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Parole in libertà


BomberDede

Messaggio consigliato

apro questo topic nonostante non sia un gran scrittore di raccnti o di poesie.

MI capita però spesso di immaginarmi una scena assolutamente normale e ordinaria e da lì partire con dei viaggi mentali allucinanti sul senso della vità. (lo so non sono normale).

Spesso quando mi capita apro word e inizio a descrivere la scena che ho in mente lasciando viaggiare le dita sulla tastiera senza pensare troppo.

Stamattina mi è successo di nuovo e ho deciso di condividere con voi questi pensieri.

So che non saranno racconti avvincenti, con suspance o simili però spero possano essere interessanti.

N.B: uno dei miei grandi limiti è che raramente modifico ciò che scrivo di getto quindi spesso potrebbe esserci qualche errore, chiedo pietà quindi se non è in un italiano stupendo

Il cappellino da baseball è di nuovo in terra, sporco di fango.

Chissà cosa dirà la mamma quando lo vedrà. Eppure non ha senso arrabbiarsi.

Il cappellino da baseball si tiene per giocare a baseball, e, se giocando, capita che cada a terra vuol dire che doveva succedere così, che uno ha messo tutto se stesso in quei movimenti.

Sono proprio strani i genitori, i grandi, le mamme. Sempre fissati col fatto che deve essere tutto bello, in ordine, pulito. Non capiscono che se le cose sono rotte, sporche, in disordine non vuol dire che non ne hai cura, ma che le usi davvero. Che ci metti tutto te stesso in quello che fai.

Ogni cosa ha un lato bello e uno brutto, come la vita. Quando succede qualcosa di brutto spesso è perché hai sbagliato, ma volte è perché, mettendoci tutto te stesso, sei scivolato nel fango per arrivare in casa base prima della palla. TI sei sporcato tutto per vincere.

A volte succede: i vestiti andranno lavati, tu dovrai farti la doccia e magari medicarti qualche abrasione, ma la casa base è tua. Quei segni vanno via, la vittoria no.

A volte sono strani i grandi, così saggi, così pieni di esperienza da non capire queste cose.

Mah, intanto mi aspetta la sgridata della mamma. Meglio andare.

P.s

allego il link per chi lo volesse del .ppt della mia tesina di maturità sul significato del male.

Visto che alcuni si erano interessati intanto la metto a disposizione ditutti

http://rapidshare.com/files/141494957/Malum_quidem_nullum_esse_sine_aliquo_Bono.ppt.html

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Principali partecipanti

@ Mr. Atomic Bomb: grazie mille. Non avevo intenzione di far eun seguito.io scrivo storie completamente slegato tra loro. così per screivere un poco

@Doria: si si lo so che è corto ma mi è uscito così in ungiorno pieno di impegni.

appena giovedì torno dalle vacanze posto un altro paio di cosucce:cool:

p.s: cacchio, non posso più editare!!!

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  • 2 settimane dopo...

Allora,

chiedo scusa se ci ho messo molto ma il mio pc è dal tecnico in riparazione insieme a tutti i racconti.

Oggi ho scritto di nuovo.

La storia è un ò un clichè, un grande classico che però ho provato a cambiare un pò

Doria mi odierà visto che anche questa è corta. per quelle lunghe dovrete aspettare che torni il pc:lol:

Ormai aveva le ginocchia zuppe.

Come tutto il corpo del resto, pioveva a dirotto e lui era inginocchiato per terra con il vuoto a pochi metri.

Un grattacielo. Come gli era venuto in mente di andare su un grattacielo? A ripensarci gli veniva quasi da ridere. E’ assurdo a volte come delle cose che un momento prima ti sembravano sensate quello dopo siano prive di logica.

Innanzitutto è un posto come qualsiasi altro, anzi, lo spazio è persino più ridotto. Poi c’è molto più vento che non aiuta la vista. Bisogna sempre tenere gli occhi un poco socchiusi e questo, unito alla pioggia, è un grave handicap.

Fosse solo questo, è scomodissimo arrivarci. Farsi sempre centinaia di piani è noioso anche se c’è un ascensore velocissimo.

