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TdS
Eh.. diciamo che Gustav ha anche lui un background bello complicato...
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Lilac Hollow – Stagione 1: I Figli della Prima Notte
@TheBaddus Scarlett Bloomblight- sottoterra Inizi a scendere lungo la scalinata con passo incerto, le dita serrate attorno al coltellino fino quasi a farti male. Ogni gradino è un tuffo più giù, nella terra e nell’oscurità… e a ogni passo il freddo diventa più intenso, pungente, quasi vivo. L’odore di umido e marciume ti avvolge come un manto pesante che ti si appiccica addosso, entrando nelle narici e graffiandoti la gola. Il battito del tuo cuore è un tamburo impazzito: bum bum — bum bum — bum bum. L’unico suono in questo silenzio sepolcrale. Perdi il conto dei gradini — potrebbero essere cinquanta, potrebbero essere cento — e la luce pallida del giorno alle tue spalle è ormai solo un ricordo sfumato, lontano, irraggiungibile. Gli occhi cercano disperatamente di adattarsi al buio, ma l’oscurità qui sotto è troppo spessa, troppo assoluta. Tanto che quasi inciampi quando il terreno cambia all’improvviso: nient’altro gradini. Il corridoio prosegue in piano. Deglutisci, voltandoti un istante. L’ingresso dell’arcata è ormai solo un varco sospeso nel nulla, lassù, sempre più lontano… È allora che la voce nella tua testa sussurra di nuovo: «AVANTI… Noi… Siamo fiere…» Ma non è come prima. Non è decisa, non è infallibile. Trema. O sei semplicemente tu ad esitare? E insieme a quel sussurro senti un’altra ondata… un fremito di euforia, caldo, estraneo, che ti percorre la spina dorsale senza permesso. Avanzi a tentoni nel corridoio, le mani sui muri di pietra fredda. L’oscurità è così totale da strapparti via ogni punto di riferimento, costringendoti infine ad attivare la torcia del telefono. La luce è debole, pallida, illumina appena un paio di metri davanti a te… ma è sufficiente a non cadere. Continui così, lenta, con il cuore bloccato in gola e il fiato corto, come se l’aria stessa lottasse per restare nei tuoi polmoni. Poi — una vibrazione improvvisa nello stomaco — là davanti, più in fondo, compare una luce tremolante. Una fiamma. Spegnere la torcia del telefono è un riflesso immediato, quasi animale. La penombra ti riavvolge, ma i tuoi occhi adesso vedono quel barlume dorato, lontano, instabile. Avanzi in punta di piedi, ogni passo il più furtivo possibile… se la Creatura dal teschio di cervo è nella sua “casa” almeno non ti sentirà arrivare. Giunta sulla soglia, ti blocchi. Davanti a te si apre una stanza circolare di circa dieci metri di diametro, scavata nella pietra viva. Le pareti e il pavimento sono composti da blocchi antichi, lisciati dal tempo e consumati dall’umidità. Su alcune colonne sono appese torce di ferro battuto, le cui fiamme tremolanti proiettano bagliori caldi e instabili, facendo danzare le ombre come presenze vive. A terra, sparse ovunque, ci sono candele nere: alcune integre, altre ridotte a moncherini, con la cera scura rappresa sul pavimento come lacrime congelate. Sulla sinistra, uno scaffale colmo di volumi antichi, coperti da uno spesso strato di polvere. Sulla destra, una strana arcata murata: sembra una porta… una porta che qualcuno ha sigillato. E sopra l’arcata, inciso nella pietra, un simbolo familiare: una mezzaluna, e sotto una croce lunga. Il simbolo che porti inciso sulla pelle del collo. Di fronte a te, dall’altro lato della sala, una porta di legno rinforzata da sbarre di ferro. E lì al centro, come un altare sacrificale, un tavolo di pietra. Sopra, a petto nudo, giace Tanaka. Legato mani e piedi. Immobilizzato. Svenuto. Indifeso. Il tuo respiro si spezza. Il coltellino trema tra le tue dita. E l’euforia — quella strana, inspiegabile euforia — diventa un urlo silenzioso nel petto. Un urlo che cresce e ti fa avvertire un’improvvisa, quanto inappropriata, ondata di lussuria che ti risale lungo l’interno coscia, sino all’inguine. @Ghal Maraz Nathan Clark - in palestra Prima di entrare in palestra e mettere via il telefono, fai appena in tempo a leggere la risposta di Kathlyn. Una notifica rapida, essenziale… eppure carica di un peso che senti subito nello stomaco. “Spero tu stia bene… più tardi ci vediamo in mensa?” Quando raggiungi il coach Moss, vieni passato al setaccio da uno sguardo che pare misurarti più che giudicarti. I suoi occhi scendono prima al livido evidente sulla tua gamba — impossibile da nascondere ora che hai i pantaloncini — poi risalgono al segno sul tuo volto. «Cos’è successo, Clark?» La sua voce è ferma, tagliente. Non un rimprovero, non ancora, ma un chiaro avvertimento: non dirmi palle. Non gli rispondi subito… forse non sai da dove cominciare. E lui non ha intenzione di aspettare. «Forza… alza la maglietta. Voglio vedere.» Questa volta il tono è secco, intransigente. Quando tentenni ancora, il coach allunga una mano, non aggressiva ma incredibilmente sicura di sé. Afferra un lembo della tua maglietta e lo solleva quel tanto che basta a scoprire il grande livido violaceo che ti attraversa il fianco e risale fin quasi alle costole. Il contatto, per quanto leggero, ti fa sussultare. E subito la mente corre al giorno prima: al pestaggio da parte di Cory e dei suoi tirapiedi, al Bosco… alla strana e inquietante visione che hai avuto… e immediatamente provi quel senso di disagio che forse non hai mai davvero scacciato. Il coach Moss ti osserva in silenzio, l’ombra di un pensiero pesante che gli passa dietro gli occhi. «Chi ti ha fatto questo, Nathan?» Questa volta ti concede qualche secondo per rispondere. Non sembra sorpreso… sembra analizzare. Poi scuote lentamente la testa. «Ti sei fatto vedere da qualcuno?» Quando risulta evidente che la risposta è un semplice “no”, il coach inspira piano, lo sguardo che scivola oltre te, verso la classe che corre. Per un istante sembra valutare qualcosa, come se stesse pesando una decisione già presa. Poi la sua voce risuona nella palestra: «Whitesand! Qui, subito! Accompagna Clark in infermeria.» Una pausa. Poi, più forte: «Tutti gli altri, venite qui! Adesso!» @Voignar Darius Whitesand - in palestra Quando, prima di scuola, riveli a Ben quello che è successo e le indicazioni che lo “spirito” ti ha impartito, avverti un leggero bruciore al simbolo che hai impresso sul collo. È solo un attimo, sostituito subito da un fugace brivido di eccitazione e divertimento a cui non sai dare una spiegazione. Ben rimane in silenzio, soppesando le tue parole. Valutando, forse, se sei sincero o meno con lui. Alla fine ti dice che ha bisogno di tempo… per metabolizzare la cosa. Quando iniziate a correre in palestra, finalmente Ben si porta al tuo fianco. Non dice nulla… Senti che è lì e che sta cercando il coraggio, o le parole giuste, per dirti qualcosa. Butti un’occhiata al coach. Sta osservando con attenzione Nathan, non prestando minimamente attenzione a voi altri che correte. Non sentendoti il suo fiato sul collo puoi permetterti di rallentare leggermente, procedendo a una velocità più gradita a Ben. Non appena rimanete un po’ arretrati rispetto agli altri Ben finalmente si decide. “Ok Darius… Ti credo!” Dice con tono deciso “Dopo mi devi assolutamente raccontare meglio! Voglio sapere tutto!” Aggiunge poi, iniziando a parlare in modo più affannato. Fai giusto in tempo a rispondergli qualcosa di veloce, chela voce del coach rimbomba nella palestra. Whitesand! Qui, subito! Accompagna Clark in infermeria.» Una pausa. Poi, più forte: «Tutti gli altri, venite qui! Adesso!» @Theraimbownerd Orion Kykero - in palestra Ti unisci al resto del gruppo nei primi giri di corsa, cercando di non dare troppo nell’occhio. Il coach, per una volta, sembra avere di meglio da fare che massacrarvi: tutta la sua attenzione è su Nathan, e questo, per te, è quasi un regalo divino. Scarlett però non c’è. Un fastidio ti punge sotto lo sterno: se quella ragazza ha deciso di saltare proprio oggi, quando deve consegnarti le informazioni su Jeremy… beh, si è appena guadagnata un debito enorme. Almeno suor Margaret non infesterà l’ambiente col suo moralismo stantio. Il seguente pensiero su tua madre ti fa stringere lo stomaco. Ormai mancano poche ore all’incontro con la Somma Sacerdotessa di Chicago… Stai correndo senza troppo entusiasmo, immerso in questi pensieri, quando qualcuno si avvicina al tuo fianco. È Tyler. Non parla subito: tiene un ritmo costante, rilassato, da atleta vero. Tu fai finta che non sia faticoso seguirlo. «Hey…» mormora alla fine, senza voltarsi, «grazie per prima. Per essere