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Manzotin

Circolo degli Antichi
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  1. le conoscenze degli esterni e' piu' o meno cosi': almeno che uno non sia di un piano di esistenza "superiore" rispetto ad un altro, non puo' conoscere cose del piano superiore, concettualmente parlando. Ad esempio uno del piano materiale puo' sapere tramite i libri che gli elementi sono legati tra loro in qualche maniera.. ma in nessun modo potrà sapere il perchè essi sono legati in questa maniera. E' una conoscenza profonda delle relazioni nel multiverso. E' un po' il problema di molte formule di fisica, appena vengono scoperte: si vede che funzionano, ovvero che descrivono alla perfezione alcuni fenomeni, ma ogni tanto non si riesce a capire perchè funzionino. Poi, piano piano, si riesce a capire tutto, ma di solito c'è bisogno di aprire la mente a strane teorie e cmq gli si dà 1 e una sola conoscenza particolare: ad esempio su che presupposti si basa il legame del piano astrale a quello materiale.
  2. Proposte per il bibliotecario ridurre crescita di liv inc 1 ogni 2 Rinominare "conoscenza" in "Conoscenze profonde" fa + figo 8) e permettere al biblio di poter fare una tiro in QUALSIASI conoscenza anche se non addestrato. Il bonus di conoscenze profonde cmq varrebbe per qualsiasi conoscenza. Aggiungere l'abilita' di Airion Un'abilità chiamata "conoscenza suprema" o similia: una volta ogni due livelli di CDp, il bibliotecario ottiene un'informazione o una spigazione che solo un abitante dei piani esterni potrebbe conoscere. LIv2 conoscenza di un:abitante del piano astrale 4 semidivinità 6 divinità inferiore 8 divinità intermedia 10 divinità maggiore Conversare: grazie alle sue conoscenze il biblio sa parlare di tutto con arguzia e saggezza. Con una prova di Saggezza riuscita -che se fallita puo' essere ritentata dopo un minuto- capisce di che cosa l'interlocutore è piu' propenso a discutere, e intavolare una discussione (cd 10 se interessato, cd 15 se impegnato, 20 se non vuole discutere). Per ogni minuto che passa discutendo, puo' tentare una prova di Intrattenere con un bonus di +2 contro CD 15, che se riuscita aumenta perennemente di un grado l'amicizia dell'interlocutore verso il Bibliotecario (c'era da qualche parte una tabella sul manuale del DM, per capire bene quant'e' ben propenso uno rispetto a un altro..). Quest'amicizia non e' magica, ma spontanea: l'interlocutore apprezza la cultura e l'arguzia del bibliotecario. Il master puo' richiedere prove di conoscenza durante la conversazione. Intanto mi vengono queste, spero che vi possano essere d'aiuto!
  3. Vabbè tieni entreri, ma cambiagli il nome, per pietà...
  4. Questo gia' mi piace di più!! Ad esempio in death gate c'è per un paio di capitolo un pg che si chiama Zifnab... forse ce la potremmo cavare anche noi con un'inversione delle lettere. Tipo Nifbaz o simili ^^
  5. Io sarei per eliminare Entreri, ovvero far fare a qualcun altro quello che faceva lui perchè a) non im piacciono le scopiazzature se un giorno tutto questo andasse in porto, entreri e' un personaggio registrato Salvatore. Anche fizban non è che mi convinca appieno... ma d'altronde anche il mio pg e' un Kender, ovvero una cosa Copyright W&H. Boh..
  6. Manzotin

    La nostra storia...

    SEMBRA che io non stia facendo una mazza.. in realtà sto escogitando un modo per cui il kender frega il demone. Se non ci riesco in breve tempo, cmq posterò. Intanto voi andate, ci rincontriamo fuori dal mare!
  7. Manzotin

    Alexander

    Se è santo, avrà detto una cosa che al Signore sta bene... e LUI lo vogliamo contraddire??
  8. Io per ovvie ragioni non parteciperei, ma vi posso dare tutto il mio sostegno : )
  9. che razza usi? io non ci ho mai giocato in single, ma sono un discreto giocatore in multiplayer
  10. Manzotin

    Manzo Dixit

    No no, non sono errori di battitura... e' che io cn i tempi ci faccio sempre a botte per esempio quali hai notato?
  11. Manzotin

    Manzo Dixit

    L'ho riletto ora e m'è scesa una lacrimuccia Grazie Mike, ma secondo me sei troppo gentile
  12. Manzotin

