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La Nostra Storia - Fantasy


Joram Rosebringer

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Olbeon si rese conto di aver bevuto troppo quando non riuscì a mettere a fuoco il bastone che gli si parava davanti.

L'uomo con il cane si stava allontanando, senza degnarlo di uno sguardo, come se non ci fosse.

Lo guardò andarsene verso la porta, mentre decideva cosa fare.

Sentiva a malapena la voce dell'oste che gli diceva di andarsene, che gli stava facendo scappare tutti i clienti e che era stanco di un maledetto nano puzzone nella sua locanda.

Alle parole "nano puzzone" Olbeon si ridestò e lo guardò.

"...si hai capito bene: vattene, nano, prima che ti spezzi le gambe!"

I corpulento oste continuava ad agitare il manganello davanti a se, gesticolando mentre parlava; Olbeon si era quasi convinto ad andarsene senza strafare, ma poi con la coda dell'occhio rivide quell'uomo, che aveva raggiunto la porta ormai.

E fu come guardare un tunnel: vedeva solamente lui.

Lo fissò, e mentre il coro che incitava alla rissa degli avventori più casinisti della locanda lo spronava all'azione, lui si accorse che quell'uomo l'aveva umiliato davanti a tutti, trattandolo come un pezzente qualsiasi.

Scattò in avanti, o almeno cosi credette di fare, dando una spallata alla gamba dell'oste che volò contro un tavolo e iniziò a correre verso la porta.

La corsa durò poco e si accorse di sbattere la faccia contro il pavimento con la faccia solamente quando sentì la nausea risaligli la gola, e lo stomaco ribaltarsi tra i fiumi dell'alcol.

La schiena gli pulsava di dolore, leggermente, dopo la manganellata ricevuta, e la pedata sul costato diede la scossa finale al suo precario equilibrio interno.

Ruttò rumorosamente, poi venne sollevato per le gambe, due mani per caviglia, e portato verso l'entrata.

Sentiva la gente ridere e urlare compiaciuta, e l'oste urlargli contro da dietro, mentre i due energumeni lo portavano fuori a mezz'aria.

Arrivò alla porta ancora sotto sopra, e dopo tre dondolii accompagnati dall'"ola" della locanda volò in strada.

Ma volò esattamente dove voleva lui: addosso all'uomo che cercava!

Nell'urto contro quella figura impegnata a sistemare zaino e accarezzare il cane sentì le budella ribellarsi definitivamente allo strapazzamento ricevuto, e si ritrovò a chiedersi se stesse vomitandosi addosso, addosso all'uomo, o addosso a entrambi.

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Non aveva smesso di piovere, quando Rudin mise piede fuori della taverna. Era soddisfatto di essersela svignata da quella fastidiosa situazione che prometteva solo guai. Aveva appena fatto due passi evitando le pozzanghere quando i suoi sensi allenati a non rilassarsi mai percepirono che il tafferuglio nella locanda aveva giunto il suo culmine. Si girò giusto in tempo per vedere il nano che volava verso di lui. Riuscì appena a proteggersi ed ammortizzare il colpo che altrimenti l'avrebbe travolto.

Cadde a terra sotto il nano mentre Schultz si scostava per non essere schiacciato dai due corpi.

Rialzandosi dalla scomoda posizione un fetore assalì le sue narici, il fetore di birra rigurgitata di certo proveniente dal nano. Quella bestia aveva rimeso tutto quello che aveva in corpo sul ciotolato e un po' era finito anche sui suoi calzoni. L'odore era così ripugnante che anche Schultz si tenne alla larga, guaendo.

«Che schifo...»

Rudin si diede un'occhiata intorno. I pochi cittadini di Aalborg in giro con quella pioggia non si curavano di un paio di rissosi butatti fuori da una taverna, tra l'altro ebbe la sensazione che l'Orso Rampante non fosse nota per la sua clientela di classe.

Il nano era per terra, privo di sensi: addormentato, svenuto, sperabilmente morto (ma si accertò subito che così non fosse). Voleva lasciarlo lì in strada a farsi venire una polmonite, ma gli aveva creato troppi guai, poteva essere di ostacolo per le diligenze e poi qualcuno così scemo e così senza controllo era un pericolo per se stesso ma anche per altri.

Adocchiò un vicolo che spariva nel retro della locanda. Trascinò lì il nano, cercando di non farsi vedere in faccia. Una volta al riparo di occhi indiscreti frugò nella sua "borsa dei trucchi" come la chiamava Malcolm. "Taccuino, lente per ingrandire, clessidra, rasoio...ah!" finalmente le sue dita sentirono il freddo del metallo, ed estrassero dalla borsa una corta catena recante alle estremità dei bracciali di ferro scuro.

Però... quelle manette erano un vero gioiellino, per scassinarle ci voleva un buon grimandello ed una ancora migliore mano, non bastava uno scannagatti con un coltello.

Non ne valeva la pena sprecarle così. Rimise la mano nella borsa ed estrasse un pezzo di corda di canapa, robusta, ruvida, perfetta.

«T-testa di legno.» disse mentre armeggiava sul nano «Idiota. B-buffone.» Se la sbrigò velocemente; pur sapendo che da una sbronza così il tempo di recupero era piuttosto lungo, aveva imparato a non sottovalutare mai la tempra dei nani.

«Adesso, brutto sp-spaccone» disse più a se stesso che al nano, ancora privo di sensi «V-vediamo se riesci a f-fare ancora casino.»

Il povero nano, con gli occhi chiusi e la bocca aperta gocciolante una bava nauseabonda, non si muoveva. Se anche fosse stato cosciente, avrebbe avuto serie difficoltà: i polsi erano legati assieme, sotto la gamba destra, in modo che la corda sfregasse sull'inguine al minimo movimento e che fosse pressochè impossibile muoversi decentemente.

«O se, gra-gradevole co-come sei, trovi qualcuno d-disposto ad aiutarti.»

Sarebbe riuscito a liberarsi (i nodi non erano troppo stretti) o almeno a urlare finchè qualcuno, impietosito o scocciato, avesse messo mano ad un coltello per liberarlo dalla scomoda situazione.

Magari prima qualche ragazzaccio avrebbe giocato al tiro a segno col suo naso rosso da ubriaco, o un gatto gli avrebbe pisciato addosso. Rudin ci sperava un po'.

"Non è un criminale, solo un cretino ubriaco. Ma questa è la pista più importante della mia vita, è Malcolm, dannazione. Se l'è cercata, non doveva finirmi tra i piedi in quelle condizioni." Era nervosissimoo e determinato. Se era abituato a trattare atteggiamenti malvagi e criminali, non riusciva assolutamente a tollerarne uno stupido.

Continuava a passarsi le mani tra i capelli fradici. Il nervosismo stava salendo sempre di più. Prese un legnetto di liquirizia da una tasca e iniziò a masticarlo: era un antistress abbastanza efficace.

«V-vieni, Schultz, ho p-perso fin t-troppo t-tempo con questo qu-qui.»

Uscì dal vicolo con passo studiatamente tranquillo.

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Il corridoio del quarto piano era buio e silenzioso. Un soldato della Guardia Cittadina, all’ingresso, li aveva avvertiti che il piano era stato evacuato per i controlli del caso – controlli che toccava ai due giovani fare.

Veck si concentrò, pronunciò a bassa voce alcune parole magiche, e una fiammella apparve sul palmo della sua mano destra. Tenendola alta, come se fosse una torcia, si avviò verso la porta dell’abitazione che dovevano controllare. Lariel, dal canto suo, era entrata nello stato di concentrazione in cui poteva effettuare le sue divinazioni, ma nonostante tenesse gli occhi chiusi, riusciva a seguire i passi dell’altro mago.

