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Bille Boo

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  1. Bille Boo ha pubblicato un messaggio in una discussione in House rules e progetti
    Sai che è davvero carina come idea? Ammetto però che preferisco la versione a 6 che quella in cui si moltiplicano.
  2. Articolo di Bille Boo del 14 giugno 2021 Una scena classica di D&D è quella in cui i PG devono trattare con qualcuno (un PNG, un mostro intelligente...) per ottenere qualcosa: uno sconto, un favore, una decisione, un accordo, o semplicemente l’aver salva la vita. È una delle situazioni in cui è più facile che si crei confusione tra giocatore e personaggio. Ideale, quindi, per questa serie di articoli sull’interpretazione di ruolo. Diemme A: “Io non faccio tirare dadi in questi casi. Siamo qui per un gioco di ruolo e il giocatore deve ruolare! Interpreto l’interlocutore e faccio parlare i giocatori: se mi convincono, bene, altrimenti nisba.” Diemme B: “Deve contare il personaggio, non il giocatore. Per questo mi baso solo sui tiri di dado. Se facessi contare ciò che dicono i giocatori finirei per discriminare quelli timidi o con meno abilità oratoria, anche se hanno speso risorse per acquistare le abilità sociali, mentre quello con +0 a Diplomazia/Persuasione del PG ma bravissimo a parlare sarebbe avvantaggiato ingiustamente.” Chi ha ragione? Entrambi, o meglio, nessuno dei due. Cominciamo con un bel sondaggioHo sottoposto un rapido sondaggio sia sul mio profilo Instagram che su un noto gruppo Telegram. Vista la penuria di rispondenti non possiamo attribuire ai risultati nessuna valenza statistica: si fa per parlare e basta. Ecco il sondaggio con i suoi risultati: Come gestite gli incontri interpersonali / sfide sociali (negoziati eccetera) in D&D? Telegram (52 risposte) Instagram (6 risposte) 1) Si tira il dado e conta solo quello: deve contare il personaggio, non il giocatore 4% 33% 2) Si "ruola" e basta (= conta solo il giocatore), niente dadi se non in casi eccezionali 6% 17% 3) Se il giocatore è convincente non serve il dado, altrimenti uso il dado come ripiego 52% 50% 4) Il giocatore deve sia essere convincente lui, sia fare un bel tiro coi dadi, per avere successo 38% 0% In questi sondaggi ho barato, perché la vera risposta (quella che io, nel mio D&D, considero corretta) non è nessuna delle quattro. Molti utenti di Telegram se ne sono accorti e hanno scritto un commento con dei distinguo. Gli approcci più comuni (alternativi o parzialmente alternativi a quelli elencati) sono: Far prevalere la risposta 3 (tirare il dado come ripiego se il giocatore non è convincente di suo) per gli incontri sociali meno importanti, mentre la 1 (solo dado) o la 4 (sia dado che buona oratoria del giocatore) per incontri sociali più importanti. (Ma talvolta usare la risposta 3 comunque, per rule of cool – sappiate che io detesto la rule of cool 😝). Tirare il dado, ma dare un bonus o una penalità al tiro a seconda di quanto è stato convincente il giocatore o di quanto è stata "bella" la sua interpretazione del dialogo. Tirare il dado, ma la CD dipende da quello che il giocatore ha detto, da come ha descritto o interpretato la conversazione (molto simile al punto precedente, ma vicino anche alla risposta per me corretta). Vediamo, adesso, come io raccomando di gestire la questione. Giocatore e personaggio: a ognuno il suoSe avete seguito questa serie, in particolare la parte 2 e la parte 4, avrete capito ormai qual è la funzione del giocatore e quale quella del personaggio, quantomeno in giochi di ruolo affini a D&D. Applichiamo il concetto a questo caso specifico. Il compito del giocatore in un incontro sociale/interpersonale è decidere come il suo PG lo approccia. Ogni aspetto decisionale della faccenda ricade su di lui, non sul dado. In seguito, la funzione del personaggio e delle meccaniche di gioco, dado compreso, è stabilire quanto bene riesce ad attuare quelle decisioni. Ogni aspetto riguardante la performance, la bravura esecutiva (= non decisionale), ricade quindi sul personaggio e non sul giocatore. (Ricordiamoci che il dado va coinvolto solo quando c’è, a giudizio del Diemme, un elemento di incertezza: se l’azione non può ragionevolmente riuscire, o non può ragionevolmente fallire, il dado è inutile. Ne abbiamo già discusso.) Detto brutalmente: L’obiezione del Diemme A.“Ma così si disincentiva la gente a ruolare! Io voglio premiare il role!” — oppure: “Ai bei tempi andati non c’erano tutte queste abilità: nelle scene di dialogo niente dadi, ruolavi e basta!“ Intanto ribadisco che per me, lo sapete, ruolare vuol dire una cosa diversa da recitare parlando in-character, quindi va distinto “ruolare” o “role” da “recitare”. Ma non attacchiamoci alla semantica. Risposta: non si disincentiva la gente a recitare la scena (cosa che può ancora essere fatta senza problemi, se piace), si evita solo di renderlo obbligatorio, che sarebbe una forma di recitazionismo. (Tecnicamente non è neppure del tutto vero che nella Vecchia Scuola i dadi non entrassero in gioco nelle situazioni sociali: c’era una cosa molto interessante chiamata “tiro per la reazione” di cui parleremo molto presto.) Alle corte, comunque: se il regolamento prevede l’esistenza di certe abilità / capacità / competenze per le scene sociali, con il loro bel costo associato nella creazione del personaggio, ignorarle e basta è una fregatura per i giocatori. Se proprio non volete usarle, perlomeno ditelo prima e abolitele con una house rule, permettendo ai giocatori di sostituirle con altro. Io, però, vi consiglio caldamente di usarle: in un GdR è bello poter interpretare un poderoso barbaro anche se in realtà si è mingherlini pesi piuma, ed è altrettanto bello poter interpretare un bardo dalla parlantina sciolta anche se in realtà si è timidi, introversi e privi di qualsiasi raffinatezza oratoria. L’obiezione del Diemme B.