballata della Terra e del Cielo

E' notte e sono qui

appostato fra i veli delle tigri plastiche

incendio parole incenerite

mi ricorda quando

credevo di morire

Luna Pallida risorgerà

sui colli verde brillante

e miriadi di cifre che

piangono accanto a me

il favo si contorce

stai attento alla canzone

fino al prossimo rintocco

le creature sono nebbia

nella città dell'esilio

fino al giorno in cui evocherai la scritta

con il sole accecato

di polvere e benzina

serpenti che fluiscono

schizzi d'idee e ricordi schizzati

nuotano nell'elettrismo verde

la felicità è un'onda di azzurro

benedetto benedetti i ragazzi

benedetto il kerosene benedetto Buddha

prisma di manto ansioso

la nostra prigione di parole

e triangolari catene lucenti

come i vulcani della morte

o gli occhiali

andrò nel tunnel

andrò nel buio del candore

l'amore fa impazzire le stelle

schiuma d'albero e d'alga

ampolla di pizzo di vita di porci

che meditano

galleggiando a stento

e bucano le tombe di torba

li vedi agitarsi gialli e verdi

cantano un urlo terribile

l'ecatombe dei filosofi

come rame sullo schermo

evacueremo il limone

se le sentenze si attorcigliano

caramelle per tenersi svegli

con occhi sprangati

che lordano chilometri d'immondizia

e me*** e cespugli in trapasso

con il cuore palpitante

dove lo specchio s'incurva

là gli universi

e gli angeli magnifici ed esausti

e banconote di ghiaccio

dritto in cima

aveva quattordici anni

e l'ha bruciato il vento

nell'incenso del catrame

ha intessuto gli ori di ragno

che insieme vedemmo scomporsi

in un cielo virtuale

la cibernesi mi giace accanto

e mi implora la sete

dolce e sensuale come una camicia

amplesso falbo di sostanza

rappresa di colla nell'armadio

che cammina sulle acque

della città dei morti

ho predicato ai teschi

e alla carta sbiadita

ti ricordo masticare

pace per tutti i derelitti

per il loro mito maldestro

il principe di smeraldo

si è connesso stanotte

e morirà come le rocce immani

nell'abbraccio del mare

hanno dovuto setacciare la fabbrica

lo stabilimento

il virus mentale e incandescente

ardente batterio rinoceronte

arranca sudando terra

dalle radici ricciute

il fosforo si azzanna i piedi

e sfiora il quiz suicida

trasmesso dalla notte

nella perla il mistero

una voragine stellata d'impotenza

scrittori morti e sciamani

e morti di fuoco attraversano

la selva ridente

e mi trarranno in salvo

dallo stillicidio coscienziale esteso

incosciente mi addentro

nei cumuli nudi dei loro cieli d'estasi

azzurri folli e affamati

dal vento del vecchio bavoso

e panzone con un cappuccio

senza cappotto sul naso

nel quartiere molle

le fontane resuscitano zombie

l'industria apparecchia

la nemesi scolpita del fallo

non ho fame e non ho sonno

la penna va e coincide

il retro del rombo a scacchi

è scivolosa la terza gamba

del cardine indiscreto

nell'iride appassita

di una vecchia stanza messicana

imbastita di velluto ovunque

fuggiamo digrignando i denti

il miracolo comune dell'alba

la forziamo fino a spezzarla

al cospetto della realtà suprema

dei topi della sera sull'acciottolato

più veri dell'arcobaleno

non ce la faccio sto ballando

su cubi quadrati di coriandolo d'alga

l'annunciazione delle checche

motociclisti rampanti

ammazzano getti virtuali

e gatti nella metropolitana

da un dito all'altro

andata e ritorno nel rosso

teorizzo la ruvidezza stanca dei riquadri

in alto sulla sedia sghemba

ho il mio cuore da darti

masticalo

e spranga le porte alla nebbia

non faremo ritorno

non ci saranno repliche

andò a spararsi fra le sirene

e forse un giorno la collina avrà

un cubo decappottabile

e la luce tremante

che mi cospargo sul sesso

inturgidito dal pianto

