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La nostra storia...


Kordian

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Una pioggia incessante, un tramonto oscuro e cadente. E lei in mezzo a tutto questo.

La nave veniva sballottolata dalle onde che sembravano volerla sovrastare per ghermirla e rovesciarla. Sul ponte gli uomini dell'equipaggio erano tutti fermi, immobili, guardando lei come se potesse essere la loro salvezza.

«Che cosa fate lì? Muovetevi! Fate qualcosa!» La sua voce aveva un suono implorante che non le piaceva per niente. Odiava implorare. Odiava dover chiedere aiuto e dipendere dagli altri. Odiava se stessa, inerme e impotente.

Alzò le mani per ordinare al vento di fermarsi, ma il suo ululato sembrava una risata derisoria. Non aveva intenzione di soggiogarsi al suo potere e la cosa la lasciava sconcertata e furente. Non servivano a niente le sue magie e la sua forza. Alla fine smise anche di provarci, ma non tanto perché vedeva che era inutile, quanto perché le sembrava di stare implorando il vento stesso.

Vide l'equipaggio restare immobile, mentre le vele venivano stracciate, il legno divelto. L'albero si spezzò e cadde sul ponte, sfondandolo e precipitando nelle cabine. Un'onda si infranse sul ponte di comando e distrusse il timone, sbattendolo contro la ringhiera delle scalette per poi farlo precipitare in mare.

Un'altra onda spazzò via in un batter d'occhio tutto l'equipaggio, che venne trascinato nelle acque burrascose, senza dare il minimo segno di terrore, senza il minimo urlo. Semplicemente furono portati via come dei pezzi di legno comuni.

Ed infine il mare decise di prendersi lei.

Una gigantesca massa d'acqua sovrastò la nave, inghiottendola nelle sue fauci gorgheggianti.

Prima di precipitare nel buio soffocante, le sembrò di udire una risata pazza e isterica.

Ashling si svegliò tossendo.

Sputò in terra, cercando di riprendere a respirare. Poi si guardò intorno, trattenendo il fiato, come se avesse paura di ingurgitare altra acqua.

Ed allora capì che era solo un sogno. Alzò gli occhi verso l'alto e vide le pareti gocciolanti della caverna, capendo che la sua sensazione di soffocamento era data da una goccia d'acqua che le era entrata in bocca.

Soltanto quando sentì freddo si accorse di essere nuda, con la sola eccezione delle mutande. La sorella doveva aver preso la sua armatura ed i suoi vestiti, lasciandole solo una coperta poco distante. Ma se l'avesse fatto per pietà o per semplice dimenticanza, non lo sapeva.

Camminando carponi raggiunse la coperta e la indossò. Il contatto con la stoffa fredda la fece rabbrividire ancora. Si fermò seduta, le gambe raccolte, dondolando e tremando, finché il suo corpo si scaldò quel poco che bastava per avere un po' di tepore.

Mossa più da curiosità che da razionalità, si avviò verso l'uscita della caverna. I suoi passi nudi producevano uno sciacquettio che rimbombava tra le pareti, facendo sembrare il luogo ancora più vuoto e desolato. Guardandosi in giro le sembrò quasi impossibile che fino a poco tempo prima c'erano stati i draghi. E sua sorella.

Strinse ancora di più la coperta al suo corpo, cercando di sfruttarne tutto il calore, ma il freddo che andava crescendo nasceva dalla sua anima. Voleva piangere. Scosse la testa, imponendosi un controllo ferreo e rigido. Nel farlo inciampò su una pietra più liscia e cadde a terra.

Rimase sul terreno per quelle che sembrarono ore, guardando il soffitto della caverna. Nella sua mente rivedeva tutta la sua vita, le sue scelte, i suoi errori. Vedeva la lama della sua spada, priva di elsa, posata al suo fianco al suo risveglio, ormai inutilizzabile. Era sicura di stare per morire.

Eppure l'immagine che più ricorreva nella sua mente era quella di Aixela. E si scoprì a pensare con nostalgia a quella compagnia che aveva tradito, a quel calore umano, quella solidarietà tra di loro. Li aveva condotti verso una trappola. E tutto questo solo per la sua voglia di potere e vendetta. Loro erano solo delle marionette.

Ma erano marionette in mano ad una marionetta.

Strinse i pugni per la rabbia. Non importava se fosse morta, ma avrebbe comunque cercato di farla pagare a sua sorella.

Con la sola forza di volontà, si alzò in piedi, ricominciando il suo cammino verso l'uscita. Il suo corpo svuotato dei poteri le appariva debole e si ritrovò a ringraziare il fatto che non avesse più la sua armatura o forse sarebbe rimasta schiacciata dal suo stesso peso.

La luce del sole le colpì gli occhi con il suo dolce dolore. Era fuori.

E ora? Si trovava lontana dalla città più vicina, nuda e priva di armi e protezioni. Ci avrebbe messo dei giorni ad arrivare a Kradir, sempre che non fosse già stata rasa al suolo dai draghi. E comunque c'erano pericoli di altro tipo sulla strada per quella città.

Si sedette sconsolata, ricacciando dentro le lacrime come per non farle vedere ad un ipotetico osservatore. Era sola. Era debole. Indifesa.

E non lo sopportava!

Soltanto il rumore di zoccoli le fece alzare la testa. Sgranò gli occhi nel vedere il suo cavallo emergere da dietro il pendio. Guardò subito i suoi fianchi e vide che aveva ancora le sacche magiche. Gettò via la coperta ignorando il freddo e corse verso di lui, nella sua mente una silenziosa preghiera a qualcuno di trovare le borse piene.