Ma quello che lo faceva più ridere era che non c’era nessun vantaggio nell’essere lì. Odiava molti posti e riteneva molti posti scomodi per il suo lavoro ma ognuno aveva qualche pregio, qualche peculiarità. Il tetto di un grattacielo no. Aveva solo lati negativi. Si sentiva un vero idiota ad averlo scelto.

Non che volesse in qualche modo giustificare il suo fallimento. Per nulla. Era stata colpa sua e basta. Non cercava scuse, erano solo cose che gli erano venute in mente. Tutto qui.

E’ strano come nel momento più importante della tua vita capita di pensare a sciocchezze, a cose futili, come i pregi e i difetti di un grattacielo.

Uno pensa che gli scorra davanti la sua vita, le sue scelte e la sua famiglia. E invece no. Pensava al grattacielo. Guardava l’intonaco rovinato sul tetto e insultava mentalmente il muratore incapace che l’aveva messo. Osservava la città di sotto e rideva di tutta la gente arrabbiata nel traffico cittadino.

Guardava il proprio vestito strappato sulla spalla e ripensava a quante volte la moglie lo aveva sgridato e ammonito che “la prossima volta te lo aggiusti da solo!”

Gli comparve un sorriso divertito sul viso.

Cosa assurda vista la situazione, però non riusciva a cancellarselo dalla faccia.

Girò leggermente la testa.

“E’ proprio necessario?” chiese

“Si” gli rispose.

Sentì allora il ferro gelido e bagnato che gli si posava sulla nuca. Sentiva il buco dal quale sarebbe uscito il proiettile

Sentiva…..

….no, ora non sentiva più nulla.

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Sentì all’ora il ferro gelido e bagnato che gli si posava sulla nuca.

Nuoooooo!

jean2.jpg

A parte questo, non è niente male, secondo me. Io toglierei il "no", dalla frase finale, oppure lo farei seguire da una virgola.

Altra cosa è la frase: "Si sentiva proprio scemo ad averlo scelto!". Non so dirti bene perché, ma mi sembra che stoni. Forse introduce una nota troppo "leggera" nel racconto, che è molto serio. Forse starebbe meglio qualcosa come "Si sentiva un vero idiota ad averlo scelto.", senza punto esclamativo.

Però prendi le mie critiche con le pinze, bada bene, che non ho tutta questa competenza :lol:;-)

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Nuoooooo!

jean2.jpg

A parte questo, non è niente male, secondo me. Io toglierei il "no", dalla frase finale, oppure lo farei seguire da una virgola.

Altra cosa è la frase: "Si sentiva proprio scemo ad averlo scelto!". Non so dirti bene perché, ma mi sembra che stoni. Forse introduce una nota troppo "leggera" nel racconto, che è molto serio. Forse starebbe meglio qualcosa come "Si sentiva un vero idiota ad averlo scelto.", senza punto esclamativo.

Però prendi le mie critiche con le pinze, bada bene, che non ho tutta questa competenza :lol:;-)

ma và. sono critiche sensatissime che go seguito

in effetti stonava molto quel punto esclamativo e la fine con una pausa rende molto meglio.

Grazie mille;-)

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Doria mi odierà visto che anche questa è corta. per quelle lunghe dovrete aspettare che torni il pc

Ok...è ufficiale: ti odio!

Ovviamente scherzo... ;-)

Lo trovo carino, pur nella sua brevità. Ogni tanto semini qualche errore di punteggiatura. Te ne indico alcuni:

Ormai aveva le ginocchia zuppe.

Come tutto il corpo del resto

Metti una virgola al posto del punto;

Un grattacielo. Come gli era venuto in mente di andare su un grattacielo?

Potrebbe andare bene anche come lo hai messo tu, ma, secondo me, dovresti mettere i due punti dopo il primo "grattacielo".

Cosa assurda vista la situazione però non riusciva a cancellarselo dalla faccia.

Metti la virgola dopo situazione. (personalmente metterei un "ma" al posto di "però...ma de gustibus... )

Carino. Adesso VOGLIO leggere qualcosa di più lungo ;-)

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allora,

ieri sera preso dal nervosismo per varie cose sono stato in casa e mi è partito un trip allucinante e ho scritto un pò

questo è frutto di una lavoro notturno quindi potrebbe non avere alcun senso:lol:

Continuo a battere su questa maledetta tastiera di questo maledetto computer.

20 anni che vado avanti così. Tutti i santi giorni ad ogni ora io sono in ufficio al computer.