degli ormoni sanguescenti

e disperati nella terra dei lampi numerati

fuochi bui di lettere

autoriproducenti e freddi

siamo gli alieni sono

verde e cocente

ho una porta di tramonto negli occhi di brace

che mi liquefa i nervi

e mi irride il sonno

siamo gli alieni delle galassie distorte

che vendicano

le dissociazioni della luna ventosa

irreale con cent'occhi di serpe

accecanti

colpo su colpo su colpo senza mancare un colpo

siete autorizzati a incipriare

i miei occhi da mosca

stagnanti su cieli perpendicolari

ho paura delle sfere

delle libellule bronzite di chiodi

tattili il reliquiario della carne

inseguo la rugiada scintillante

nell'albume del mattino

e cavalco un camion

perchè sono stato un uomo

un tempo

prima che venissero

le navicelle di rettangoli di siluri di cobalto

argentati petali di tortura

e rinascita

totale l'assoluto

è una palude accesa

di spezie e mucche rachitiche

ed ebrei musulmani

lucidano maniglie

e sorridono acciaio

la tomba esplose e si capovolse

eruttò fluido colorato

e intensità stellare

nella colata elettrica

di una rissa d'immagini secche

di grattacieli carceri

ho visto le sbarre

e le guardie in alto uniforme

contrappunzione fantomatica

di matematica di nulla computerizzato

e ancora più vano nel lucore

affoghiamo nella prateria

dei cristalli lucenti

siatemi angeli nel deserto

davanti agli occhi strabici

dei bruchi iridescenti

e indescrivibili con la faccia

una maschera di morte

divorano il bosco spettrale

che una volta era sacro

e immenso di candele

preferisco strisciare nell'amianto

a un prato di stelle di carta

ci daranno un cinema tutto blu

e rosso e arancione

bordello di visioni casino impressionistico

intricato a fondo nel respiro

della linea gialla autostradale

sii la mente

e pedala il morso

dei cicli lunari

sii il sole viola

che come un cancro arde

meraviglioso

sii la lussuria del suo ventre ricamato

sii pioggia

strangoleremo la noia in magnetismi lucidi

luna imbrattata di fango

letto muto

cadremo nel rubino

delle lacrime del giorno

azzurreggia il sangue degli occhi

conferenza gutturale

di associazioni cieche

e ornamenti inesauditi

mi concupiscono nel grembo della piazza

distante sotto il mare

pioggia di luce e d'oro e di coriandoli

e gelidi inverni bianchissimi

e bluastri nei ghiacci cubitali dei poli

proboscidi di larve

fumano nell'aria

formicolio di bombe di casse di vetro

lascia andare i morti

appaga i monti

sorridano nevose

le rose verdi nell'alba di fiume

e intermittenti

rigurgito di scrigni arrotolati

sento un'onda di zucchero filato

e bollicine azzurre

sono il camaleonte

i tessuti convolvolano la trama

nella notte druidica

incantati fra le pietre bianche

e i cerchi

tu sei da qualche parte dove

crescono i tubi

concerto d'assenza d'aria

ammucchiate tumide di febbre

respirano di cranio pelluto

nel falbore degli schermi intrecciati

il cielo ruota

e mi nausea di zucchero

poi il canto si ruppe

crollarono le piramidi immense

nella foresta

secrezioni di singulti fissi

meduse di sguardo d'occhi che brillano

e ammiccano sacri

spirali enormi e pure

come lo spazio infinito

i tuoi occhi

e i tuoi capelli

masturbano lacrime ossesse

lamentazioni frastagliate

vibrazioni di giardino di sogno

verdi e rosse e blu

e verdi brillanti

squarci d'istante

accatastati nel cielo in fiamme

d'istante rubato e rappreso e cullato

amato e vomitato e mangiato

violentato nell'essenza

e scosso fino a renderlo sveglio

e vivo e incosciente

non c'è pudore nella morte

non c'è asilo

e la terra elettrifica le sue frequenze di nubi

e il cielo annuisce sconsolato

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Da bambino mi sdraiavo sul prato

