Abbiate pietà, io sto male : )
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Il cucchiaino Blu
Era mattina. Come tutte le mattine, mi alzai dal letto come un mollusco. Andai in bagno, orribile e ondeggiante al pari di uno zombie, mi lavaii e poi mi misi addosso il primo paio di pantaloni su cui riuscii a mettere le mani. Con un colpo secco, degno dei migliori karateka, accesi lo stereo, cosi’ mi potevo ascoltare il mio canale preferito. Andai in cucina e cominciai a prepararmi la colazione: prima la moka sul fuoco, poi la tazza e la zuccheriera sul tavolo, infine il latte nella tazza, aspettando il caffè che da lì a poco avrebbe fatto la sua comparsa, come per magia, nella parte superiore della macchinetta. Mentre la radio passava Child in time, giusto per ricordarmi che mi dovevo sbrigare altrimenti avrei fatto tardi a lezione, presi un fazzoletto e i cornetti in gomma che ti spacciano per freschi. Tutto era ormai pronto: mancava soltanto il caffè. Passarono attimi che mi parvero interminabili. L’orologio a muro ticchettava come un conto alla rovescia prima dell’estinzione. Il mio cane si stiracchiò e zampettò in balcone per fare la cacca. Si sa che gli animali si accorgono sempre in aticipo delle sciagure, pensai. Le pareti cominciavano a stringersi, piano piano, sempre di più.. poi alla fine lo sentii. Il caro, vecchio rumore borbottante. Il caffè era pronto! Presi la moka, ne versai il contenuto intero dentro la tazza e poi feci per metterci lo zucchero, ma mi resi subito conto della mia superficialità: non avevo preso un cucchiaino. Me lo dimentico sempre, è proprio un concetto che non vuole entrare nella mia mente, quello del cucchiaino. Se ci si pesa bene, il cucchiaino in realtà è una cosa inutile. Un cucchiaio potrebbe svolgere le stesse medesime cose, se solo si prestasse un pò più d’attenzione alle quantità. Comunque sia, mi sporsi dalla sedia e aprii in un cassetto dietro di me, e cercai per un pò alla cieca, acchiappando il primo cucchiaino che riuscii a identificare al tatto. Lo infilai al limite della velocità consentita dentro la zuccheriera, ma mentre stavo portando il cucchiaino ora pieno di zucchero verso la tazza, mi resi conto di una cosa: aveva il manico blu. Ora, io ho tre tipi di posate a casa: quelle di ferro, tristi, quelle col manico rosso, chic, e quelle con il manico giallo, pacioccose. Non ho nessun set di posate blu. Al massimo ho qualche coltello nero, assassino. Ma niente blu. Quel fatto quindi mi stupii oltre ogni regola: mi parve come se un elemento senza senso fosse improvvisamente piombato nella mia inquieta esistenza.
Stupito, immersi il cucchiaino dentro la tazza di caffellatte, e provai a vedere se funzionava. Ebbene, girava! Girava come qualsiasi altro cucchiaino, anzi no, mi resi conto, girava anche meglio. Era più armonico. Il blu si fondeva magistralmente con il marrone del caffellatte, e con l’azzurrino della tazza. In quel preciso momento, mi resi conto che quel cucchiaino mi piaceva. Il che, era un fatto anche più strano: come ho già detto, di solito non riesco ad apprezzare i cucchiaini. Quello lì invece aveva un qualcosa di particolare, un nonsochè che lo rendeva differente dagli altri. Mi stava simpatico. Lo ricacciai fuori dal caffellatte e me lo rigirai sgocciolante tra le mani. Era tutto sommato un semplice cucchiaino, aveva il manico blu con delle strisce bianche ai lati, dove si univano i due pezzi del manico. La conchetta di metallo era lucente, e della giusta grandezza, nè troppo piccola, nè troppo grande. Me lo guardai, e anche lui mi guardò, con quel suo sguardo un pò sfereggiante. Mi chiesi se a lui sarebbe piaciuto diventare mio amico, e lui parve come intuire e dirmi di si. Tutto contento, lo lavai sotto l’acqua e lo riposi nel portaposate, in posizione di rilievo sul lavandino. Lì in mezzo, circondato da altre posate di altri set, spiccava come se fosse già il capocucina. E fu in quel momento che decisi: avrei fatto scalare al mio cucchiaino la gerarchia culinaria delle posate in casa mia. Uscii di corsa e mi fiondai a lezione, prima di perdere il treno.