E’ estremamente frustrante. Non se ne può più. “Sbocchi professionali” dicevano, “possibilità di mettere del proprio nel lavoro svolto” stava scritto sull’annuncio lavorativo.

Puah, tutte balle. 20 anni a scrivere dei numeri e non uno straccio di aumento, non una cavolo di promozione. Nulla di nulla.

Non ne posso davvero più, vorrei mandare tutto al diavolo ma non ne sono in grado. Non ho nient’altro, mi servono i soldi per vivere e non è facile reinventarsi da capo a 40 anni.

Come odio questa società, in cui scegli un lavoro e ti ci seppelliscono insieme.

Vorrei cambiare, avere nuovi stimoli. Penso sia anche inutile pensarci ormai

Dritto, svolta a destra, dritto, poi a sinistra.

Che palle guidare un camion 8 ore al dì. Tu sul tuo camion, su questa autostrada malefica.

Ogni tanto pisciatina in autogrill e poi si riparte. E ancora dritto poi a destra e poi a sinistra.

Che odio. Dover dormire da solo al ciglio di una strada senza nulla da fare se non pensare che il giorno dopo sei ancora da capo.

E sono 40 anni ormai che vado avanti così. Mica bazzecole, 40 anni. E mai qualcosa di diverso.

Sempre Milano-Roma e poi Roma-Milano. Ogni santo viaggio identico all’altro per migliaia e migliaia di volte.

Davvero micidiale. Vorrei solo fuggire

Finalmente la vita sembrava sorridermi.

Dopo 20 anni di sfiga al lavoro sembra andare tutto molto meglio. Oggi era venuto nel mio ufficio il capo. “Devo parlarti” ha detto.

Eccome se doveva parlarmi! Di solito deve sgridare qualcuno quando lo fa andare nel suo ufficio.

Ma oggi no. Nossignore!!

Oggi era proprio tutto diverso. Sono entrato e mi ha fatto accomodare su una bella poltrona di pelle.

Cavolo come era comoda!!! Averli io certi lussi. Peccato che non potrò mai permettermeli

O almeno era quello che credevo prima di questa mattina. Adesso si che potrò permettermele

Grazie al mio nuovo incarico: Capo Ufficio.

Eh si. Da oggi iniziava la mia nuova vita!

Basta spezzarsi la schiena di fronte ad uno stupido monitor. Adesso sono io a comandare il reparto.

Adesso sono io che firmo le ferie e che dico cosa va e cosa non va fatto.

Da oggi mi guarderanno tutti con occhi diversi e mi tratteranno finalmente con rispetto.

E, cosa ancor più importante, finalmente potrò regalare a quella santa donna di mia moglie tutto quello che ha sempre meritato e che non ho mai potuto darle.

Oggi va proprio tutto alla perfezione!

Che bello mettersi al volante col sorriso sulle labbra.

E oggi ne ho tutta la ragione. Oggi è il mio ultimo giorno di lavoro.

Quando stasera a Milano scenderò dal camion sarò in pensione e non dovrò più viaggiare come una trottola per guadagnarmi da vivere.

Potrò riposarmi e godermi i miei ultimi anni a leggere, scrivere e riposarmi.

Sono stufo di queste teorie secondo cui i camionisti devono essere stupidi ciccioni.

Non mi può piacere leggere? Non mi posso divertire a scrivere qualcosa?

Beh, a me piace fare queste cose e penso proprio che le farò assiduamente.

E, soprattutto, non mi farò tanti viaggio come sogna la maggior parte della gente.

Ho già fatto troppa strada nella mia vita. Ora basta.

Me ne starò buono buono nella mia casetta.

Esco finalmente dal lavoro e me ne vado a casuccia bella dal mio amore a darle la stupenda notizia!

Chissà come sarà orgogliosa!

Non sarò mai stato così felice di vedere quel benedetto cartello di Via Galimberti che significherà che sono arrivato

Finita l’autostrada! Vado verso il deposito. Pochissimi kilometri e avrò concluso di lavorare

Vedo già Via Galimberti, l’ultima strada prima dell’arrivo

“Ed ora passiamo alla cronaca cittadina. Questo pomeriggio nell’orario di punta di uscita dagli uffici un 65enne milanese ha perso il controllo del proprio mezzo a causa del sole negli occhi e ha sbandato fino a perdere il controllo del tir che è andato a schiantarsi proprio all’angolo tra via Galimberti e via Repubblica.