Ed erano piene.

Si vestì con i suoi abiti normali, trovando anche la sua spada di riserva, meno bella, ma utile in caso di pericolo. Nel frattempo pensava alla sua fortuna, al fatto che la sorella forse aveva previsto che lei si teleportasse nel luogo dove dimoravano i draghi, non pensando quindi che poteva avere un cavallo. La sua parte razionale le diceva che però sua sorella era una dea come lo era lei, quindi informata su tutto quello che succedeva nel mondo: doveva quindi sapere che vi era un cavallo con delle borse che le avrebbero permesso di andarsene e sopravvivere.

La felicità però represse ogni pensiero. Ora era vestita, pronta per un viaggio... per la vendetta... anche se non sapeva ancora come.

Frugò nelle tasche da viaggio per vedere se vi fosse altro che non ricordava. Toccò qualcosa di morbido e vellutato. Lo rigirò un po' tra le dita, senza estrarlo dalla sacca. Poi lo tirò fuori e vide che era una piuma bianca che ondeggiava tra le sue dita seguendo il vento.

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-No, fermi tutti questa proprio non l'ho capita!- esclamò Perenor, cercando di tenere sotto controllo Aixela, della quale non si fidava men che mai in quel posto e dopo quello che avevano passato.

Ma il vecchio non sembrò farci molto caso, come al solito.

Sbuffò sonoramente.

-Insomma volete dirmi che non sapete nulla dei draghi che dormono qui?- esclamò.

Fortuna che c'era una sorta di penombra mal illuminata là dentro, sennò avrebbe potuto vedere le loro espressioni di completo stupore. O forse non vi avrebbe fatto comunque troppo caso...

Con un salto agile il vecchio saltò sul ponte e si incamminò verso Ariaston che ancora giaceva a terra inerte.

-Su, dai elfo. Non è certo il momento di dormire adesso!- mormorò seccato, dandogli un leggero schiaffetto mentre si chinava su di lui- Non vorrai mica perderti questo spettacolo!- aggiunse.

Trattennero tutti il fiato: in quell'istante si poteva sentire soltanto l'acqua filtrata dalla caverna gocciolare pesantemente dalle pareti.

Vi fu una sorta di mugugno ed Ariaston sembrò come riscuotersi: aprì gli occhi stavolta, ma era debole. Con insospettata forza il vecchio lo tirò in piedi e quindi lo scaricò ad Aixela, guardando la donna in tralice per un istante.

Aixela sorresse il peso dell'elfo, senza fare obiezioni.

Sturmir, piuttosto malconcio si fece strada tra i residui del ponte e si mise davanti al vecchio:

-Si può sapere, per la mia barba cosa vuoi da noi?-

Il vecchio lo guardò, sorpreso ed interdetto. Poi sorrise e gli scosse vigorosamente la mano.

-Piacere che tu sia tra noi! Mi sarebbe dispiaciuto se un piccoletto come te si fosse perso una scena del genere...ma, uhmmm..non trovate che ci sia poca luce qui dentro?-

E subito, prima che qualcuno di loro si potesse muovere nella caverna vi fu la luce, alta e splendente fino al soffitto inarcato ad altezze vertiginose. E sulle pareti, quando la luminosità si stabilizzò ed i loro occhi si furono abituati, finalmente videro.

Centinaia di nicchie, enormi e scolpite da mano esperta.

Ed in ciascuna di esse la luce brillava in modo diverso.

In toni d'oro, d'argento, di rame e di bronzo, riflesse da squame lucenti di draghi in un sonno che pareva eterno.

Forse.

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La nave era molto malconcia.

Iskra' si trovava bloccata da un pezzo di legno che si era staccato probabilmente da una paratia, e la schiacciava contro una parete della stiva.

Sentiva un forte dolore al fianco sinistro, era buio la sotto.

Sentiva delle voci confuse venire da fuori.

Cerco' di liberarsi dal pesante legno che la teneva intrappolata, armeggio' per diversi minuti, e quando riusci' finalmente a divincolarsi, nonostante il dolore, si rese conto che le sue mani erano macchiate di sangue.

Non vi erano dubbi, era ferita e sanguinava, ne poteva quasi sentire l'odore.

Ad ogni modo, penso', era gia' abbastanza fortunata ad essere viva.

Lentamente si trascino' fino sul ponte della nave, o meglio quel che ne restava.

La prima cosa che colpi' la sua attenzione fu la presenza sul ponte di quella strana donna, che aveva gia' visto arrivare all'improvviso all'accampamento degli orchetti sull'isola, e andarsene altrettanto all'improvviso insieme alla strana ragazza dai capelli neri.

Ad ogni modo i suoi compagni erano vivi, qualcuno forse era un po' malconcio, a qualcuno c'era mancato poco che ci lasciasse le penne, ma sostanzialmente quel che contava era che fossere ancora tutti vivi.

Solo allora si ricordo' del kender e della piccola Alathariel, e i suoi pensieri si fecero immediatamente tristi.

Solo in quel momento noto' Sturmir che si dirigeva verso un uomo canuto.

"Chi era?" la domanda si formo' nella sua mente, qualcuno piu' tardi le avrebbe dato una risposta.

Poi ad un tratto, ci fu una forte luce.

I suoi occhi abituati all'oscurita' le bruciavano, come se qualcuno vi avesse ficcato dentro due carboni ardenti, era quasi come la prima volta che vide la luce del sole.