stato diretto primo…» Il tono è sincero. Diretto. Poi fa un cenno col capo in direzione del coach Moss. Lo vedi intento a squadrare Nathan. «Credi che si sia accorto di qualcosa?» Il fatto che il coach, proprio in quel momento, afferri un lembo della maglietta di Nathan e lo sollevi scoprendo un grosso livido viola sul costato risponde alla domanda di Tyler molto meglio di come potresti fare tu. Sta per aggiungere qualcos’altro quando il boato del coach taglia l’aria: Whitesand! Qui, subito! Accompagna Clark in infermeria.» Una pausa. Poi, più forte: «Tutti gli altri, venite qui! Adesso!» @Ghal Maraz @Voignar @Theraimbownerd Nathan - Darius - Orion - in palestra Vi stringete tutti attorno al coach, trattenendo il fiato. Il suo tono è così rigido da non lasciare spazio a repliche o scuse. Moss sfiora con lo sguardo ogni volto, poi si ferma su Darius. «Forza… voi due andate in infermeria.» La sua mano si posa per un istante sulla spalla di Nathan, un gesto che vuole sembrare paterno. Poi si rivolge al resto della classe, la voce che rimbomba nella palestra: «E voi altri! Se qualcuno sa cosa è successo a Clark… parli adesso. SUBITO.» Il silenzio che segue è pesante, quasi fisico. Le scarpe scricchiolano sul parquet quando Nathan e Darius iniziano ad avviarsi verso l’uscita. Accanto a Orion, Tyler lascia uscire un lungo sospiro. Non uno di stanchezza: uno di chi si sta facendo forza, forse deciso a dire qualcosa. Ma non ne ha il tempo. È Sasha ad anticiparlo e a prendere parola. E lo fa con la sua solita sicurezza e sfrontatezza, senza troppi giri di parole… “Beh… Non posso dire di sapere cosa gli sia successo… Ma immagino che lo sappiamo tutti benissimo chi possa essere stato!” Le sue parole cadono come un sasso nell’acqua, facendo vibrare l’aria. E nessuno, per un istante, osa fiatare. Off game Darius e soprattutto Nathan, decidete pure voi se andare in infermeria o restare e interagire con la scena in palestra. Orion… mi dispiace se questa scena forse è poco interessante per te… ci rifaremo nel pomeriggio 😁😁 @SNESferatu Ana Rivero - a casa di Gustav Le tue parole si abbattono su Gustav come colpi secchi, uno dopo l’altro. All’inizio non reagisce. Rimane dov’è, immobile accanto al banco di lavoro, con le mani sporche di polvere grigia che tremano appena. Non ti interrompe, non si difende, non prova nemmeno a mascherare lo smarrimento che gli attraversa gli occhi quando pronunci la parola padre. È come se quella sola sillaba gli avesse tolto l’aria. Il silenzio che segue è denso. Lo vedi ingoiare a vuoto—una, due volte— “Tu… tu non capisci… Tu non sai…” Farfuglia confuso, mentre osserva la tua giacca e la tua camicetta cadere al suolo, il tuo corpo esposto, la crepa che ti lacera la pelle come una ferita impossibile. Ed è lì che qualcosa in lui cambia. Non dice nulla, ma gli occhi lo tradiscono: un lampo di riconoscimento, di orrore… e di bramosia. Una fame antica, trattenuta a stento. La stessa fame che ha avuto quando ti ha scolpita la prima volta. Per un istante avverti quasi la sua mano che vorrebbe avvicinarsi, toccare quella frattura, studiarla, capirla. Ripararla. Non la muove. Ma tu sai che vorrebbe. Si passa una mano sul volto, come se cercasse di svegliarsi da qualcosa. Poi murmura, quasi senza voce: «Dio… Ana… cosa hai… cosa ti hanno fatto?» Non aspetta risposta. Forse non la vuole nemmeno sentire. Cambia nuovamente espressione. Fa un passo indietro, come se avesse improvvisamente paura. Si porta una mano al volto, si strofina gli occhi, le tempie. Come se volesse cancellare un pensiero che continua a tornare, ostinato. Quando finalmente parla, la voce non ha nulla del tono del creatore che ricordi. È ruvida. Stanca. Quasi spezzata. «Non… non avrei dovuto. Tutto questo… tu…» Si interrompe, stringendo la mascella. «…è stato il mio errore più grande…» Lo dice non riuscendo a guardarti negli occhi… Fissa il pavimento, quasi come se stesse parlando più a sé stesso che a te. Quando torna a guardarti, gli occhi sono rossi d’ansia e di qualcosa che ricorda la vergogna. La sua voce però si indurisce, come se improvvisamente avesse paura. «Non dovevi tornare qui con… con queste cose...» Ti indica la crepa, ma è evidente che non parla solo di quella. «Non voglio più avere niente a che fare con… con ciò che ti riguarda.» Un altro passo indietro. Non da te: da ciò che rappresenti. «Vai via, Ana.» Un ordine che suona quasi come una supplica. «Per favore… Vattene. Non tornare più.» Percepisci che sta mentendo a se stesso. Che una parte di lui vorrebbe trascinarti dentro, studiarti, toccare quella crepa, ripararla. Ricominciare tutto da capo. Lo leggi in un bagliore nei suoi occhi, ancora fissi su quella crepa.
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TdS
@Voignar giusto per precisare.. l'altro giorno stavate facendo la campestre ed eravate all'aperto.. per il momento invece ottenere ancora in palestra e vi ha detto do fare giri di campo della palestra per scaldarvi.. per raggiungere il bosco dovresti proprio sgattaiolare fuori dalla palestra sperando di non essere visto.
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TdS
Non era stato detto e non ci avevo nemmeno pensato a dire il vero a questo dettaglio 🤣🤣 maaa.. informandomi ora velocemente, scopro che in realtà nei protestanti non esiste la figura della suora.. c'e solo il pastore! Ergo è per forza cattolica!
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TdS
@Ghal Maraz tutto bene? Ci sei? Io ho mandato avanti oggi senza aspettare la tua risposta perchè Questo weekend sarò abbastanza impegnato e non credo riuscirò a postare.. non volevo tenere fermi gli altri troppo tempo… comunque nel caso continuiamo pure in spoiler la scena prima di scuola se vuoi!
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Lilac Hollow – Stagione 1: I Figli della Prima Notte
@TheBaddus Scarlett Bloomblight - nel bosco a mettersi nei pasticci Sei quasi certa della direzione da cui la creatura è arrivata. Anzi… no. Nei sei sicura. Il ricordo della sua sagoma alta e innaturale, nera come un’incisione nella notte, ti attraversa la schiena come una lama di ghiaccio. Per un istante vacilli — un istante appena — chiedendoti se sei impazzita a tornare qui, da sola, in questo stato. Ma basta un respiro. L’euforia ti rimbalza nel petto, la droga ti gonfia il coraggio, e soprattutto il pensiero di Tanaka — del tuo Tesoro — ti spinge avanti con violenza. Allora parti, decisa, nella direzione che sai ti porterà alla radura. Di tanto in tanto ti chini, osservi il terreno. In un punto le foglie sembrano più schiacciate… fai per seguirle… ma anche più a destra ce n’è un’altra serie. E più avanti altre ancora. Il bosco è un groviglio di sentieri possibili, tutti identici. Nei film basta uno sguardo per capire dove è passato qualcuno… qui ogni foglia sembra uguale all’altra. Alla fine ti rassegni: ti affidi all’istinto. Segui ciò che “senti” appena sotto la pelle, ciò che ti attira senza un motivo logico. A volte ti accorgi di aver preso una direzione sbagliata e torni indietro, irritata, per poi cambiare strada di nuovo. Non sai quanto tempo passi così — minuti? mezz’ora? di più? — ma più cerchi, più l’euforia scema e la ragione torna a ghermirti. E con la ragione arriva il dubbio. Sempre più grande. Sempre più rumoroso. Stai quasi per arrenderti, per voltarti e chiederti se riuscirai persino a ritrovare l’uscita (ora che hai vagato come una scheggia impazzita, ne sei davvero sicura?)