Dio se era verde quel prato

e guardavo il cielo

e volevo le stelle

volevo essere le stelle

bruciare e bruciare in un secondo

e c'eravate voi

c'eravate voi

giuravamo tutti

di diventare le stelle

ho bruciato sterpi

e ho affumicato nebbie

ho nuotato nell’incenso

e ho vomitato ho vomitato

quanto ho vomitato

la mia nausea

il mio malore di vita

e c'eravate voi

e c'eravate ancora voi

anche se qualche volta

tossivo troppo forte

e non riuscivo a brillare

mi accendevo

forse

un pochino

ma ancora non brillavo

e bruciavo intanto

bruciavo

ma era un dolce bruciare

pieno d’amici

e non me ne importava

ho bevuto fuoco

e luce rappresa e lava ardente

per scaldarmi

per scaldarmi e cantare

e il fuoco mi scaldava

e stavo bene con voi

e cantavo

e cantavamo insieme

ma non riuscivo a brillare

cantavo

ma non brillavo affatto

e la mia anima

continuava a bruciare

bruciava con voi

c’eravate ancora

ma a volte

mi dicevate di smetterla

di pensare alle stelle

e io non dicevo nulla

perché vi amavo

e avevo paura di perdervi

e pensavo ancora alle stelle

e a brillare

e intanto bruciavo

una notte di noia rubai la luna al cielo

era pallida come le vele dello spazio

e splendente

e mi fece brillare davvero brillare

brillai davvero per la prima volta

le strade le piazze la città

erano illuminate

era giorno di notte

e c’era così tanta luce

facevo così tanta luce

che la notte aveva paura di me

perché era estinta

e io volevo che continuassero per sempre

quei brividi magici

tremavo di chiaro di luna

per la prima volta

d'amore di stelle

e volevo che durasse per sempre

ma erano i miei occhi

l'unica cosa che brillava

davvero

e tutto il mio amore

era elettricità statica

e abbracci negati

e baci perduti

e falsi sorrisi

e amore nel vento

e c'eravate voi ancora

c'era ancora

qualcuno di voi

non tutti

i migliori non c’erano mai più

forse perché brillavo troppo forte

forse perché ero cieco

perché ero cieco

per il troppo brillare

e poi il chiaro di luna

diventò carta vetrata

sulle pareti aride del mio esofago

e pianti distratti

su libri inutili

e spettri

spettri ovunque guardassi

una miriade

e la gente rideva per le strade

e abbassava lo sguardo

al mio passaggio sbilenco

e voi non c'eravate più

c’erano tanti spettri

decine e decine di ombre di fumo

che mi seguivano in silenzio

e sorridevano proprio come me

e la gente rideva

come rideva la gente

e io non lo sapevo

non sapevo perchè ridevano

e ridevo con loro

e loro ridevano di me

ma brillavo brillavo

pulsavo come il chiaro di luna sul prato

come una stella

e forse così avrebbe potuto ancora andare

ma non era abbastanza

una stella non è abbastanza

per quelli come me

la luna non è abbastanza

per quelli come me

e quelli furono i giorni

in cui iniziai a bruciare

così forte che sentivo

lo scoppiettio del fuoco

e poi fui solo e una notte

lacerai il cielo

con artigli di rabbia

fino a farlo sanguinare

e ne bevvi il sangue

dalle ferite assetate

era candido e alieno

e mi accesi e mi addormentai

sognai la morte

e la vita e gli angeli

e l’oblio

e conobbi la morte e l’oblio

e mi risvegliai tremando

ma non mi parve abbastanza

brillavo

brillavo più del sole

sfiguravo le stelle

ma non era abbastanza

e il mio cielo era sempre più vuoto

ed era mio dovere illuminarlo

anche se sentivo l’odore

della mia anima che bruciava

e poi salii sul monte

e presi tutte le stelle

tutte le dannatissime stelle del cielo

una a una

brano a brano

sussulto a sussulto

e non m'importava se gridavano

presi tutti i soli e i pianeti e tutte le stelle

tutti gli arcobaleni e i tramonti

e mille volte l’alba e altre mille ancora

e tutte le lucciole dell’universo

una retata di stelle cadenti

e li staccai tutti dalla bocca del cielo

le lucenti carie di Dio

li sventrai digrignando i denti

muto alle loro grida selvagge

e disperate

li sventrai tutti

e presi il loro cuore annerito

ancora pulsante

di polvere stanca

tutti i loro timidi cuori palpitanti

e buttai via il resto

gettai i loro corpi spenti

le loro agonie scheletriche e vuote

giù dalla montagna

tenni solo i loro cuori accesi e urlanti e disperati

li presi tutti fra le mani

le mie mani che tremavano

