Djmitri Karamazov Djmitri osserva in silenzio il lento roteare della Birra nel boccale, le dita affusolate che ne seguono il bordo con la pazienza di chi ha imparato a leggere i segreti nei piccoli gesti. Gli occhi, invece, sono vigili. Quando il locandiere si avvicina e porge una pergamena alla sacerdotessa Mia, Djmitri alza un sopracciglio. Non dice nulla, ma il pensiero è chiaro: qualcosa di interessante si muove — finalmente. È stato lui a unirsi al gruppo, attratto da quella che era stata definita un’“opportunità” con il tipo di vaghezza che di solito precede guai o gloria. Nessuno, finora, si è preso la briga di spiegargli quale delle due fosse in arrivo. Lascia che Mia prenda la pergamena, poi si sistema meglio sulla sedia e parla. Il tono è leggero, quasi conversazionale, ma ogni parola è scelta con cura. Il sorriso accennato è quello di chi si diverte anche quando fa domande scomode. «Non vorrei sembrarvi impaziente,» dice «ma ho la vaga impressione di essermi iscritto a una commedia... senza leggere il copione. È una scelta artistica interessante, lo ammetto. Ma un accenno alla trama non guasterebbe.» Poi per un istante, lo sguardo indugia su Mia. C’è qualcosa nella sua compostezza, nella precisione con cui ha preso la pergamena, che accende una scintilla nella mente del mago. Un pensiero fugace, impertinente: Forse potrebbe fare al caso mio… protagonista di una nuova storiella — velluto nero, candele, e una confessione sussurrata troppo tardi. Un sorriso gli sfiora le labbra, appena percettibile, prima di svanire dietro il bordo del Boccale.