Non c’è stato niente da fare per il conducente. Rimane vittima anche un Ragioniere che stava tornando a casa dalla giornata lavorativa”

a Doria dovrebbe piacere visto che è un attimo più lunghetto:lol:

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Carino...

Lo hai scritto bene.

Forse non è troppo originale, ma di certo mi piace...

Un solo appunto:

Finalmente la vita sembrava sorridermi.

Dopo 20 anni di sfiga al lavoro sembra andare tutto molto meglio. Oggi era venuto nel mio ufficio il capo. “Devo parlarti” ha detto.

Eccome se doveva parlarmi! Di solito deve sgridare qualcuno quando lo fa andare nel suo ufficio.

Ma oggi no. Nossignore!!

Oggi era proprio tutto diverso. Sono entrato e mi ha fatto accomodare su una bella poltrona di pelle.

Cavolo come era comoda!!! Averli io certi lussi. Peccato che non potrò mai permettermeli

O almeno era quello che credevo prima di questa mattina. Adesso si che potrò permettermele

Grazie al mio nuovo incarico: Capo Ufficio.

Eh si. Da oggi iniziava la mia nuova vita!

Basta spezzarsi la schiena di fronte ad uno stupido monitor. Adesso sono io a comandare il reparto.

Adesso sono io che firmo le ferie e che dico cosa va e cosa non va fatto.

Da oggi mi guarderanno tutti con occhi diversi e mi tratteranno finalmente con rispetto.

E, cosa ancor più importante, finalmente potrò regalare a quella santa donna di mia moglie tutto quello che ha sempre meritato e che non ho mai potuto darle.

Oggi va proprio tutto alla perfezione!

Rivedi un po' i tempi di questo paragrafo. Probabilmente per la stanchezza notturna non hai fatto attenzione al tempo di alcuni verbi.

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  • 2 settimane dopo...

Allora, ieri sera ho scritto di nuovo.

Il problema è che ho provato a fare qualcosa di simil-autobiografico.

e come sempre spesso ci si lascia un pò andare non facendo troppo caso alla lingua italiana.

Anche a mente fredda faccio fatica ad aggiustarlo quindi magari vi chiedo un aiutino. ecco qui

____________________________________________________________________

*Un, due, tre, quattro…

Quattrocentonovantanove e cinquecento*

La corda lasciata andare cadde a terra.

Le mani si appoggiarono sulle ginocchia, il corpo piegato in avanti faceva gocciolare il sudore sul pavimento.

Ansimava per la fatica, nell’aria gelida il fiato si addensava in pesanti nuvole

Il freddo invernale pungeva il torso lasciato scoperto; sembrava non sentirlo.

Gli occhi fissavano il vuoto. Uno sguardo esterno l’avrebbe erroneamente chiamata concentrazione.

Ma non lo era, era come un moto di inerzia. Un faticare per andare avanti senza pensare. Per evitare di pensare.

La mano sinistra iniziò a massaggiare il ginocchio proprio in mezzo e tre piccole e geometriche cicatrici

“cazzò.”

Si mise dritto, prese una maglia e la indossò di fretta.

La mano destra afferrò il pallone tenendolo tutto nel palmo sforzando i muscoli dell’avambraccio per il movimento

Uscì dal cancello e in tutta calma si incamminò verso un parchetto lì vicino.

Si avvicinò al canestro. Passandoci di fianco lanciò alla base un mazzo di chiavi

Si diresse verso il centro del campo e si fermò alla linea del tiro libero

*gambe leggermente divaricate, ginocchia piegate.

Angolo di 90° tra spalla e braccio, tra braccio e avambraccio, tra avambraccio e mano.

Mani a T sul pallone*

Fece un respiro profondo

*e distendi*

Solo cotone.

Sorrise e rivolse lo sguardo al cielo. Le mani sui fianchi e le gambe rigide.

La palla intanto dopo aver fatto un paio di rimbalzi a terra rotolava verso di lui.

Si piegò, corse e la afferrò.

In un unico movimento saltò e allungò il braccio facendolo arrivare a pochi centimetri dal ferro.