e ne feci una grossa sfera ardente

e divenni cieco a guardarla ma non mi importava

e divenni sordo a guardarla e divenni pietra alla sua presenza

ma non mi importava

perché avevo la luce

pura

poi presi il cielo

l’unica cosa che fosse rimasta

lacerai il suo manto nero

e lo stracciai e lo morsi

e lo torturai finchè lo uccisi

cadde infine come uno straccio sussultando

stridori mai più uditi

mentre la terra inaridiva in un lampo

e lo misi attorno alla sfera

l’universo nelle mie mani

tintinnante ed esausto

e divenni pazzo soltanto a toccarlo

ma non mi importava

perché avevo tutta la luce e tutto il buio

la purezza del giorno

e il terrore della notte

avevo tutta la magia dell’universo

in una sfera

e rimasi a guardarla

e a guardarla e a guardarla

fino a quando persi il senno

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Ecco la prosodia del nuovo millennio! :lol:

Canzone delle Stagioni

Ci sono notti che non potrai mai dimenticare la luna le stelle gli amici e canzoni la tristezza assordante della felicità inconsapevole ed eterna l’attimo rapito e baciato e baciato e baciato dal tempo che per una volta prende la vita per mano e ammicca sorridendo come se non ci fosse domani come se non ci fosse un domani perché forse un domani non c’è mai non c’è mai domani

Ci sono addii squallidi e futili stupidi nel loro cuore terso di desolazione perché le cose non finiscono mai come vuoi tu le cose fanno sempre a modo loro Dio fa sempre come ca*** gli pare e se può te lo mette in cu*o un giorno le cose finiscono e tu rimani là seduto da solo con le lacrime agli occhi a chiederti se quella gemma splendente ora offuscata dal capriccio di qualche dio esangue è mai esistita se forse non hai sognato tutto e allora piangi e maledici le nubi e Dio e il cielo e la vita

E’ un pomeriggio di primavera ma c’è un’aria da fine dell’estate e fissi la montagna davanti a te è verde verdissima e sfrontata sono sfrontati e giovani e ardenti di linfa e di donne e di vita i pini e i larici e le querce antiche e rare tutti quegli alberi verdi e vivi e luminosi così maledettamente luminosi le loro foglie lucenti sfavillano ancora estatiche incuranti dell’autunno e della notte incipiente e del vuoto che gli angeli vomitano dalle stelle ogni volta che in cielo non sorge la luna i loro intricai spiriti arborei di nebbia mattutina i loro celati antichi volti d’edera ruggente il rombo delle loro nodose radici immense affogate nella terra

Hanno ancora gli occhi estatici gli alberi della montagna sono estatici e ridenti nella loro disfatta imminente perché presto arriverà l’autunno i suoi fremiti di fuoco la purificazione la cenere del cielo sfarfallerà mutilata sopra i colli e grigi e penitenti farà incupire le ombre presto tutti gli alberi tutte le loro foglie tutto giallo livido di morte incancrenita che si rifiuta al trapasso per ossessione pura e fienagioni e roghi fantocci che bruciano sotto le stelle ancestrali con il grano giallo e bruciato negli occhi il grano sarà la loro tomba di corvi poi rosse si faranno rosse le foglie strangoleranno il sangue e ne berranno il sangue ruberanno il colore alle rose ruberanno il colore al maggio e ai poeti morti giovani cadranno tutte nel grembo d’acqua della terra feconderanno il suo ventre umido e sempre gravido baceranno i suoi seni di monti e colline brulle e deserte baceranno i suoi boschi morenti e splendenti e dorati contadini isterici e mucche filosofe che vanno sorridendo al macello

E poi l’inverno ricoprirà il mondo con il ghiaccio della sue primavere fiammeggianti e sacre e aride di neve fino alle luci spiritate dell’orizzonte e oltre ancora nell’imminente notte eterna candida monotonia giornate corte e fredde e cappotti e bimbi che giocano al parco e genitori che lavorano e sanguinano e guadagnano buoni di suicidio e l’anno nuovo che divora la proprio pelle antica l’involucro di cocci dei giorni andati per non fare mai più ritorno sulla scia delle lacrime traslucide del serpente che piange alla fonte dei nostri rimpianti l’intero fiume della vita intirizzito e lento e fradicio di gabbiani affamati a volo rasente sul porto delle speranze dalle navi fumanti e tristi ma non ancora disperate sul mare gelato dell’esistenza pieno di buchi pieno di pece

