Si svegliò di soprassalto.
Mentre un attimo prima era immerso in un sonno profondo ora era perfettamente lucido. Come se non appena aperti gli occhi si fosse reso conto che quello non era il suo posto. Il giaciglio era comodo e caldo, la paglia fresca e profumata e la luce del pomeriggio filtrava da una rozza finestra.
Sembrava essere una capanna di tronchi, nulla di speciale, ma accogliente. Si sollevò, guardandosi intorno. Per la prima volta dopo settimane si sentiva di nuovo in forze e per di più perfettamente riposato. Soltanto che potevano non essere state poche settimane, ma mesi, anni… forse di più.
Chi lo aveva portato lì dentro e perché?
I ricordi erano sfumati e confusi nella sua mente. Ricordava vagamente di essersi trovato in un bosco, debole… quasi spezzato. Ed aveva rischiato di morire. Poi inspiegabilmente erano arrivate quelle persone. Lo avevano raccolto, ospitato, curato. Avevano parlato con lui ma all’inizio non le aveva capite. Poi inspiegabilmente man mano aveva imparato. Non era la sua lingua, ma ci somigliava molto… un po’ di parole alla volta aveva cominciato a parlare con loro ed a capire.
Gli avevano più volte chiesto come fosse finito lì.
Non se lo ricordava.
Da dove veniva?
Non se lo ricordava.
Dove era diretto?
Non se lo ricordava.
Non si ricordava più nulla, se non il proprio nome: Xarioki. Chissà come gli avevano dato un piccolo specchio di metallo. Un oggetto rozzo ma utile. Si era guardato nel riflesso metallico e si era riconosciuto. Il volto scavato ed i lineamenti un po’ provati. Profonde occhiaie. Ma quel viso lo riconosceva… almeno gli era familiare. E poi gli avevano dato lo zaino che gli avevano trovato accanto. Dentro due libri. Li riconobbe subito, od almeno uno di essi. Era il suo libro di incantesimi. Aveva passato in rassegna le pagine, ma nulla era cambiato. Tutto era a posto, poteva ancora contare sulle sue conoscenze.
Invece l’altro libro…
Quella era tutta un’altra storia.
Era rozzo e malamente rilegato. L’aveva aperto ed aveva scorso le pagine: erano fitte di una scrittura minuta ed irregolare. Ma non se la ricordava… in tutto il tempo occorso per la sua convalescenza una volta era riuscito a recuperare una penna d’oca e dell’inchiostro.
Non si era chiesto da dove potessero esserseli procurati i contadini che lo ospitavano. Aveva provato a scrivere su quella carta screpolata in uno spazio lasciato vuoto. E la sua scrittura era identica. L’aveva scritto lui, ma non ricordava… e non riconosceva neppure la lingua che aveva utilizzato. Erano una serie di parole incomprensibili, estranee… inutilizzabili. Poteva essere stato un diario… o qualsiasi altra cosa. In qualche modo era collegato al fatto che non si ricordasse più nulla. Prima di quelle settimane nella sua mente vi era un orribile, gelido pozzo oscuro dal quale non scaturiva più alcun ricordo.
Non poteva rispondere alle domande degli altri perché non sapeva tirar fuori neppure le risposte per sé stesso.
Stanco di quei pensieri si alzò. Si vestì con i vestiti che avevano lasciato lì accanto. Per lo meno erano puliti e profumati e tenevano caldo. Soltanto allora si accorse che nella capanna non vi era alcun rumore. Era solo, probabilmente… e quella era qualcosa di più di una capanna… quella non era l’unica stanza. Con circospezione aprì la porta..
-C’è nessuno?- chiese, usando la lingua che aveva imparato dai contadini.
Nessuna risposta.
Si fermò un istante per allacciarsi la veste sul petto e le sue mani sfiorando qualcosa gli procurarono un brivido di dolore. Allontanò le mani di scatto. Cos’era? Era ferito? Si guardò intorno alla ricerca dello specchio. Non poteva esserselo sognato… doveva essere lì intorno. Lo trovò e nella luce piena del pomeriggio cercò di capire cosa avesse sul petto.
Un tatuaggio. Di due occhi. Chiusi.
Doveva essere stato fatto da poco. Ma da chi e perché? Lui non se lo ricordava. E quei contadini non potevano averlo fatto. Lasciò lo specchio sul giaciglio e raccolse lo zaino lì accanto. Era ora di uscire da quella stanza. Era ora di uscire da lì.
Anche nell’altra stanza il deserto. Nessun rumore e nessuna persona. Una piccola cucina ed alcuni arnesi ben lavati e riposti. Sul tavolo qualcosa da mangiare.
In effetti era affamato.
Mangiò quello che c’era: era delizioso e fresco. Qualora vi fosse stato qualcuno lì dentro era andato via da poco. Ma non c’era nessuno… era tutto come abbandonato. Ed ora cosa poteva fare?
Si rese conto che prima, nella sua vecchia vita doveva aver avuto qualcosa, qualcuno che lo accompagnava. Nessun mago si sarebbe mai avventurato nel mondo là fuori senza. E poi non aveva molto da fare… se non aspettare. Si mise al tavolo e pregò di avere ancora la memoria e le conoscenze necessarie… il rito di evocazione era laborioso e difficile. Le parole gli vennero spontanee, fluivano come un fiume in piena.
Si rese conto di averlo già fatto molte volte… Per un istante ebbe la tentazione di chiedersi chi fosse realmente, ma il rito richiedeva concentrazione e controllo. Liberò la mente dai propri dubbi e lasciò che la magia agisse, mentre là fuori la luce declinava, lentamente, molto lentamente.
Quando ebbe finito aspettò.
A questo punto avrebbe dovuto comparire.
Nulla.
Eppure le parole erano state quelle giuste e la magia aveva richiesto le sue forze e la sua concentrazione. Poteva ancora sentire le tracce sospese nell’aria.
Nulla. Non accadde assolutamente nulla.
Xarioki attese… attese che qualcuno gli spiegasse cosa stava accadendo o cosa gli fosse accaduto. Ma sapeva che non sarebbe mai arrivato. A quel punto non rimaneva altro da fare che cercare là fuori. Raccolse il cibo che era avanzato e frugò nello zaino. A questo punto era presumibile che non sarebbe arrivato nessuno. Dallo zaino estrasse un pezzo d’oro e lo lasciò sul tavolo, dopodichè uscì fuori, diretto ancora non sapeva dove… anche perché neppure là fuori c’erano i contadini. Soltanto un sentiero, quello che doveva percorrere per risalire la china dei propri dubbi. Gettò appena un’occhiata indietro e quindi si inoltrò rapidamente nella foresta. Da qualche parte lì vicino vi fu all’improvviso un enorme baccano di corvi che si levarono in volo a grandi cerchi sugli alberi, protestando vibratamente.
Sul resto della foresta attorno alla capanna rimase solo il silenzio.