    Manzo Dixit

    Abbiate pietà, io sto male : ) --------------------- Il cucchiaino Blu Era mattina. Come tutte le mattine, mi alzai dal letto come un mollusco. Andai in bagno, orribile e ondeggiante al pari di uno zombie, mi lavaii e poi mi misi addosso il primo paio di pantaloni su cui riuscii a mettere le mani. Con un colpo secco, degno dei migliori karateka, accesi lo stereo, cosi’ mi potevo ascoltare il mio canale preferito. Andai in cucina e cominciai a prepararmi la colazione: prima la moka sul fuoco, poi la tazza e la zuccheriera sul tavolo, infine il latte nella tazza, aspettando il caffè che da lì a poco avrebbe fatto la sua comparsa, come per magia, nella parte superiore della macchinetta. Mentre la radio passava Child in time, giusto per ricordarmi che mi dovevo sbrigare altrimenti avrei fatto tardi a lezione, presi un fazzoletto e i cornetti in gomma che ti spacciano per freschi. Tutto era ormai pronto: mancava soltanto il caffè. Passarono attimi che mi parvero interminabili. L’orologio a muro ticchettava come un conto alla rovescia prima dell’estinzione. Il mio cane si stiracchiò e zampettò in balcone per fare la cacca. Si sa che gli animali si accorgono sempre in aticipo delle sciagure, pensai. Le pareti cominciavano a stringersi, piano piano, sempre di più.. poi alla fine lo sentii. Il caro, vecchio rumore borbottante. Il caffè era pronto! Presi la moka, ne versai il contenuto intero dentro la tazza e poi feci per metterci lo zucchero, ma mi resi subito conto della mia superficialità: non avevo preso un cucchiaino. Me lo dimentico sempre, è proprio un concetto che non vuole entrare nella mia mente, quello del cucchiaino. Se ci si pesa bene, il cucchiaino in realtà è una cosa inutile. Un cucchiaio potrebbe svolgere le stesse medesime cose, se solo si prestasse un pò più d’attenzione alle quantità. Comunque sia, mi sporsi dalla sedia e aprii in un cassetto dietro di me, e cercai per un pò alla cieca, acchiappando il primo cucchiaino che riuscii a identificare al tatto. Lo infilai al limite della velocità consentita dentro la zuccheriera, ma mentre stavo portando il cucchiaino ora pieno di zucchero verso la tazza, mi resi conto di una cosa: aveva il manico blu. Ora, io ho tre tipi di posate a casa: quelle di ferro, tristi, quelle col manico rosso, chic, e quelle con il manico giallo, pacioccose. Non ho nessun set di posate blu. Al massimo ho qualche coltello nero, assassino. Ma niente blu. Quel fatto quindi mi stupii oltre ogni regola: mi parve come se un elemento senza senso fosse improvvisamente piombato nella mia inquieta esistenza. Stupito, immersi il cucchiaino dentro la tazza di caffellatte, e provai a vedere se funzionava. Ebbene, girava! Girava come qualsiasi altro cucchiaino, anzi no, mi resi conto, girava anche meglio. Era più armonico. Il blu si fondeva magistralmente con il marrone del caffellatte, e con l’azzurrino della tazza. In quel preciso momento, mi resi conto che quel cucchiaino mi piaceva. Il che, era un fatto anche più strano: come ho già detto, di solito non riesco ad apprezzare i cucchiaini. Quello lì invece aveva un qualcosa di particolare, un nonsochè che lo rendeva differente dagli altri. Mi stava simpatico. Lo ricacciai fuori dal caffellatte e me lo rigirai sgocciolante tra le mani. Era tutto sommato un semplice cucchiaino, aveva il manico blu con delle strisce bianche ai lati, dove si univano i due pezzi del manico. La conchetta di metallo era lucente, e della giusta grandezza, nè troppo piccola, nè troppo grande. Me lo guardai, e anche lui mi