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La Voce


Mister Master

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Nella penombra uterina della sua dimora, Mekran il Negromante sfogliava per l’ennesima volta il grosso tomo dalle morbide pagine in pelle umana. L’inchiostro misto a sangue con cui era stato vergato si confondeva parecchio con quella poca luce, ma lui, abituato a tenebre ben più profonde di quelle naturali, non perdeva una sola riga. Quello scritto era in suo possesso da anni ed era divenuto sua croce e delizia dal momento stesso in cui lo aveva acquisito dal cencioso mercante Kahilano per pochi spiccioli di bronzo. Lo aveva ispirato subito, quel libro, così come lo aveva colpito il fatto di non riuscire, almeno inizialmente, a decifrare null’altro se non il titolo sulla costola : “Libro della Mietitura” era lì impresso in lettere d’oro svolazzanti. Col tempo però lo aveva decifrato ne aveva appreso i contenuti. Grazie a quel tomo maledetto era venuto a conoscenza di antichi rituali per evocare i Geni dei Venti, aveva scoperto come allungare innaturalmente la propria vita o come troncare quella altrui… Eppure, ancora, dopo oltre quattro decenni di studio disciplinato, l’oramai ultracentenario Mekran, non era stato capace di apprendere ed applicare a suo vantaggio tutto quello che era scritto là su quelle pagine antiche. Ancora, alla sua collezione di nefandezze, mancava quella più grande: sottrarsi alla morte. Proprio quel rituale complicato ed infame era spiegato con meticolosa dovizia nell’ultimo capitolo. Aveva sempre rimandato il suo appuntamento con l’Immortalità non perché non possedesse i mezzi e le capacità di mettere in pratica il rito, ma solo e soltanto per paura. Paura della frase che chiudeva il libro, che recitava: “Ma si ricordi il valente che oserà sfidare la morte che il successo è assicurato solo ad una condizione: che nel suo cuore non vi sia spazio alcuno per pietà e compassione, nessun amor proprio o volontà di conservazione. Il minimo dubbio conduce all’averno, ad esser pasto di demoni e Geni, in eterno.” Era già stato nell’averno un paio di volte, per contrattare con i Vassalli Oscuri e non gli era piaciuto affatto. Quella terra nera e bruciata, quelle anime torturate in modi così crudeli…no, non gli sarebbe piaciuto essere al loro posto.

Eppure, lentamente, stava cominciando ad acquisire coraggio e ripassarsi ulteriormente le formule e gli scongiuri necessari all’evocazione della Porta Divina gliene forniva in abbondanza.

Poi con uno scatto chiuse il libro, facendo rintronare cupamente le sale vuote e sussultare di paura i suoi servi storpi, rannicchiati in pose grottesche negli angoli. Si era deciso. Basta, si disse, la paura poteva essergli solo d’impiccio. Si diresse rapido verso la stanza dei rituali, facendo strusciare il suo lungo abito sul pavimento. Svelte le figure lo seguirono, gobbe e riverenti, come uno stuolo di ratti.

Il cerchio d’evocazione era pronto, alle quattro estremità della stanza gli altari insanguinati attendevano la loro vittima sacrificale. Dall’alto del suo blasfemo pulpito, il grimorio stretto in braccio, osservava i suoi servi più robusti e maligni che accompagnavano i sacrificandi incatenati verso il loro ultimo sonno. Con un ghigno soddisfatto appoggiò con lentezza il libro sul leggio e, quando i pugnali furono ben piantati nei cuori di quei quattro sventurati si schiarì la gola per dare inizio alla nenia demoniaca. Appena aprì bocca, però, successe qualcosa. Nelle sue orecchie, una voce sconosciuta o quantomeno dimenticata, risuonava, con parole di avvertimento e di supplica, bisbigliando qualcosa come “non lo fare mekran, puoi ancora salvarti” e così via, sullo stesso tono. Interdetto, il negromante alzò gli occhi dal libro e fissò esterrefatto e furioso i propri servi. Qualcuno di loro aveva forse parlato? Ma no, che idea sciocca, pensò, ho tagliato loro la lingua proprio per evitare simili interruzioni. Ma allora chi ha parlato? Sono forse impazzito, che odo le voci? Si lisciava il pizzetto adunco con le dita, lo sguardo più calmo, ma interrogativo, sui gobbi figuri nella sala, lì sotto. Questi da parte loro, come percependo l’agitazione del loro signore iniziarono a ritirarsi nell’ombra e negli angoli, preoccupati di poter essere trasformati in qualcosa di ancora più ripugnante.

Erano passati già vari minuti, ma ancora Mekran rifletteva. Eppure, dannazione doveva sbrigarsi, altrimenti il sangue si sarebbe raffreddato ed avrebbe dovuto cercare altri quattro cani da sacrificare.