Veck si fermò davanti alla terza porta del corridoio. “Aspetta” disse Lariel, sempre con gli occhi chiusi. “C’é un’aura magica di qualche tipo lì dentro. Non è molto potente, ma non so cosa sia, per cui cerchiamo di essere cauti.”

“Ci penso io, piccola.” Disse Veck sorridendo, e ignorando l'espressione infuriata dell'elfa. Stringendo il polso con la mano sinistra, rivolse il palmo e la fiamma verso la porta, e scandì le parole “ild vratit!” La fiamma colpì con violenza la porta, facendola saltare verso l’interno in una èpioggia di schegge.

Probabilmente l’elfa aveva detto qualcosa, ma Veck non la stava ascoltando. C’era qualcuno nella stanza, una sagoma scura che si stagliava contro la finestra divelta. Veck non ebbe neanche il tempo di capire chi fosse, che sentì un click metallico.

Un dardo sibilò dalla balestra del misterioso personaggio.

E a una spanna da lui, si fermò, come se avesse rimbalzato contro qualcosa.

Lariel aveva imparato a fidarsi delle sue preoccupazioni. Quando l’umano si era rivolto verso la porta, lei aveva creato una semplice barriera magica attorno a entrambi. Non era molto spessa, ma si era dimostrata sufficiente a fermare il quadrello. Ora, però, le sue energie magiche si stavano esaurendo; a causa dello sforzo di mantenere la barriera, la fronte le si era imperlata di sudore. “Fai qualcosa” sussurrò a Veck.

Il mago annuì, e si rivolse di nuovo al misterioso assalitore. Non era il caso di usare di nuovo il fuoco, per cui si concentrò invece sulla magia dell’aria. Con un’altra parola arcana – “Lynglimt!” – una scarica elettrica saettò dalle sue dita e colpì l’avversario. Non era un incantesimo potente, ma era molto per il ragazzo.

L’uomo con la balestra – se era un uomo, dal momento che aveva il volto coperto – rimase per un attimo stordito. Poi, con due falcate, si portò alla finestra e si lanciò nel vuoto.

“Nooo!” Gridarono insieme i due maghi, scattando verso di lui. Arrivati alla finestra, guardarono giù, ma non c’era traccia di nessuno, in strada. La pioggia continuava a cadere sulla piazza di Aalborg.

Veck crollò a sedere, ansimante. “Lari, inizi tu il lavoro, mentre io riprendo fiato?”

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erano scoccate le 9, e come ogni sera Mandingo si svegliò puntuale, la sua bara stava ancora posizionata dove prima c'era il letto, mentre lui si era alzato e aveva sentito qualcuno urlare di sotto. "i soliti idioti, convinti che il bere e il ruttare li possa rendere felici" e detto ciò uscì dalla propria camera, ma ad un certo punto guardò nuovamente dentro come se un ricordo gli avesse folgorato il cervello... in effetti non poteva lasciare il corpo inanime della buttana della sera prima scaraventato per terra, così si decise a tirarla su e ad adagiarla sul letto che ora era posizionato sotto la finestra... "ecco" disse in tono di approvazione, e subito sentì da sotto un tonfo e molta confusione, e capì che un'altra rissa stava per cominciare, così si affrettò ad uscire dalla stanza per recarsi al piano terra dove vide una scena che non si aspettava: infatti l'oste, aiutato dai suoi compari, stava minacciando con la mazza un nano ubriacone, mentre veniva sbattuto fuori. Appena la porta fu chiusa il vampiro entrò nella stanza e subito tutti tacquero per osservare la strana e misteriosa creatura che la sera prima li aveva tanto inquietati. L'oste si avvicinò a me, chiedendo se desideravo qualcosa da bere. Mandingo rispose seccamente "una bistecca... Al sangue.", poi portò una mano alla tasca per cercare qualcosa, e tirò fuori una pergamena, la aprì e la bruciò sulla candela che aveva davanti. Quando l’oste ritornò con il cibo Mandingo gli bloccò il braccio e gli chiese se avesse visto un certo tipo: “balbetta in modo inconfondibile, è sempre accompagnato da un cane abbastanza grosso, ed è dai lineamenti secchi.” L’oste lo guardò con aria stupito, come se avesse improvvisamente visto un fantasma. Poi gli si avvicinò e all’orecchio gli disse semplicemente: “appena uscito”.

Mandino a quelle parole scattò in piedi, tanto da far sussultare degli ubriachi che gli stavano accanto e schizzò fuori dalla fragile porta di legno ribattendola alle sue spalle. Appena uscito però non notò nulla di sospetto, tranne degli strani movimenti nel vicolo a fianco. Allora si avvicinò furtivo e vide l’uomo che stava inseguendo che aveva finito di legare il nano che l’oste aveva buttato fuori in precedenza e si allontanava col suo cane. Mandino fu tentato di liberare il nano, ma in fondo era simpatica la sua posizione e poi lui lavorava da solo, così si decise a seguire l’uomo che pochi giorni prima gli avevano indicato.

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La centaura rimase indecisa per un istante. Forse non credeva a quello che le aveva detto; eppure si era leggermente rilassata davanti a lui, forse proprio per il fatto che con quel piccolo movimento si era interposto tra lei ed il gatto.

Già il gatto.

Che nel frattempo si era accucciato a terra e sembrava essere molto occupato nell'atto di leccarsi una zampa. Bene, pensò Xarioki, mi ha dato retta.

Per il momento.Sono curiosonon aspettare troppo, potrei stancarmi.

Xarioki annuì tra sé. Aveva guadagnato un po' di tempo. Sorrise alla centaura, aspettandosi una risposta.

Intanto con fare piuttosto malconcio un'altra figura si avvicinò a loro. Avanzava a tentoni, visto che ormai la luce andava scemando velocemente. Xarioki riconobbe l'uomo che lo aveva assalito prima, quello che aveva scambiato per un bandito.

-Mi dispiace per il malinteso. E soprattutto mi scuso per il gatto. Ha pensato di dovermi difendere, ma spero che non vi abbia arrecato troppo male.-

-Ouch!- esclamò l'uomo, passandosi la mano sul viso tutto graffiato e sobbalzando dal dolore.

-Niente di che amico. Me la sono cercata…- rispose l'altro e noncurante della centaura che continuava a rimanere ferma ed immobile avanzò verso Xarioki e gli tese la mano con un sorriso.

Xarioki ricambiò la stretta.

-Scuse accettate allora?- chiese, continuando a guardare la centaura che rimaneva immobile, senza proferire parola e muovere un muscolo.

L'uomo si accorse del suo imbarazzo e cercò di mettervi fine: -Io mi chiamo Cassiel e questa è la mia compagna. Non preoccuparti se non è di molte parole… in genere è un po' timida con gli estranei, ma dicevi? Che ti sei perso?-

La femmina di centauro si voltò e senza degnarlo di una sola parola si avvicinò alle ceneri fumanti del fuoco, cavò fuori dalla bisaccia un acciarino e lo riaccese. I movimenti erano lenti e misurati, quasi guardinghi. Con calma scaricò a terra la sacca della selvaggina.

Il fuoco attacco la legna e diffuse il suo chiarore. Il gatto con calma si stiracchiò e si avvicinò ad esso.

Xarioki si rese immediatamente conto che non si fidava di lui, almeno non ancora.