“Ma se il personaggio è un abile diplomatico, con Intelligenza e/o Carisma altissimi, grande esperienza sociale eccetera, dovrebbe anche saper scegliere cosa dire meglio di quanto non faccia il giocatore!“ Risposta: può darsi, ma così il gioco non funziona. Esasperare così tanto l’indipendenza del PG rispetto al giocatore porterebbe all’assurdità di personaggi che “giocano da sé” comandati dai dadi, senza che il giocatore faccia niente a parte stare lì a lanciarli. Il giocatore deve essere coinvolto, essere parte attiva di quello che succede, non ridursi a un generatore di numeri casuali a base di carbonio. Come ho ripetuto molte volte, nei giochi di cui parliamo il ruolo del giocatore è prendere le decisioni per il personaggio. Prenderle lui, non farle prendere a un dado o alla scheda in sua vece. Se seguissimo questa obiezione fino in fondo dovremmo anche dire che in combattimento il PG, guerriero esperto e veterano di molte battaglie, sa meglio del giocatore quale nemico conviene attaccare e come: quindi anche quella decisione (chi attacco, da quale posizione, con quale arma?) non sarebbe “giusto” affidarla al giocatore e andrebbe invece legata a un qualche fantomatico tiro di Tattiche di Battaglia del PG. Ben poco divertente, no? In combattimento è il giocatore a decidere chi attaccare, quale arma o incantesimo usare, dove posizionarsi: il PG e le regole servono dopo, per stabilire se ci riesce. Nell’esplorazione è il giocatore a decidere dove andare, cosa perquisire, se cercare trappole oppure no, se aprire o no una certa porta: poi, se è il caso, subentrano la scheda e i dadi. Gli incontri sociali non sono diversi. Al limite, il Diemme può tenere conto dell’esperienza e abilità del PG per fornire informazioni (ricordate questa parte?) al giocatore su quello che il PG ragionevolmente sa. In battaglia potrebbe dirgli “la tua esperienza ti suggerisce che caricare in sella dei lancieri in formazione sia un’idea molto pericolosa” mentre in una situazione sociale potrebbe dirgli “la tua esperienza ti suggerisce che in questo contesto ci si aspetti un approccio molto cortese e formale, senza andare subito al sodo”. All’atto praticoQuando un PG vuole convincere un PNG a fare qualcosa, quindi, non basta che il giocatore dica “provo a persuaderlo”. In quel caso è giusto e doveroso che tu, Diemme, risponda: “sì, ma fammi capire come”. Mentre il giocatore parla, però, ricordati che non devi valutare quanto è bravo a parlare, quanto è convincente il suo modo di esprimersi, né quanto sta “recitando bene” il suo personaggio. Il tuo obiettivo, invece, è capire quali argomentazioni e quale modalità di approccio vuole utilizzare: è questa la parte decisionale. Non considerare che il PG stia ripetendo parola per parola quello che dice il giocatore. Applica, invece, la tecnica che The Angry GM chiama del murky mirror (specchio offuscato): il PG starà usando quegli stessi argomenti e quella stessa “traccia” ma con parole sue, con un’oratoria, una gestualità, un’intonazione, una dialettica che dipenderanno dalla sua scheda e/o dal risultato di un tiro (come previsto dal regolamento). Dice la stessa cosa anche Nerdcoledì: le frasi pronunciate dal giocatore non sono le stesse del personaggio, costituiscono “semplicemente un canovaccio, una linea guida, un riassunto”. Ora, attenzione bene. Le scelte del giocatore (argomentazioni, approccio) ti serviranno, innanzitutto, per stabilire se è necessaria una prova. Se quelle argomentazioni e quell’approccio (di per sé, a prescindere da come il giocatore le ha esposte!) sono tali che è irragionevole / insensato, per il PNG, rifiutarle (questo lo saprai tu, in base a quello che conosci di quel PNG, dei suoi scopi, della sua personalità…) il successo è automatico. Se, viceversa, quelle argomentazioni e/o quell’approccio sono del tutto inadatti a far presa su quel PNG, è automatico l’insuccesso. Non bisogna stupirsi: per ognuno di noi esistono sicuramente richieste / proposte che rifiuterebbe a prescindere da quanto bene vengono comunicate. Se il guardiano è omosessuale, per dire, è inutile che la bella barda procace tenti di sedurlo. Il paladino senza macchia non accetterà mai un tentativo di corromperlo con il denaro, anzi, si offenderà. Eccetera. Se, infine, stabilisci che quelle argomentazioni e quell’approccio possono avere successo ma possono anche fallire, allora potrai usarle per stabilire la difficoltà della prova, cioè la probabilità di successo; nelle edizioni di D&D basate sul d20 system si tratterà di decidere la CD; in D&D 5e, a grandi linee, va bene un 10 se l’impresa è facile, un 15 se è impegnativa, un 20 se è molto difficile. Una volta stabilite queste cose, se un tiro di dado è necessario, richiedilo in base alle regole e usalo per rappresentare quanto bene il PG ha espresso le argomentazioni e l’approccio scelti dal giocatore. Se il risultato è un successo, si sarà espresso in maniera sufficientemente buona. Se è un fallimento, avrà fatto qualche passo falso o non sarà stato all’altezza. Sembra un procedimento semplice ma è facile inciampare. Per esempio: Chiedo gentilmente uno sconto. Buon pomeriggio, buon uomo, vorrebbe farmi la cortesia di un piccolo sconto? Per favore! Queste due frasi, dette dal giocatore, sono equivalenti. Non guardatemi così! Sono del tutto equivalenti. Si richiede direttamente lo sconto, senza argomentazioni particolari a favore, usando come approccio / modalità la gentilezza. Se nel secondo caso siete tentati di dare, quantomeno, un +2 (o una CD più bassa) visto che il giocatore “ha ruolato meglio” trattenetevi, vi prego! (In effetti non ha ruolato meglio.) Buon pomeriggio, messere, che magnifico negozio! I vostri abiti non sfigurerebbero indosso ai migliori cavalieri e alle più belle dame del reame. Non ho mai veduto niente di così bello! Io sono solo un umile avventuriero, purtroppo, e non credo di potermi permettere tanta bellezza, ma mi sforzerò di dimostrarmi all’altezza se mi concederete un piccolo sconto. Ecco: qui, a voler essere buoni, si può ravvisare un elemento in più che è l’adulazione. Se il negoziante è sensibile all’adulazione (non è detto che lo sia) questo diverso approccio potrebbe portare a una difficoltà per la prova un po’ inferiore. Ma attenzione, sarebbe stato esattamente lo stesso se il giocatore avesse detto: Gli faccio i complimenti per il negozio e per le merci, e vedo se mi fa lo sconto. Continua altroveQuello degli incontri sociali / interpersonali è un argomento immenso e lo abbiamo appena scalfito. Ma qui mi premeva affrontarlo solo dal lato dell’interpretazione di ruolo. Per chi è interessato agli aspetti più tecnici e meccanici della questione, c'è una mini-serie a parte in cui presento le proposte di due grandi autori e poi, modestamente, la mia, cioè come io gestisco (da un po’ di tempo a questa parte) questo tipo di incontri al mio tavolo. Intanto, qui finisce la mia serie sull’interpretazione di ruolo. Vi è piaciuta? Ho tralasciato qualcosa? Link all'articolo originale https://dietroschermo.wordpress.com/2021/06/14/interpersonale-1-a-0-guida-allinterpretazione-parte-5/ Link agli altri articoli della serie Guida all'Interpretazione #1: Bando al Recitazionismo Guida all'Interpretazione #2: Psicosofia del Ruolare Guida all'Interpretazione #3: Renza & Co Guida all'Interpretazione #4: Ci vuole un genio
  3. Gli incontri sociali / di negoziato sono un tipico terreno di discussioni sulla dicotomia giocatore-vs-personaggio, e interpretazione-vs-dadi. Ecco una semplice proposta per risolverle. Articolo di Bille Boo del 14 giugno 2021 Una scena classica di D&D è quella in cui i PG devono trattare con qualcuno (un PNG, un mostro intelligente...) per ottenere qualcosa: uno sconto, un favore, una decisione, un accordo, o semplicemente l’aver salva la vita. È una delle situazioni in cui è più facile che si crei confusione tra giocatore e personaggio. Ideale, quindi, per questa serie di articoli sull’interpretazione di ruolo. Diemme A: “Io non faccio tirare dadi in questi casi. Siamo qui per un gioco di ruolo e il giocatore deve ruolare! Interpreto l’interlocutore e faccio parlare i giocatori: se mi convincono, bene, altrimenti nisba.” Diemme B: “Deve contare il personaggio, non il giocatore. Per questo mi baso solo sui tiri di dado. Se facessi contare ciò che dicono i giocatori finirei per discriminare quelli timidi o con meno abilità oratoria, anche se hanno speso risorse per acquistare le abilità sociali, mentre quello con +0 a Diplomazia/Persuasione del PG ma bravissimo a parlare sarebbe avvantaggiato ingiustamente.” Chi ha ragione? Entrambi, o meglio, nessuno dei due. Cominciamo con un bel sondaggioHo sottoposto un rapido sondaggio sia sul mio profilo Instagram che su un noto gruppo Telegram. Vista la penuria di rispondenti non possiamo attribuire ai risultati nessuna valenza statistica: si fa per parlare e basta. Ecco il sondaggio con i suoi risultati: Come gestite gli incontri interpersonali / sfide sociali (negoziati eccetera) in D&D? Telegram (52 risposte) Instagram (6 risposte) 1) Si tira il dado e conta solo quello: deve contare il personaggio, non il giocatore 4% 33% 2) Si "ruola" e basta (= conta solo il giocatore), niente dadi se non in casi eccezionali 6% 17% 3) Se il giocatore è convincente non serve il dado, altrimenti uso il dado come ripiego 52% 50% 4) Il giocatore deve sia essere convincente lui, sia fare un bel tiro coi dadi, per avere successo 38% 0% In questi sondaggi ho barato, perché la vera risposta (quella che io, nel mio D&D, considero corretta) non è nessuna delle quattro. Molti utenti di Telegram se ne sono accorti e hanno scritto un commento con dei distinguo. Gli approcci più comuni (alternativi o parzialmente alternativi a quelli elencati) sono: Far prevalere la risposta 3 (tirare il dado come ripiego se il giocatore non è convincente di suo) per gli incontri sociali meno importanti, mentre la 1 (solo dado) o la 4 (sia dado che buona oratoria del giocatore) per incontri sociali più importanti. (Ma talvolta usare la risposta 3 comunque, per rule of cool – sappiate che io detesto la rule of cool 😝). Tirare il dado, ma dare un bonus o una penalità al tiro a seconda di quanto è stato convincente il giocatore o di quanto è stata "bella" la sua interpretazione del dialogo. Tirare il dado, ma la CD dipende da quello che il giocatore ha detto, da come ha descritto o interpretato la conversazione (molto simile al punto precedente, ma vicino anche alla risposta per me corretta). Vediamo, adesso, come io raccomando di gestire la questione. Giocatore e personaggio: a ognuno