Spunterà la primavera il suo seme piangente di natura in ebollizione gelo increspato di titubante rinascita rondini aliene sorvolano il sabba bianco degli alberi da forca di nuovo ad affumicare lo strato cosmico di gelo del nostro cuore la primavera il maggio fluente rose rosse sulla seta liscia del prato coscia di donna bianca trecce maliziose e subito occultate con pornografica innocenza e terreno fumante e gemme gelate dal freddo morte e risorte e morte ancora l’inverno fatica ad andarsene non vuole andare via ritirarsi sugli erti monti sui picchi scoscesi nebbiosi e dissonanti fra i ciechi camosci e i mattinieri cacciatori dai capelli bianchi e le marmotte sul suo trono gelido di rupi e rami secchi

I viaggiatori infine stremati dalla febbre dalla scomodità dell’estasi dall’oblio con i sensi secchi e amari frustrati dal sonno mancato e deragliati completamente le bocche ruminanti gli occhi che brillano e incendiano gli occhi che brillano lo andranno a rincorrere nel vento e nel buio e fra i triangolari lampi roteanti delle legioni del tempo lo scacceranno per sempre per un ciclo d’eternità assente il vecchio inverno nero e incappucciato i suoi vecchi occhi bianchi cinici e divini il suo sorriso storto da barbone con un cappello di renna calcato sulle orecchie si ritirerà sui suoi freddi monti e impenetrabili e sarà infine primavera piena e donne e rimpianti cristallizzati ed erba fresca e primo sole timido luce tiepida magliette e brividi e pioggia e scuola canzone ciclica e amore finto e ostentato e divieto di luce a frammenti e benpensanti alcolizzati e noia e paranoia e paranoia e concerti stralunati e funghi in cantina e ubriachi nella vecchia città a frotte e raffreddore e strade di risse e gioia negata da un decreto e partite di calcio e bambini felici che sembrano felici ero così felice bambini e chitarre e sole che cresce chitarre e calcio e acqua gelida

Verrà l’estate il folle sole febbricitante estatico celebrato in trionfo sulle spalle dei suoi miliardi di eserciti di termiti e lucertole e aghi di pino follia pigra della fine della scuola amori negati e suicidi un altro anno più vermi e feste nel parco polizia indulgente sbirri stanchi con le ascelle sudate perquisizioni e pagliacci ubriachi in piscina capelli bagnati e asciutti in un secondo scherzi di cattivo gusto ragazze amicizie ardenti conclusione dell’anno corona dell’attimo crestato d’eterno per un attimo incoronato tempo che passa sorridendo che non passa e si capovolge ed è finita in un secondo canzoni struggenti monotonia meravigliosa veglie felici felci nel bosco dorato e incompiuto splendore degli alberi e dei parchi del cielo di zucchero filato dolce come il nettare e blu eterno e più dolce ancora fra le braccia profumate del sogno i suoi petali di luce dischiusa come labbra dolci di miele docili e baci e capelli rossi come la terra spaccata dal sole piagata e felice mare immondezzaio azzurro azzurro azzurro come tante volte prima salsedine che increspa i capelli abbronzatura ritorno del viaggio eterno nei tunnel di felce della luce a spizzichi verrà l’estate con le ragazze bionde e bellissime i sorrisi e l’estasi il delirio la febbre l’estasi il sole l’amore e il grano giallo come il sole l’amore vero per un attimo e passa un attimo ed è finita è finita in un secondo è finita

