La notte cadde come un velo a smorzare le voci e ad accendere i sussurri.
Aixela entrò nella stanza a lei assegnata sedendosi sul letto e saggiandone la morbidezza. Non era proprio quello che si poteva definire un giaciglio comodo, ma era più che sufficiente per dormire. Si tolse lo zaino dalle spalle e lo gettò in un angolo ascoltando con interesse il sordo rumore provocato contro il pavimento. Si slacciò la cintura, lanciandola accanto allo zaino dopo aver sfilato da essa il fodero. Estrasse la spada e la mise davanti ai suoi occhi, osservando il suo riflesso leggermente arrossato dal colore della lama. Si era sempre chiesta il perché di quel colore e ancora adesso non riusciva a capirlo, come non riusciva a capire la sua natura magica. Quell’arma era stata capace di risvegliare una dea rinchiusa da una magia che poteva essere spezzata solo da una magia proveniente dalla terra stessa, una magia che nessun mago poteva anche lontanamente concepire.
Eppure lei c’era riuscita, catalizzando l’energia della terra stessa in quel piedistallo. E tutto tramite la spada. Avrebbe voluto gettarla a terra, ma le sembrava come buttare via una parte di se stessa. Così si limitò ad osservarla. Nei riflessi le sembrava di vedere gli occhi di Lirian e Alathariel che la imploravano di tornare. Sapeva che ai loro occhi ormai lei era diventata la cattiva, l’avversaria, quella da sconfiggere e che aveva voltato loro le spalle proprio nel momento del bisogno, quando avevano bisogno di tornare.
Un luccichio riflesso sulla lama le rivelò una lacrima. Ringraziò il cielo che Ashling non era lì con lei o avrebbe deprecato questa sua debolezza, magari anche lasciandola sola… di nuovo. Per un attimo le sembrò davvero di essere stata lasciata di nuovo abbandonata a se stessa. La sensazione sembrava salire, affogandola come una marea in crescita, stringendole la gola, mentre lo stomaco si chiudeva per non chiedere null’altro se non un po’ di compagnia, un po’ di calore umano.
Strinse l’elsa della spada, come a volerle fare del male, a volerla strozzare, mentre appoggiava la testa contro quella lama rossastra. Sentiva le lacrime che le battevano sui pantaloni come gocce di pioggia. Non voleva piangere ma non poteva farci niente. Voleva solo stare con gli altri, di nuovo. Solo quello… solo un attimo.
Lirian stava ascoltando quello che Ariaston aveva da dire. Era preoccupata dal fatto che avrebbero dovuto affrontare altri archetti, ma da un certo punto di vista voleva quello scontro. Era un modo come un altro per sfogarsi. Non lo aveva mai fatto pesare a nessuno, ma capiva quello che provava la piccola Alathariel, quel senso di vuoto dovuto dalla partenza di una persona cara come era Aixela. Aveva trattenuto così spesso i sentimenti dentro di lei che ormai era diventata una cosa automatica come sbucciare una mela.
Si sedette a terra, guardando gli altri che ascoltavano Ariaston, pur se avevano gli occhi puntati su quell’orchetto e su quell’elfa scura. Non si era ancora abituata a quella nuova presenza, ma in un certo senso sentiva di averne bisogno. Era come se con la partenza di Aixela, Iskra’ fosse diventata una sua sostituta. Gli occhi assassini di quell’elfa le ricordavano i combattimenti passati fianco a fianco… e anche quella ferita al fianco. Si toccò la cicatrice e si scoprì a ricordare quell’episodio quasi con nostalgia, nonostante il dolore. Poi si alzò in piedi, sistemandosi i vestiti. Afferrò i bordi dei pantaloni e istintivamente si guardò i fianchi. Sgranò gli occhi, strofinandoseli poi con entrambe le mani. Non poteva essere vero! Non ce n’era motivo.
Una lieve luminescenza si propagava dai tatuaggi che aveva sui fianchi. Istintivamente guardò la piccola Alathariel e vide che anche i suoi segni sulle tempie si stavano illuminando. Negli occhi di tutti vi era una sorta di attesa mista a paura dal momento che l’ultima volta che vi era stata quella luminescenza era apparsa quella dea, portandosi via Aixela.
Ma questa volta era diverso. Lirian riconosceva questa sensazione: l’aveva già sentita diverse volte durante il viaggio con la compagnia. Sapeva che stava per succedere qualcosa, che qualcuno stava per arrivare, anche se aveva paura a scoprire chi fosse.
Ashling percorreva le strade della città con il passo colmo di sfida per chi le avesse potuto dire di rientrare nella locanda dopo l’ora del coprifuoco. Avrebbe quasi desiderato che qualche guardia la incrociasse o le dicesse qualcosa, ma, pur se minacciosa, appariva sempre come una ragazza e quei pochi soldati della milizia cittadina che la incontravano al massimo si scambiavano qualche occhiata e qualche commento malizioso. Non era un pericolo per la città e loro non avevano voglia di ricordare ad una ragazza che sarebbe dovuta rientrare. Pur se appariva loro strano vederla in giro ad un’ora così tarda in cui tutti erano ormai chiusi in casa o in qualche locanda a dormire, sapevano che non avrebbe incontrato nessuno disposto a farle del male, visto che nessuno osava mettere piede fuori dalle proprie abitazioni dopo il rintocco della campana. E poi sentivano di non doverla redarguire, di doverla lasciare stare. Evidentemente aveva i suoi fantasmi da combattere ed una bella boccata d’aria fresca forse era la soluzione giusta per vincerli.