Poi, quando fu in grado di riaprirli, vide qualcosa che non aveva mai visto prima, ne mai avrebbe immaginato.

Nicchie scavate nella roccia, in cui dormivano draghi lucenti.

Si isso' a fatica sul ponte, e con passo malfermo a causa del dolore al fianco, si diresse verso gli altri.

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Garfudss pensava, mentre veniva sballottato su e giù dall’incessante sbattere di ali del demone. Lui e Alathariel erano stretti nella presa ferrean di Krogusgh, che li cingeva entrambi con una sola mano. Superato lo shock iniziale, l’elfa era ora incupita da un senso di profonda disperazione e di impotenza. Ma riusciva a trattenerli, non rendendosi bene conto come. Ci riusciva, perchè se non l’avesse fatto sarebbe ritornata nell’incubo oscuro in cui il demone l’aveva rinchiusa solo pochi minuti prima. E quello avrebbe superato qualsiasi altra brutta sensazione.

Avevano presto scoperto che il demone riusciva a leggere nei loro pensieri, e a comunicare direttamente nelle loro menti. Quindi, se ogni tanto si scambiavano qualche parola di conforto, non si preoccupavano di farlo a bassa voce. Krogusgh, seppur ascoltasse ogni piu’ piccola parola dei due, non li interrompeva: sentire la paura del’elfa che cresceva ogni attimo era un qualcosa di troppo gudurioso, e non voleva bloccare quel climax di terrore con delle minacce o delle affermazioni che avrebbero sicuramente provocato un gesto di stizza o di orgoglio da parte della piccola, infondendole un minimo di coraggio. Conosceva bene le sue prede.

“Ma i demoni hanno qualche punto debole, zio Garfuss?” chiese speranzosa Alatheriel

“Hemm... si!”

“E quali sono?”

“Ah. Er.. si insomma hanno molti punti deboli. Tantissimi. In realtà sono cosi’ fragili che se incimpano e cascano, prbabilmente ci lasciano le penne. O qualunque cosa siano queste cose puzzolenti.”

“Zio, ti stai inventando tutto vero?” Alathariel non era divertita questa volta: aveva solo paura, e le lacrime scendevano lente dai suoi occhi leggermente obligui.

Garfuss non si sentì proprio di levare anche la piu’ piccola speranza alla sua piccola amica. Quindi decise che una piccolissima bugia non avrebbe fatto del male a nessuno. Con espressione seria disse: “In realtà, piccola, i demoni sono quasi invincibili. Sono tra le creature piu’ possenti di tutto il multiverso.” A quelle parole, sul volto di Krogush si dipinse un orribile ghigno di vanità. “Ma..” Alathariel strinse le mani del Kender speranzosa, ed una luce strana le si accese negli occhi “in realtà hano un punto debole: il pesce. Non è una storia, piccola, ma quello che è successo veramente. Tanto tempo fa, secoli or sono, i demoni erano assidui frequentatori dei ristoranti infernali di pesce. Ogni sera, migliaia di tonnellate di pesce, frutti di mare e crostacei, finivano tra le fauci dei signori demoni di allora. Ma tutto questo minacciava di far scomparire tutto il pesce del mondo. Allora AOOO!, la piu’ grande di tutte le divinità, amando anche lui gli spaghetti allo scoglio, impose una pesante punizione agli ingordi demoni. Chiunque di loro avesse anche solo sfiorato un pesce, da quel momento in poi sarebbe stato bandito per 100 anni a casa sua, senza nemmeno un servizio di catering. Molti demoni non resistettero comunque, e finirono imprigionati con solo riso e olio nella dispensa. Molti altri invece, decisero che malgrado tutto il gioco non valeva il calamaro, e si diedero alla carne. Ecco perchè oggi tutti i demoni sono carnivori.”

Un sorriso sereno allora si aprì sul volto di Alathariel, che disse semplicemente: “Zio, ma allora possiamo scappare! Tu hai un pesce nella sacca sulla spalla! Lo so perchè fino a 3 giorni fa, prima che lo essiccassi, puzzava tanto tanto. Non devi fare altro che tirarlo addosso a lui!!”

A quelle parole di genuina speranza, il kender non seppe che rispondere: si era inventato tutto di sana pianta, e di certo un inutile scorfano essiccato tirato a Krogusgh non lo avrebbe bandito da nessuna parte. Avrebbe solo avuto l’incredibile potere di farlo imbestialire a morte. Ma in quel momento gli venne da pensare: “Allora, vediamo: se io prendo questo pesce secco che ho nella mia tasca destra e lo tiro in faccia a Kroug’, per la legge dell’improbabilità, quella che mi disse mio cugino Zaphod, che non l’ho capita tanto, ma funziona. E’ una cosa matematica, mi diceva sempre, la cosa piu’ improbabile e’ qualla con maggiore potenza. Quindi il pesce provocherà un’esplosione ed un portale incantato: lui ci lascerà andare, e noi ci ritroveremo su di un prato fiorito pieno di fatine che ci tirano biscotti all’arancia. Geniale.” Si complimentò con se stesso ed apri’ la sua sacca sulla spalla, quella dove teneva sempre il pesce e i bulloni di ricambio. Prese il pesce e, dopo aver preso la mira per un secondo, lo tirò veso la faccia del demone. Purtroppo però, proprio in quel momento Krogusgh effettuò un possente battito d’ali, che fece sbagliare il lancio al kender. Il pesce saettò verso l’alto, piu’ avanti di loro.