il suoSe avete seguito questa serie, in particolare la parte 2 e la parte 4, avrete capito ormai qual è la funzione del giocatore e quale quella del personaggio, quantomeno in giochi di ruolo affini a D&D. Applichiamo il concetto a questo caso specifico. Il compito del giocatore in un incontro sociale/interpersonale è decidere come il suo PG lo approccia. Ogni aspetto decisionale della faccenda ricade su di lui, non sul dado. In seguito, la funzione del personaggio e delle meccaniche di gioco, dado compreso, è stabilire quanto bene riesce ad attuare quelle decisioni. Ogni aspetto riguardante la performance, la bravura esecutiva (= non decisionale), ricade quindi sul personaggio e non sul giocatore. (Ricordiamoci che il dado va coinvolto solo quando c’è, a giudizio del Diemme, un elemento di incertezza: se l’azione non può ragionevolmente riuscire, o non può ragionevolmente fallire, il dado è inutile. Ne abbiamo già discusso.) Detto brutalmente: L’obiezione del Diemme A.“Ma così si disincentiva la gente a ruolare! Io voglio premiare il role!” — oppure: “Ai bei tempi andati non c’erano tutte queste abilità: nelle scene di dialogo niente dadi, ruolavi e basta!“ Intanto ribadisco che per me, lo sapete, ruolare vuol dire una cosa diversa da recitare parlando in-character, quindi va distinto “ruolare” o “role” da “recitare”. Ma non attacchiamoci alla semantica. Risposta: non si disincentiva la gente a recitare la scena (cosa che può ancora essere fatta senza problemi, se piace), si evita solo di renderlo obbligatorio, che sarebbe una forma di recitazionismo. (Tecnicamente non è neppure del tutto vero che nella Vecchia Scuola i dadi non entrassero in gioco nelle situazioni sociali: c’era una cosa molto interessante chiamata “tiro per la reazione” di cui parleremo molto presto.) Alle corte, comunque: se il regolamento prevede l’esistenza di certe abilità / capacità / competenze per le scene sociali, con il loro bel costo associato nella creazione del personaggio, ignorarle e basta è una fregatura per i giocatori. Se proprio non volete usarle, perlomeno ditelo prima e abolitele con una house rule, permettendo ai giocatori di sostituirle con altro. Io, però, vi consiglio caldamente di usarle: in un GdR è bello poter interpretare un poderoso barbaro anche se in realtà si è mingherlini pesi piuma, ed è altrettanto bello poter interpretare un bardo dalla parlantina sciolta anche se in realtà si è timidi, introversi e privi di qualsiasi raffinatezza oratoria. L’obiezione del Diemme B.“Ma se il personaggio è un abile diplomatico, con Intelligenza e/o Carisma altissimi, grande esperienza sociale eccetera, dovrebbe anche saper scegliere cosa dire meglio di quanto non faccia il giocatore!“ Risposta: può darsi, ma così il gioco non funziona. Esasperare così tanto l’indipendenza del PG rispetto al giocatore porterebbe all’assurdità di personaggi che “giocano da sé” comandati dai dadi, senza che il giocatore faccia niente a parte stare lì a lanciarli. Il giocatore deve essere coinvolto, essere parte attiva di quello che succede, non ridursi a un generatore di numeri casuali a base di carbonio. Come ho ripetuto molte volte, nei giochi di cui parliamo il ruolo del giocatore è prendere le decisioni per il personaggio. Prenderle lui, non farle prendere a un dado o alla scheda in sua vece. Se seguissimo questa obiezione fino in fondo dovremmo anche dire che in combattimento il PG, guerriero esperto e veterano di molte battaglie, sa meglio del giocatore quale nemico conviene attaccare e come: quindi anche quella decisione (chi attacco, da quale posizione, con quale arma?) non sarebbe “giusto” affidarla al giocatore e andrebbe invece legata a un qualche fantomatico tiro di Tattiche di Battaglia del PG. Ben poco divertente, no? In combattimento è il giocatore a decidere chi attaccare, quale arma o incantesimo usare, dove posizionarsi: il PG e le regole servono dopo, per stabilire se ci riesce. Nell’esplorazione è il giocatore a decidere dove andare, cosa perquisire, se cercare trappole oppure no, se aprire o no una certa porta: poi, se è il caso, subentrano la scheda e i dadi. Gli incontri sociali non sono diversi. Al limite, il Diemme può tenere conto dell’esperienza e abilità del PG per fornire informazioni (ricordate questa parte?) al giocatore su quello che il PG ragionevolmente sa. In battaglia potrebbe dirgli “la tua esperienza ti suggerisce che caricare in sella dei lancieri in formazione sia un’idea molto pericolosa” mentre in una situazione sociale potrebbe dirgli “la tua esperienza ti suggerisce che in questo contesto ci si aspetti un approccio molto cortese e formale, senza andare subito al sodo”. All’atto praticoQuando un PG vuole convincere un PNG a fare qualcosa, quindi, non basta che il giocatore dica “provo a persuaderlo”. In quel caso è giusto e doveroso che tu, Diemme, risponda: “sì, ma fammi capire come”. Mentre il giocatore parla, però, ricordati che non devi valutare quanto è bravo a parlare, quanto è convincente il suo modo di esprimersi, né quanto sta “recitando bene” il suo personaggio. Il tuo obiettivo, invece, è capire quali argomentazioni e quale modalità di approccio vuole utilizzare: è questa la parte decisionale. Non considerare che il PG stia ripetendo parola per parola quello che dice il giocatore. Applica, invece, la tecnica che The Angry GM chiama del murky mirror (specchio offuscato): il PG starà usando quegli stessi argomenti e quella stessa “traccia” ma con parole sue, con un’oratoria, una