guardò, con quel suo sguardo un pò sfereggiante. Mi chiesi se a lui sarebbe piaciuto diventare mio amico, e lui parve come intuire e dirmi di si. Tutto contento, lo lavai sotto l’acqua e lo riposi nel portaposate, in posizione di rilievo sul lavandino. Lì in mezzo, circondato da altre posate di altri set, spiccava come se fosse già il capocucina. E fu in quel momento che decisi: avrei fatto scalare al mio cucchiaino la gerarchia culinaria delle posate in casa mia. Uscii di corsa e mi fiondai a lezione, prima di perdere il treno. Tornato a casa, il pomeriggio stesso cominciai a mettere in pratica il mio piano. Erano le 5, e mia madre stava parlando con una sua amica che veniva spesso a casa nostra. Subdolamente chiesi loro se volessero un caffè. Loro, stoltamente, accettarono ed io mi diressi subito in cucina. Il cucchiaino era ancora dove lo avevo lasciato in mattinata. Lo presi e poi ne presi un altro, uno di quelli di ferro, dal cassetto. Caricai la moka e la misi sul fuoco, mentre preparavo un vassoio con le tazzine e tutto il resto. Su un sottotazzina misi il cucchiaino blu, mentre sull’altro quello di ferro. Scelsi le tazzine meno belle, in modo che l’attenzione fosse calamitata solo dalle posate. Appena il caffè fu pronto, portai tutto nell’altra stanza, dove si stava ancora chiacchierando del tempo e di quanto veniva a costare una spesa. Appoggiai il vassoio tra le due e me ne rimasi lì, in disparte. Il cucchiaino blu era della tazzina di mia madre. Le due si versarono il caffè, poi giunse il momento fatidico: lo zuccherarono. “Come mai hai preso due cucchiaini differenti?” mi chiese gentilmente mia madre. Io risposi con un’alzata di spalle. Intervenne l’amica di mia madre: “Ma non ti preoccupare cara, ha fatto già troppo! Mio figlio non ci avrebbe nemmeno salutato, tzè. Non fa niente, per due cucchiaini. Anche se..” trattenni il respiro per un attimo “quel tuo cucchiaino blu è veramente grazioso, rispetto al mio.” Mamma, divertita, si fece una risata e propose di scambiarsi le tazzine. La signora accettò con un’ altra sghignazzata. Io intanto gioivo gaiamente dentro di me. Un piccolo traguardo era stato raggiunto. Quella sera, mi misi a letto facendo finta di studiare. Passò qualche tempo, e tutti se ne andarono nelle loro stanze a dormire. Allora mi alzai dal letto, novello James Bond, e mi diressi in cucina quatto quatto. Il cucchiaino blu era nel cassetto. Lo presi senza far rumore e aprii la dispensa, prendendo il barattolo del caffè. Lo aprii e dentro vi trovai quello che mi ero aspettato: il cucchiaino a cuore. Dovete infatti sapere che a casa mia c’è un solo cucchiaino che viene tenuto perennemente infilato nel barattolo del caffè, immerso nella polvere nera. Con quel cucchiaino si fanno tutti i caffè di casa. Era indubbiamente una posizione di prestigio per il mio nuovo amico. Sfilai il cucchiaino a cuore dal barattolo, e lo sostituii con il cucchiaino blu. Per un attimo parve scontento della sua nuova casa, infilato in quel barattolo scuro. Ma poi credo che si sia reso conto di quale fosse il suo nuovo lavoro, di quale importanza avesse rispetto ai ruoli che gli venivano di solito imposti, e che decidessi di entrarvi anima e corpo con maestosità e veterana esperienza. A mia volta soddisfatto della felicità del cucchiaino, richiusi il barattolo nella dispensa. Avevo pensato che forse qualcuno di casa avrebbe avuto qualcosa da obbiettare su quel nuovo impiegato: il cucchiaino a cuore era lì dentro da tempo immemorabile. Ma mi resi subito conto di quanto fosse in realtà poco