…quando la vedi. Tra gli alberi. La radura. E lì, al centro, come un monolite che ti aspettava: l’arcata. Con la scalinata che sprofonda nel buio. Rimani immobile sul limitare degli alberi. La mano stretta attorno al coltellino. Le nocche bianche. Il cuore che batte a un ritmo disordinato e feroce. Poi inspiri. Ti fai forza. E avanzi. L’aria che esce dall’imboccatura della scalinata è gelida — una lama fredda che scosta una ciocca dei tuoi capelli. Odore di umido, di pietra antica… di qualcosa che marcisce nell’oscurità. Tendi l’orecchio. Niente. Solo il vento che sibila tra gli alberi. Nessun animale. Nessun canto. Nessun rumore umano. Deglutisci. Il respiro ti si incastra in gola. Un prurito alla base del collo, quasi un formicolio… A malapena te ne accorgi… Valuti per un lungo, interminabile istante se scendere davvero… o se — per la prima volta — lasciar parlare la prudenza. Off game Non voglio assolutamente dirti di non scendere nella scalinata eh… il mio bloccarmi in questo momento è proprio per lasciare a te la decisione ultima su cosa fare! @SNESferatu Ana Rivero - a casa di Gustav Suoni il campanello. L’attesa dura pochi secondi, ma a te sembrano minuti interi. Il cuore batte forte, le dita tremano. Forse non c’è nessuno… forse è meglio così… forse dovresti andart— Passi lenti, trascinati, arrivano da dietro la porta. Poi un click. La porta si apre solo di uno spiraglio, bloccata dalla catenella di sicurezza. Attraverso l’apertura riconosci un volto scavato, arcigno, coronato da capelli arruffati e ribelli come un nido di fili d’argento. “Chi è? Che vuoi?” La voce è dura, ruvida da anni di solitudine. Poi i suoi occhi — occhi azzurri, chiari come schegge di vetro — ti inquadrano. E qualcosa cambia. La mandibola gli si abbassa appena. Sorpresa. Incredulità… e qualcos’altro, più profondo, che non sai nominare. All’improvviso la porta si richiude in faccia. Secca. Netta. Il cuore ti crolla nello stomaco. Forse non ti vuole. Forse non ti ha mai voluta. Un interminabile momento di silenzio. Poi un altro click: quello della catenella. La porta si apre di nuovo. Davanti a te, Gustav. Proprio come lo ricordavi… eppure no. È più vecchio. Il viso è scavato e segnato da rughe profonde, i baffi sono incolti, la barba a chiazze. Indossa una vestaglia macchiata di vernice e argilla, consumata ai gomiti. Odora di legno, solvente e notti insonni passate a scolpire. Ma soprattutto, ha lo sguardo di chi non riceve visite da una vita. “A… Ana?” mormora, come se il tuo nome gli graffiasse la memoria. “Sei… sei davvero tu?” Deglutisce. “Non dovresti essere qui…” Ritrova un briciolo di contegno, si sporge oltre la soglia con aria sospettosa, lanciando occhiate rapide a destra e a sinistra, come temesse che qualcuno ti avesse seguita. Poi posa una mano pesante sulla tua spalla. La sua mano è calda, callosa. Più paterna di quanto vorrebbe ammettere. “Forza… entra.” Varcata la soglia, la porta si richiude con un tonfo sordo. La luce dentro è fioca: tendaggi pesanti soffocano il sole, la stanza è un caos controllato di oggetti, strumenti, sculture incompiute, tele inclinate, libri ammassati. Il pavimento è pieno di schegge di legno e pezzi di creta secca. Sembra più un antro che una casa. Il suo antro. Gustav inspira profondamente, poi ti rivolge lo sguardo. La voce, burbera, vibra ora di un’ombra di… preoccupazione? “Perché sei qui, Ana?” Il suo tono non è un rimbrotto. Non del tutto. Somiglia più alla domanda di un padre che teme la risposta. @Theraimbownerd Orion Kykero - fuori da scuola Tyler ti ascolta senza interromperti, con quella sua calma solida che raramente vacilla. Non c’è sfida nei suoi occhi, né fastidio: solo rispetto. Rispetto per quello che dici, e per come lo dici. E quando arrivi al punto — Cory e i provvedimenti che andrebbero presi nei suoi confronti — non si irrigidisce, non si mette sulla difensiva. Anzi. In un lampo capisci che questa conclusione l’aveva già sfiorata anche lui… forse da più tempo di quanto voglia ammettere. “Hai perfettamente ragione, Orion.” La sua voce è ferma, senza esitazioni. “La squadra per me è importantissima… ma ci sono cose, ci sono valori, che vengono prima di tutto il resto. Cory ha esagerato.” Fa una breve pausa, inspirando a fondo. Le parole che seguono sembrano misurate, pesate, come se volesse scegliere quelle impossibili da fraintendere. “Non perché mi ha mancato di rispetto, o perché — come hai detto tu — mi ha fatto fare la figura del debole. Di quello non me ne frega niente. Ma quello che ha fatto a Nathan…” Si interrompe un istante, lo sguardo che scivola verso il vostro amico poco distante. “…quello ha superato il limite. E di molto.” Sincerità pura. Quasi brutale. “Il problema…” riprende poi, tornando a te, “è che non ho io l’autorità per cacciarlo. L’ultima parola spetta al coach.” Un’ombra di frustrazione attraversa il suo viso, ma non dura. Tyler non è il tipo da farsi bloccare. “Oggi gliene parlerò. Vorrà delle prove che sia stato Cory… prove che, ovviamente, non ho.” Stringe la mascella, deciso. “Spero solo che si fidi del mio giudizio.” E dal modo in cui lo dice, capisci che farà tutto ciò che è in suo potere per proteggere Nathan e penalizzare Cory. @Voignar Darius Whitesand- fuori da scuola Ben sobbalza quando gli posi la mano sulla spalla. Le tue parole gli arrivano, questo lo capisci: gli tremano le labbra, ma il panico negli occhi cambia sfumatura. Non è più paura verso di te ora… forse.. è più terrore verso qualcos’altro. Qualcosa di cui non aveva neppure immaginato l’esistenza… fino a quando tu non gliel’hai messo davanti, nudo e crudo. Quando ridi per sdrammatizzare, Ben deglutisce così forte che lo senti. Non ride con te. Sembra quasi che quel gesto gli confermi quanto tutto questo sia più grande di lui. “D–Darius… io…” Si passa una mano dietro al collo, abbassando lo sguardo verso le sue scarpe come se volesse infilarsi dentro l’asfalto. “Non pensavo… che fosse… così…” Fa un respiro corto, spezzato. “Tu parli di… di morire… e io… io non capisco cosa stia succedendo davvero. Io… io ho solo sentito dei rumori, ok? Dei passi veloci… delle voci… e quando ho visto qualcosa muoversi nell’ombra ho pensato che fosse… non so… qualcuno che scherzava. Poi ho visto te.. ed Ana… parlavate di demoni… Suor.. suor Margareth è stata aggredita… Io.. Io non dovevo essere lì. Non è… non è roba per me…” Alzi il dado come se stessi tirando davvero, e lui sobbalza un’altra volta, come se quel gesto — familiare, innocuo — gli ricordasse quanto sia lontana e diversa la realtà da cui è appena stato strappato. “Che… che CD è?” ripete. Poi, prende un respiro tremante, quasi volesse dare un punteggio al suo stesso panico. “Alta. Molto alta.” Solleva lo sguardo verso di te, e per la prima volta ti fissa senza scappare. “Tu… tu dici che vuoi proteggermi. Io… io mi fido di te, Darius. Sempre. Ma… per favore…” Si stringe alle spalle, come se avesse freddo. “…non lasciarmi fuori. Dimmi cosa sta succedendo davvero. Ho paura… ma non sapere mi fa ancora più paura.” E in quelle parole c’è tutto Ben: ingenuo, fragile, ma sinceramente disposto a crederti. Anche se è chiaro che la rivelazione lo ha frantumato più di quanto tu volessi. @Voignar @Ghal Maraz @Theraimbownerd Darius, Nathan, Orion - prime ore di scuola Quando la campanella finalmente suona, vi riversate nell’edificio insieme al flusso degli altri studenti, tutti diretti verso l’aula di biologia. Nei corridoi l’atmosfera è elettrica: si parla quasi solo di due cose. Il post con le foto pubblicate da Nathan su Blabber — ormai virale — e suor Margaret, caduta il pomeriggio precedente e portata via in ambulanza con un femore spezzato. Due argomenti molto diversi, ma entrambi abbastanza succosi da far ronzare l’intera scuola. Anche Cory si presenta, ma la sua sola presenza cambia la temperatura del corridoio: è teso, irritabile, con quell’aria da “non provateci” che dice molto più delle sue parole. Chiaramente non ha gradito l’esposizione pubblica… e gli sguardi che lo seguono ovunque — accusatori, indignati, curiosi — non aiutano affatto. In classe, il professor Brooks procede con l’appello. Noah oggi è presente; in compenso mancano Scarlett e Ana. L’insegnante non commenta, non cambia espressione: spunta i nomi e passa oltre. La lezione scorre senza particolari eventi, piatta e ordinaria, come se per un’ora il mondo avesse deciso di sospendere ogni anomalia. Quando suona la campanella, vi dirigete verso gli spogliatoi per cambiarvi in vista dell’ora di educazione fisica. Nel brusio dei ragazzi che ridono, parlano e sbattono gli armadietti, si percepisce un filo di tensione. Una volta pronti, raggiungete il coach Moss in palestra. Durante l’appello il suo sguardo si blocca per un istante sul nome di Ana — un micro-secondo di esitazione, quasi impercettibile — ma riprende a scorrere come se nulla fosse. Poi alza lo sguardo. “Clark! Cosa ti è successo?” esclama, la voce che rimbomba nella palestra. I suoi occhi si fissano sui lividi ben visibili. “Vieni un attimo qui!” ordina. Poi, rivolto al resto del gruppo: “Voi altri, cominciate con dieci giri di corsa per scaldarvi!” La sua voce è un colpo secco, e i ragazzi scattano in movimento mentre Nathan viene chiamato a sé, attirando non pochi sguardi di curiosità. Off game Se volete giocate pure in spoiler le scene interrotte fuori da scuola prima dell’inizio della lezione… poi, se volete approfittare di questo momento per interagire con qualcuno dei compagni fate pure.. se invece vedrò che non c’è molto interesse a giocare questa scena procederò a velocizzare la cosa saltando ad un altro momento..