gestualità, un’intonazione, una dialettica che dipenderanno dalla sua scheda e/o dal risultato di un tiro (come previsto dal regolamento). Dice la stessa cosa anche Nerdcoledì: le frasi pronunciate dal giocatore non sono le stesse del personaggio, costituiscono “semplicemente un canovaccio, una linea guida, un riassunto”. Ora, attenzione bene. Le scelte del giocatore (argomentazioni, approccio) ti serviranno, innanzitutto, per stabilire se è necessaria una prova. Se quelle argomentazioni e quell’approccio (di per sé, a prescindere da come il giocatore le ha esposte!) sono tali che è irragionevole / insensato, per il PNG, rifiutarle (questo lo saprai tu, in base a quello che conosci di quel PNG, dei suoi scopi, della sua personalità…) il successo è automatico. Se, viceversa, quelle argomentazioni e/o quell’approccio sono del tutto inadatti a far presa su quel PNG, è automatico l’insuccesso. Non bisogna stupirsi: per ognuno di noi esistono sicuramente richieste / proposte che rifiuterebbe a prescindere da quanto bene vengono comunicate. Se il guardiano è omosessuale, per dire, è inutile che la bella barda procace tenti di sedurlo. Il paladino senza macchia non accetterà mai un tentativo di corromperlo con il denaro, anzi, si offenderà. Eccetera. Se, infine, stabilisci che quelle argomentazioni e quell’approccio possono avere successo ma possono anche fallire, allora potrai usarle per stabilire la difficoltà della prova, cioè la probabilità di successo; nelle edizioni di D&D basate sul d20 system si tratterà di decidere la CD; in D&D 5e, a grandi linee, va bene un 10 se l’impresa è facile, un 15 se è impegnativa, un 20 se è molto difficile. Una volta stabilite queste cose, se un tiro di dado è necessario, richiedilo in base alle regole e usalo per rappresentare quanto bene il PG ha espresso le argomentazioni e l’approccio scelti dal giocatore. Se il risultato è un successo, si sarà espresso in maniera sufficientemente buona. Se è un fallimento, avrà fatto qualche passo falso o non sarà stato all’altezza. Sembra un procedimento semplice ma è facile inciampare. Per esempio: Chiedo gentilmente uno sconto. Buon pomeriggio, buon uomo, vorrebbe farmi la cortesia di un piccolo sconto? Per favore! Queste due frasi, dette dal giocatore, sono equivalenti. Non guardatemi così! Sono del tutto equivalenti. Si richiede direttamente lo sconto, senza argomentazioni particolari a favore, usando come approccio / modalità la gentilezza. Se nel secondo caso siete tentati di dare, quantomeno, un +2 (o una CD più bassa) visto che il giocatore “ha ruolato meglio” trattenetevi, vi prego! (In effetti non ha ruolato meglio.) Buon pomeriggio, messere, che magnifico negozio! I vostri abiti non sfigurerebbero indosso ai migliori cavalieri e alle più belle dame del reame. Non ho mai veduto niente di così bello! Io sono solo un umile avventuriero, purtroppo, e non credo di potermi permettere tanta bellezza, ma mi sforzerò di dimostrarmi all’altezza se mi concederete un piccolo sconto. Ecco: qui, a voler essere buoni, si può ravvisare un elemento in più che è l’adulazione. Se il negoziante è sensibile all’adulazione (non è detto che lo sia) questo diverso approccio potrebbe portare a una difficoltà per la prova un po’ inferiore. Ma attenzione, sarebbe stato esattamente lo stesso se il giocatore avesse detto: Gli faccio i complimenti per il negozio e per le merci, e vedo se mi fa lo sconto. Continua altroveQuello degli incontri sociali / interpersonali è un argomento immenso e lo abbiamo appena scalfito. Ma qui mi premeva affrontarlo solo dal lato dell’interpretazione di ruolo. Per chi è interessato agli aspetti più tecnici e meccanici della questione, c'è una mini-serie a parte in cui presento le proposte di due grandi autori e poi, modestamente, la mia, cioè come io gestisco (da un po’ di tempo a questa parte) questo tipo di incontri al mio tavolo. Intanto, qui finisce la mia serie sull’interpretazione di ruolo. Vi è piaciuta? Ho tralasciato qualcosa? Link all'articolo originale https://dietroschermo.wordpress.com/2021/06/14/interpersonale-1-a-0-guida-allinterpretazione-parte-5/ Link agli altri articoli della serie Guida all'Interpretazione #1: Bando al Recitazionismo Guida all'Interpretazione #2: Psicosofia del Ruolare Guida all'Interpretazione #3: Renza & Co Guida all'Interpretazione #4: Ci vuole un genio Visualizza articolo completo
  4. Bille Boo ha pubblicato un messaggio in una discussione in Dungeons & Dragons
    Ah, va bene, non ero a conoscenza di questo contesto. Anche su questo la penso del tutto all'opposto, ma a questo punto direi che le divergenze si spiegano 🙂
  5. Bille Boo ha pubblicato un messaggio in una discussione in Dungeons & Dragons
    Francamente la penso in modo opposto. Trovo molto interessanti i mostri che colpiscono qualcosa di diverso dai punti ferita, e gli incontri che hanno conseguenze di lungo termine, non ripristinabili con una mera notte di sonno. Naturalmente non avrebbe senso fare così tutti gli incontri, ma uno ogni tanto è un balsamo. Stimola anche i giocatori ad approcciarlo in modo diverso da solito, con più cautela e tattiche nuove. Trovo anche molto carina l'idea che alcuni mostri siano una sorta di "risposta evolutiva" della natura (per quanto mostruosa e fantastica) alla presenza dei dungeon e degli avventurieri. Il rugginofago, ma anche il cubo gelatinoso e il classico mimic, rientrano in questa categoria. L'intellect devourer non l'ho mai usato, su di lui non mi esprimo.