efficiente quel vetusto cucchiaino. Aveva la conca piccola e a forma di cuore, che raccoglieva poca polvere di caffè a volta, e servivano molte cucchiainate per riempire una caffettiera. Forse all’inizio era stato buttato lì dentro appunto per la sua incapacità, chi puo’ dirlo? Sta di fatto che lavai il cucchiaino a cuore e lo sbattei di nuovo nel cassetto. Mi parve di aver fatto una cosa molto giusta: avevo dato un impiego importante ad uno che se lo meritava veramente, e nel contempo avevo dato una sferzata di vitalità ad una posata volenterosa ma incapace. Passarono i giorni, e il cucchiaino blu si comportava in maniera egregia. Ogni volta posava il caffè dentro la moka con una delicatezza mai vista prima, ed era più difficile con lui far cadere la polvere. Credo che in quel periodo fosse molto contento, ma anche un pò malinconico rispetto ai giorni dello zucchero e delle girate. Ma così va il mondo. Andava tutto alla perfezione: troppo alla perfezione. Avrei dovuto immaginare quello che dopo pochi giorni sarebbe successo. Ma non ci volevo pensare. Un giorno, vennero a pranzo i miei zii. Ci fu un pranzo di quelli grossi e di famiglia, con tanto rumore e piatti che non vedi mai e che farebbero impallidire uno chef, anche se tua madre o tua nonna dice cose del tipo “è una cosa semplice semplice” oppure “questo lo faccio tutti i giorni” o ancora “ci ho messo solo cinque minuti”. In realtà chi cucina per questi giorni ci mette da mezza giornata in su. Comunque alla fine si arrivò al momento del caffè. Mia zia si propose di farlo per tutti, cacciò la moka e cominciò a riempirla. Ma ad un tratto, come le campane dell’apocalisse, esclamò: “Ma questo cucchiaino è di un mio set! Ecco dov’era finito. Chissà come c’e’ arrivato qua! Ti spiace se me lo riprendo?” fece zia a mamma. Non volli guardare la risposta di mamma, che annuì come solo un omicida pò fare. Sarebbero rimasti per il pomeriggio, e poi i miei zii se ne sarebbero tornati a casa, con il mio cucchiaino. Non potevo chiedere che me lo lasciassero. Nessuno è amico di un cucchiaino, a meno che non sia completamente scemo. Quando la baraonda si spostò in soggiorno, io presi il cucchiaino che era stato lasciato sul lavandino. Lo lavai, dolcemente, accarezzandolo. Aveva ritrovato la sua mamma, il piccolo. Ma questo avrebbe significato non vederlo mai più, o almeno solo quando andavamo a trovare zia, quelle rare volte. Era un addio. In un attimo presi una decisione: aprii la dispensa, e trassi il barattolo del miele. Lo aprii, e vi infilai il cucchiaino. Prima dolcemente, a sfiorare il liquido appiccicosamente dolce, poi con piu’ tenacia, per arrivare al suo interno. Il piccolo era felicissimo, nuotava nella cosa piu’ dolce e più liquida al mondo, il sogno di tutti i cucchiaini. Lo trassi dal miele con il suo aureo contenuto. Me lo misi in bocca, e mi mangiai il miele con gusto. Il piccolo cucchiaino blu non tradiva mai. Come ti faceva mangiare o bere le cose lui, nessun’altro c’e’ mai riuscito. Alla fine lo trassi, e lo lavai nel lavandino. Gli diedi una bella insaponata, e poi lo risciaquai sotto il getto d’acqua calda. Quindi l’asciugai: sembrava come nuovo, e brillava triste. Anche lui si era accorto che quello era un commiato. Lo lasciai sopra il lavandino, e me ne andai in camera mia. Quando i miei zii se ne andarono portarono con loro anche il cucchiaino, il piccolo amico dal manico color del mare. Non lo rividi mai più.
  13. Naaah, la gente non lo legge perchè si spaventano tutti a leggere post piu' lunghe di una schermata!
  14. Manzotin