-Sì, ehm effettivamente non so dove mi trovo. Ma è una storia lunga. Piuttosto sto cercando un centro abitato, anche un posto piccolo dove passare la notte andrebbe bene.- gli rispose- Per caso voi sapreste indicarmi come arrivarci?-

Cassiel cominciò a ridere sguaiatamente. Era una risata piena di sollievo e di ilarità. Poi quando ebbe le lacrime agli occhi dal troppo ridere si rese conto che Xarioki continuava a fissarlo, con un'espressione a metà tra il sorpreso e l'umiliato.

-Scu-Scusa!-balbettò quasi Cassiel- Non avevo intenzione di offenderti. Soltanto che dev'essere vero che non sei di queste parti. La città più vicina è ad un giorno di viaggio da qui, non è difficile arrivarci… almeno non troppo. Ma tu cosa contavi? Di viaggiare di notte?-

Xarioki si rese conto solo allora di come si fosse fatta notte all'improvviso, sotto l'ombra della fitta vegetazione non doveva esserci stata molta luce, nemmeno prima.

Cassiel aveva ragione. Cosa gli era venuto in testa? Di viaggiare di notte?

-Potete stare con noi, se volete- intervenne la centaura- Siamo diretti anche noi in città-

Xarioki si rese conto che la donna stava accarezzando il suo famiglio.

Ma a quanto pare il gatto ne era più che felice. Xarioki estese la sua mente fino a lui per un istante.

Gli giunse un rumore lento e regolare, come un ronfare.

Mi piace questa donna. Hai ragione: rimaniamo con loro per il momento.

-Sarebbe un favore incredibile. Non saprei come ripagarvi.- le disse Xarioki.

-Non c'è problema. Un modo lo troveremo.- intervenne Cassiel sorridendo.-Ed ora…è avanzata un po' di selvaggina per i nostri ospiti?-

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Lariel annuì con un lieve cenno del capo e si dispose al centro della stanza, per riuscire ad osservarla meglio. Anche senza la luce magica di Veck, i suoi occhi di elfo le permisero di raccogliere qualche informazione, anche se la stanza non aveva molti particolari degni di nota: l’arredamento era semplice, come probabilmente i suoi abitanti. Ma in un angolo spiccava un’ampia bruciatura circolare, che aveva rovinato il pavimento ed annerito uno specchio a muro.

Passarono alcuni minuti di silenzio e Veck sbuffò per l’impazienza: “Dai, non perdere tempo, usa le tue divinazioni, così ce ne possiamo tornare a casa e tu non dovrai sopportarmi oltre”.

Lariel avrebbe voluto mandarlo a quel paese, ma si impose di non perdere il controllo.

“Per interpretare correttamente le divinazioni, bisogna prima osservare attentamente la realtà, altrimenti si corre il rischio di incappare in pericolosi fraintendimenti”.

Dopo questa seccata risposta, si rimise al lavoro e si accorse di un particolare che le era sfuggito alla prima occhiata. Sopra ad un tavolino era appoggiato uno strano oggetto. L’elfa si avvicinò incuriosita e lo prese tra le mani, rimanendo a bocca aperta quando si rese conto che era una sorta di copricapo formato da tante piccole penne intrecciate.

Si girò con aria interrogativa verso Veck e gli mostrò lo strano oggetto, sperando che potesse identificarlo come un indumento tradizionale umano, ma il ragazzo non poté fare altro che scuotere la testa perplesso.

Lariel lo osservò ancora una volta, poi chiuse gli occhi e si concentrò sull’incantesimo che l’aveva avvertita in precedenza dell’aura magica. Ora poteva percepirla con maggiore chiarezza, sentiva la presenza di un potere che andava piano piano svanendo. Poi vide qualcosa che le fece perdere la concentrazione e spalancò gli occhi, spaventata. Cercò di riprendere il controllo il prima possibile, ma non fu abbastanza veloce e Veck la osservò dapprima incuriosito, poi preoccupato.

“Lariel, che succede?”

La giovane sbatté le palpebre un paio di volte per ricomporsi, ma quando parlò la sua voce era visibilmente scossa: “L’aura magica qui dentro è decisamente forte”.

“Bella scoperta! Tanta scena solo per questo? O c’è dell’altro?”

“No, assolutamente niente. Se vuoi fare qualche rilievo anche tu, poi possiamo anche andarcene” fu la sua risposta sbrigativa.

Non sapeva se era il caso di dirgli ciò che aveva visto, ma soprattutto non sapeva come dirglielo.

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Rudin non aveva fatto che pochi passi in piazza Markus quando un improvviso rumore e qualche grido lo fecero di nuovo voltare con uno scatto.

Dalla finestra di un alto palazzo quasi di fronte alla locanda qualcuno si era buttato. Rudin riuscì solo a vedere un ombra nella fitta pioggia prima che si dileguasse.

Evidentemente doveva avere un qualche potere magico o un superbo addestramento, poichè non si era sfracellato com'era prevedibile, bensì era atterrato con la leggerezza di un gatto ed era istantaneamente fuggito in uno dei viottoli che si allontanavano dalla piazza.

Delle poche persone che erano nella piazza in quel momento, la maggior parte stava con il naso all'insù e una mano a ripararsi gli occhi dalla pioggia a guardare la finestra da cui era balzato giù quel tipo.

«É saltato giù dal tetto! É pazzo!»

«Ma no, dalla finestra del quarto piano, quella mezza rotta!»

«Ha aperto il mantello ed è planato giù!»

«Non era un mantello, aveva le ali, delle grosse ali da pipistrello! Dev'essere una strana bestia magica! Dobbiamo avvisare l'Accademia di Magia!»

«Le guardie, altro che l'Accademia! Le guardie bisogna chiamare!»

«Ma siete sicuri? Io non ho visto nulla!»

«Chiamiamo le guardie!»

«Non dire idiozie! Cosa gli diresti?»

"Mai fare ricerche a caldo tra la gente comune. Non si riuscirebbe ad ottenere una versione concordante neanche a pagarla platino". Questa lezione era stata una delle prime che Rudin aveva imparato.

Si diresse verso la porta del palazzo in questione, davanti alla quale stazionava annoiata ed infreddolita una Guardia Cittadina. Questa alzò appena lo sguardo quando notò Rudin che si stava avvicinando.

«Alt! L'ingresso è permesso solo agli autorizzati.» un ghigno scettico si disegnò sul suo volto «E scommetto che tu non lo sei.»

«M-mi creda, n-non ho alcun d-desiderio d-di entrare. V-volevo solo av-avvertirla che s-sul lato che da s-sulla pi-piazza qualcuno s-si è gettato da una f-finestra, atterrando agilmente e di-dilenguandosi in un v-vicolo. C'è ora un p-po' di t-trambusto tra la gente in pi-piazza. Essendo lei d-di g-guardia, credevo p-potesse interessarle. B-buona giornata.»

E dettò ciò si allontanò lasciando la povera guardia un po' interedetta. Tuttavia, girato l'angolo, fece appello alle sue ottime facoltà di senso dell'orientamento e arrivò da un'altra strada nel vicolo in cui aveva visto sparire l'uomo. Si levò un ciuffo di capelli fradici dagli occhi e iniziò a cercare tracce sul terreno bagnato.

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Veck, che ormai si era ripreso, cominciò a guardarsi attorno, esaminando la stanza. Anche se le sue capacità di percepire il magico non erano sviluppate come quelle dell'elfa, era in grado di effettuare dei semplici rilievi.