“Dannazione!” Disse Garfuss ad alta voce “Scusami Alath, ma si è mosso proprio quando lo lanciavo..”

“Non ti preoccupare zio!” fece Alath con uno strano sorriso sicuro “Funzionerà.”

Il kender stava per chiederle che cosa le desse qulla sicurezza, quado entrambi vennero scossi dalla possente voce del demone: “NON SENTO PIU’ I VOSTRI PENSIERI? COSA..?”

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Aixela reggeva Ariaston, abbracciandolo ala vita mentre il braccio di lui era posato sulla sua spalla. Aveva un certo timore nell'averlo così vicino, temendo che potesse estrarre il suo pugnale o la sua daga ed infilargliela nel cuore... e forse se lo meritava anche per quello che aveva fatto, per i massacri che aveva compiuto quando era con Ashling.

Ma sapeva anche che non aevava mai avuto intenzione di fare male ai suoi compagni e che anzi aveva pregato la sua compagna affinché facesse in modo che loro fossero sempre al sicuro. E nonostante lei avesse rifiutato di intervenire mentre il demone li minacciava, non sentiva odio nei suoi confronti, considerando che l'aveva lasciata libera di fare quello che voleva e di andarsene.

Si scoprì a pensare ad Ashling con nostalgia.

«Ma tu guarda!» Esclamò il vecchio, interrompendo bruscamente i suoi pensieri. «Ho acceso la luce... e ce ne fosse uno che apra gli occhi!» Scosse la testa. «Come'era quell'incantesimo? Palla di... di...?»

Perenor sgranò gli occhi, e così fecero tutti gli altri, intuendo il resto della frase. «Non credo che sia il più adatto.»

«No?» Fizban sembrò sinceramente sorpreso. «Eppure funziona sempre... be', quasi sempre.» Si grattò la testa e, sentendo il cappello sotto le sue dita sembrò sollevato.

Iskra' scese dalla nave proprio in quel momento, lo sguardo che oscillava tra il vecchio e la donna dai capelli rossi che sorreggeva l'elfo. Non aveva ancora deciso se lei fosse un'amica o una nemica, ma al momento non aveva voglia di verificarlo, incantata com'era dai draghi che dormivano nelle nicchie.

Tutti guardarono poi verso l'alto, osservando quelle scaglie lucenti che si sollevavano ritmicamente con il respiro pesante del sonno. Fizban sembrava platealmente irritato, sbuffando e borbottando qualcosa riguardo la maleducazione di quei draghi e la loro pigrizia. Infine decise di fare un fischio che risuonò per l'intera caverna, sembrando a tutti esagerato e fuori luogo.

In quel momento quei riflessi si scossero e dei punti gialli tagliati da una riga nera apparirono piano piano in tutte le nicchie.

I draghi si stiracchiarono, qualcuno con forza tale da fare cadere qualche sassolino a terra. Poi uno di loro aprì le ali e guardò sotto di lui. Lo sguardo si caricò di ostilità.

All'improvviso ci fu uno sciamare di battiti d'ali e la caverna di oscurò mentre stormi interi di draghi atterravano circondando il gruppo, che si ritrasse in cerchio, stringedosi come se fosse un'unica cosa, gli occhi che tradivano terrore.

Solo il vecchio rimase impassibile, sorridendo. «Era ora!»

I draghi si girarono verso la voce...

... e si accucciarono come tanti cuccioli, in un inchino riverente verso Fizban.

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  • 2 settimane dopo...

Ashling cavalcava lungo la pianura che separava i monti Kylionberg dalla città di Kradir. Sentiva gli occhi che le si chiudevano per la stanchezza, invogliandola ad appoggiare le sue stanche membra sul collo del cavallo per farsi portare dove decideva lui. Eppure aveva deciso che non doveva addormentarsi, pur se non sapeva perché. E non sapeva neanche dove andare.

Aveva deciso di vendicarsi della sorella, di sconfiggerla in qualche modo. Solo che non sapeva dove trovarla. Il suo piano, quando era ancora una dea (povera illusa... pensare di essere una dea mentre era solo una marionetta) era quello di andare a svegliare gli eserciti dei morti nelle pianure di Kraansand, dove riposavano da anni, relegati lì dal sacrificio di chierici e paladini durante la Guerra dello Spirito. Forse anche Alissa stava pensando di fare la stessa cosa.

Il pensiero la scoraggiò. Era impensabile arrivare in quelle pianure desertiche senza cavalcare i draghi, percorrendo i cieli azzurri invece di quella piana afosa, arroventata dal sole.

Decise che per il momento sarebbe stato meglio costeggiare Kradir e dirigersi verso un anonimo villaggio, il primo che avrebbe trovato sulla sua strada. Voleva riposarsi, ma voleva anche un po' di pace e di tranquillità, due cose che quella città circondata da mura non avrebbe potuto offrirle.

Al tramonto si accorse di essersi lasciata alle spalle Kradir. Si voltò e vide quelle mura lontanissime, quasi un punto all'orizzonte. In quel momento si accorse che doveva essersi addormentata ed imprecò contro se stessa. Ma il sonno continuava a travolgerla come una marea e la sua cavalleria la vinse, poggiandole la testa sul collo del cavallo e chiudendole gli occhi.

E lei si addormentò con la segreta speranza che quell'oblio temporaneo potesse diventare infinito.

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  • 3 settimane dopo...

«Secondo te è morta?»

«No, sembra che respiri. Dorme come un angioletto.»