    Manzo Dixit

    Grazie a tutti del tempo che mi avete dedicato Avevo da parte molti progetti per racconti.... beh c'ho la mia bella listina, ed è forse il momento di cominciare a realizzarla. Prigioniero in particolare mi è venuto da un sogno. Beh spesso i racconti mi vengono dai sogni, ma questo soprattutto, perchè di solito nei miei sogni non si parla: invece in questo c'era questo ebreo che diceva la frase "Dio ha messo nelle mani dell'uomo.." e mi stringeva il polso... mi sono svegliato e dopo du giorni l'ho scritto ^^ Lovecraft, trema!
  15. Manzotin

    Manzo Dixit

    Inanzitutto wolf, grazie dei tuoi compliemnti Ma se hai da fare qualche critica falla senza remore! L'uomo è stato sottoposto a degli esperimenti, ceh sono riusciti... per questo e' riuscito a fuggire dal campo illeso e a vivere cosi' a lungo.
  16. Manzotin

    Manzo Dixit

    Hola, infida marmaglia di canaglie sgocciolanti! 8) Questo è il mio piccolo angoletto dei racconti. Il primo, qui sotto l'ho scritto oggi. ---------------- Prigioniero Un’altra notte era scesa fredda nelle strade di Budapest. La pioggia batteva pesante sull’acciottolato, mentre mi stringevo addosso l’impermeabile e mi dirigevo veloce verso la mia destinazione. Quella sera ero uscito presto, perché dovevo arrivare dall’altra parte della città e non avevo la macchina. Il sacchetto che tenevo sotto il braccio cominciava a diventare pesante. Era da tempo che cercavo quell’uomo, l’unico superstite ancora in vita, si diceva, l’unico che aveva vissuto veramente quei giorni e non li aveva solo letti sui libri di storia o visti in qualche raro filmato nascosto nella parte più polverosa della biblioteca. L’unico che mi avrebbe potuto spiegare, che mi avrebbe fatto capire. Intravidi in lontananza la vietta che avrei dovuto imboccare, e attraversai la strada correndo. Non c’erano lampioni in qulla zona, o forse c’erano, ma nessuno si era preso la briga di ripararli. Un tizio con la barba mi chiese se volevo un po’ di droga. Biascicai un no frettoloso e proseguii dritto, tra i topi. Alla fine giunsi alla mia destinazione: Juju’s, uno dei peggiori pub della città. Entrai. L’aria era afosa e piena di fumo. Il posto era piccolo, con tre tavoli e un bancone dietro il quale un barista alto stava servendo da bere ad una puttàna. L’uomo che cercavo era seduto ad un tavolo, davanti ad una bottiglia vuota di whiskey. Mi diressi con movimenti lenti verso il tavolo, poi vi appoggia una mano sopra. Lui non alzò nemmeno gli occhi, e allora decisi di sedermi. Aveva il volto scarno, con gli occhi infossati, gli zigomi alti, il naso aquilino e i capelli radi. Era sulla cinquantina, ma i suoi occhi erano stanchi come quelli di un vecchio. In quel momento non seppi bene che fare, come cominciare. Pensai che la bottiglia di Golden fosse un buon inizio, e così aprii la zip del sacchetto e tirai fuori la bottiglia, poggiandola in mezzo al tavolino. Era il rum migliore che ci fosse in circolazione, e sicuramente in quel bar non ne era mai entrato neanche un bicchiere.. Lui guardò prima la bottiglia con sguardo rassegnato, poi guardò me, sempre con lo stesso sguardo, e mentre la stappava e si versava un bicchiere mi chiese: “Quindi tu sei qui per sapere. Sei qui perché vuoi sapere.” “Si” risposi io, teso. “Uhm. Non credo di poterti dare veramente quello che tu vuoi. Io ti posso dare solo la mia storia, la mia visione dei fatti. Del resto non ne so niente.” “Mi va bene” L’uomo fece spallucce, mentre si scolava il terzo bicchiere. Per un minuto non disse niente, immerso nei suoi pensieri fissando il tavolo. Poi lentamente alzò gli occhi e fece un cenno al barista, che appese un cartello alla porta d’ingresso prima di sparire nel retrobottega. Eravamo soli, io e lui. “Era una notte come questa. A quel tempo non avevamo tante coperte, e per scaldarci dormivamo tutti assieme, io, mia moglie Sarah e le nostre piccole Esther e Myriam. Fummo svegliati da un fragore che veniva dall’ingresso del nostro appartamento. Una squadra aveva fatto irruzione sfondando la porta. Ci svegliarono urlando. Ci puntarono i fucili addosso e ci dissero di vestirci. Noi seguimmo tutte le loro istruzioni, non sapendone bene il perché. Scendemmo di sotto nel cortile, e pioveva e faceva molto freddo. Insieme ad altri fummo messi prima su un camion che ci