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Lilac Hollow – Stagione 1: I Figli della Prima Notte
@TheBaddus Scarlett Bloomblight - Nel bosco seguendo la speranza Esci di casa con un’euforia febbrile, un misto instabile tra le “rivelazioni” che hai appena avuto e le droghe che hai assunto. L’abbigliamento che hai scelto punta tutto sull’agilità, non certo sul ripararti dal freddo; i capelli sono ancora bagnati, ciocche scure che ti scendono sulle spalle… eppure quasi non te ne accorgi. Fuori, il mattino è mordente. Più freddo della sera precedente. Eppure non lo senti. C’è un calore che pulsa da dentro, come una brace accesa sotto la pelle, e ti avvolge con sufficienza, come se il mondo esterno non potesse davvero toccarti. I tuoi capelli bagnati fumano leggermente nell’aria gelida, un dettaglio che non registri davvero, troppo presa da quella spinta febbrile che ti muove. Percorri le strade di Liliac Hallow con passo svelto, quasi galoppando. Quando arrivi in prossimità della scuola, eviti l’ingresso principale. È deserto: le lezioni sono iniziate da quasi un’ora. Meglio così. Non vuoi essere vista. Non mentre stai bigiando. Non mentre sei in questo stato. Scivoli dietro l’edificio, imboccando il vicolo sul retro, poi ti infili nel bosco dallo stesso punto in cui tu e Nathan eravate entrati il pomeriggio precedente. Il silenzio che incontri è rasserenante. Le foglie sono rigide, ghiacciate, come se la notte avesse pietrificato ogni cosa. Raggiungi senza difficoltà il punto in cui ti sei risvegliata ieri. Il luogo in cui tu e Tanaka siete stati aggrediti. Su una roccia, una macchia scura: sangue rappreso. Istintivamente porti una mano alla testa, nel punto in cui l’avevi sbattuta. C’è ancora una leggera cicatrice, appena percettibile. Ma di dolore, nemmeno l’ombra. E i capelli… asciutti. Li avevi asciugati? No… sei quasi certa di no. Scuoti la testa. Non è il momento di fissarti su dettagli insignificanti. Hai altro a cui pensare. Di molto più urgente. Ti guardi attorno, lentamente, ruotando su te stessa. Ogni direzione sembra identica; tronchi immobili, silenzio tombale, brina che cattura i raggi pallidi del mattino. Un brivido freddo e sordo ti percorre lungo la schiena. Non hai la minima idea di dove andare per raggiungere la radura con l’arcata. @Theraimbownerd Orion Kykero - fuori da scuola Quando raggiungi Tyler e Juno, lui ha un braccio posato sulle sue spalle con naturale affetto. Ma nel momento in cui ti vede avvicinarti, lo lascia ricadere lungo il fianco quasi d’istinto… un gesto che suona come rispetto verso il “fratello maggiore” che protegge la sorellina. Ti saluta con un sorriso breve, accennato, che però svanisce subito quando gli rivolgi la parola. «Ehi, Orion…» mormora. «Diciamo che potrebbe andare meglio.» Mentre lo dice, noti il suo sguardo deviare, rapido ma evidente, nella direzione dove sai trovarsi Alice con Nathan. Una frazione di secondo appena… ma abbastanza per tradire ciò che gli pesa davvero. Poi torna su di te. «Immagino tu abbia visto Blabber ieri sera...» sospira, dando per scontato che tu sappia già tutto. «E immagino anche che non ti serva molto per capire chi sia stato.» Si passa una mano tra i capelli, un gesto spontaneo, naturale, quasi volesse sciogliere la tensione che si porta addosso. Ma ai tuoi occhi quel gesto lo rende soltanto più… perfetto. «Sinceramente… non pensavo che Cory e quegli idioti dei suoi amici arrivassero a tanto.» Esita un istante, guardandosi le scarpe come se la risposta potesse trovarsi lì. «Io… mi aveva detto che avrebbe lasciato perdere.» Nella sua voce ora avverti tutto: l’insicurezza, il dispiacere, il senso di aver fallito... @Ghal Maraz Nathan Clark - fuori da scuola Mentre parli con Alice, percepisci gli sguardi addosso. Non serve neanche guardarli: li senti scivolare sulla tua pelle come lame sottili — curiosi, giudicanti… alcuni solidali, altri col retrogusto velenoso del “te la sei cercata, spione”. Eppure non ti toccano davvero. Non adesso. Non mentre hai davanti Alice, con gli occhi lucidi e il respiro teso. Lei è una delle pochissime persone che conta davvero per te… e, anche se non provi ciò che lei prova per te, l’affetto che nutri nei suoi confronti è reale, profondo, prezioso. Così prezioso da mettere in secondo piano tutto il resto: Cory e i suoi amici di me**a, il Bosco, la misteriosa e terrificante Creatura che lo minaccia, la paura. Adesso vuoi solo essere sincero con lei. Rimettere insieme qualcosa che non merita di andare in pezzi. Alice ti ascolta in silenzio. Le parole che le rivolgi non sono razionali, né ponderate: non sono un discorso preparato, non hanno la perfezione di qualcosa scritto a mente fredda. Sono parole vere, però. Pulite. E lei le riconosce per quel che sono. La vedi tremare proprio nell’istante in cui ammetti, con tutta la delicatezza possibile, che tu non provi per lei quello che lei prova per te. Le lacrime iniziano a rigarle le guance, rapide, incontrollate… ma nel suo sguardo c’è anche qualcosa che somiglia al sollievo. O all'approvazione. «Sì… avresti dovuto!» sbotta all’improvviso, con un filo di rabbia che si mescola alla tristezza. Ti colpisce il petto con un pugno — un colpo leggerissimo, più uno sfogo che un attacco. «Sei… sei uno stupido!» Cerca di sorridere, e il sorriso le riesce a metà. Il pugno, da finto colpo, diventa una carezza appoggiata senza forza. Si asciuga le lacrime con la manica. «L’importante è che tu stia bene…» mormora, la voce ancora incrinata. «Mi sono preoccupata tantissimo quando ho visto quelle foto. Ho provato a chiamarti ma… il telefono era spento.» È fragile. È sincera. È Alice. E poi, improvvisamente, qualcosa ti stringe lo stomaco. Alle sue spalle, a una decina di metri, distingui un’altra figura ferma a osservare. Kathlyn. È immobile, il volto indecifrabile. Guarda te, poi Alice, poi di nuovo te. Un istante. Appena il tempo di cogliere quel cenno minimo — un gesto così rapido che potrebbe essere un saluto, un avvertimento o un ti ho visto. Poi distoglie lo sguardo e si allontana verso l’ingresso della scuola, lasciandoti con Alice davanti… e un nuovo, inspiegabile nodo allo stomaco. @SNESferatu Ana Rivero - per strada Evitare i tuoi è sorprendentemente semplice. La loro routine è sempre identica a sé stessa — prevedibile, ciclica, quasi meccanica — e tu la conosci a memoria meglio di quanto loro conoscano te. Tuo padre solleva appena lo sguardo dal tavolo quando lo saluti in fretta, con quella tua voce piatta che potrebbe voler dire tutto o niente. Non insiste, non fa domande. Non è raro che tu esca così, senza dare spiegazioni. E questa mattina non hai alcuna intenzione di offrirne. Appena fuori casa, non senti nulla del freddo pungente che avvolge la città. Non lo percepisci sulla pelle, come se l’aria non riuscisse più a raggiungerti davvero; e comunque la tua mente è troppo occupata a vorticare intorno a un unico, ossessivo pensiero per notare il fumo bianco che esce dalle bocche dei passanti. La crepa. Il cerotto inutile. Il tuo corpo che non è un corpo, ma qualcosa di fragile e costruito, che si incrina. Cerchi di ricordare la strada verso la casa di Gustav. Non ci sei mai tornata dalla tua creazione, due anni fa. Eppure non puoi averla dimenticata. Era stata il tuo primo passo nel mondo. Ti muovi svelta, decisa, attraversando Liliac Hallow fino al parte sud del centro cittadino, dove le villette a schiera si allineano tutte precise, ben curate, con prati perfetti e automobili costose parcheggiate sui vialetti. Durante il tragitto non incontri nessuno che meriti attenzione. Solo volti anonimi, indistinti, troppo vivi per avere a che fare con te. Alla fine arrivi. E ti fermi. Davanti ai tuoi occhi si staglia la casa di Gustav. inconfondibile: una villetta americana a due piani dal gusto eccentrico, diversa da tutte le altre della via. Le pareti sono coperte da pannelli di legno dipinti con colori leggermente disomogenei, come se fossero stati ritoccati più volte nel corso degli anni. Il vialetto è costellato di piccole sculture — alcune astratte, altre che sembrano busti incompiuti o figure umane senza volto, una che sembra assomigliarti in modo inquietante. In giardino, un cavalletto arrugginito sorregge una lastra di pietra ancora intatta, pronta per essere scolpita. Le finestre del piano inferiore sono offuscate da tendaggi spessi, mentre quelle del seminterrato — il laboratorio — mostrano lastre di vetro pesantemente rigate da colpi di scalpello, come se fossero state usate come appoggio per attrezzi taglienti. C’è un leggero odore nell’aria: polvere di marmo e vernice essiccata. L’odore di lui. Rimani immobile. Solo qualche secondo… ma sono secondi lunghi, carichi. Gustav. Il tuo creatore. La prima persona che hai visto quando sei “nata”. E l’ultima che ti abbia guardata come qualcosa ancora da completare. Non ti ha mai cercata. Mai una telefonata, mai un messaggio, mai un interesse. Non sai cosa rappresenti per lui. Non sai nemmeno cosa lui rappresenti per te. E forse — forse — proprio per questo il tuo dito esita davanti al campanello. Ti sei rotta. Hai bisogno di lui. O almeno… così credi. Fai un respiro. La tua mano si solleva. L’indice sfiora quasi il metallo. Poi... Buio. Un buio totale, profondo, pesante come se ti cadesse addosso. E in quel buio, due occhi. Due occhi neri come la pece: più scuri del buio stesso, più profondi, più antichi. Li hai già visti. E la voce che li accompagna è la stessa dell’aula di religione: un suono cavernoso, che ti vibra direttamente dentro le ossa, più che nelle orecchie. «Così… pura… così… imperfetta.» La voce ti avvolge, ti stringe. «Non hai bisogno di lui… Vieni da… meee…» Il buio pulsa. Gli occhi si avvicinano. Poi... La visione si spezza come vetro. E tu sei di nuovo lì: davanti alla porta, davanti al campanello. Il tuo dito ancora a pochi centimetri dal tasto. Ancora immobile. Un rumore alle tue spalle ti strappa il fiato dal petto. Ti giri — un movimento quasi istintivo — e vedi Scarlett attraversare la strada. Sta correndo. Ha un’espressione strana, lontana, sfocata, l’aria di chi non è del tutto presente. Ed è… sì. È fatta. Ne sei quasi sicura. Ma è qualcos’altro ad attirare davvero la tua attenzione: i suoi capelli. I capelli che sembrano fumare. Come se fossero stati bagnati e l’acqua stesse evaporando, scaldandosi su qualcosa che non dovrebbe esistere. Non ti nota. Passa oltre e corre verso la scuola. Tu rimani lì. Il dito sospeso. La porta chiusa. Il mondo che pare trattenere il respiro. Premere? Andartene? Affrontare Gustav? Seguire Scarlett? Il dubbio ti stringe la gola. E tu resti immobile, come una statua con una crepa. @Voignar Darius Whitesand - fuori scuola Ti fa quasi male vederlo così. Non perché ti senta in colpa... sai bene che in questo momento devi essere duro, devi essere chiaro... ma perché Ben è… Ben. Un ragazzo buono, ingenuo, che non dovrebbe nemmeno sfiorare il tipo di ombre in cui ti stai invischiando. Quando gli mostri il dado, lui scuote subito la testa, troppo veloce per sembrare sincero. «N-no… non è mio…» balbetta, gli occhiali che gli scivolano un po’ sul naso mentre cerca disperatamente un punto fisso su cui aggrapparsi. Ma lo prendi per un braccio, senza stringere, e lo trascini fuori dalla folla. Lui lancia occhiate attorno, rapide, nervose, come se si aspettasse che qualcuno intervenga. Nessuno lo fa. Dopotutto è abbastanza normale per gli altri vedervi insieme voi due... E questo, in qualche modo, lo fa crollare ancora un po’. Quando arrivate abbastanza lontani dagli altri studenti, glielo chiedi. Diretto. Senza lasciare via di fuga. E nel momento stesso in cui la tua voce si abbassa, la sua schiena sembra incurvarsi sotto un peso invisibile. «Io… io non ho visto o sentito nulla…» farfuglia, stringendo i quaderni contro il petto come fossero uno scudo. Poi, quando ti guarda negli occhi, la paura esplode tutta insieme: «Ti… ti prego, Darius… non farmi del male… io… io non dirò niente… lo giuro… lo giuro…» La sua voce trema... è quasi un sussurro strozzato. E per quanto tu sappia che non gli faresti mai del male, vederlo così terrorizzato ti stringe lo stomaco.
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TdS
Non ti preoccupare per la trama.. fai agire Ana come credi che sia meglio per lei.. Alla fine io non ho una trama ben precisa in mente.. adatto molto anche in base a quello che emerge dalla narrazione e apportate voi..
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TdS
@Theraimbownerd credo tu abbia invertito le tue due sorelle gemelle nell'ultimo post 🤣🤣 è juno che esce con tyler, non Diana. @TheBaddus A dire il vero lo avevo messo in conto che la reazione di scarlett alla visione potesse andare in quella direzione.. quindi va benissimo! No problem! Finalmente qualcuno che diserta le lezioni 🤣🤣 comunque.. la voce estranea che hai sentito nella testa alla fine della visione l'hai ignorata volutamente??
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Lilac Hollow – Stagione 1: I Figli della Prima Notte
@TheBaddus Scarlett Bloomblight - guardando nell’abisso Il fumo caldo ti scivola giù per la gola con quella familiarità quasi intima che ti accompagna da anni. È un sollievo momentaneo, un abbraccio caldo che però fatica a contenere l’onda lunga delle emozioni violente della sera prima. Ti immergi nel tuo rituale. Il rituale. Afferri il bauletto con i ricordi di tuo padre e, uno alla volta, inizi a lucidare i suoi oggetti con quella cura quasi maniacale che ti ha sempre aiutata a rimettere ordine nel caos. Ogni gesto è preciso, ripetuto, meditato. La mente si svuota, il mondo si allontana, il tempo perde il suo significato. Soffi un’ultima volta il fumo, che questa volta non si dissolve nell’aria come al solito. Rimane. Si addensa. Si ispessisce in una nebbia lattiginosa che ti sale intorno alle braccia, poi al volto, poi all’intera stanza, finché tutto scompare. Quando finalmente sollevi lo sguardo, sei altrove. Non sei più nella camera della ragazzina… ti senti… Smarrita. Spaesata. La nebbia si dirada quel tanto che basta per rivelare la foresta. È notte. Il crepuscolo è già morto, le ombre sono dense, innaturali. Un movimento. La creatura. Alta, sproporzionata, con il teschio di cervo come maschera rituale. E qualcosa — qualcuno — sulle spalle, come un peso inerte. Osservi meglio. Tanaka. Un rivolo di sangue gli scende dalla tempia, lento, ostinato. Le sue labbra emettono piccoli sbuffi di aria condensata: respira. Respira. “Lascia stare il mio Tesoro! È mio!” Lo pensi. Eppure lo senti come un tuono nella tua stessa mente, una voce che non riconosci come tua e che pure sei tu. Provi ad avanzare verso di loro: protendi le braccia, o quello che credi siano braccia, ma ciò che si spalanca davanti ai tuoi occhi sono… ali. Enormi, membrane di pelle rossastra tese su dita ossee e artigli affilati. Un ringhio di confusione ti attraversa la gola — o forse era un pensiero; non sai più che forma abbia la tua voce, qui. Qualcosa ti trattiene. Una presa alla caviglia. Istintivamente abbassi lo sguardo. E ti vedi. Tu — la ragazzina — stesa a terra, legata, priva di sensi. Incapace di muoverti, di intervenire. Solleva di nuovo gli occhi giusto in tempo per vedere la creatura scendere oltre l’arco di pietra diroccato, giù per la lunga scalinata che affonda nelle profondità della terra… portando via Tanaka come un’offerta. La nebbia sboccia di nuovo intorno a te, inghiotte scena, bosco, creatura, te stessa. Poi due fessure emergono dall’oscurità. Minuscole. Poi più ampie. Fino a rivelarsi per ciò che sono: due pozzi neri che danno sul nulla… due occhi antichi che ti guardano.. uno sguardo che farebbe impallidire persino quello più truce di Zarneth. “Finalmente…” La voce non arriva alle orecchie. È dentro di te… È ovunque. “Vieni a me, ragazza drago.” Un bruciore improvviso ti infastidisce la base del collo. Il simbolo. Qualcosa vibra sotto la pelle, come se rispondesse a un richiamo. E poi — tutto svanisce. Ti ritrovi nella tua camera. Seduta.I gioielli di tuo padre sparsi sul letto. Il respiro corto. Una mano che sfiora istintivamente il simbolo inciso alla base del collo. È ancora un’eco di quella voce che ti rimbomba nella mente “Trova lo stregone inetto…” La stanza è immobile, reale. La sveglia sul comodino segna le 8:17. Sei in terribile, devastante ritardo. @Ghal Maraz Nathan Clark - fuori da scuola Ti muovi per casa come un’ombra, attento a non far scricchiolare nemmeno un gradino. Non vuoi affrontare un altro interrogatorio, né guardare negli occhi tua madre dopo la serata di ieri. Meglio così: un biglietto lasciato sul tavolo, parole brevi, pulite, che non richiedono spiegazioni. Apri la porta e ti infili nel freddo del mattino. L’aria è tagliente, ti morde attraverso il cappotto e ti fa rabbrividire. I lividi pulsano — un dolore sordo, persistente — ma almeno riesci a camminare senza sembrare un ferito di guerra. Ogni tanto ti tasti il costato, più per istinto che per reale bisogno. Ci sei ancora tutto, più o meno. A metà del percorso hai già tirato fuori il telefono tre volte. Il dito sfiora il tasto di accensione, poi si ferma. Una