«La uccidiamo?»

«E perché? Abbiamo tutto qui a disposizione: le sue borse contengono abbastanza roba ed il cavallo non ci serve. I suoi vestiti inoltre sono vecchi e sporchi. Lasciamola dormire e prendiamole tutto.»

«OK... mi sta bene... ma... occhio: si sta risvegliando!»

Ashling cercò di aprire gli occhi, ma un istinto le disse che era meglio fingere di dormire. La sua mente ancora assonnata analizzò le parole che erano penetrate attraverso la sua parte cosciente. Capì di essere circondata da banditi. Se si fosse svegliata l'avrebbero uccisa, mentre in questo modo sembrava che fossero stuzzicati dall'idea di derubarla senza toccarla, come dei ladri perfetti.

Finse un gemito di sonno e si immobilizzò di nuovo, le orecchie tese ad ascoltare quanti fossero e le loro posizioni rispetto alla sua cavalcatura.

«Dorme ancora. Forse sta sognando.»

«Be', vedrai che incubo vivrà quando aprirà gli occhi. Sola in mezzo a questa pianura e senza viveri.»

«Già.» Una risata stridula.

Dei passi si mossero verso il lato sinistro di Ashling. Capì dalle voci e dai rumori che erano soltanto in due. Fece scivolare la sua mano destra, non vista, sotto la pancia, diretta verso l'elsa della spada. Diede poi un calcio leggero alla borsa sempre alla sua destra, facendo tintinnare qualche moneta.

Immediatamente tutti e due gli uomini si portarono da quel lato, per vedere cosa evesse causato quel rumore. Lei percepiva i loro sguardi su suo viso, atti a vedere se stesse effettivamente dormendo.

Si impose di mantenere un'espressione impassibile, poi rischiò un'ultima mossa. Finse un altro gemito nel sonno e portò la mano sull'elsa della spada, sguainandola e fendendo lo spazio alla sua destra.

La luce le colpì gli occhi con violenza, ma riuscì a distinguere due figure che indietreggiavano sorprese, una delle quali sembrò cadere a terra, inciampando. Ashling scese da cavallo con agilità, portandosi dalla parte opposta ed usando il corpo dell'animale come temporanea protezione, in attesa di riprendere la vista.

Si sfregò gli occhi con il dorso della sinistra ed il mondo le appparve più nitido, pur se la luce sembrava entrare come una lama negli occhi. Vide che i due banditi sfoderavano le loro spade malconce girando intorno al cavallo, uno da una parte e l'altro da quella opposta, cercando di prenderla sui lati.

Era evidente che non sapessero con chi avevano a che fare. Li guardò meglio mentre si avvicinavano e notò solo due sguardi disperati. I loro abiti erano logori e sporchi, la loro pelle ormai aveva perso il suo colorito rosa per mostrare solo il grigio della polvere e del fango. I movimenti erano goffi e impauriti, segno evidente che non avevano mai incontrato sorprese di questo genere.

Due prede facili, insomma.

Eppure... Ashling sentiva qualcosa che le diceva di non ucciderli. Forse erano i loro occhi, così impauriti e determinati da rasentare la disperazione. Forse il loro aspetto o il loro atteggiamento titubante e incerto. Non lo sapeva.

«Che ne dite di accompagnarmi fino al prossimo villaggio?»

I due si fermarono, incerti.

«Vi offrirò da bere e da mangiare. In cambio vi chiedo solo di fare da scorta a questa signorina sola.»

Entrarono nel villaggio che era quasi il tramonto. Ashling si guardò intorno per notare se fosse uno dei posti che aveva attraversato con Aixela o se magari vi era qualche traccia di razzia da parte di draghi.

Con suo sollievo notò che non vi era neanche il sentore che erano stati liberati dei draghi. Forse sarebbe riuscita a dormire tranquilla. I suoi due compagni, che aveva scoperto chiamarsi Burk e Furm, cavalcavano poco dietro di lei, scambiandosi occhiate stupite. Lei si girò, guardando le loro barbe incolte. Se non fossero stati così alti avrebbero potuto essere tranquillamente scambiati per nani. Inoltre solo il colore delle loro barbe li distingueva: Burk l'aveva di un nero prossimo alla notte, pur se ingrigito dalla polvere, mentre Furm l'aveva di un rosso talmente acceso da sembrare dipinto. Ma comunque ogni loro colore era attenuato dalla polvere e dalla sporcizia che li ricopriva. Avevano vissuto una vita come mendicanti nelle pianure arse dal sole, rapinando soltanto viandanti da soli e vivendo con qualche colpo di fortuna.

Finalmente, decise Ashling, avrebbero fatto un bel bagno.

Raggiunsero una locanda e lasciarono i cavalli nella stalla. Il ragazzo che venne loro incontro si coprì il naso per la puzza che i due uomini emanavano. Ashling li vide arrossire sotto lo strato di sporcizia. Sorrise... e si accorse in quel momento che non lo faceva da tempo.

«Tieni.» Disse al ragazzo, lanciandogli tre monete scintillanti che lui guardò con meraviglia «Una è per i cavalli: trattaceli bene e facceli trovare come nuovi. Due sono per i miei accompagnatori: trova loro un bagno e fai in modo che escano fuori luccicanti come la più lussuosa della armature imperiali.» Gli scompigliò un po' i capelli in un gesto affettuoso che si sorprese di saper ancora fare «Se saranno puliti, profumati e ben vestiti... ti aspettano altre due Corone d'Oro... e solo per te!» Gli fece un occhiolino malizioso, poi si girò verso i due «Andate con il ragazzo. Vi aspetto nella locanda. Intanto vado a fare un po' di... spesa.» Il suo sorriso ebbe un'incurvatura malvagia che sparì rapidamente, come se non fosse mai esistita.