La palla scivolò dentro.

Si sentiva bene.

Poteva accadergli di tutto ma gli bastava indossare un paio di pantaloncini e andare a giocare che tutto passava.

Tutto sembrava futile, ininfluente in quell’unico istante.

Quell’unico istante in cui quella sfera arancione lasciata, accarezzata dalle tue dita, volava in una parabola sopra il campo e raggiungeva il canestro. Senza sfiorare il ferro entrava e la retina compiva un movimento innaturale verso l’alto.

Quell’unico istante, quell’unico rumore, quell’unica sensazione lo faceva stare in pace.

Lo teneva lontano da tutto.

E a lui andava bene così. Era il suo mondo, era quello che voleva.

Solo poter vivere quel momento all’infinito. Senza mai smettere.

Tirò e tirò.

Tanti tiri dentro, molti più tiri fuori. Movimenti improbabili copiati da chissà quale campione non riuscivano mai, anche se provati migliaia di volte.

Si bloccò.

Guardò intorno. I lampioni erano accesi, la luce del sole un ricordo

*l’ultimo *

I piedi staccarono da terra, le ginocchia si distesero trasmettendo lo slancio, le braccia sospinsero la palla verso l’alto, le dita la accarezzarono in un ultimo saluto.

Lei fece il suo dovere.

La raccolse e si incamminò di nuovo.

Davanti a lui i problemi, dietro di lui un campetto, dentro di lui la pace

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Imperdonabile ritardo nella lettura e nel commento, ma, alla fine, eccomi qui.

Iniziamo con alcune osservazioni generali:

l'idea è buona ed è evidente che quanto hai scritto rispecchia una parte di te, delle tue passioni. Ciò che mi è piaciuto è la pace che comunica la seconda parte, di cui il momento di massima tensione, l'ultimo tiro, è quasi un calmo affidarsi a qualcosa di piacevole e benevolo (correggimi se sbaglio).

Ora incomincio con le osservazioni in negativo ;-)

Dovresti spezzare di meno le frasi: nella prima parte, dove il personaggio (probabilmente tu stesso) non fa ciò che gli piace, va bene il modo con cui hai utilizzato la punteggiatura; nella seconda dovresti creare periodi più lunghi, in modo da "cullare" il lettore nella stessa calma di cui si nutre il canestrista.

La corda lasciata andare cadde a terra.

Non so, personalmente cancellerei "lasciata andare", penso sia più immediata l'"immagine" che descrivi se scritta: " La corda cadde a terra"

Le mani si appoggiarono sulle ginocchia, il corpo piegato in avanti faceva gocciolare il sudore sul pavimento.

Ansimava per la fatica, nell’aria gelida il fiato si addensava in pesanti nuvole

Dopo ginocchia avrei messo il punto e virgola: stai infatti descrivendo due cose diverse ed è necessario il ;

cazzò

Cazzò?

;-)

Solo cotone.

Cosa vuol dire? Parlo da inesperto e quindi non ho idea di cosa tu intenda con queste due parole... :-D

Per il resto: prova a ri-elaborare la seconda parte e poi ne riparliamo!...

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gli a capo sono voluti.

tendo spesso a fare così per dare un ritmo più lento che per me indica pace e serenità.

però se questa cosa non passa proverò a modificare un pò

A me personalmente mette ansia, perche` gia` un punto stacca, se poi vai anche a capo uno si aspetta un cambio di discorso.
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  • 3 settimane dopo...

Ciao, ho letto il primo racconto del topic, quello del cappellino da baseball.

Mi è piaciuto, trovo interessante il tema e le argomentazioni che hai riportato. Mi sembra anche scritto bene, quindi complimenti.

La critica che si può fare è appunto riguardo alla forma. E' una elucubrazione molto esplicita, come un "monologo del pensiero" di un ragazzo (potremmo chiamarlo "flusso di coscienza"?), ma a parte questo non succede nulla. E' interessante quindi, ma non può appassionare nè intrattenere come un racconto dove i personaggi si muovono, agiscono e dialogano. Sarebbe bello leggere lo stesso tema emergere in una vera e propria storia, anche se forse non era questo l'obiettivo che ti eri proposto.

Ciao.