condusse alla stazione, poi montammo su un treno, stretti in un vagone tutti assieme. Non c’era luce, ma stringendoci assieme non soffrivamo il freddo: eravamo circa un’ottantina. Nessuno lì dentro sapeva perché stava succedendo tutto quel casino. Conoscevo alcuni di loro, altri non li avevo mai visti, ma avevamo tutti una cosa in comune. Il nostro retaggio, ovviamente. Eravamo tutti Ebrei. Dopo poche ore sorse il sole, ma il treno viaggiava ancora. Solo verso mezzogiorno arrivammo alla nostra destinazione. Pensai che se il percorso fosse stato un po’ più lungo, qualcuno di noi avrebbe finito per lasciarci le penne in quel vagone schifoso” Incurvò le labbra in un sogghigno “Ma ovviamente non sapevo ancora niente di quello che ci sarebbe successo.” Si fermò un attimo ”Sembri un ragazzo che studia tu. Non credo di doverti descrivere niente.” “La prego di si invece” replicai un po’ impacciato “perché non sono sicuro che quello che sta scritto sui libri che ci passano nelle scuole sia la verità.” L’uomo si scolò un altro bicchiere, e parve riflettere su quello che gli avevo detto. Fissò gli occhi al tavolo e prese a raccontare. “Ci divisero, uomini e donne e bambini. Esther e Myriam avevano 5 anni. Erano bellissime, e i loro occhi brillavano come stelle in quel momento, mentre camminavano in fila tenendosi la mano. Ma non piangevano, no!, come le altre bambine. Erano coraggiose loro. Le salutai con la mano, e finsi un sorriso incoraggiante. Loro mi risalutarono sorridendo, come mi salutavano tutte le mattine quando uscivo di casa. Staccai gli occhi dalle mie bambine a stento, e dovetti trattenere Sarah che piangeva disperata. Ci mettemmo in fila, come ci fu detto di fare. Poco dopo fui costretto a salutare anche lei: la baciai e la strinsi forte. Le dissi che l’amavo. Eravamo tutti uomini. Ci spogliarono, ci fecero fare la doccia, poi un controllo medico, poi ci sbatterono dentro un capannone, che fungeva da dormitorio. Venne un tizio a spiegare cosa avremmo dovuto fare e cosa non avremmo dovuto fare, e quando. Poi se ne andò. Nessuno dormì quella notte. La mattina successiva, una sirena ci svegliò. Seguendo le istruzioni del sergente, cominciammo a vestirci mentre aspettavamo le guardie che avrebbero aperto il capannone. Eravamo infatti chiusi dentro. Quando infine vennero, dissero di uscire in fila per due. Ci disponemmo e cominciammo a uscire, ma quando io passai vicino ad una delle guardie, quella mi fermò e mi trasse dalla fila. Mentre gli altri continuavano ad uscire, io fui portato via. Attraversammo il cortile ed entrammo in un edificio. Le pareti erano verdi, e i pavimenti di marmo. C’era un’infermiera bionda ad una scrivania. La guardia disse il mio nome, e l’infermiera lo spuntò da una lista. Disse qualcosa e fece cenno di passare oltre, e così fece la guardia. Camminammo per un lungo corridoio, e poi la guardia mi consegnò a due tizi in camice. Erano guardie anche loro. Mi portarono in una cella con le pareti imbottite, e rimasi lì per qualche giorno, a pensare, a guardare dalla piccola finestra con le sbarre. Mi resi conto di quello che stava succedendo. Erano tutti schiavi lì sotto, anzi, peggio. Stavano piano piano levando loro la vita. C’erano uomini che erano oramai ridotti a scheletri che non camminavano più, ma quasi arrancavano. Ogni giorno, ogni maledetto giorno, vedevo una fossa larga dieci metri che veniva riempita di cadaveri, a tutte le ore, che bruciavano, giorno e notte, senza sosta. Non erano neanche schiavi: agli schiavi si dà da mangiare, perché possano lavorare. Lì gli uomini venivano trattati come bestie, anzi: erano bestie. Animali. Io non riuscivo a credere…spesso mi mettevo in un angolo e piangevo, oppure fissavo il soffitto. Dopo cinque giorni vennero da me. Entrarono, mi presero per le braccia bloccandomi. Un uomo in camice mi legò al braccio uno strano affare, una specie di manica con un lungo aggeggio in ferro incastrato dentro, con un beccuccio che spuntava fuori. Sentivo il ferro a contatto con la pelle. L’uomo versò poi il contenuto di una boccetta dentro il beccuccio, ed io sentii qualcosa bruciarmi il braccio. Urlai, e le guardie mi trattennero. Dopo un attimo mi avevano levato il bracciale, ed io vidi impresso sulla mia pelle questo numero.” Si tirò su la manica, e sul braccio la sigla X37612 risaltava