I due omoni si dissero d'accordo e seguirono il ragazzo, il quale teneva ancora una volta la mano sul naso per non respirare quella puzza.

Ashling uscì in strada. Notò subito l'insegna di un fabbro e si diresse con passo veloce verso il negozio. Prima di entrare guardò dalle finestre, notando un enorme uomo che martellava sull'incudine. Più in là vi erano numerose armi, alcune fatte in una maniera che rasentava la perfezione.

Lei sorrise ed entrò, facendo suonare una campanella. Il fabbro, pur sotto il suo continuo martellare, sentì quel suono tintinnante e immerse la lama nell'acqua fredda, togliendosi i guanti per andare a ricevere la ragazza.

«Desidera?»

Ashling sorrise.

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La taverna era colma di gente che parlava e mangiava. Lontano dal bancone vi era un angolo in cui dei Ryltariani fumavano il loro tipico calumet, riempendo l'aria di un intenso aroma di fumo aromatizzato ai più diversi frutti. Un'immensa tavolata ospitava dei barbari arrivati da tutte le regioni, come se avessero deciso di ritrovarsi in quel posto dopo tanti anni. Li si poteva sentire sbraitare e ridere rocamente, accompagnati dal tintinnio dei brindisi e dal rumore scrociante di qualche bicchiere che si rompeva, seguito quasi sempre da un sospiro dell'oste. Coppie di nobili bevevano da sottili bicchieri al bancone, mentre dietro di loro la gente si accalcava per ordinare qualcosa ad un'indaffaratissima cameriera grassa dal seno prosperoso, unico particolare che sembrava distinguerla da un uomo.

Ashling sedeva all'angolo più in ombra, come al solito. Dopo i viaggi con Aixela, aveva preso l'abitudine della compagna di cercare sempre un posto con le spalle coperte e da cui fosse possibile vedere l'intera sala. Ringraziò l'oste con un cenno del capo e afferrò il bicchiere di birra schiumante, sorseggiandola lentamente per poi asciugarsi la schiuma dal labbro superiore con una mano. Guardava verso la porta d'ingresso per vedere se arrivavano Burk e Furm, ma dei due banditi nessuna traccia. Sorrise al pensiero che forse erano davvero troppo sporchi e che il processo di lavaggio richiedeva forse un tempo molto lungo. Alzò di nuovo il boccale, bevendo una lunga sorsata, poi lo posò di nuovo sul tavolo, sbattendolo leggermente. Notava come vi fossero numerosi uomini che la guardavano, magari considerandola un bel bocconcino. Sentì crescere in lei un moto d'ira, ma scoprì che era dato in parte dall'impotenza: non poteva più leggere nelle loro menti come una volta, quando era una dea... anzi, quando era LA dea.

Scoprì però che la sua rabbia scemava vertiginosamente, sostituita da una sorta di sicurezza al pensiero delle compere che aveva fatto dal fabbro. E forse erano le sue stesse compere a tenere lontani quegli uomini. Dal suo fianco, infatti, pendeva una spada di magnifica fattura, simile a quelle utilizzate dai Cavalieri di Jamalièl. Sugli avambracci aveva due bracciali metallici neri, finemente ricamati. Aveva anche cambiato i suoi vestiti, indossando una camicia nera, accompagnata da pantaloni di pelle altrettanto neri e da un paio di stivali di cuoio. Sulle spalle aveva un mantello verde scuro con un cappuccio calato sul volto, che le copriva parte del viso, facendo vedere solo labbra sottili e rosa che spiccavano sulla carnagione pallida.

Sì, il suo aspetto doveva essere decisamente quello di un'abile spadaccina, velata da un alone di mistero.

Eppure, quando due uomini si misero a sedere al suo tavolo, la sua sicurezza sembrò svanire, lasciando il posto ad una rabbia che serviva solo a mascherare una paura che aveva troppo timore di riconoscere.

Li guardò fissi negli occhi. Quello di fronte a lei aveva lunghi capelli neri raccolti in una treccia, che gli cadeva sul corpetto di cuoio, scendendogli sulla muscolosa spalla destra. Quello di sinistra invece aveva i capelli di un rosso intenso che gli ricadevano su una mantellina verde che copriva un altro corpetto di cuoio.

La sua mano si mosse furtiva verso l'elsa della spada.

«Ehm... signora... siamo noi.» Disse quello moro.

Ashling scoppiò a ridere, stupefatta dal cambiamento. Quei due damerini di fronte a lei erano Burk e Furm, rasati e tirati a lucido.

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  • 3 settimane dopo...

Ashling entrò nella sua stanza dopo aver salutato i suoi due nuovi amici. Chiuse la porta alle sue spalle e vi si appoggiò silenziosa, la testa adagiata sul legno e gli occhi fissi verso un soffito macchiato.

Sorrideva, vedendo le immagini della serata. Era da tempo immemore che non si divertiva tanto. Avevano bevuto e mangiato di tutto, rovesciando la birra per le loro gole riarse, solo per poi versarsela reciprocamente in testa per gioco. Ricorda ancora gli sguardi delle persone che guardavano verso di loro. Una volta quegli occhi spalancati e accusatori (tranne per quei barbari nell'angolo che si unirono poco dopo alla festa) l'avrebbero mandata su tutte le furie, invece in quel momento la fecero ridere ancora di più, complice anche la massiccia dose di alcol ingerita.