  6. @Edmund mi sembrano osservazioni molto sensate! Sono cose che ho notato anch'io. La dicotomia di cui parli, tra "open world" e "un'avventura alla volta", mi ricorda quelli che una volta, scherzosamente, ho chiamato "metodo di Ugo" e "metodo di Emma". Sono entrambi approcci validi, e ha assolutamente senso che i PG di un gruppo coeso abbiano una ragione pratica per stare insieme (si può anche lasciare che siano i giocatori a deciderla, volendo). Al momento sto masterando una campagna online abbastanza "open world" e una in presenza molto orientata su "un'avventura alla volta" (è proprio un collage di moduli).
  7. Questa però non mi sembra una questione di ambientazione, piuttosto di modo di giocare, struttura del gioco. Quelli di cui hai parlato prima, invece, sono perlopiù problemi sociali, che vanno ben al di là del gioco. In assenza di problemi sociali "patologici", che si trovino compromessi tra le diverse preferenze, parlandone apertamente, lo trovo normale e assolutamente positivo. 🙂
  8. Quando sono giocatore, modifiche trasparenti alle regole, anche multiple e ripetute, mi vanno benissimo; che il GM "bari" o comunque "aggiusti le cose" dietro le quinte (per me o per qualcun altro al tavolo) è una cosa che non accetto in alcun modo. Inoltre, da giocatore, ci tengo che giochiamo tutti insieme lo stesso gioco (anche il master), e da master voglio giocare insieme ai miei giocatori, non essere quello che escogita mille trucchi per "tenere insieme" gli altri.
  9. Seguono le mie opinioni con chiave di colore: assurdità totale, assurdità moderata, ha parzialmente senso, ha totalmente senso. Gioco o storia. Non la vedo come una dicotomia. La storia è frutto del gioco. Giocare e "narrare" non sono in contrasto. Fantastico o realistico. Detesto sia la "regola della figaggine" che la pretesa di "realismo". Il mio modo di concepire il fantastico non c'entra nulla con la rule of cool. Dicotomia non chiara in cui non mi ritrovo. Eroi di tutti i giorni o supereroi. In realtà può benissimo capitare che non si sia né l'una né l'altra cosa (nella mia esperienza è il caso più comune); ma almeno questa mi pare una dicotomia sensata, a modo suo. Classi dei personaggi bilanciate o sbilanciate. Da dove cominciare? Ci sono GdR che non hanno nemmeno le classi. "Bilanciamento" può voler dire mille cose diverse. Altra dicotomia fumosa in cui non mi ritrovo. Vecchia scuola o nuova. Dicotomia tagliata con l'accetta, sono sempre esistite più "scuole" e più culture di gioco in parallelo. Per me non ha proprio senso. Gioco di gruppo o solitario. L'unica dicotomia del tutto chiara e sensata come tale. E la mia preferenza va nettamente al gioco di gruppo. Magia o tecnologia. Questa è buffissima: l'autore la enuncia e poi come unica descrizione c'è l'ammissione che non ha senso. Combattimento come sport o guerra. Abbastanza sensata come distinzione, anche se si applica solo ad alcuni GdR. Tendo a preferire "come guerra" ma è un discorso che va messo nel contesto o si rischia di non capirsi. Background semplici o elaborati. Stiamo parlando di quello che il gioco richiede per funzionare, o del fatto di scriversi più o meno backstory per piacere personale o inclinazione personale? Sono due robe diverse. Per me non è questione di "stile". Preferisco i background semplici ma non metto limiti a chi gioca con me, basta che non si aspetti che io mi debba leggere paginate di roba non richiesta per poi sforzarmi, io, di includerla nel gioco. GM arbitro o dio. Detta così sembra una roba assurda (la "divinizzazione" della figura del GM è qualcosa che reputo tossico). Ma per come è descritta non è affatto una dicotomia, le due cose non sono in opposizione. Si può avere il ruolo di creare e interpretare il mondo di gioco, e anche il ruolo di arbitro delle regole: in molti GdR D&D-like è così. GM o giocatori. Detta male, perché intende "GM in competizione coi giocatori oppure no". E, boh, a me sembra ovvio che la risposta sia no. Cacciatori di tesori o soldati divini. Anche qui ci sta bene un bel "né l'uno né l'altro". Non è una dicotomia binaria, sono due opzioni tra le mille possibili. Livello di magia alto o basso. Ah, ogni tanto una dicotomia che ha leggermente senso. Ma non ho preferenze: mi piacciono entrambe le cose. Tolkien sì o Tolkien no. Ma che dicotomia è? Giochi di dadi o giochi di ruolo. Non la vedo come una dicotomia e penso che tutto il discorso "role play vs roll play" sia solo un pregiudizio duro a morire; dicesi anche Stormwind Fallacy. Partecipazione indiretta o recitazione di un ruolo. La "recitazione" non ha nulla a che vedere col GdR per come lo intendo io. Ma quella descritta qui non è recitazione: sono due modi diversi di prendere decisioni per il personaggio. E la mia risposta è: non ha importanza (e ne esistono molti altri oltre a questi due; quindi, di nuovo, non è una vera dicotomia). Maniaci del regolamento o regola zero. Le due cose non si escludono. Semmai, maniaci del regolamento vs rule of cool (e a quel punto meglio i maniaci tutta la vita, per me). La regola zero è un'altra cosa, o meglio, un insieme di altre cose che vengono mischiate insieme spesso senza capirle.