chiaramente impressa a fuoco. Continuò: “Mi portarono in un'altra stanza. Era grande, molto, ed era suddivisa da una paratia in vetro. Entrammo dietro la paratia, dove c’era una vasca, piena di un’acqua verde. Mi spogliarono, e mi dissero di entrare. Tu ti droghi figliolo?” La domanda improvvisa mi colpì impreparato. “Hem.. No. Cioè, una volta o due mi sono fatto. Ma non ho continuato.” “Che ti sei fatto?” “Allucinogeni.” “Immaginavo. E sono stati momenti tutto sommato belli o brutti?” “Il primo, è stato bello. Il secondo… no. Avevo appena rotto con la mia ragazza e..” “Non voglio sapere niente. Ti basti solo ricordare quel momento. Lo ricordi?” “Si.” Dissi ingoiando a vuoto “si.” “Bene. Quello che hai provato è poco in confronto a quello che ho vissuto io. Non so cosa mi hanno fatto in quella vasca, so solo che se non sono impazzito è stato per puro miracolo. Devo avere sicuramente urlato, oppure era tutto nella mia testa. Non lo so. So solo che in un momento di lucidità, o forse di pazzia, sono saltato fuori e ho cominciato a correre. Non so per quanto ho corso, so solo che quando ho ripreso coscienza ero fuori dal campo, nudo, in pieno inverno. Ero sporco di sangue dalla testa ai piedi, ma non ero ferito…” “E poi?” “E poi niente. E’ tutto qui.” La bottiglia di Golden era finita. E così anche il nostro incontro. Mi alzai, raccolsi l’impermeabile e mi diressi verso la porta. Appena misi la mano sulla maniglia, mi fermai un attimo. “Non chiederlo.” Mi disse l’uomo. “Dio ha messo nelle mani dell’uomo un potere troppo grande, da cui è stato alla fine distrutto: il potere di vita o di morte sugli altri uomini. Tornatene a casa, bacia la tua ragazza e spera che duri, figliolo. Tu non sei mai stato qui stasera. Addio.” Strinsi i denti e girai la maniglia della porta, uscendo fuori nel vicolo. Mi infilai l’impermeabile e mi diressi verso casa. Mentre camminavo nelle viette il mio cervello era fermo: ancora non riuscivo bene a capire il significato di tutto quello che avevo sentito. Appena uscii nel viale, presi una boccata d’aria ed allargai le braccia. Non pioveva più, e stava albeggiando. Mi pareva come di essere uscito da un sogno, o qualcosa di simile. Un edicolante stava aprendo in quel momento, all’angolo della strada. Mi avvicinai e comprai un giornale: ovviamente uno approvato dal ministero per la censura. C’era scritta la data in alto a sinistra: 2 gennaio 2086. In prima pagina, come al solito, regnava preponderante un’immagine del Nostro Padre Comunitario, il Presidente. Il titolo recitava a caratteri cubitali: GLI INFEDELI PERDONO TERRENO IN IRAQ. LA VITTORIA E’ CERTA. La notizia mi rinfrancò. Stavamo portando la civiltà in quel mondo barbarico, anticristiano e terrorista, la grande civiltà del Nostro Padre Comunitario, a cui andava tutta la mia stima. Ma in quel momento, mi ritornarono in mente le parole dell’uomo, scampato alla prigionia di un altro regime. Certo, non c’entrava niente: quello era un regime differente, il nostro era migliore e più giusto.... giusto? Un dubbio mi assalì.
  17. A mio parere non e' una cosa fattibile riscrivere il tutto in un unico stile. Ho sempre avuto la "visione" di fare un minicapitolo per ogni post, come fa GRR Martin nelle sue cronache ogni volta che cambia pg, ma anche questa ora mi pare infattibile: i capitoli risulterebbero tutti troppo piccoli. Direi quindi di chiedere a Kordian come va nel suo lavoro di raccolta e rivista dei post... oppure si potrebbe fare un'altra cosa: Ognuno di noi, piaaaaaaaaaaaaaaaano piaaaaaaaano si riguarda i post che ha scritto e li mette a posto, correggendo errori grammaticali o di scrittura e, dove possibile, collegandoli in maniera piu' consona al post precedente, come se si dovesse continuare il discorso. Infine Kord o chi per lui raccoglie tutto e divide in capitoli. Scegliere una fine, a tutt'oggi, mi pare ancora prematuro, visto che abbiamo molte questioni in sospeso... a meno che non sia una fine per il PRIMO LIBRO PS un'ultima cosa... il portale demoniaco che e' stato aperto nella citta' da dove siamo partiti... non e' ancora stato chiuso! E se non ricordo male i demoni avevano gia' cominciato a crearci un QG per un'invasione alla terra ^^U
  18. Anche io ne ho sentito parlare molto. Hai qualche notizia sulla sua distribuzione qui in italia?
  19. Manzotin