Si staccò dalla porta e prese a camminare in direzione del letto, gettando sul pavimento la cintura con il fodero e la sua nuova spada. Poi fu la volta dei bracciali e dello zaino. Ogni tonfo la faceva sussultare, riempendo il silenzio di un rumore improvviso. Eppure rideva di se stessa e di questi fugaci spaventi.

Si slacciò la camicia e la mise insieme ai pantaloni sulla sedia vicina al letto. Stava per mettersi a riposare, quando decise di andare a vedere se quello che aveva messo nell'armadio era ancora lì. Aprì le ante e trovò quello che cercava, sorridendo al pensiero delle facce che avrebbero fatto l'indomani mattina Burk e Furm.

Chiuse il tutto e si sdraiò sul letto, sorprendentemente comodo. Ascoltò ancora un po' i commenti dei suoi compagni nella stanza accanto. Sorrideva nel sentir le loro espressioni di stupore ogni volta che scoprivano un'arma e qualche pezzo di armatura che aveva comprato loro.

Era felice.

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  • 2 settimane dopo...

Per tutta l'estate passata aveva maledetto il caldo che lo faceva bollire dentro la sua armatura. Ora invece il freddo sembrava voler congerlare ogni suo osso. Si sarebbe tolto tutte le protezioni, per indossare solo un semplice corpetto di cuoio e qualche bel giaccone pesante. Invece no, sapeva che era il suo turno di guardia e quindi doveva stare al freddo, dentro un'armatura che sembrava fatta di ghiaccio.

Poggiò la lancia sul muro, guardando se nel cortile in basso ci fosse stato qualche ufficiale che lo stava osservando. Non vedendo nessuno, si tolse i guanti d'arme e si soffiò dentro le mani. Intanto il suo sguardo vagava per il cielo, affamato di un attimo di riposo e un bel panorama solo per il gusto di vederlo e non per cercare in esso potenziali minacce.

I monti Maishu dietro il castello si ergevano maestosi, infilando il loro tortuoso profilo tra le poche nubi che solcavano. Solo i Kylionberg, troppo lontani per essere visti, rivaleggiavano in altezza con essi. Davanti a lui, invece, si stendeva la Pianura delle Verdi Foglie, che teneva fede al nome rilucendo di bagliori smeraldini, tagliati ogni tanto da qualche sentiero e macchiati di casupole.

Una vista che avrebbe mozzato il fiato a chiunque. I Cavalieri di Jamalièl avevano scelto bene la loro sede: protetta e bellissima. Lo stesso castello di marmo bianco sembrava un gioiello splendente, un diamante incastonato in uno smeraldo.

Cassièl si sentì quasi riscaldato da tanta bellezza, così tanto che rimise i guanti d'arme e riprese la lancia in mano, continuando a guardare il paesaggio con occhi a metà tra il vigile e l'estasiato.

Fu proprio in quel momento che vide dei puntini luminosi nel cielo. Si accorse subito che riflettevano la luce del sole prossimo al tramonto, ma non capiva cosa potessero essere. Erano piccolissimi, pur se in gran numero. Il riflesso non gli faceva capire quanto fossero distanti, ma riuscì a stimare che stessero quasi davanti ai suoi occhi. Pensò che la stanchezza gli stava facendo sembrare lontani degli insetti... solo... solo che... non aveva mai visto insetti che rimanevano immobili poco sopra la linea d'orizzonte.

E se non fossero stati oggetti piccoli vicini, ma oggetti grandi lontani? In vita sua aveva sempre temuto di dover essere lui a dare quell'allarme, a dover gridare quella frase che nessun cavaliere di Jamalièl avrebbe più voluto sentire.

«Attivate l'Osservatorio! Direzione Sud!»

Vide gli occhi della gente che si affacciava dalle finestre, dei suoi compagni che stavano facendo la guardia con lui. E vide, con una certa soddisfazione, la paura dipingersi sul volto del suo capitano, quell'uomo tutto d'un pezzo che non aveva mai dato sentore di aver versato una sola lacrima o di aver provato alcuna emozione. Era un grand'uomo, nobilissimo e rispettabilissimo, un comandante eccezionale. Ma era freddo. Eppure in quel momento stava letteralmente tremando.

La cosa però lasciò l'amaro in bocca a Cassièl. Sapeva anche lui che tutti quanti, anche il più spietato dei nemici, avrebbe avuto paura in quel momento. Una paura che tutti speravano non tornasse.

Un cigolio di cardini e delle imprecazioni, unite a gemiti di sforzo, segnalarono l'attivazione dell'Osservatorio. La cupola si girò fino a che il suo occhio di vetro non raggiunse la posizione indicata. Un cannocchiale gigantesco fuoriuscì con un lento cigolio. Poi tutto tacque.

Il silenzio era impenetrabile. Neanche il vento sembrava poterlo intaccare. Solo qualche gemito della struttura dell'Osservatorio riempiva l'aria. Poi un'altro rumore secco: una porta che venne aperta.

Dalla cupola uscì fuori un uomo. La sua faccia era un misto di sollievo e di tristezza. Sospirò, poi urlò semplicemente: «Sono draghi metallici!»

Vi furono grida di gioia, ma nessuno se la sentiva di festeggiare l'evento. Pur se i draghi metallici erano dalla parte del Bene, tutti quanti sapevano che il loro arrivo significava che erano stati svegliati anche i malvagi draghi cromatici...