Tornato a casa, il pomeriggio stesso cominciai a mettere in pratica il mio piano. Erano le 5, e mia madre stava parlando con una sua amica che veniva spesso a casa nostra. Subdolamente chiesi loro se volessero un caffè. Loro, stoltamente, accettarono ed io mi diressi subito in cucina. Il cucchiaino era ancora dove lo avevo lasciato in mattinata. Lo presi e poi ne presi un altro, uno di quelli di ferro, dal cassetto. Caricai la moka e la misi sul fuoco, mentre preparavo un vassoio con le tazzine e tutto il resto. Su un sottotazzina misi il cucchiaino blu, mentre sull’altro quello di ferro. Scelsi le tazzine meno belle, in modo che l’attenzione fosse calamitata solo dalle posate. Appena il caffè fu pronto, portai tutto nell’altra stanza, dove si stava ancora chiacchierando del tempo e di quanto veniva a costare una spesa. Appoggiai il vassoio tra le due e me ne rimasi lì, in disparte. Il cucchiaino blu era della tazzina di mia madre. Le due si versarono il caffè, poi giunse il momento fatidico: lo zuccherarono.
“Come mai hai preso due cucchiaini differenti?” mi chiese gentilmente mia madre.
Io risposi con un’alzata di spalle. Intervenne l’amica di mia madre: “Ma non ti preoccupare cara, ha fatto già troppo! Mio figlio non ci avrebbe nemmeno salutato, tzè. Non fa niente, per due cucchiaini. Anche se..” trattenni il respiro per un attimo “quel tuo cucchiaino blu è veramente grazioso, rispetto al mio.”
Mamma, divertita, si fece una risata e propose di scambiarsi le tazzine. La signora accettò con un’ altra sghignazzata. Io intanto gioivo gaiamente dentro di me. Un piccolo traguardo era stato raggiunto.
Quella sera, mi misi a letto facendo finta di studiare. Passò qualche tempo, e tutti se ne andarono nelle loro stanze a dormire. Allora mi alzai dal letto, novello James Bond, e mi diressi in cucina quatto quatto. Il cucchiaino blu era nel cassetto. Lo presi senza far rumore e aprii la dispensa, prendendo il barattolo del caffè. Lo aprii e dentro vi trovai quello che mi ero aspettato: il cucchiaino a cuore. Dovete infatti sapere che a casa mia c’è un solo cucchiaino che viene tenuto perennemente infilato nel barattolo del caffè, immerso nella polvere nera. Con quel cucchiaino si fanno tutti i caffè di casa. Era indubbiamente una posizione di prestigio per il mio nuovo amico. Sfilai il cucchiaino a cuore dal barattolo, e lo sostituii con il cucchiaino blu. Per un attimo parve scontento della sua nuova casa, infilato in quel barattolo scuro. Ma poi credo che si sia reso conto di quale fosse il suo nuovo lavoro, di quale importanza avesse rispetto ai ruoli che gli venivano di solito imposti, e che decidessi di entrarvi anima e corpo con maestosità e veterana esperienza. A mia volta soddisfatto della felicità del cucchiaino, richiusi il barattolo nella dispensa. Avevo pensato che forse qualcuno di casa avrebbe avuto qualcosa da obbiettare su quel nuovo impiegato: il cucchiaino a cuore era lì dentro da tempo immemorabile. Ma mi resi subito conto di quanto fosse in realtà poco efficiente quel vetusto cucchiaino. Aveva la conca piccola e a forma di cuore, che raccoglieva poca polvere di caffè a volta, e servivano molte cucchiainate per riempire una caffettiera. Forse all’inizio era stato buttato lì dentro appunto per la sua incapacità, chi puo’ dirlo? Sta di fatto che lavai il cucchiaino a cuore e lo sbattei di nuovo nel cassetto. Mi parve di aver fatto una cosa molto giusta: avevo dato un impiego importante ad uno che se lo meritava veramente, e nel contempo avevo dato una sferzata di vitalità ad una posata volenterosa ma incapace.