parte di te brucia di curiosità: Hanno commentato? Hanno capito? Ridono? Si indignano? L’altra parte, quella più onesta, preferisce non guardare. In fondo — te lo ripeti quasi per convincerti — non ti frega davvero del loro giudizio. Rimetti il telefono in tasca. Resisti. Quando il cancello della scuola compare davanti a te, ancora chiuso, senti un leggero nodo stringerti lo stomaco. Ci sono solo pochi studenti, infreddoliti, che aspettano l’apertura. Ti tieni in disparte, cercando di non attirare sguardi. Poi una voce. Femminile. Bassa, incrinata. «Oh, Nathan…» dice semplicemente il tuo nome… Ti giri. Alice. Il suo volto è una miscela di preoccupazione, rabbia e malinconia. Fa un passo verso di te… si ferma, esitante, combattuta tra la delusione cocente che le hai procurato ieri e qualcosa di più profondo. Poi l’affetto che nutre nei tuoi confronti prevale. Riprende ad avanzare. Quando ti raggiunge, solleva una mano tremante e te la posa sulla guancia, proprio sopra uno dei lividi più scuri. Il contatto è caldo, gentile, quasi materno nella sua tenerezza. Ti attraversa come uno strappo silenzioso. «Che… che cosa ti hanno fatto?» La sua voce è un sussurro, incrinato dal dolore. Una domanda e insieme un’affermazione, come se la risposta fosse troppo facile da intuire e troppo difficile da accettare. @SNESferatu Ana Rivero - Appena sveglia Ti svegli di colpo, come se qualcuno ti avesse tirata fuori a forza da un sogno pesante. Per un secondo non ti muovi, non respiri quasi. Poi la mano, da sola, va al braccio. Va al cerottone. Lo sfiori con le dita tremanti. Premi piano. Il cuore ti schizza in gola. E allora lo strappi via. Il cerotto si stacca con un fruscio morbido, innocente, mentre tutto dentro di te si contrae. E la vedi. Ancora lì. La crepa. Perfetta, netta, come una spaccatura in una statuetta di porcellana. Pulita. Senza sangue. Un taglio che a guardarlo sembra impossibile su una persona normale. Ti manca l’aria. Ci avevi sperato — con una stupidità quasi infantile — che la notte potesse aggiustarti, ricucire la ferita, riportarti intera. Invece… no. Sei rotta. E non hai idea di come si ripari una “cosa” come te. I pensieri cominciano a correre, a strattonarti da una parte e dall’altra mentre ti muovi automaticamente nella routine del mattino: apri l’armadio, ti vesti, ti lavi il viso, cerchi di sembrare normale. Lo dico a papà? Vado a scuola fingendo tutto? Trovo Darius e lo costringo a rimettermi a posto? Dopotutto è lui che ti ha “spaccata”, no? Forse potrebbe “aggiustarti”. Forse. Ti guardi allo specchio un istante più lungo del solito: sembri te stessa, e allo stesso tempo no. Poi, mentre apri la porta di casa e ti lasci investire dall’aria fredda del mattino, un pensiero, semplice, ovvio, tardivo come una verità che non vuoi accettare ti avvolge. Gustav. Il tuo creatore. L’uomo che ti ha costruita, modellata, che conosce ogni fibra di ciò che sei. L’unico, probabilmente, che può capire cosa significhi essere… danneggiata. L’unico che potrebbe sapere come ripararti. Il cuore ti dà un sussulto. E mentre fai il primo passo nella strada gelida, la consapevolezza ti attraversa come un brivido: Potresti aver bisogno di lui... @Voignar Darius Whitesand - sera e mattina Ti chiudi in camera con l’urgenza che ti pulsa addosso. Hai bisogno di risposte… ora, non domani, non “quando avrai tempo”. Il rituale è semplice, l’hai fatto mille volte, eppure la mano ti trema leggermente mentre tracci l’ultima linea runica. L’inclinazione dev’essere precisa… lo sai. Lo sai, ma la smania ti divora e decidi di andare a memoria invece di sfogliare i libri. Due simboli, la matita al centro, le parole magiche attivanti che escono dalle tue labbra come un soffio. Poi la domanda. Le rune si illuminano di un oro fioco, come brace sotto la cenere. La matita vibra. Si muove. Oscilla verso destra. Si avvicina alla runa del no. Resta lì, indecisa… sospesa… Poi impazzisce. Gira vorticosa su se stessa, come se una mano invisibile l’avesse sballottata via dal suo compito. Ti lasci cadere indietro, frustrato. Hai sbagliato l’inclinazione, lo sai. Hai sbagliato qualcosa. E ora non sai se fidarti di quel primo movimento verso il “no” o se considerarlo contaminato dall’errore. Vai a dormire con quel punto interrogativo ficcato in testa… e sorprendentemente, dormi. Dormi davvero. Una notte senza sogni, senza sussurri, senza la voce dell’essere che ti ha marchiato. Quando, cautamente, provi a “sentirlo”, non risponde. Un silenzio totale. Inquietante. O rassicurante. Non sai deciderlo. La mattina, ti svegli prima della sveglia. Una colazione rapida, mentre senti tuo zio trafficare in salotto… scatole che si spostano, uno scaffale che cigola, la radio accesa a volume basso. Non ti vede e tu non hai alcuna voglia di farti vedere. Hai altri pensieri, altre urgenze. Fuori l’aria è tagliente. Il fiato si condensa in sbuffi bianchi mentre cammini verso scuola. Le temperature sono crollate durante la notte, e ti infili le mani nelle tasche per non sentirtele gelare. Davanti ai cancelli c’è già un gruppetto di studenti, tutti infreddoliti, che cercano di farsi scudo dal vento chiacchierando. Dai un’occhiata veloce: niente Ana. Alta com’è, la noteresti subito. Poi, ai margini del gruppo, vedi Ben. La sua solita postura goffa, le spalle curve, lo sguardo basso. Ti muovi verso di lui con passo deciso. Ti nota. Le sopracciglia gli si impennano in un’espressione di sorpresa e timore. Fa per svicolare, girandosi di scatto… e finisce per piantarsi contro un ragazzotto del quinto anno. Libri e quaderni volano a terra in un’esplosione di fogli sparsi. Ottimo! Così hai il tempo di raggiungerlo. Arrivi giusto mentre lui si affretta a raccogliere tutto, borbottando scuse. Quando alza lo sguardo verso di te trasale, poi abbozza un sorriso tremolante. «Ehi… Darius… ehm… ciao» balbetta, piegato a metà, le mani che si muovono freneticamente per recuperare i fogli. Puoi sentire la sua tensione... un chiaro indizio che probabilmente ci hai preso… Sa qualcosa… Probabilmente è lui che ha ascoltato la tua conversazione con Ana ieri pomeriggio. @Theraimbownerd Orion Kykero - prima mattinata La sveglia continua a trillarti nelle ossa mentre ti prepari, e lo fai con una cura quasi rituale. Camicia bianca, capelli ordinati, niente barba: il tuo travestimento da bravo ragazzo. Né troppo elegante, né troppo casual. Il giusto equilibrio per affrontare una giornata che, in un modo o nell’altro, segnerà un punto di svolta. Scendi a fare colazione e intravedi tua madre solo di sfuggita: non si siede nemmeno, non si ferma un secondo. Sembra… sollevata. Leggera. Sembra quasi che stia lievitando a qualche centimetro dal suolo, tanta è la sua gioia per l’arrivo della sacerdotessa di Chicago. Vi saluta tutte e tre con un bacio rapido, un profumo di incenso e lavanda che le rimane dietro come una scia. «Mi raccomando, presentabili oggi. È un giorno importante.» Lo ripete con la stessa insistenza con cui respira, poi scompare nella stanza rituale, la porta che si chiude con un tonfo morbido. Tu, Juno e Diana vi ritrovate in macchina. Appena tiri fuori l’argomento Nathan, Juno annuisce con un mezzo sbuffo. «Sì, ho visto… Nathan è una nullità…» commenta senza pietà «…però Cory e i suoi amici restano un branco di stolti codardi.» Diana concorda, aggiungendo qualcosa sulla stupidità maschile in generale. Il discorso prosegue qualche istante, ma poi, inevitabilmente, le tue sorelle lo spostano su quello che pensano sia la vostra vera priorità del giorno: l’incontro del pomeriggio. Quando scendi dalla macchina, il freddo ti morde le guance. Un freddo secco, improvviso, molto più pungente di quello del giorno prima. Il fiato esce in piccole nuvole lattiginose mentre ti incammini verso i cancelli ancora chiusi. Cammini accanto alle tue sorelle verso il cancello della scuola ancora chiuso. Ci sono già un po’ di studenti. Poi, in disparte, noti Alice. È insieme a Nathan. Lei è vicinissima a lui, la mano che sfiora con delicatezza un livido sul suo viso. Il gesto è intimo, protettivo, quasi innamorato. Per un istante sei tentato di andare da lei, di capire come stia… come stiano. Ma Juno rompe l’incanto. «Oh… ecco Tyler! Io vado!» La sua voce si illumina di gioia all’improvviso, come se tutto il freddo si fosse sciolto in un colpo. Ti volti. Tyler sta arrivando da solo, mani in tasca, sguardo basso, spalle rigide. Ha l’aria pensierosa. Juno parte a passo svelto nella sua direzione. Diana alza le spalle e sbuffa “Ahhh.. l’abbiamo persa!” Commenta, fingendo una finta voce civettuola.