Ed Ashling intanto combatteva contro il suo passato, contro quella madre che non l’aveva voluta riconoscere come figlia e che non aveva voluto darle i suoi poteri divini. L’aveva lasciata sola nel mondo, senza difese e senza nessuno che l’avesse potuta aiutare. E lei non poteva far altro che sopravvivere per le strade.
Strinse il pugno. La mente le proponeva ricordi che non voleva far risalire a galla, ricordi che tentava di affogare con la rabbia e con la vendetta... ma erano ricordi che avevano imparato fin troppo bene a nuotare.
Si appoggiò al muro di cinta del villaggio con la schiena, le braccia abbandonate lungo il corpo. Sapeva che avrebbe potuto in qualsiasi momento radere al suolo tutte le case con un solo pensiero, ma sarebbe stata una ben futile soddisfazione. Neanche distruggere il mondo le avrebbe dato il benché minimo sollievo. No, voleva solo far soffrire i suoi abitanti come lei aveva sofferto. Voleva vederli perire uno ad uno tra atroci agonie, implorando pietà come lei aveva fatto in passato senza essere ascoltata.
No, non avrebbe utilizzato i suoi poteri divini per fare tutto questo, ma avrebbe risvegliato i draghi e tante altre creature che sarebbero state ben felici di massacrare. E poi, quando gli dei stessi si sarebbero inginocchiati al suo cospetto, come stavano per fare tante ere prima, allora avrebbe lasciato stare il mondo e avrebbe ridato loro la pace.
Ma prima voleva la sofferenza.
«Capito, mamma?» Urlò al cielo «Ti pentirai di non avermi voluto come figlia! Te ne pentirai!»
Si staccò dal muro, incamminandosi verso la locanda, osservando con piacere qualche candela che si accendeva da dietro le finestre per capire che avesse urlato.
Finché sentì una cosa. Fu una sottile percezione, come quando quella drow era entrata nel loro mondo. Ma qui era leggermente diversa... e riguardava... No! Lo sapeva che sarebbe successo prima o poi!
Iskra’ si girò di scatto, la sua spada pronta a colpire. Ariaston sfoderò la sua daga istintivamente, mentre Perenor si metteva davanti al kender e alla piccola elfa, affiancato subito da Sturmir che fu ben felice di bloccare Garfuss.
Davanti a loro c’era una ragazza dai lunghi capelli biondi e spettinati, gli occhi di un viola intenso, illuminati dalla stessa luce che usciva dai fianchi di Lirian e dalle tempie di Alathariel... e dalle sue spalle.
«Aixela!» Urlò una voce.
Lei stava per rinfoderare la spada quando vide Iskra’. I loro sguardi si incrociarono per un attimo, poi si staccarono e si diedero una tregua, riponendo le loro armi. Aixela si guardò intorno stupita, capendo al tempo stesso dove si trovava e come ci era arrivata. Ma capiva anche come gli occhi di tutti altro non era che una traditrice. Per questo indietreggiò di un passo.
Lirian corse verso di lei, abbracciandola. I suoi occhi rivelavano ancora una certa diffidenza, ma la sua felicità nel saperla salva e lì con loro era autentica. Senza pensarci, le diede le spalle come per proteggerla. «Non fatele del male.» Disse.
Alathariel si sporse da dietro il corpo di Perenor e la guardò con gli occhi colmi di lacrime. Aixela la vide e sentì una mano stringerle il cuore. Abbassò il capo. «Hanno tutto il diritto di farmi del male.» La sua voce era un sussurro, eppure perfettamente udibile.
Iskra’ si girò verso gli altri come per ricevere conferma di chi fosse quella donna. Si aspettava orchi e orchetti, non una bella ragazza apparsa dal nulla.
«No, Aixela.» Cominciò Lirian girandosi di nuovo verso di lei e prendendola per i baveri della camicia, in un gesto di supplica «Non devono farti del male. Tu devi restare con noi! Devi aiutarci! Devi... devi... aiutarmi! Proteggermi!»
«Proteggervi? Io?» Aixela non capiva.
«Come può proteggerci se è stata la sua stessa magia ad evocare quella dea maligna?» Il tono di Perenor era accusatorio, eppure sentiva lui stesso di non credere in quello che diceva.
«Non è stata colpa sua! Lei non voleva... non sapeva!» Lirian si girò di nuovo verso il gruppo. «Non fatele del male, vi prego.»
«Non glielo faremo... non possiamo farglielo. Ma...»
«Saggia decisione, prete!» Una voce alle loro spalle... una voce familiare. Dal nulla apparve Ashling, i capelli neri che ondeggiavano al vento. Si portò accanto ad Aixela con la calma di chi sa di non poter essere sconfitta e neanche toccata. Poi si girò verso il resto del gruppo, lanciando un’occhiata interessata ad Iskra’. «Non potete toccarla, non finché ci sarò io.» Guardò Aixela e lesse nel suo sguardo dolore e rabbia «Sei tu che sei voluta venire con me, ragazzina, ricordatelo.» La voce era sprezzante e sarcastica e a Garfuss gli ricordò quella di un mago che era stato insieme a suo zio Tas «Tu mi hai liberata e tu mi hai seguita.» Tornò a guardare il gruppo, con gli occhi che indugiavano su Iskra’ «Quindi ora, signori, me la riporto via.»
Fu in quel momento che Alathariel corse via da dietro Perenor e si aggrappò alla gamba di Aixela, piangendo.