Approfittando della sua concentrazione, Lariel cercava una spiegazione per quello che aveva visto. Solitamente i suoi incantesimi di individuazione rivelavano una vaga luminosità in corrispondenza delle aure magiche, più o meno brillante a seconda dell'intensità. In questo appartamento, però... c'era qualcos'altro. Una specie di ombra, come se... come una lanterna che invece di fare luce, la rubasse all'ambiente circostante. Ma nessun incantesimo faceva una cosa del genere, neppure quelli usati apposta per spegnere le luci naturali, neppure gli incantesimi più oscuri, quelli che all'Accademia non potevano essere insegnati...

"Guarda qua." La voce di Veck la riscosse da questa riflessione. "Vedi queste bruciature, qui sul pavimento?" Lariel annuì.

"Ecco, se fosse stata un'esplosione, sarebbero diffuse in modo più o meno circolare. Invece sono orientate da questo punto" Veck indicò il pavimento "verso questa direzione... come una specie di cono. Sai cosa vuol dire?"

Lariel annuì di nuovo, cercando di celare la sua preoccupazione. "Sì. Non è una cosa successa per caso, qua è successo qualcosa di più. E probabilmente c'è un mago di mezzo."

"Per cui" concluse Veck, "sulla relazione non dobbiamo scrivere <<incidente magico>> ma <<uso non autorizzato di magia offensiva>>. Tra l'altro, così mi risparmio un po' di spiegazioni sulla porta. Dai, andiamo a finire questo lavoro."

Lariel lo squadrò, come se non credesse a quello che sentiva. "Cosa?"

"Ma sì, torniamo in Accademia, facciamo rapporto, e festa finita."

L'indignazione si fece strada sul volto dell'elfa. "Kirne, hanno cercato di ucciderci. Ci hanno tirato addosso con una balestra. E non sappiamo cosa sia successo qui."

"Ho capito dove vuoi andare a parare. Ma non tocca mica a noi, questa cosa. Ci hanno chiesto una perizia, l'abbiamo fatta, lasciamo le indagini alla Guardia Cittadina e via, no?"

"No." La voce di Lariel stava salendo di tono. "Hanno - cercato - di ucciderci! E potrebbero aver ammazzato qualcun altro! E quel tizio si è buttato dalla finestra ed è scomparso nel nulla e potrebbe essere ancora in giro e-"

Veck la interruppe. "Va bene, va bene. Hai ragione tu. Ci siamo dentro comunque, per cui tanto vale cercare quel tizio con la balestra. Sperando che non ci faccia saltare in aria come l'appartamento."

"Non penso che sia stato lui a fare questo." rispose l'elfa accennando all'appartamento. "Piuttosto, è venuto qui per qualche motivo, e il padrone di casa non ha gradito la visita. A occhio e croce, il proprietario era un mago, ma non voleva che si sapesse... in giro non c'é niente che possa farlo pensare. Neanche una pergamena, o un libro."

Il ragazzo la guardò sorridendo. "Te la sei presa a cuore, eh? Ho capito... cerchiamo di far luce su questo mistero. <<Veck e Lari investigatori>>, dovrei proporlo a qualche bardo... scherzavo, scherzavo, non guardarmi così. Da dove cominciamo, da qui?"

Lariel ripensò all'ombra magica che aleggiava nella stanza, e represse un brivido. "No, qui abbiamo finito. Usciamo, diamo un'occhiata in giro."

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-Bene, allora da che parte dobbiamo andare?- chiese Xarioki, stiracchiandosi.

Era una giornata limpida e serena e l'aria era quasi frizzante. Gli altri erano già svegli: Kyra-così si chiamava la centaura- stava mettendo a posto le ultime cose, mentre Cassiel finiva di medicarsi le ferite con uno strano unguento puzzolento. Sembrarono non averlo sentito.

Xarioki notò che per quanto potesse fargli male l'operazione il ragazzo resisteva stoicamente, senza neppure rabbrividire, come se nulla fosse. Eppure le ferite dovevano essere profonde... e molto molto dolorose. Più striscie rosse spiccavano infatti sul suo volto. Xarioki si vergognò per non essere riuscito a fermare il proprio famiglio...

O qualunque cosa fosse.

Estendendo il suo pensiero e cercandolo lo trovò lì attorno a caccia...

Che cosa c'è ora?

Dobbiamo andare.

Un attimo ed arrivo, non scocciarmi.

Come cominciare bene una giornata,pensò Xarioki.

Guarda che ti ho sentito. Vabbè arrivo, così la smetti di stressarmi.

Kyra terminò di raccogliere le sue cose e come si riscosse:

-Hai finito Cassiel?- chiese al ragazzo.

-Sì possiamo andare- rispose l'altro.

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Mattina finalmente...

Kyra raccolse le ultime cose, dopodichè si rivolse a Xarioki:

-Possiamo andare ora? Abbiamo un giorno di marcia che ci aspetta!-

Xarioki annuì, mentre Cassiel metteva rapidamente in una sacca il suo unguento. Le ferite spiccavano ancora rosse come il sangue sul suo vis, ma il ragazzo non sembrava farci troppo caso.

Sbrigati, stanno partendo.

Non c'è bisogno di farmi fretta, sono qui vicino, soltanto un istante.

Non abbiamo tutto il tempo che vuoi. Sbrigati.

Ci sono cose più importanti ora.

Xarioki sbuffò. Odiava avee la sensazione che gli stesse sfuggendo tutto di mano ed odiava pure il fatto che la magia avesse invocato per lui un famiglio del genere. C'era qualcosa di falso nel legame empatico che li univa, qualcosa che non andava. Eppure lui era il suo famiglio non c'erano dubbi.

-Dobbiamo aspettare il mio gatto.- disse a Kyra, aspettandosi che la centaura protestasse.

Ma lei non disse nulla e per un istante Xarioki ricordò a sé stesso che non era un atto di gentilezza continuare a fissare quei capelli, rossi come il fuoco. Distolse velocemente lo sguardo, sperando che non se ne fosse accorta.

Vieni qui, devi vedere.

Cosa vuoi?

Segui il sentiero fino alla biforcazione, stai sulla sinistra ed entra nella radura. È nascosta, ma la vedrai.

Non posso…dobbiamo andare.

Questo è più importante. Vieni. C'è qualcosa che non va qui.

Il gatto aveva esteso fino a lui la sua mente: aveva paura, quasi timore. Qualcosa lo aveva spaventato. Xarioki si dimenticò per un istante di quanto potesse essere pericolosa quella cosa; era stato più importante intuire che il gatto potesse aver paura di qualcosa.

-Il gatto vuole che lo raggiunga. È in una radura qui vicino… - disse agli altri- Se non vi fidate ad accompagnarmi posso andare da solo-

Cassiel rise: -Non se ne parla neppure di lasciarti solo. Fai strada. Noi ti seguiamo.-

Il gatto aveva ragione, la radura non era lontana. La vide dopo pochissimo tempo che camminavano: un cerchio di alberi che la delimitava. Kyra scattò in avanti mentre si avvicinavano… stranamente man mano che si addentravano tra gli alberi scese il silenzio. Un silenzio profondo che avvolgeva ogni cosa. Alla fine sbucarono nella radura, nient'altro che un pezzo di cielo azzurro circondato su ogni lato da un muro di vegetazione. Il gatto era là, fermo, che li aspettava.

Xarioki non ebbe bisogno di chiedergli cosa avesse visto.

Nel centro della radura vi era quanto era rimasto di un vecchio albero morto.

E c'era anche un anziano, dalle vesti lacere ed annerite, gli occhi chiusi in una smorfia di dolore.

Solo che erano fusi insieme, legno morto e carne viva compenetrati in qualcosa di impossibile: l'uomo non aveva più piedi, non era altro che un busto innestato sul legno secco.

Ed incredibilmente era ancora vivo.

Aprì gli occhi, velati dalla vecchiaia e dal dolore e disse qualcosa in un lamento appena udibile.