Passarono i giorni, e il cucchiaino blu si comportava in maniera egregia. Ogni volta posava il caffè dentro la moka con una delicatezza mai vista prima, ed era più difficile con lui far cadere la polvere. Credo che in quel periodo fosse molto contento, ma anche un pò malinconico rispetto ai giorni dello zucchero e delle girate. Ma così va il mondo.
Andava tutto alla perfezione: troppo alla perfezione. Avrei dovuto immaginare quello che dopo pochi giorni sarebbe successo. Ma non ci volevo pensare.
Un giorno, vennero a pranzo i miei zii. Ci fu un pranzo di quelli grossi e di famiglia, con tanto rumore e piatti che non vedi mai e che farebbero impallidire uno chef, anche se tua madre o tua nonna dice cose del tipo “è una cosa semplice semplice” oppure “questo lo faccio tutti i giorni” o ancora “ci ho messo solo cinque minuti”. In realtà chi cucina per questi giorni ci mette da mezza giornata in su. Comunque alla fine si arrivò al momento del caffè. Mia zia si propose di farlo per tutti, cacciò la moka e cominciò a riempirla. Ma ad un tratto, come le campane dell’apocalisse, esclamò: “Ma questo cucchiaino è di un mio set! Ecco dov’era finito. Chissà come c’e’ arrivato qua! Ti spiace se me lo riprendo?” fece zia a mamma. Non volli guardare la risposta di mamma, che annuì come solo un omicida pò fare. Sarebbero rimasti per il pomeriggio, e poi i miei zii se ne sarebbero tornati a casa, con il mio cucchiaino. Non potevo chiedere che me lo lasciassero. Nessuno è amico di un cucchiaino, a meno che non sia completamente scemo.
Quando la baraonda si spostò in soggiorno, io presi il cucchiaino che era stato lasciato sul lavandino. Lo lavai, dolcemente, accarezzandolo. Aveva ritrovato la sua mamma, il piccolo. Ma questo avrebbe significato non vederlo mai più, o almeno solo quando andavamo a trovare zia, quelle rare volte. Era un addio. In un attimo presi una decisione: aprii la dispensa, e trassi il barattolo del miele. Lo aprii, e vi infilai il cucchiaino. Prima dolcemente, a sfiorare il liquido appiccicosamente dolce, poi con piu’ tenacia, per arrivare al suo interno. Il piccolo era felicissimo, nuotava nella cosa piu’ dolce e più liquida al mondo, il sogno di tutti i cucchiaini. Lo trassi dal miele con il suo aureo contenuto. Me lo misi in bocca, e mi mangiai il miele con gusto. Il piccolo cucchiaino blu non tradiva mai. Come ti faceva mangiare o bere le cose lui, nessun’altro c’e’ mai riuscito. Alla fine lo trassi, e lo lavai nel lavandino. Gli diedi una bella insaponata, e poi lo risciaquai sotto il getto d’acqua calda. Quindi l’asciugai: sembrava come nuovo, e brillava triste. Anche lui si era accorto che quello era un commiato. Lo lasciai sopra il lavandino, e me ne andai in camera mia.
Quando i miei zii se ne andarono portarono con loro anche il cucchiaino, il piccolo amico dal manico color del mare. Non lo rividi mai più.