  10. C'erano degli esempi? Perché che una certa cosa possa essere fatta solo avendo un certo punteggio minimo di Int o Sag, di per sé, non lo vedrei come problematico, allo stesso modo di un requisito minimo di For per sollevare un peso o portare una certa armatura. Bisogna però vedere se si parla di prestazione, cioè di capacità di riuscire in qualcosa (es. ci vuole almeno Int 13 per decifrare questo codice segreto) o di comportamenti / decisioni da prendere (es. con Sag 8 se uno ti provoca devi buttarti a testa bassa anche se è più forte di te). Non vedrei problemi nel primo, ma nel secondo sì. Comunque sono d'accordo con te! Poi sui manuali di D&D, da sempre, sono state scritte cose che trovo utilissime e cose che trovo sciocchezze 😅 bisogna inevitabilmente scremare
  11. Intervengo solo per ribadire che è legittimo e anche bello avere ognuno le sue preferenze su queste cose. L'articolo non cerca di negare questo, ma solo di scoraggiare dal parlarne in termini assoluti, tipo "fare così è ruolare bene, fare cosà è ruolare male", o addirittura "fare cosà non è vero gioco di ruolo". Tutto qui. Per il resto, breve osservazione: se il cervello dei giocatori non lavorasse mai, i giocatori non servirebbero a niente, se non a tirare dadi, e il PG "si giocherebbe da solo". Invece, visto che questi sono giochi e siamo noi che li giochiamo, i giocatori umani sono indispensabili. E' il giocatore che decide com'è e chi è il proprio PG, e lo decide indirettamente (quindi, in un certo senso, lo scopre anche lui) prendendo decisioni per lui. Ci sono delle regole da rispettare, ovviamente, e c'è un patto sociale con le altre persone, ma al loro interno ogni decisione è lecita. Anche stabilire quali cose vogliamo delegare al dado (es.: se il mio attacco va a segno o no) e quali cose al libero arbitrio del giocatore (es. quale nemico attacco: lo decido io, non lo decide un tiro, benché sia il PG e non io a trovarsi nella situazione, e benché il PG verosimilmente se ne intenda molto più di me di tattiche di battaglia) è una scelta di design del nostro gioco. Non c'è un modo giusto o sbagliato in assoluto, di tracciare questo confine. Ma lo spazio per il cervello autonomo del giocatore non può essere zero.
  12. Mi puoi fare un esempio di situazione che ti è capitata in cui questi conti non tornavano? Per capire cosa intendi. Capisco, è una posizione legittima e ti ringrazio di averla espressa così chiaramente. Non mi trovo d'accordo ("come oltrepassare questa serie di forze nemiche" è a tutti gli effetti un enigma, per me, o comunque trovo la differenza eccessivamente sottile), ma queste sono posizioni personali, ognuno decide dove mettere il confine nel suo gioco e tu l'hai ben chiaro. Direi che, se la si pensa come te, basta rendere l'enigma un tiro (o una serie di tiri): a quel punto il sistema è allineato con la visione e non ci sono problemi. @Casa credo che tu abbia afferrato bene quello che volevo dire. Sulla differenza tra un GdR e un gioco da tavolo non di ruolo se vuoi poi ci torniamo
  13. In quest'ottica, però, non diventa "metagioco", e quindi un "problema", qualunque situazione in cui i giocatori prendono una decisione per il personaggio usando la propria testa? D'altronde, se il giocatore non prendesse mai una decisione ma si limitasse a tirare dei dadi e seguire delle prescrizioni predefinite, a cosa servirebbe il giocatore stesso? Starebbe davvero giocando? Il modo di essere del personaggio per me è un output della giocata, non un input. Comunque va benissimo che tu abbia delle preferenze tra gli approcci 1,2,3,4,5,6: ce le ho anch'io, è normale. Il punto dell'articolo non è che sia sbagliato avere preferenze, è che sia sbagliato dire che alcuni di quegli approcci "sono ruolare male" o "non sono vero gioco di ruolo".
  14. Il mio punto è proprio che non si può "barare": là dove si usa effettivamente una caratteristica mentale (es. tiro salvezza su Sag), si segue la matematica del gioco, e il giocatore non può usare "la propria caratteristica" al suo posto; mentre se qualcosa va risolto prendendo decisioni, e quindi usando la testa del giocatore (come l'enigma qui citato), ricade evidentemente al di fuori da quello che la caratteristica mentale rappresenta, per cui non si può affermare che una caratteristica mentale bassa indicherebbe che il PG non è in grado di fare quella cosa.