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I falchi nel cielo

scrivono poesie elettriche nel grano

nell'estate cruciale e scivolosa

la morte instancabile

leviga la carne

la profuma di terra e tombe e giacinti

ed infine è tramontato il sole

sugli inferni delle mie solitudini

addio occhi ciechi

addio muri e addio canzoni

non risuonerà mai più

in questa casa

la densità della musica

musica non sarai

mai più così forte

e sotto il soliloquio immenso dei monti

azzurri e bagnati di neve

come cenere sulla punta del capo

dove pipistrelli nervosi

volano in cerchio

le mie parole sottili

sfonderanno i secoli

più forti dei cardini del tempo

faranno polvere del vento e dell'aurora

la tristezza dei corvi

in cieco volo peregrino

sulla pianura addormentata

arida e lucente

nella rugiada tiepida

del primo fiore di primavera

ora i figli della prateria

bevono al ciglio delle strade

si bucano nei parchi

sono servi dei cavalieri sorridenti

e piangono

perchè ho trasformato la loro terra

in un'illusione cubicolare

addio all'infanzia

ai verdi campi dalle gote azzurre

alle fontane e ai rintocchi

del campanile della chiesa

alla voce burbera dei vecchi

così dolce

così piena d'amore

addio ai campi sterminati

alle rotaie abbandonate e ai prati

addio ai monti vicini

chiazze di verde reticolo d'orizzonte

non c'è incubo adesso

nè tenebra strisciante

solo il poema lieve della luce

morbida e recisa

e la sera con le sue dita rosate

che mi accarezzano il viso

attraverso la finestra

le case gialle e bianche e azzurre

e i loro balconi con i gerani in fiore

le donne e i bucati stesi nel vento tiepido

la serenità è il sole che bacia la terra

e la vita si accende di miracolo nonostante tutto

nonostante tutto siamo ancora qui

ed è l'estasi quieta del ricordo

assordante di dolci rimpianti

nitida e sfocata

netta sullo sfondo del cielo

che spera

ci trasciniamo a fatica

verso i giorni intonsi

e bruciamo il tempo

distratti

appassiamo come fiori di mandorlo

cadiamo nel fango

lentamente

uno a uno

come ghirlande

e siamo terra e acqua e linfa

di nuovi fiori

più perfetti

il vecchio muro finalmente ha parlato

ci chiama tutti a sè

dice tornerò

la venuta è vicina

il mio flagello è il tempo

il nostro dio svanito

che la notte ticchetta e trema

e disegna trame indecifrabili

sulle mura del destino

con un cero rosso sangue

è il tempo che erige

migliaia di roghi d'infanti

e vergini e fanciulle in fiore

sotto gli occhi di burro della luna

nevica le rughe dell'età il tempo

ride tutte le nostre lacrime

strazia i nostri addii

è tutte le notti in cui non riusciamo a dormire

sorride e sprezza

gli slanci eroici dei nostri anni migliori

li insudicia del tarlo della caducità

ci odia tutti

perchè gli ricordiamo la sua giovinezza

ci asciuga l'essenza

e i ricordi e la vita

con la sua luce di pietra

è la calma di febbre prima della nausea

ci illude e ammicca alla morte

in uno specchio opaco di sangue raggrumato

il tempo è la metà impossibile

delle onde che si rincorrono

è un aureola d'amianto

che incorona i sogni

schiantati nel mare

dalle nostre teste calve e vermate

la pupilla bianca dell'universo

che scandisce

ora lieve ora forte ora struggente

il respiro del vento

delle stelle che si spengono

è la tomba ignota dell'attimo

il desiderio putrefatto

l'angelo precipitato

e il secchio di lago

in cui affondiamo

con la pelle che formicola

è il volto sornione dei cipressi

e dei faggi spogli nell'autunno

del cielo spiritato

il tempo ha lingua di fiume

è la vecchia carta andata al macero

non fa sconti

larva di profeta e d'accattone

fine del corpo e dello spirito

precipiterà le stelle nel mare

non ha volontà

è schiacciato dal suo compito di macina

la sua volontà è la forza della sua ruota

il potere del suo compito

è belle labbra e caldi baci svaniti

fiori morti

i mattini uggiosi quando voglio morire

ma preferisco obbedire

continuare a sperare

continuare a sognare

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Cosa sono diventato?