Dimenticandosi di ogni prudenza Xarioki si avvicinò, l'erba annerita che scricchiolava sotto i suoi piedi.

"Sto mo-rendo.. Fermatelo… Dovete fermarlo prima…"

Questo fu tutto quello che riuscì a capire.

Un attimo dopo venne sbalzato indietro da una fiammata di calore che polverizzò il centro della radura. In un istante il vecchio e l'albero erano spariti, sotto gli sguardi attoniti di Carriel e Kyra, al limitare degli alberi.

Xarioki guardò il gatto e lanciò i suoi pensieri verso di lui.

Sei stato tu?

Non sono così potente. A proposito non mi sono ancora presentato, il mio nome è Nhemesis…e…

E cosa?

Sei arrivato un attimo in ritardo.

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Non avevano seppellito nulla del vecchio, anche perché non era rimasta che cenere di lui… qualcosa di grigio ed inutile. E chiunque lo avesse ucciso in quel modo aveva sicuramente previsto tutto in anticipo: nessuno avrebbe potuto aiutarlo e nessuno avrebbe mai potuto sapere che una cosa del genere potesse essere accaduta.

Per quanto impreparato fosse Xarioki sapeva che quella che avevano visto nella radura era magia, magia oscura sì, ma pur sempre un enorme potere magico indirizzato al male. Eppure nessuno di loro riusciva ancora a capacitarsi del perché uccidere un vecchio apparentemente innocente ed indifeso. Perché torturalo? Per ottenere qualche informazione da lui?

Se fossero arrivati un po' prima forse il vecchio avrebbe avuto abbastanza respiro per dire loro parte della verità per la quale era stato ucciso. Invece così non sapevano nulla, null'altro all'infuori dell'orrore che avevano visto. Ma forse proprio il fatto di esserne stati testimoni non era stato previsto… forse ora loro stessi sarebbero diventati un bersaglio.

Ottimo modo per reiniziare la propria vita con una terribile amnesia alle spalle.

Kyra aveva girato attorno all'erba annerita, con una smorfia disgustata sul volto, dopodichè con un'impercettibile mossa di un sopracciglio aveva notato qualcosa. Qualcosa che agli altri era sfuggito.

-Mago. Puoi vederlo anche tu?-

-Cosa?- le chiese Xarioki.

-La magia. Qui è rimasta l'aura della magia che è stata utilizzata. Posso ancora percepirla ed è ancora forte. Mi fa sentire a disagio.-

-Mi spiace, non sento nulla.- Ed era vero, si sentiva come un recipiente svuotato. Il tatuaggio però a dire il vero prudeva fastidiosamente sotto le vesti. Decise di ignorarlo e si concentrò un attimo. Cantilenò le parole dell'incantesimo ed immediatamente lo vide: un alone, come una nebbia putrescente nella quale loro stessi erano immersi, nella quale respiravano.

Spalancò gli occhi:

-Sconsacrato! Hanno sconsacrato la radura.- esclamò.

-Andiamocene via di qui. Non c'è più nulla che possiamo fare.- intervenne Cassiel.

Sbagliato, c'è ancora qualcosa.

Xarioki prestò attenzione al gatto per un istante.

Guarda gli alberi che circondano la radura,- continuò nella sua mente- stanno morendo. È come una peste che si diffonde.

Il gatto aveva ragione. Anche la centaura se n'era accorta? Xarioki distolse lo sguardo dagli alberi e guardò Kyra, indeciso se chiederle direttamente qualcosa. Poi capì.

Lo sa già.

-Andiamocene, prima che si diffondi anche su di noi. Gli alberi qui attorno stanno marcendo tutti e non possiamo farci nulla, assolutamente nulla. Dobbiamo andare in città velocemente invece ed avvertire qualcuno. Dire loro quello che abbiamo visto. Ed in fretta.- lo prevenne la centaura.

Velocemente si inoltrarono di nuovo nel fitto del bosco, abbandonando la radura. Il silenzio di morte era ora interrotto dal rumore acre di rami secchi che si spezzavano sempre di più dai tronchi impudriditi. Di qualsiasi genere di peste si trattasse si diffondeva ormai a vista d'occhio.

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Finalmente erano arrivati nella città. Sempre a patto di poter chiamare città un ammasso casuale di capanni e case in pietra le une addossate sulle altre. E come se non bastasse pioveva, quella pioggia fine ed impalpabile che ti avvolge ed infradicia e dalla quale è assolutamente inutile cercare di coprirsi.

Perché siamo venuti qui, sembra un villaggio fatiscente e per di più odio essere bagnato!

Xarioki non diede minimamente retta al gatto. Tutto sommato non aveva la più pallida idea di come erano arrivati fino a quel lurido sobborgo. Nelle ultime ore più che muoversi nel bosco avevano corso contro il tempo. Od almeno così sembrava ai suoi occhi. Ma come faceva a sapere che quello che aveva davanti agli occhi non era granchè? Forse aveva un metro di paragone inconscio?

In realtà non si ricordava nulla.

Ma aveva la sensazione di aver visto di meglio. Le strade erano fangose ed ingombre di uno strano assortimento delle razze più disparate. Man mano che andavano avanti e si inoltravano nella città i vicoli si facevano più stretti e più affollati. Su tutto in lontananza incombevano le cinta murarie della fortezza. Ma i passanti erano troppo occupati o quantomeno troppo abituati a vederla ogni giorno per potersene più stupire. Xarioki osservava da lontano le mura perfette ed imponenti, quelle sì, chiedendosi per l'ennesima volta il motivo per cui era finito lì senza memoria. Niente gli era familiare.

Come se la sua mente fosse stata una tabula rasa. Un foglio bianco privo di un qualsiasi ricordo. Tutt'al più sensazioni, odori, emozioni che potevano ricordargli qualcosa. Per tutto il resto era impreparato ed ingenuo come un bambino.

La centaura aveva preferito non accompagnarli fin lì e non poteva darle torto. Anche in quel variegato assortimento di popolino avrebbe spiccato come un orco in un villaggio elfico. Secondo lei il mago aveva visto e sapeva tutto quanto fosse stato necessario riferire. Pertanto Cassiel lo stava guidando verso l'Accademia dei maghi del posto, muovendosi tra quelle vie come se fosse stato il suo elemento. E forse lo era dopotutto…

Xarioki si avvicinò a Cassiel: -Siamo arrivati?- gli chiese a bassa voce.

C'era un po' di trambusto nell'aria, come se fosse accaduto qualcosa, o forse era sempre così in quella parte della città.

-Quasi arrivati, l'Accademia non è lontana da qui. Ma non ci riceveranno, almeno non subito…sono un po' paranoici questi maghi, senza offesa eh?- lanciò un'occhiata di sottecchi a Xarioki, ma questo gli fece spallucce. Poteva capire perché i maghi fossero considerati un po' paranoici.

Cassiel riprese a parlargli, come se nulla fosse:-Prima ho bisogno di contattare un amico. Una vecchia conoscenza che ci introduca velocemente dai pezzi grossi…- e gli indicò con un dito una taverna fatiscente a lato della strada. Una tavola di legno rozzamente intagliata oscillava lucida dalla pioggia; nella scarsa luce Xarioki riconobbe la scritta:

L'Orso rampante.

In effetti guardando meglio la tavola era tagliata rozzamente nella forma di un orso in equilibrio incerto sugli arti posteriori.