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TdS
Secondo me non c'è una regola precisa che spiega meccanicamente come funziona la mossa.. va molto a interpretazione... Pe4 quanto riguardo il caso specifico... Nathan non ha un radar interiore per rilevare le bugie degli altri o una spia luminosa che gli segnale che qualcuno non ha mantenuto una promessa... deve accorgersene attivamente. Scarlett potrebbe benissimo dirti che si è fatta vedere da qualcuno e sta a te decidere se Nathan, per sua natura ci crede o no.. certo.. per come ha visto ieri scarlett può sembrargli strano che si sia ripresa completamente... Scatlett potrebbe benissimo dirgli la verità e che si sarebbe voluta far vedere in mattinata.. che so.. dall'infermiera morris.. ma che, sentendosi molto meglio crede che non ce ne sia piu bisogno.. e lì sta sempre a Nathan decidere se la cosa la trova ragionevole e quindi non dare piu importanza a quella promessa oppure se avverte come moralmente sbagliato non farsi controllare lo stesso perché aveva promesso... Quindi ti direi che va molto importante base a come vuoi interpretare e ruolare Nathan.
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TdS
Lascio a @Voignar la scelta
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TdS
Ecco.. post chilometrico fatto.. Vi direi.. riallacciandomi al discorso fatto prima sul giocarci solo scene rilevanti e non tutta la giornata.. nel vostro post di risposta col risveglia mattutino magari fate in modo di sottolineare le cose importanti che vorrete/dovrete fare nella giornata.. così poi vediamo di giocare solo quelle cose + altre proposte da me che potrebbero sconvolgervi i piani ovviamente.
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Lilac Hollow – Stagione 1: I Figli della Prima Notte
@Theraimbownerd Orion Kykero - cambio giorno Ti congedi con calma, ancora con addosso quel sorriso di circostanza che nasconde un turbine che solo tu puoi percepire. Scambi un ultimo sguardo con le tue sorelle — Diana, che cerca di infonderti un po’ di forza con un cenno quasi impercettibile, e Juno, che ti guarda come se volesse dirti qualcosa ma non osa — poi saluti anche tua madre e ti ritiri nella tua stanza. Appena chiudi la porta alle tue spalle, il peso della giornata ti cade addosso tutto insieme. Le spalle si abbassano, i muscoli si detendono, e finalmente puoi lasciarti andare. Ti siedi alla scrivania per completare distrattamente due compiti, più per automatismo che per convinzione, finché la stanchezza non ti costringe a fermarti. Ti spogli lentamente, liberandoti di ogni strato, fino a sentire soltanto la pelle nuda contro l’aria tiepida della stanza. È in quell’attimo che riesci a respirare davvero: libero, autentico, finalmente te stesso… Anche se in un corpo che non senti tuo. Ti infili nel letto e ti lasci sprofondare tra le lenzuola, cercando un po’ di pace, ma la mente non vuole tacere. Rivivi la giornata come un sogno febbricitante. La vendetta verso Jeremy è completamente passata in secondo piano… La Dea, con la sua voce maestosa e terribile, ti ha lasciato un segno dentro: non ti negherà di essere ciò che sei, ma la libertà avrà un prezzo. Essere te stesso significherà rinunciare a tutto ciò che hai sempre creduto di dover diventare. Un sacrificio inevitabile. Domani, con la venuta della Somma Sacerdotessa, tutto verrà alla luce. E poi… quella presenza. Oscura, femminile, magnetica. Il suo sussurro ti ha attraversato come una promessa e una minaccia allo stesso tempo. Non la ricordi chiaramente, eppure qualcosa in te anela a sentirla di nuovo. Il sonno arriva a ondate, confondendo pensieri razionali a sogni irrazionali finché non riesci più a distinguere dove finiscono gli uni e iniziano gli altri. Nel buio della stanza, la tua mente si riempie di un’immagine nitida e spaventosa: due occhi scuri come la notte, fissi nei tuoi, che sembrano scrutarti dentro — e in quello sguardo, per un istante, non c’è condanna né pietà. Solo riconoscimento. Ti svegli di colpo al suono della sveglia. Il corpo madido di sudore, il respiro corto, la luce dell’alba che filtra dalla finestra. E ancora impressa nella mente, quell’immagine indelebile: gli occhi dell’Oscura Alba che ti osservano. @TheBaddus Scarlett Bloomblight - cambio giorno Il cibo ti placa appena la fame, quel vuoto nello stomaco che ti accompagnava sin dal bosco. Almeno per un momento smetti di tremare. Il ghiaccio, invece, non ti dà alcun sollievo: il freddo ti punge la pelle e ti provoca un brivido di fastidio, come se qualcosa dentro di te lo rifiutasse, lo rigettasse con violenza. Finisci per scostarlo quasi subito, lasciandolo sciogliere sul tavolo. Solo il caffè ti consola. Il suo aroma bruciacchiato, il calore che ti risale in gola e si diffonde nel petto, la sensazione di calore vivo nelle viscere. Lo bevi in fretta, bollente, come se volessi tenerti in vita con quel fuoco amaro. Ti senti ancora stremata, ma almeno un po’ più lucida. Con un gesto lento, prendi il telefono. Lo schermo ti ferisce gli occhi già stanchi, eppure non riesci a distogliere lo sguardo. Scorri i contatti, trovi il nome di Tanaka e premi il tasto di chiamata. Il cuore ti batte più forte, quasi dolorosamente, mentre attendi. Il segnale parte. Squilla. Una volta. Due. Tre. Nessuna risposta. Richiami. Ancora silenzio. Ogni squillo che cade nel vuoto è un piccolo colpo al petto. Alla fine, la stanchezza vince. Ti abbandoni dove sei, con la testa poggiata sul braccio sul tavolo, il respiro lento, la fronte che sfiora la superficie fredda. Ti addormenti così, senza nemmeno accorgertene. Il sonno che ti avvolge non è dolce. Si susseguono sogni disturbanti.. confusi, che svaniscono subito uno dopo l’altro non lasciandoti nessun ricordo se non la sensazione spiacevole che li accompagna… Quando riapri gli occhi, la luce dell’alba filtra timida dalle persiane. La sveglia del tuo telefono vibra e suona piano accanto a te, annunciando l’inizio di un nuovo giorno. Ti stacchi dal tavolo con fatica, la guancia ancora segnata dalla superficie ruvida del legno. Ti senti stordita, confusa. Non ricordi nulla di preciso di ciò che hai sognato, ma ti rimane addosso un misto di sensazioni: paura, incertezza, un lieve terrore… eppure, sopra ogni altra cosa, un’euforia inspiegabile. Un fremito di energia che non ti appartiene, che non è tuo. Mentre cerchi di mettere a fuoco i pensieri, i ricordi del giorno prima ti travolgono all’improvviso. Tu e Tanaka nel bosco, la creatura che vi ha assalito, il dolore, il terrore. Poi Nathan — il suo volto teso, le ferite, la fatica del ritorno. Tutto riaffiora come un’eco distorta, come un sogno da cui ti sei appena svegliata. Ti sollevi di scatto, facendo cadere la sedia dietro di te. Ti guardi i polsi istintivamente, incredula. I segni, quelli lasciati dalle corde, sono appena visibili, quasi scomparsi. Le fitte nel corpo se ne sono andate. La testa non pulsa più. Ti senti… bene. Fin troppo bene. Ti dirigi verso il bagno, cercando di scacciare la confusione. Ti chini sul lavandino, fai scorrere l’acqua e ti sciacqui il viso. L’acqua è tiepida, quasi piacevole. Ma quando alzi lo sguardo e incroci il tuo riflesso nello specchio, il respiro ti si blocca in gola. Alla base del collo, appena sotto la gola, c’è qualcosa che non c’era prima: un segno sottile e scuro, inciso nella pelle come un tatuaggio. Una mezzaluna nera, e sotto di essa, una lunga croce. Off game Guarisci tutte le tue ferite e torni a 4/4 di vita. @Ghal Maraz Nathan Clark - cambio giorno Rimani immobile per qualche istante dopo averle parlato, con il cuore che ti martella nel petto. Le parole che hai appena pronunciato rimbombano nella stanza, e il silenzio che segue sembra quasi tangibile. Tua madre ti osserva — gli occhi spalancati, lucidi, la mano ancora sollevata a mezz’aria come se volesse toccarti ma non trovasse il coraggio. «Oh, Nathaniel… mio Dio…» sussurra infine, portandosi una mano alla bocca. Il tono è spezzato, incerto, una preghiera più che una risposta. Ti si avvicina piano, con cautela, come se temesse di farti male solo sfiorandoti. Le sue dita si posano lievi sul tuo braccio, tremanti. «Hai delle ferite… ma… il bosco? Da solo…? Perché non mi hai detto nulla?» La sua voce è un susseguirsi di domande senza vera attesa di risposta. Il suo sguardo corre verso il telefono sul mobiletto, esitante, combattuto. Sai perfettamente cosa le passa per la testa: chiamare qualcuno, chiedere aiuto, fare ciò che ritiene giusto. Ma alla fine si ferma. Ti guarda ancora — nei tuoi occhi legge qualcosa di diverso, una fermezza che non le è familiare, e per un attimo capisce che insistere peggiorerebbe solo le cose. «Va