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  • 1 mese dopo...

allora, ho aggiunto 2 pensieri al blog e domani ne arriva un altro.

e questo lo dedico al Sup:

Avevo appena appoggiato lo zaino a terra e lo stavo comprendo dall'acqua con il coprizaino impermeabile quando la pioggia, come a volermi fare un dispetto, iniziò a scendere estremamente più forte.

Ormai non c’era niente da fare. I vestiti si sarebbero irrimediabilmente bagnati e io ero fradicio.

Restava solo da limitare i danni. Per mia fortuna c’era una baracca ai lati del sentiero a pochi metri da me. Feci una corsetta e mi ci buttai sotto.

Puzzava enormemente e ricordava molto una rimessa per gli attrezzi: 3 pareti, un tettuccio di lamiera e basta. A fianco una casa diroccata. Buffo che il porta-attrezzi fosse rimasto in piedi mentre i grossi muri di pietra erano ormai un ricordo.

Mi sedetti in un angolino. Ormai il naso si era abituato all’odore, gli occhi un po’ meno a vedere escrementi di animali ma non era proprio il momento di fare lo schizzinoso.

Appoggiai la schiena allo zaino e mi inocai guardando fuori. La pioggia che sgocciolava dal tetto era ipnotica. E il rumore dell’acqua sulla lamiera era la mia personale colonna sonora. Quello era il mio film e io la star.

Mi addormentai

Al mio risveglio era il tramonto e la pioggia continuava. Per fortuna le nubi non coprivano tutto il cielo e ad ovest, di fronte a me, vidi il sole scendere. E il rosso si fondeva con le gocce di pioggia creando l’arcobaleno più fantastico che avessi mai visto.

Di fronte a me un piccolo scarafaggio andava avanti e indietro.

Si fermò un secondo e si girò verso di me. Salutò

“Ciao”

“Ciao Piccolino, cosa fai di bello?”

“Mah, nulla di che. Le solite cose. Giro. E tu?”

“Stavo facendo un giretto in montagna quando iniziò a piovere e sono venuto a coprirmi qui sotto”

“E perché scusa?”

“Beh avevo voglia di fare un giro in montagna, staccare un attimo la spina, godermi la natura. Le solite cose no?”

“No scemo che non sei altro. Non intendevo questo. Perché sei venuto qui a ripararti dalla pioggia?”

Un po’ arrabbiato e un po’ sbigottito per tanta arroganza risposi botto

“Perché mi sarei bagnato no?? Scemo

Sottolineai volutamente l’ultima parola sorridendo

Non si scompose assolutamente

“E allora?”

Rimasi spiazzato: ecco una domanda a cui non sapevo rispondere. Boccheggiai qualche secondo come un pesce.

“beh… si insomma, avrei preso freddo. Poi avrei dovuto mettere tutto ad asciugare e magari mi sarei pure ammalato”

Ok, non sapevo ufficialmente che dire e accampavo scuse a caso e lui se ne stava accorgendo e incalzava.

“e dove è il problema di stendere i vestiti? Basta appoggiarli sopra lo zaino mentre cammini no? E il freddo ti fa così paura? E siete tutti così catastrofici voi?”

Quel “voi” mi suonava strano. In effetti non ci avevo pensato. Lui era uno scarafaggio e io un umano. Non era così scontato che la pensassimo alla stesso modo. E allo stesso tempo mi sentivo molto imbarazzato. Mi vergognavo un po’ di essere un uomo. E vedevo quello scarafaggio estremamente grande e mi sentivo estremamente piccolo

“Beh dai, ho ancora tanta strada da fare e non mi va di farla scomodo”

Fece spallucce. Cioè, come potrebbe farle uno scarafaggio, si intende

“Mah, per me sei una fighetta”

A quel punto non ne potevo davvero più

“Senti tu, chi ti credi di essere per parlarmi in questo modo? Non sei altro che uno scarafaggio e potrei schiacciarti in qualsiasi momento quindi stai zitto”

Non si scompose neppure per un minuto

“Bah, se per te il fatto di potermi schiacciare voglia dire essere migliori di me allora stiamo freschi”

Se ne andò fuori, sotto la pioggia da cui ero fuggito.

Mi aveva fregato. La star era lui e io una misera comparsa che non poteva essere grande come lui.

Però potevo almeno provarci.

Mi misi lo zaino in spalla e ripartì

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