Cassiel diede un'altra rapida occhiata in giro, là dove pian piano le persone in strada andavano diradandosi, mentre giungeva uno strano chiasso dalle vie circostanti. Ma non era strano: lì era pieno di ubriachi. In una via davanti alla locanda un nano si stava aggirando con andatura barcollante… Xarioki ebbe un brivido di disgusto ed entrò in locanda dietro a Cassiel.

La locanda era una di quelle dove è meglio non fare troppe domande, soprattutto sull'ultima volta in cui è stato lavato il boccale di birra che serve l'oste al banco. Erano entrati senza che nessuno facesse grande attenzione a loro. In effetti per essere una città piccola era anche piuttosto affollata: la stanza era strapiena di gente. Alcuni o forse la maggior parte erano semplicemente troppo ubriachi per accorgersi di loro. Questo giocava a loro favore.

Ed era strano. Dopo quello che avevano visto nel bosco era come ripiombare in maniera stridente nella normalità.

Cassiel rivolse a Xarioki uno sguardo complice: -Io cerco un tavolo, tu intanto vedi un posto dove metterti comodo.- disse.

Comodo dove? Il pavimento lì dentro non era stato lavato al pari dei bicchieri! Ma era sempre stato così schizzinoso nella sua vita, si chiese?

Guarda caso non ricordava la risposta.

Notando che non si muoveva ma rimaneva fermo impalato, Cassiel gli fece segno di seguirlo: si accomodarono all'unico tavolo libero vicino al bancone ed ordinarono subito qualcosa da bere e da mangiare. Il gatto era sparito. Xarioki se ne rese conto alcuni istanti dopo essersi seduto. Provò allora ad estendere la mente per controllare dove fosse finito.

Niente. Il vuoto più assoluto.

Cassiel era al banco ora, che stava parlottando con l'oste. Probabilmente stava cercando il suo contatto… o forse soltanto ordinando un'altra birra.

Forse il gatto era rimasto fuori alla pioggia o forse… in un lato della stanza qualche avventore stava urlando e sbraitando in maniera particolarmente evidente. Senza volerlo Xarioki cercò di concentrarsi e di capire che stesse dicendo:

-…Per oggi siamo a posto. La pelliccia di questo gatto farà la sua ottima figura. E guardate che riflessi poi. Mai visto nulla di simile. Me la pagheranno oro! Fate spazio!-

Xarioki rabbrividì. Aveva sentito bene? Aveva detto la parola "gatto"? Ma prima che potesse chiederselo di nuovo vide un barbaro mezz'orco in mezzo alla locanda che mostrava il suo trofeo. Un trofeo ormai un po' malconcio a dire il vero. La pelliccia era completamente fradicia di pioggia… Ma non poteva esserci dubbio alcuno: era il gatto e soffiava inutilmente, preso per la collottola.

Che diavolo hai combinato?

Nessuna risposta.

Rispondimi.

Non ho bisogno di te, me la posso cavare da solo…

Sì, come no.

Il mezz'orco rideva sguaiatamente, soddisfatto della sua preda. Adesso stava scuotendo vigorosamente il gatto che cominciò a fingersi morto tra le sue mani. Il mezz'orco lo scosse con più vigore e lo sbattè per terra con uno schianto sonoro. Il gatto rimase immobile.

In che senso puoi cavartela da solo?

Sono troppo stanco e troppo fradicio..

Tu? Mi stai chiedendo aiuto?

Nessuna risposta.

Il mezz'orco cominciò a ridere e sollevò un piede per schiacciarlo a terra…

Poi d'improvviso smise di ridere.

-Brutto mezz'orco. Levagli le mani di dosso!- esclamò Xarioki nell'improvviso silenzio fattosi nella locanda. Senza rendersene neppure conto si era alzato e stava in piedi davanti all'orco, sovrastato di almeno due buone spanne in altezza.

Cassiel smise di parlare con l'oste e si girò per tornarsene al tavolo. Il sorriso che aveva stampato in volto scomparve immediatamente come neve al sole. Nella locanda si era fatto all'improvviso uno strano silenzio.

Ed il mezz'orco sfilò da dietro le spalle una mazza arrugginita, brutta quasi quanto il suo sorriso sdentato.

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Mandingo aveva appena avuto il tempo di alzare gli occhi verso la preda che sentì qualcosa provenire del palazzo di fronte: qualcuno si era buttato... ma cosa stava succedendo? un trambusto enorme, ma appena vide il suo inseguito allontanarsi dimenticò tutto e si avviò anche lui.

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Uscirono dalla stanza e si diressero verso l’uscita. Fecero un rapido saluto alla guardia ed uscirono in strada. Si guardarono attorno per qualche secondo e Lariel chiese: “In quale direzione sarò andato?”. Veck alzò leggermente le spalle, poi indicò l’angolo destro della piazza: “Proviamo di là”.

Giunti al punto scelto da Veck, osservarono velocemente i vicoli che si dipartivano da quel punto e cominciarono a percorrerli nella speranza di trovare qualche traccia di quell’uomo. Girato un angolo, Lariel quasi inciampò su un cane, che le abbaiò contro, richiamando quello che doveva essere il suo padrone. Il cane si mosse verso l’uomo nella via, ringhiando contro i nuovi venuti. Questi carezzò il cane e gli sussurrò di calmarsi.

Lariel, quasi istintivamente, pronunciò qualche breve parola e lanciò un incantesimo di divinazione, per permettere alla sua mente di invadere, almeno superficialmente, quella del tizio che aveva di fronte. Dopo pochi istanti dei lampi provenienti dalla mente dell’uomo si affacciarono nel suo cervello:

“Dov’è Come diavolo si muove quel coso?

Vola Salta? questa pioggia dannata non si capisce nulla sono fradicio”

Lariel si concentrò maggiormente per riuscire a dipanare quei pensieri veloci e frammentati. Le parve di udire la voce di Veck, ma la avvertiva talmente lontana da non prestarle attenzione.

Veck le stava dicendo di spostarsi, mentre osservava l’uomo ed il suo cane, avvertendo la tensione che si stava creando.

I pensieri di Rudin si spostarono su Lariel:

“Chi è questa una ragazzina un’elfa? Ecco forse qui cos’è cos’è

Sembra cosa sembra? L’ho già visto ma se ne va questa qui”

La concentrazione dell’elfa però fu spezzata da un urto improvviso. Il cane le aveva appoggiato le zampe sporche di fango sulla tunica, annusando sospettoso l’elfa. L’uomo, che si era rialzato dalla sua posizione, stava sorridendo e lei cercò di mantenere il controllo per non lasciarsi sfuggire l’occasione di porgli qualche domanda. Ma il viso divenne paonazzo e fu tentata di scagliare un dardo magico contro l’animale.

La prontezza di Veck permise di evitare uno spiacevole incidente: “Ma sei proprio un bel cane, lo sai?” disse con voce molto calma mentre lo accarezzava, mentre con la coda dell’occhio osservava le reazioni dell’uomo.

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Una brezza leggera spirava sulla sabbia bianca, rinfrescando l’aria afosa del tramonto. La tempesta era finita solo qualche ora prima, ma in quel momento sembrava soltanto un ricordo. Il cielo era sereno e la luce del crepuscolo gli conferiva una colorazione gialla-arancione. Anche il mare era calmo, pigre e sporadiche onde sciabordavano dolcemente sulla sabbia. Più avanti la spiaggia terminava, e la sabbia bianco-verde lasciava il posto a un’intricata foresta di mangrovie che si stendeva fino al limite dell’orizzonte. Quando il disco giallo del sole si chinò fino a baciare il mare, l’oscurità calò in fretta; in pochi secondi il cielo si fece blu scurissimo, e la notte si riempì di stelle.

Il ragazzo addormentato sulla sabbia si svegliò di soprassalto.