bene, Nathaniel…» mormora infine, con un filo di voce. «Non chiamerò nessuno. Ma… ti prego, promettimi che starai attento. Che… non farai sciocchezze. Il Signore… il Signore non vuole la vendetta, solo la giustizia…» La frase le si spegne in gola, come se nemmeno lei ci credesse fino in fondo. Ti lascia andare, e resta lì per un momento, in silenzio. Poi, quasi con automatismo, inizia a preparare la cena. Il suono dei piatti e delle posate rompe la quiete solo a tratti, accompagnato dal crepitio sommesso del gas acceso. Ti siedi a tavola con lei senza dire una parola. Mangiate entrambi lentamente, meccanicamente. Ogni tanto la senti sospirare piano, o noti il suo sguardo posarsi su di te — uno sguardo pieno di pena e di paura. Quando il piatto è vuoto, non resta più nulla da dire. Ti alzi, le rivolgi un cenno lieve, e sali le scale verso la tua stanza. Il corpo ti pesa, ma è la mente a farti più male. Chiudi la porta dietro di te, lasciando tua madre da sola nella cucina silenziosa, le mani giunte e lo sguardo perso nel vuoto, mentre sussurra una preghiera per te. Ti siedi sul letto, fissando per qualche secondo il buio fuori dalla finestra. Hai ancora addosso la rabbia, il dolore e quella sensazione di ingiustizia che ti divora dentro. Ti alzi e ti trascini in bagno. Ti spogli piano, restando in intimo davanti allo specchio. L’immagine che ti rimanda indietro è cruda: il corpo martoriato, i lividi scuri che si estendono sul costato e sulle cosce, i graffi sparsi sulle braccia e sul viso. Ti muovi lentamente, tastandoti qua e là con cautela. Fortunatamente niente sembra rotto, ma ogni movimento ti ricorda la violenza del pomeriggio. Poi, quasi senza pensarci, afferri il telefono. Lo sblocchi e attivi la fotocamera frontale. Per un istante esiti — la luce fredda dello schermo illumina i lividi sul tuo viso, le occhiaie profonde, i graffi sulle guance. Ti sembri diverso, ma non debole. Ti sembri vero. Ti scatti alcune foto, catturando senza filtri quello che ti hanno fatto. Poi apri Blabber, il social della scuola. Scrivi un post rapido, deciso, lasciando che la rabbia ti guidi le dita: #SpioneAChi #In4contro1 #Bulletti #NonHoPaura Lo rileggi una volta, e ti rendi conto che non vuoi aggiungere altro. Premi “pubblica”, poi blocchi lo schermo e spegni il telefono. Non vuoi vedere i commenti, le reazioni, gli sguardi digitali di chi giudicherà o fingerà di capire. Non ora. Apri l’acqua calda e resti immobile per un momento, lasciando che il vapore avvolga la stanza. Poi ti infili sotto il getto, chiudendo gli occhi mentre il calore ti punge la pelle e ti brucia sulle ferite. È un dolore che, in qualche modo, ti purifica. Ti senti stanco, svuotato, ma più lucido. Quando finisci, ti asciughi con lentezza e torni in camera. Ti lasci cadere sul letto, cercando una posizione che non ti faccia male. Ma il dolore è ovunque: sulle costole, sulle spalle, persino nel respiro. Ti rigiri più volte, cercando conforto, senza trovarlo. Solo dopo un tempo indefinito, il sonno arriva — agitato, irregolare, un rifugio precario. E nel sonno ritorna leo. L’enorme figura d’ombra che si stagliava nel cielo sopra il Bosco. Il ricordo della visione ti assale con forza: quel buio che non era solo oscurità, ma presenza. Qualcosa di antico, immenso, che ti osservava. Ti risvegli di soprassalto, madido di sudore, il cuore in gola. Nella stanza filtra una luce fioca, pallida, che annuncia l’alba. La radiosveglia sul comodino segna pochi minuti prima dell’ora prestabilita per la sveglia. Resti a fissarla, immobile, mentre il ricordo del sogno si dissolve lentamente — ma la sensazione di essere stato visto non se ne va. Off game Con la notte di riposo guarisci un danno. Resti a 3/4 vita. @Voignar @SNESferatu Darius e Ana - al centro commerciale Il tono della vostra conversazione ondeggia come una marea irrequieta — passa da momenti in cui vi sforzate di parlare a bassa voce, quasi in un sussurro, a improvvisi scatti in cui l’enfasi e la tensione prendono il sopravvento, costringendovi a sollevare la voce fino quasi a gridare. Poi, come due colpevoli improvvisamente consapevoli, tornate ad abbassarla, ricordandovi che le cose di cui state parlando non dovrebbero mai, mai, essere udite da orecchie estranee. Il proprietario del piccolo bar dove vi siete rifugiati, un uomo sulla cinquantina dall’aria svogliata e la barba non rasata, vi lancia qualche occhiata di tanto in tanto. Ma più che curioso, sembra solo infastidito dal vostro chiacchiericcio nervoso. Continua a fissare la sua piccola televisione sul bancone, dove un telegiornale locale scorre in sottofondo, come se preferisse fingere che non esistiate piuttosto che cercare di capire di cosa stiate parlando. Quando Darius decide di mettere fine alle discussioni con una dimostrazione pratica, la tensione cambia tono. Si raddrizza, assume quell’aria concentrata e cerimoniosa che assume sempre quando si prepara a evocare qualcosa di più grande di lui. Con voce ferma inizia a salmodiare frasi arcaiche, sillabe che non appartengono più a nessuna lingua vivente. Le sue dita stringono con decisione il foglio su cui ha tracciato rune sumeriche, mentre lo sguardo resta fisso su Ana. È una fattura che conosce bene — un incanto di difesa che ha usato più volte in passato. Ma stavolta qualcosa non va come previsto. Forse è l’agitazione, o forse quell’inquietudine che non lo abbandona da ore. Avverte chiaramente l’energia risvegliarsi dentro di lui, un flusso di mana che vibra, sale, e poi si sprigiona in una ventata invisibile diretta verso Ana. Nel medesimo istante, un dolore acuto lo attraversa. Sotto la mano, dove poggia sulle rune, sente bruciare — un calore violento, reale, come se le parole sul foglio stessero davvero prendendo fuoco. Stringe i denti, resiste, e quando solleva finalmente la mano nota con orrore che sul palmo gli sono rimasti impressi segni rossastri, simili a piccole ustioni. Nonostante tutto, la magia sembra aver funzionato. Darius, con un sorriso soddisfatto, apre le braccia, il petto esposto, invitando Ana a colpirlo. Lei esita un solo istante, poi la sua naturale sicurezza — e la forte irritazione che sta provando in questo momento verso il ragazzo — prendono il sopravvento. Si carica e scaglia un pugno deciso alla spalla del ragazzo. L’impatto è... strano. Il suo pugno incontra una resistenza morbida, come se avesse colpito un cuscino d’aria densa. Nessun dolore, nessuna spinta, nessun suono secco d’urto. Ana sbarra gli occhi, incredula. Darius, invece, sorride soddisfatto. Per un istante, il silenzio tra voi è denso quanto la magia che lo ha generato. Poi lui si concentra di nuovo, pronto a dissolvere l’incantesimo. Mormora la contro-formula, scandendo le parole con più cautela, il ricordo del bruciore ancora vivido sotto la pelle. Ma qualcosa si muove in lui, un fremito sottile che non riesce a ignorare — il simbolo tatuato alla base del collo pizzica, come se stesse reagendo da solo, impaziente. L’energia fluisce ancora, più ruvida, più selvaggia, e si riversa su Ana. L’incanto si infrange. Crack. Un rumore secco, netto, come di ceramica che si spezza. Ana sobbalza. Un bruciore improvviso le attraversa il braccio, poco sopra il gomito. L’istinto la porta a grattarsi, ma quando solleva la manica sente un gelo percorrerle la schiena. Proprio lì, dove ha sentito il dolore, la sua pelle è... spaccata. Non ferita, non sanguinante: una crepa pulita, sottile, come se la sua carne fosse porcellana e si fosse incrinata dall’interno. Il respiro le si blocca in gola. Darius la osserva, confuso, mentre il silenzio cala di nuovo tra voi. Solo il ticchettio distante dell’orologio sopra il bancone ricorda che il mondo, fuori da quella piccola bolla di realtà deformata, continua ancora a scorrere. Off game Darius subisce 1 Danno come avevamo già detto. La fattura poi viene sciolta e Ana ora può ferire di nuovo chi vuole. Però qualcosa è andato storto.. qualcosa che ha rivelato una verità sull’identità di Ana. Ho chiuso qui perché sicuramente la cosa vi lascerà spazio per ruolare ancora e, visto che non so bene come andrà a finire, non ho scritto nulla delle vostre serate/nottate e risvegli. Vi dirò.. continuate pure sotto spoiler questa scena e riprendete poi nello stesso post con la scena del vostro risveglio mattutino come se la notte fosse trascorsa abbastanza tranquilla.. così non rimanete indietro rispetto agli altri.
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TdS
Anche Mei Lin aveva una discreta voglia di picchiarlo qualche volta effettivamente! Chissà.. prima o poi magari sarà accontentato 🤣🤣 Per il momento si è dovuto accontentare di averle prese solo dalla Bestia Cervo