    domanda...

    Questo idiota perdente non capisce una mazza di musica Per rispondere a Squee.. il maestro di Satriani potrebbe essere Fripp?
  20. Mr connery, si vede che hai una sviluppata cultura in campo deandreiano! Io sapevo pero' che Amico Fragile fu scritta dopo una "serata da ubriaco" in una festa per ricchi. Questo e' almeno quello che dice Vasco, prima di cantare suddetta canzone al concerto tributo qualche anno fa, leggendo un documento originale o qualcosa di simile. Se poi Faber decise di dedicarla a Tenco oppure no, questo non lo so
  21. allora vedo di farmi venire qualcosa in mente... mumble...
  22. Manzotin

    San Pietroburgo

    Questo giochillo, discretamente famoso negli ambiti di boardgame, è arrivato sotto le mie infami zampaccie solo sabato scorso, e mi ha subito entusiasmato. Essendo febbriciante nonchè convinto che ben pochi di voi conoscano tale prodotto della mente umana, vado tosto ad illuminare et ispiegare codesto giochio. Siamo alla costruzione di san pietroburgo: vincerà chi e' il miglior costruttore\assoldatore di palazzi e gente al suo seguito, ovvero, chi riuscirà ad ottenere piu' punti vittoria. Il tabellone e' composto da quatto mazzi di carte - Artigiani, Palazzi, Nobili, Carte scambio, rispettivamente dicolore verde, blu, rosso e tricolore. Sotto di essi vi è un casellato rappresentante 16 slot dove rivelare carte, divisi in due file da 8. Come cornice al tabellone, c'e' un pratico segnapunti da 0 a 100 con pedine adeguate rappresentanti ogni giocatore. Ogni giocatore comincia con 25 monete (sono, ovviamente, rubli! ) Ogni carta ha un costo per essere comprata e messa nelle proprie file, e produce qualcosa: gli artigiani producono soldi, i palazzi punti vittoria e i nobili entrambe. Le carte scambio sono carte particolari, da scambiare con una di queste tre tipologie che gia' avete acquistato e posto nelle proprie file (praticamente sono "upgrades"). Al primo turno vengono rivelate 8 carte artigiano dal mazzo apposito, e disposte negli slot della linea piu' in alto. A turno, i giocatori decidono una carta da comprare - pagnadone ovviamente il costo con la propria riserva di soldi - e da mettere tra le propre file. Se si gioca in quattro quindi, alla fine della prima fase avremo - a meno che nessuno ha passato il turno, assai improbabile - 4 carte artigiano ancora rimanenti sul tabellone. Finito questo passaggio si guadagnano le monete che vengono prodotte dagli artigiani che si hanno schierati. Quindi se io compro un artigiano che produce 3 monete pagandolo 5, subito dopo ne riprenderò 3, e lo avro' quindi effettivamente pagato solo 2. L'artigiano che ho comprato, come tutte le carte che si hanno tra le propre fila, rimane schierato davanti a me, e potro' riutilizzare il suo incasso al turno successivo. Ora si passa alla fase successiva: si rimppinzano le carte mancanti nella prima fila (4 nel nostro caso) con le carte Edificio, fino a completarla e quindi a ritornare a 8. Dunque ora avremo sul tabellone 4 artigiani (della fase prima) e 4 edifici (del rimpinzo). Ora si agisce nello stesso modo della fase precedente: si comprano carte e li si agginugono nelle proprie fila. Poi si contano le monete o i punti vittoria, ma solo degli edifici che si hanno. Quindi se ora ho comprato un edificio che mi dà 4 punti vittoria, avanzero' di 4 nel segnapunti, ma non prenderò 3 monete dall'artigiano che ho comprato prima, e che e' ancora schierato davanti a me, ora insieme al palazzo. Io avrei potuto comprare anche un altro artigiano - dei 4 rimanenti nel tabellone - ma avrei potuto riceverne i benefici monetari soltanto al turno successivo. Penultima fase: Nobili. Si rimpinzano le carte mancanti nella fila superiore con le carte Nobile, di nuovo fino a completarla e ad arrivare ad 8. Poi si passa al compraggio ed al conteggio punti dei Nobili, senza Artigiani ed Edifici. Infine Le carte scambio: esse rappresentano upgrades per le 3 tipologie di carte precedenti. Ad esempio si puo' upgradare un legnaiolo (artigiano) a falegnameria, ottenendo molte monete in piu' ai successivo conteggi artigiani. Questa fase non ha conteggio punti. Infine si ricominciano le fasi da quella artigiani, mantenendo pero' le carte che si hanno comprato durante i round precedenti. Noterete quindi che il conteggio e' esponenziale: se io alla prima fase artigiani compro un artigiano, alla prima fase edifici ne compro un altro (avanzato sul tabellone) ed alla prima fase nobili ne compro un terzo... dopo la fase delle carte scambio, ricominciando con la fase artigiani del secondo turno, potro' attingere alle monete di ben 3 artigiani, ottenendo cosi' molti soldi da spendere nelle seccessive fasi. Da notare inoltre che questo gioco e' esente da dadi, e che quindi conta soltanto la propria capacita' di gestire le risorse.
  23. Manzotin

    Live Aid a Milano???

    i Verdena almeno hanno un paio di pezzi che quando li sento alla radio mi fanno dire "figo sto pezzo!". Non e' che li adori
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