Devi uccidere il mago.

Cosa?

Uccidere il mago. Devi uccidere il mago. Uccidilo.

Quale mago? Perché?

Perché è colpa sua se siamo qui ora.

Il giovane si alzò lentamente carponi, il corpo gli doleva incredibilmente a ogni movimento. Ma la cosa peggiore era il mal di testa. Non riusciva nemmeno a pensare, da quanto forte era il suo dolore. Era come se gli premessero delle tenaglie incandescenti nelle orbite, come se un picchio si divertisse a stabilire quando ci avrebbe messo la sua scatola cranica ad andare in pezzi.

Il ragazzo, con uno sforzo immane, si mise seduto. Tremava violentemente, sembrava preda di violente convulsioni. E nella sua mente scardinata risuonava un solo concetto, con la forza di un gong:

Uccidere il mago.

Dopo qualche secondo, il giovane smise di agitarsi. Una volta ripreso il controllo del proprio corpo, si sdraiò sulla sabbia a pancia in su. Si sentiva spezzato, picchiato, violentato. Era come se una forza molto superiore a lui gli avesse aperto il cervello a mani nude. E poi c’era quella voce colma di rabbia, di nuovo, che gli ordinava di fare qualcosa, non ricordava cosa.

Il ragazzo osservò il cielo stellato, chiedendosi per l’ennesima volta chi fosse.

Non ricordava più niente, era come se gli fosse stata asportata una parte del cervello. Tre giorni prima si era svegliato su un isolotto poco distante. Aveva la mente annebbiata e un gran mal di testa. E non si ricordava più nulla del proprio passato.

Chi sono? Come mi chiamo? Da dove vengo? Che cosa ci faccio qui? Ho una famiglia? Di chi è la voce che mi forza la mente ogni volta che mi sveglio? Perché non ho ancora incontrato nessuno, tranne qualche animale?

Probabilmente non l’avrebbe mai saputo. All’inizio aveva pensato che fosse una sensazione passeggera, dovuta a uno shock di qualche genere, ma ormai erano passati tre giorni e la sua mente assomigliava ancora a una tavola appena piallata.

Dopo qualche minuto si sentì più tranquillo. Si mise a sedere e controllò di non avere perso nulla. La spada era al suo posto accanto alla bisaccia dei funghi e all’otre d’acqua. Guardando il mare, pensieroso, il ragazzo pensò di avere un altro mistero da aggiungere alla lista: la spada.

Dopo averla sfilata con cura dal fodero, la osservò attentamente come aveva già fatto molte volte. La lama era lunga circa un metro e mezzo e larga una decina di centimetri, ma la sua particolarità era il colore: era nera, come l’ebano. L’elsa era priva di qualsiasi ornamento, eccezion fatta per uno strano simbolo in bassorilievo. Il ragazzo non capiva come un’arma del genere potesse essere finita nelle sue mani. L’aveva trovata accanto a sé, a dieci centimetri dal proprio fianco sinistro, quando si era risvegliato con le ossa indolenzite e la mente colma fino alla nausea di quella voce rabbiosa. Vicino alla spada aveva raccolto una bisaccia di cuoio piena di funghi dall’odore penetrante che non aveva osato mangiare, un otre vuoto che aveva usato per fare scorta d’acqua una volta trovata la fonte sulla collina, e un’ampolla di vetro contenente uno strano liquido trasparente. Il ragazzo non aveva la più pallda idea di che sostanza fosse.

Dopo il primo traumatico risveglio, tre giorni prima, si era costretto a nuotare fino alla spiaggia, che gli era parsa appartenere alla terra ferma o quantomeno a un’isola più grande di quella sulla quale aveva ripreso conoscenza. Da allora viveva di erbe trovate al limite della foresta e di qualche raro pesce che riusciva a prendere. Aveva fabbricato una lenza di fortuna servendosi della radice di un rampicante che aveva trovato nella foresta. Ci era stato solo una volta, e non ci era più tornato perché la sgradevole sensazione di essere l’unico essere vivente a parte gli alberi non gli era piaciuta.

Rinfoderata la spada, il ragazzo si mise a camminare sulla spiaggia avanti e indietro, riflettendo. Dimostrava sedici o diciassette anni, aveva i capelli castano chiari e gli occhi grigio-azzurri, che si sarebbero potuti definire glaciali. Era piuttosto alto, sul metro e settantacinque circa. Indossava un paio di pantaloni di tela grezza, una maglietta bianca di cotone e un paio di scarpe di corda.

Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto lasciare quel posto, non avrebbe potuto vivere su quella spiaggia per sempre. L’unico modo per andarsene era passare per la foresta, a meno che non si volesse fare chilometri e chilometri a nuoto. Il ragazzo prese una decisione: avrebbe attraversato quella maledetta foresta, costasse quel che costasse. Era ora di dimostrare a sé stesso quanto valeva. Non sarebbe rimasto per sempre dove il fato aveva deciso che dovesse rimanere, e non sarebbe stata uno stupido ammasso di alberi a fermarlo.

Raccolte le sue cose, il ragazzo si incamminò nella foresta. Qualche minuto dopo gli alberi occupavano tutto il suo orizzonte, a trecentosessanta gradi. Rimaneva solo un puntino bianco fra i bassi cespugli spinosi e le contorte radici di una pianta robusta. Era tutto ciò che si poteva ancora scorgere della spiaggia; prima di poterci ripensare, il ragazzo si inoltrò ancora di più nel folto della foresta.

Mano a mano che procedeva, tutta la spavalderia che lo animava prima si stava estinguendo velocemente. Ancora pochi minuti e il ragazzo si accorse di avere paura.

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"Burp!"

Olbeon si svegliò così, ruttando, e con la testa pulsante.

Tossi, cercando di riprendersi.

Dopo qualche secondo di intontimento respirò a fondo, maledendo la pioggia che lo aveva svegliato.

Si sentiva fradicio e puzzolente.

Si alzò in piedi o almeno ci provò.

Non si accorse neanche di cadere in avanti, mentre sentiva un dolore leggero all'inguine.

Si ritrovò disteso appoggiato sulla spalla destra, con la barba che tingeva nel fango.

Ci mise un po' a rendersi conto di cosa stesse succedendo, e più di qualche minuto a liberare un polso dalla corda che glielo stringeva.

Quando riuscì infine ad alzarsi era impregnato di acqua piovana e fango, e gli abiti erano praticamente da buttare.

Non l'avrebbe di certo fatto, ma si rendeva conto che avrebbe dovuto.

Si diresse barcollante verso l'entrata, senza sapere quanto tempo fosse passato da quando era volato fuori dall'entrata, con il solo scopo di tornare alla sua camera e dormire, dopo essersi dato una lavata veloce.

Per fortuna aveva ancora un po' di soldi avanzati dall'ultima missione, quindi avrebbe potuto permettersi la vasca con l'acqua e un altra notte in locanda, prima di dover cercare qualche lavoro.

Oltrepassò la porta barcollando, dopo essere rimasto due minuti appoggiato alla parete esterna, cercando di fermare il mondo che gli girava attorno.

Appena entrò il frastuono lo colpì. Rimase in piedi all'entrata, in attesa dell'oste che sicuramente sarebbe arrivato a insultarlo nuovamente.

Attese per qualche minuto, come in trance, perso tra le pulsazione dell'alcol nella testa, come delle campane a mezzogiorno, e la voglia di una dormita seria.

Poi si riscosse, quando all'improvviso si rese conto che l'oste non accennava ad arrivare, e che invece tutta l'attenzione degli avventori era rivolta ad un angolo della locanda.