Con un sonoro “Bah”, a testimonianza del suo ancor presente dubbio, ricominciò da dove era stato interrotto. Rassicurati, i servi, tornarono nuovamente al centro della sala ad osservare curiosi ed impazienti Mekran. Nonostante fosse concentrato sulla formula del rito, là sul suo pulpito blasfemo, continuava ad essere incerto. Cosa era quella voce? Erano i suoi dubbi e quindi la condanna ad una eternità di sofferenza, se avesse osato continuare? Era uno scherzo di qualcuno dei suoi nemici? Oppure erano i Geni stessi che cercavano di trarlo in inganno? Di nuovo, la voce. “Femati Mekran, basta, non andare oltre. Non riuscirai!”… “Adesso basta!!” tuonò il mago, spargendo con uno scatto attorno a sé la polvere di Ibn, che teneva sempre in un sacchetto alla cintura. Adesso avrebbe scoperto chi, celato allo sguardo si divertiva alle sue spalle. Ma tutto ciò che la polvere magica rivelò nel suo mescolarsi con l’aria furono solo i soliti demonietti alati, attirati dalle energie che il rito andava liberando. Questi, accortisi di non essere più invisibili, fuggirono vorticando nella stanza fino a svanire nelle pareti, lanciando stridii troppo acuti per essere uditi seguiti a ruota dai servi, (le cui grida beote si udivano anche fin troppo bene) che corsero via uscendo dalla stanza. Macchè, per il genio dei segreti! Cosa era quella voce! Mugugnando Mekran si appoggiò spazientito al parapetto e fissò il vuoto davanti a se. Doveva sapere cosa stava succedendo. Così aprì il Libro della Mietitura e cercò qualche indizio che lo potesse aiutare. Rapidamente lo scorse e vi trovò varie conferme ai suoi timori: erano certamente geni dell’inganno che gli stavano facendo perdere tempo. L’unica cosa che non riusciva a capire era il perché la polvere di Ibn non li avesse svelati all’occhio. Forse, pensò, sono lontani da qua e stanno giocando con la mia mente. Bravi bravi, adesso gli avrebbe fatto vedere lui. Con l’unghia affilata si aprì una profonda ferita sul palmo sinistro, dalla quale subito sgorgò il sangue. Con questo tracciò automaticamente sulla propria fronte alcuni simboli di protezione e bisbigliò la formula della Mente di pietra. Alla pronuncia, poi, di una altra semplice formula, il sangue si arrestò e la ferita scomparve. Sghignazzò. I simboli e la formula che proteggevano la sua mente erano i più potenti in assoluto e quei geni infidi potevano anche andarsene a tormentare gli asini selvatici per quanto lo riguardava.

Sospirò. Aveva ancora poco tempo, ma in fondo cosa era il tempo per lui? Lo rallentò con l’aiuto del potere del libro e guadagnò giusto i cinque minuti di cui aveva bisogno. Terminò il rituale senza che la voce lo disturbasse, nonostante potesse percepire oltre la barriera protettiva dell’incantesimo la petulante presenza di parole che vi rimbalzavano, via via più insistenti, mentre lui proseguiva nel suo intento. Ovviamente non se ne curò. E così, alla fine, ce la fece. Davanti a lui, dalla rottura del velo di ciò che è reale, poteva vedere la porta dorata, il premio, il traguardo, l’Immortalità. Avanzò sicuro, mentre il mondo materiale tutto attorno scompariva e quella petulante presenza continuava a rimbalzare all’interno della sua testa. Un momento. Ma la voce non avrebbe dovuto trovarsi fuori da lui?? Allora perché l’incantesimo la stava tenendo dentro?? Mentre la porta infinita si apriva lenta, Mekran, se avesse avuto ancora un corpo, avrebbe tremato e sudato sale. Perchè aveva rimosso l’incanto che isolava la sua essenza ed aveva sentito. Aveva sentito la voce che, un tempo oramai perduto, lui avrebbe chiamato coscienza. E, soprattutto, aveva riconosciuto nello spiraglio che la porta andava formando, il distorto sorriso dei Vassalli Oscuri.

Un racconto Fantasy per cadere sul classico. Che non guasta mai. COmmenti e critiche le benvenute! Spammate responsabilmente.

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Nella penombra uterina della sua dimora, Mekran il Negromante, sfogliava per l’ennesima volta il grosso tomo, rilegato in cuoio nero, dalle morbide pagine in pelle umana.
Ad esempio la virgola dopo il soggetto e` proprio sbagliata, perche` ti obbliga a rileggere tutto cercando di capire dove vada in effetti messa. Anche sulle altre ci sarebbe da discutere, ma quella e` proprio sbagliata. Il problema di quel periodo, secondo me, e` che e` c'e` una frase sola e troppo lunga.
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