... e che la guerra stava di nuovo per cominciare.

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Anche l'ultimo drago ripegò le ali e si mise seduto, in attesa. Visti tutti insieme, sembravano i pezzi di una gigantesca scacchiera che aveva come campo di gioco l'intero cortile del castello, progettato appositamente per contenere un arrivo del genere. Un arrivo che nessuno avrebbe mai voluto rivedere.

Un vecchio avanzò barcollando verso il Capitano, dietro di lui vi erano altri uomini e donne. In particolare l'attenzione dell'ufficiale fu catturata da un elfo pallidissimo e da una donna (perlomeno credeva che si trattasse di una donna) con il volto completamente coperto da un cappuccio, rivestita di una lunga tunica nera. Forse era una maga. La vide avanzare con passo incerto, accompagnata e quasi sorretta da una ragazza. Più dietro venivano una bellissima elfa dallo sguardo freddo, un chierico dall'espressione triste ed un nano con le vesti di un mago. Questi ultimi due portavano una barella con sopra un uomo vestito da marinaio, mentre dei cavalieri stavano imbracciando in quel momento un'altra barella con sopra un altro uomo.

Il Capitano fece un cortese inchino a cui tutti risposero. Anche il nano ed il chierico posarono l'uomo svenuto a terra per inchinarsi, lanciando occhiate meravigliate in giro. La fortezza dei Cavalieri di Jamalièl era pur sempre uno splendore che toglieva il fiato. I draghi non facevano altro che abbellire ulteriormente quello spettacolo, pur se tutti sapevano cosa significasse la loro presenza.

«Immagino che avrete delle brutte notizie.» Esordì il Capitano, non sapendo come comportarsi. In tutta la sua vita aveva temuto questo giorno, eppure era sempre stato sicuro che non sarebbe mai arrivato. Quindi non sapeva cosa fare. Inoltre si aspettava che dai draghi scendessero uomini forti in sfavillanti armature, non un gruppetto impaurito e disomogeneo, capitanato da un vecchietto.

«Brutte notizie? Cos'è successo?» Chiese Fizban, guardando gli altri alle sue spalle come per attendere una risposta.

Il Capitano ammutolì. Stava per ribattere, quando la donna incappucciata si fece avanti, il volto sempre coperto. «Una dea ha risvegliato i draghi malvagi per soggiogare il mondo. Siamo venuti qui con questi esseri potenti per tentare di fermarla.» Fece una pausa, come se le pesasse pronunciare le parole che stava per dire. Solo un incoraggiamento da parte della ragazza al suo fianco la indusse a continuare. «Contiamo sul vostro aiuto per ripristinare la vecchia alleanza tra... Cavalieri di... Jamalièl... e i draghi.»

«Giusto... ecco cos'era che dovevamo fare.» Esclamò Fizban, sorridendo soddisfatto. «Ottima descrizione, Aixela.»

Il Capitano vide la ragazza impallidire. Intuì dal movimento del capo che aveva ricevuto un duro colpo. E poi... quel nome. Dove lo aveva già sentito?

«Aixela Ashsword... suppongo.» Disse una voce baritonale proveniente dalle spalle del Capitano, che si fece da parte inchinandosi. «No, non c'è bisogno che rispondi, ragazza. La tua voce è inconfondibile.»

A quel punto Aixela si tolse il cappuccio, rivelando uno sguardo impaurito, ma pieno di dolore e rabbia. Si slacciò anche la tunica, lasciandola cadere a terra e rivelando la sua spada. Tutti i soldati intorno spalancarono gli occhi, compreso il Capitano, ma nessuno fece nulla di più. Lei si aspettava una reazione feroce, visto che aveva ucciso il Capo Supremo dell'Ordine dei Cavalieri di Jamalièl. Invece nulla.

«Hai finito di fuggire, ragazza.» Disse l'uomo. «Sei stata accusata di omicidio del nostro Capo Supremo. Hai fallito le prove per diventare Cavaliere. Ed ora hai il coraggio di venire qui.»

Voleva giustificarsi, ma preferì un silenzio caricvo di sfida.

«Non serve che ti giustifichi, Aixela Ashsword.» L'uomo alzò una mano per interrompere una risposta che sapeva non sarebbe arrivata. «Sappiamo tutto. Io c'ero durante le prove ed ho ancora i documenti originali... quelli veri, quelli che attestano che le avevi superate tutte.»

Aixela sussultò.

«Sì, ragazza. Se il Capo Supremo che tu hai ucciso per legittima difesa non le avesse falsificate, tu avresti visto insieme a noi l'arrivo di questi draghi e dei tuoi compagni.» Tese la mano. «Lascia che mi presenti: sono il Capo Supremo Nyloc Horsemaster, successore di Myrron Fireblade... l'uomo che hai ucciso... con quella spada.»

Aixela tese la mano a sua volta, aspettandosi un trucco. Era pronta a fuggire, magari teleportandosi fuori. Invece trovò una stretta di mano calda e accogliente, accompagnata da un sorriso sincero.

«Ci dispiace per quello che è successo, Aixela Ashsword. Ma dopotutto... anche tu non hai fattio nulla per farti rintracciare.» Le fece un occhiolino.

Lei sorrise e abbassò il capo, inchinandosi.

«Avremo tempo di parlare degli intrighi che aveva fatto quell'uomo. Ora seguitemi all'interno, nelle mie stanze. Suppongo che ci sia molto da raccontare.»

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