Cercò di capire cosa stesse succedendo, ma la confusione e il suo mal di testa glielo impedirono. Allora decise di avvicinarsi, incuriosito.

Dopo qualche passo barcollante giunse all'angolo dove si era formato un cerchio di persone; al centro della cerchia si trovavano un mezz'orco puzzolente e all'apparenza incazzato, e un umano con i capelli neri, piazzato di fronte a lui.

Alle sue spalle uno strano gatto, malconcio.

Olbeon intuì subito che sarebbe passato poco tempo prima che iniziassero ad usare le mani, e si chiese come mai l'oste non accennasse a intervenire come aveva fatto con lui.

Si guardò attorno, alla sua ricerca, e poi capi: a incitare l'orco alla rissa erano proprio gli energumeni che poco prima l'avevano sbattuto fuori dalla locanda aiutando l'oste.

Olbeon ci mise solo pochi istanti a decidere: fece un passo in avanti, portandosi in vista al centro del cerchio.

E poi si mise a ridere sonoramente, guardando il mezz'orco.

"Beh, che credi di fare, testa vuota?

Pensi di usare la tua mazza contro un avversario degno, o vuoi giocare con i ragazzini?"

Il silenzio scese nella locanda, e permise al nano di rendersi conto di che mal di testa si ritrovava.

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E quel nano da dove era spuntato?

Xarioki aveva agito in maniera un po' troppo avventata, ma sinceramente il sangue era come se gli fosse salito alla testa. D'accordo, il gatto non era mai stato troppo simpatico nei suoi confronti.

Ma era pur sempre il suo famiglio. Ed un mago che si rispetti non si lascia mettere i piedi in testa da nessuno. Particolarmente da un mezz'orco.

Stava solo chiedendosi come avrebbe potuto schivare quella mazza grande due volte la sua testa quando il nano barcollante e piuttosto sporco si era messo in mezzo. Proprio sulla linea di tiro dell'incantesimo.

Xarioki aveva già deciso cosa fare: quel bestione piuttosto stupido sarebbe rimasto accecato per un istante, giusto il tempo di permettergli di recuperare il gatto ed andarsene.

Cassiel si sarebbe arrangiato, pochi avevano notato che erano entrati insieme nella locanda.

Però maledizione era stanco di poter usare la propria magia soltanto per banali trucchetti. Sentiva che avrebbe potuto fare di più, molto di più.

E per questo aveva sfidato il mezz'orco con un'incoscienza pari a quella di un novellino.

E si era appena cacciato in un grossissimo guaio.

Ma chi era quel nano?

E quanto puzzava?

Gli effluvi dell'alcol e di qualcos'altro lo raggiunsero con una zaffata.

E forse raggiunsero anche il mezz'orco che aspirò l'aria davanti a lui con voluttà.

-Tu non c'entrare. Levati di mezzo!- tuonò il mezz'orco, sorridendo di sghimbescio a Xarioki, la mazza che ancora ondeggiava minacciosamente tra le mani.

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Muovendo leggermente il collo e la schiena, anchilosati per essere stato a lungo chinato, Rudin fece un breve cenno di saluto ai due nuovi arrivati. Due ragazzi, coperti con le pesanti vesti tipiche del luogo, cucito sulle quali vi era uno stemma che Rudin non riconobbe.

Il maschio era decisamente umano, la ragazza poteva essere un'elfa o più probabailmente una mezz'elfa, data la corporatura...

«Schultz! A c-cuccia! Qui!» Il cane si staccò controvoglia dalla ragazza e tornò presso il suo padrone, girandosi ogni due passi per abbaiare debolmente in direzione dei due giovani. «D-dovete s-scusarmi, non mi ero accorto che-che vi s-stesse importunando...»

Rudin parlava ai due ma non pensava a loro: stretto nella mano sinistra aveva qualcosa, una traccia forse. L'apparizione di quei due Aalborghiani non gli aveva dato il tempo di analizzarlo a sufficienza. Doveva prendere tempo e cercare di non apparire sospetto; certo, la fitta di emicrania che aveva provato un attimo prima non lo aiutava certo a restare impassibile.

Schultz continuava ad abbaiare e ringhiare in direzione dei due, sopratutto verso la femina «Insomma! B-basta! Cuccia, s-stai a cuccia!».

Si rivolse quindi ai ragazzi «Non s-so c-cosa gli sia pr-preso... d-dev'essere questo t-tempaccio...»

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"Ascoltami bene, goblin.

Ho un mal di testa che stenderebbe te e la tua ipotetica madre contemporaneamente, e l'ascia predestinata a porre fine alla tua schifosa vita è rimasta in camera.

Quindi, se vuoi morire degnamente, metti via quella mazza e aspettami fuori: il tempo che i tuoi compari ti scavino la fossa, e poi sarò da te."

Un improvviso silenzio scese nella locanda, quando le bocca di Olbeon finì di sputare fuori la provocazione.

L'orco era visibilmente infuriato, e mentre l'uomo dietro il nano raccoglieva il gatto, Olbeon si rese conto di quanto stava rischiando.

Si era ritrovato al centro di quel gruppo di esaltati, perno dell'attenzione, a doversi districare da una rissa evidentemente oltre la sua portata, viste le sue condizioni e il fatto che era disarmato.

Attese qualche secondo, mentre il bestione di fronte a lui alzava la mazza urlando e ruggendo, come solo gli orchi sanno fare.

Olbeon sapeva benissimo che se entro due secondi l'animale di fronte a lui non avesse riacquistato la calma per lui sarebbero stati problemi seri.

E poi la mazza calò, veloce, violenta e improvvisa, assieme alla voce urlante del guerriero.

Si schiantò a terra giusto pochi centimetri di fronte a lui, mandando in frantumi il pavimento di legno e facendo schizzare pezzi di legno ovunque.

Olbeon riuscì a contenere la sua reazione, proteggendosi lievemente il volto con la mano e facendo un passo indietro e fu soddisfatto della dignità di quel gesto.

"E sia!

Muoviti, non vedo l'ora di schiantarti il cranio e scoprire quanto alcool conservi la dentro!"

L'orco alzò la mazza sopra alla spalla e ve l'appoggiò, mentre i suoi compagni lo incitavano ridendo di gusto, in onore alla morte che aspettava il nano, e poi si diresse verso la porta a gran passi.

Olbeon lo lasciò andare, poi respirò a fondo, mentre cercava di capire come si era infilato in quella situazione.

L'uomo alle sue spalle aveva raccolto il gatto, e ora lo stava osservando da poco più in la, mentre un altro uomo arrivava verso di lui dal bancone.

"Beh, vuoi dirmi che sto rischiando la pellaccia per quel gatto?

Mi aspetto almeno una notte in locanda, come ricompensa per tutto ciò.."

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"ssst... smettila di abbaiare stupido cane!" quel dannato cane, aveva notato la sua presenza dietro il mucchio di cespugli che si trovavano davanti al suo inseguitore. Per fortuna l'arrivo provvidenziale dei due strani personaggi aveva fotto crerdere a quello stupido balbuziente che il cane ce l'avesse con la ragazza. Forse non tutti i mali vengono per nuocere, potrei attirare il cane e ucciderlo di nascosto. In fondo le disposizioni erano chiare: -cattura vivo lui, uccidi chiunque ti sbarri la strada, penserò io a contattarti in seguito.- Così aveva detto quello strano personaggio dai lineamenti malvagi ma dagli occhi penetranti. E così aveva intenzione di fare Mandngo. Con questo proposito si avvicinò piu che poteva e presa la cerbottana cercò di prendere meglio che poteva la mira.

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