Pascolando brughiere

nelle notti piovose

e luce verde a fiocchi

lampioni come neve

anestetizzami l'anima

guarda il volto di cielo oscuro

la notte i suoi occhi lucenti

che piangono per tutti noi

per l'obliata struggente

sfavillante sfera

dei nostri rimpianti

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Non ho più nulla ormai

ho visto troppe città bruciare

fantastiche e sfavillanti

ed eterne nel loro pianto stellato

più nulla da dire

il fuoco è spento e il cielo muto

la fiamma è falsa

sa d'incenso e sangue

la fiamma è fresca e marcia e non ha volto

le trasparenze si sono fatte

lievi e ripetive

i rimpianti hanno finito di cantare

la mia carne è diventata asfissia

è annegamento

il mio povero spirito martoriato

dalle vampe elettriche del freddo

è annegamento

al tramonto delle nubi

ci sediamo in cerchio

e vomitiamo anestesie di sorrisi

in grembo alla morte

con le sue mani lucenti fra i capelli

la morte è pallida

come la genesi dei gigli

ha i capelli biondi di miele ghiacciato

ci nutre tutti con il sangue dei suoi occhi

il figlio del ragno

è trasmutato rospo

e spiriti storpi

di vetro di vento danzano

sui rami del fiume

del suo sguardo spento

il tramonto

è il fantoccio esangue dell'alba

che brucia se stessa

non c'è nessuna stella

degna della morte

nessun fucile nessuna bandiera

nessun amore

che possa usurpare

il suo scanno eterno

di margherite marce

troppo a lungo ho represso

il mio calvario di baci sospesi

mi tremano le mani

per tutti gli abbracci

tutte le carezze sadiche

che non ho mai sanguinato

per paura di sporcare il pavimento

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Ed è estate ancora

lussuria d'infioriscenze febbricitanti

proliferazioni malevole e verdastre

fango e sangue

ciechi campi di grano

la musica diventa intercessione

l'innocenza divora se stessa

un'altra volta

catatonia catatonia

l'uccello pallido della luna

si è immolato nel tramonto

la paluda annega nei ricordi

non essere triste

non chinarti alla luce

non sprecare la tua vita

come ho fatto io

non sprecare nemmeno un istante

brucia in un secondo

anche se è impossibile

perchè è solo provandoci

che sarai in pace

te lo dice uno che non c'ha mai provato

che non è mai stato in pace

sono un'ombra vuota

che la notte riempie di fiumi

che di giorno impallidisce

mi puoi vedere sui prati fioriti

ramingo e solitario

con la brace negli occhi

ovunque vado fiammeggiano le nubi

la loro lingua di lampi

non sono mai riuscito

a guardarle in faccia

andrò all'inferno

perchè sulla terra

non ho il coraggio

di meritarmi il cielo

l'inferno è una torre d'avorio

solinga e silenziosa

la nemesi delle stelle e dello spazio

è una visione silente e ovattata

lo stillicidio inutile dei raggi del tempo

dal primo fuoco fatuo dell'alba

all'ultimo grigiore della notte

all'inferno i pomeriggi sono marci e addormentati

è cecità accecante l'inferno

allucinazione assoluta

embrione di foglie e gemme sterili

file di sacchetti plastica impiccati come cigni

all'inferno non si riesce a dormire

perchè c'è troppo silenzio

le tele dei ragni

crollano su se stesse miseramente

come i sogni dei bambini

come i semi della quercia

è pieno di polvere

e non c'è lussuria

nei corpi nudi dei martiri torturati dalle scimmie

non c'è nessuna lussuria

nelle ragazze gettate esauste nei campi

come fiori fradici e appassiti

per la troppa ottusità del dolore

agonia d'ovatta

c'è solo violenza uniforme

e noia più terribile di tutto il dolore

all'inferno c'è lo stesso odore di disinfettante

che soffoca i manicomi

l'inferno è un manicomio infinto

è il tempo dell'attesa eterna

un tempio alla speranza vana

la mediocrità

la menzogna che mio padre ha tramandato a me

che suo padre ha tramandato a lui

che il padre del padre di mio padre ha tramandato al padre di mio padre

mio padre mio padre!

tutte le loro teste immaginate nel fumo

impalate allo steccato

l'inferno è masturbazione meccanica

coito insonne

amore frustrato e frustrato e frustrato

amore spalancato nello stupro

è la gabbia degli inncocenti e dei cani

dei papi e degli stupidi e dei ladri

una distesa gigantesca di specchi vuoti

all'inferno è la terra a piovere

piovono ombrelli colorati sul mio capo languido

il vento ha le labbra umide e piagate e i denti marci

non trova mai riposo

attraverso l'iride di uno stelo d'erba

le legioni degli spiriti brulicano di mostri

e storpi e gocce di pioggia

ghiacci in putrefazione

i fantasmi della tundra si bendano le braccia marce

sono gli spiriti di mezzo

costretti a vagare

nella neve e nel vento del crepuscolo

nelle viscere del fato fra gli uomini di paglia

sotto la cupola scheletrica dei rami uccisi dal freddo

alla ricerca di uno scintillante frammento della loro anima

dormono nei boschi nei tronchi cavi degli alberi

si stringono l'un l'altro per tenersi al caldo

si soffiano baci sul viso perduto

sorridono il nulla

si addormentano sognando

occhi che brillano come lampi

sognano di camminare chini nella neve affilata dal vento

la brace degli alberi che balugina sul capo

di danzare e vorticare come cenere

disperati e insonni

silenziosi nell'inverno eterno della loro oscurità

sognano di urlare

contro le rupi immobili

spazzate dal vento

di urlare contro le rupi silenziose

di implorare urlando una risposta

fino a perdere la voce

e cadere infine carponi nella neve

come foglie d'acero

senza fare nessun rumore

non mi è rimasto il tempo di parlare del cielo

di quel castello fantastico più alto del sole

di quella matassa di sogni leggeri

il cielo è un giardino azzurro

pieno di fontane e perdono e pietà

è la carezza della risaca alle onde il suo sussurro

quando le implora di provarci ancora

è la danza impronunciabile di tutte le cose

l'estasi eterna degli angeli che si danno la mano

il cielo è il sospiro della morte

quando miete il grano con la falce

è la sua falce di stelle sorridenti

è il delirio immoto e roteante di migliaia d'immagini

è il mio corpo eterno per un attimo

è il mio corpo infinito

in cielo gli spiriti dei disperati

pascolano sbuffi di luce sulle nubi immacolate

scolpite dall'amore prima dell'inizio del mondo

il cielo è la danza la danza la danza

l'esodo degli dei dalla foresta al deserto

il mattino azzurro e dolce come la neve

ci siamo rinchiusi in un'interminabile sequenza di gabbie virtuali

abbiamo accecato di luci false il cielo

e nessuno ha più la forza di guardare le stelle

mentiamo l'un l'altro la nostra apoteosi

mentiamo la nostra vita mentiamo il tempo

il nostro corpo mentiamo il nostro corpo il mio corpo

mentiamo la nostra sofferenza

e mentiamo la morte

mentiamo il nostro eterno dolore

rimango a guardare con gli occhi spalancati

il bosco di mio padre che brucia le sue ossa fumanti

tutte le cose che non ho fatto

tutte le cose che avrei dovuto fare

sono nulla

il tempo le ha inghiottite

e più passa il tempo più mi accorgo di quanto il tempo passa

e più passa il tempo più la morte si avvicina

più si avvicina la fine di questo sogno pazzesco

scintillante e oscuro

e un giorno verrà ad abbracciarmi la morte

nel sonno o nella furia o nello stordimento

gli steli d'erba baceranno la casa dei miei occhi vitrei

le mie labbra concimeranno la terra con il loro sangue

e nessuno toccherà mai più le mie mani fredde

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Espiazione

Ed è espiazione infine

l'espiazione

nulla di assoluto

ma è arrivata

e stiamo tutti in piedi ora qui

qui ed ora e qualche istante fa

a brindare a nuovi rimpianti con i bicchieri vuoti

un po' tristi e un po' felici un po' bambini

e un po' cresciuti

a brindare con i bicchieri vuoti

a nuove solitudini a nuovi fuochi

e a nuove malinconie

una folata di luce improvvisa e silenziosa

portata dal vento nella monotonia triste del crepuscolo

un lumicino una speranza vana

è terribile ma ci sarà un domani

forse ci sarà un domani

mi sveglierò anche domattina

senza nessuna ragione

tranne trovare una ragione

l'ho cercata nella neve e nel vento

nelle giungle impervie del futuro

fra i pesci e sugli alberi

in mare e in cielo

ovunque l'orizzonte continuasse a pulsare

ovunque lo sguardo riuscisse a sanguinare

ovunque il mio corpo potesse essere martire

ho trovato tutte quelle mattine

una ragione per soffrire

per svegliarmi e continuare a provare a non morire

ma forse non era la ragione giusta

forse il dolore non porta visioni

forse le visioni sono cieli marci e prati e grigi

manicomi infernali in cui bisogna vagare

mi sono svegliato troppe volte

con la paura di esserci ancora

è il momento di trovare una ragione

una vera ragione forte come le foglie

e il tramonto e l'estate

forse sto imparando a cercarla

forse sto tentando per la prima volta di trovare me stesso

l'ennesima illusione meravigliosa

questa sera con un bicchiere in mano

se dovessi vedere

una scheggia di luce

svegliarmi felice

ricordami com'era buio il buio

com'era triste svegliarsi

dimmi com'era buio il buio

e piangerò come piangevo allora

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