  15. Qual è il rapporto tra le caratteristiche mentali del PG e la sua interpretazione? Ecco un'altra questione oggetto di grandi discussioni e forti pregiudizi. Articolo di Bille Boo del 10 Maggio 2021 Un gruppo di PG di D&D è alle prese con un enigma: una combinazione di leve da tirare, non riguarda la storia precedente. Il giocatore Pino interpreta l’orco Glog, con Int 6 e Sag 9. Ma Pino ha capito la soluzione dell’enigma. Cosa dovrebbe fare? Ripartiamo da qui per questa mia serie sull’interpretazione del personaggio. Da qui, e da un rudimentale sondaggio che ho fatto su questo argomento. Il sondaggioEssendo stato fatto tra i tre gatti che mi seguono su Instagram, questo sondaggio lascia ovviamente il tempo che trova e non rappresenta nient’altro se non uno spunto di discussione. Dopo aver esposto la situazione di Pino con il suo PG Glog (vedi sopra) ho presentato una serie di possibili approcci da parte sua, chiedendo alla community, per ciascuno, se avrebbe ruolato bene o male. Ecco i risultati. # Approccio "Sta ruolando bene" "Sta ruolando male" 1 Pino sta zitto e tiene la soluzione per sé. Pensa che Glog sia stupido e che trovare la soluzione non si attagli al personaggio. 78% 22% 2 Pino, fuori dal personaggio, comunica agli altri giocatori la soluzione. In gioco potranno fingere che a trovarla sia stato un PG più intelligente di Glog. 46% 54% 3 Pino dice la soluzione per bocca di Glog, come se l’avesse trovata Glog. 42% 58% 4 Pino fa fare a Glog la mossa giusta, ma con un pretesto narrativo che gli sembra divertente, es. fa che si appoggia distrattamente alla leva giusta mentre si stiracchia perplesso. 92% 8% 5 Pino fa dire la soluzione a Glog ma inventa sul momento una storia per giustificare che la sappia; ad esempio dicendo che un’anziana della sua tribù gli raccontava sempre una storia simile. 89% 11% 6 Pino non fa trovare la soluzione a Glog né la dice fuori dal personaggio, ma cerca di dare indizi ai compagni facendolo comportare in un certo modo (stupido ma allusivo). 91% 9% Approcci variegati, come vedete. Una maggioranza schiacciante approva l’uso di qualche escamotage per salvare capra e cavoli. La maggior parte dei rispondenti sembra pensare che far dire la soluzione a Glog, o comunicarla agli altri off-game, siano un “cattivo” ruolare: sembra che stare zitto del tutto sia giudicato comunque preferibile rispetto a fare ciò. Di cosa parliamo veramenteFacciamo un attimo mente locale. Stiamo parlando di giochi di ruolo come D&D, in cui c’è questo meccanismo di base: Il Diemme descrive una situazione. Il giocatore decide cosa vuole fare il suo personaggio. In base alle regole si stabilisce se ce la fa. Il Diemme narra le conseguenze e così via. Lo abbiamo detto anche nell’articolo Psicosofia del ruolare, sempre di questa serie. Se ve lo ricordate, ricorderete questa immagine: Ora, è chiaro a tutti che i punteggi di caratteristica (fisici e mentali) fanno parte delle meccaniche di gioco (secondo blocco dello schema), quindi si usano nella parte di risoluzione, secondo le regole, per stabilire se il personaggio riesce a fare quello che il giocatore ha deciso che faccia. Se parliamo di interpretazione delle caratteristiche mentali, però, ci stiamo chiedendo un’altra cosa: ci stiamo chiedendo se, quanto e come quei punteggi dovrebbero incidere sulla decisione stessa del giocatore (cioè sul primo blocco dello schema). Succede a tutti… ma non dovrebbeLe caratteristiche mentali sono particolarmente soggette al mito (sbagliato) per cui se il personaggio ha determinati punteggi devi farlo scegliere, agire, parlare, pensare necessariamente in un dato modo. Ci sono passato: è capitato anche a me, molti anni fa, quando iniziavo a masterare, di dire ai giocatori cose come “il tuo personaggio non può avere quell’idea, ha Int troppo bassa”, o “il tuo personaggio non parlerebbe in questo modo, ha il Car troppo basso”, o “stai facendo un personaggio troppo imprudente per quella Sag alta che ti ritrovi!”, eccetera. Ho capito dopo che era una sciocchezza. Purtroppo tuttora mi imbatto in post o video che spiegano “come ruolare” le caratteristiche mentali, e arrivano al punto di consigliare: “studiati questo / preparati quello se vuoi fare un personaggio di alta Int!”, “se il tuo personaggio ha basso Car fallo parlare / atteggiare così”, eccetera. Chiariamo bene: non è che sia sbagliato da parte di uno specifico giocatore declinare così la propria interpretazione del personaggio: è solo un modo come un altro. Quello che è sbagliato è ritenerlo necessario e quindi, indirettamente, ritenere che chi non lo fa sta giocando male. Lo riconoscete? È il nostro vecchio nemico, il recitazionismo. Come funzionaIl compito del giocatore, abbiamo detto, è prendere decisioni per il personaggio. Nel farlo non è tenuto a vincolarsi in alcun modo ai punteggi di caratteristica. Solo, sarà informato di quei punteggi (ricordate quest’altra immagine?) e terrà conto dell’effetto numerico che potrebbero avere su eventuali prove: questa è l’unica incidenza, indiretta, che i punteggi devono avere sulla sua interpretazione. Quindi, nel prendere decisioni per il mio PG con Int 8, devo semplicemente tenere presente che, se ciò che farò comporterà una prova di Int, avrò una forte penalità rispetto a un personaggio con Int 20. A parte questo, non sono tenuto a fare o dire niente di diverso da quello che farei o direi se avesse Int 20. Ma allora le caratteristiche non significano nulla?Certo che significano qualcosa, e di molto forte, anche: stabiliscono infatti, in base alle regole, quello che il personaggio può riuscire a fare, o almeno la sua probabilità di riuscire a farlo, nei loro rispettivi ambiti. Ricordiamoci che il compito del giocatore non è descrivere cosa il personaggio fa, bensì che cosa vuole fare o cerca di fare. Poi saranno le regole (coinvolgendo i punteggi) a stabilire se ci riesce. Finché rimaniamo nell’ambito oggettivo di quello che il personaggio può fare (di come, cioè, può agire influenzando concretamente il mondo intorno a lui) le caratteristiche contano tantissimo: se un personaggio con For 8 non può sollevare 100 kg, non può farlo e basta. Ma avere 8 in Intelligenza non mi impedisce di tentare di fare cose che la richiedono, esattamente come avere 8 in Forza non mi impedisce di provare a buttar giù una porta. Tra l’altro (diceva giustamente bobon123 qui su Dragons’ Lair) se ho un personaggio con poco Carisma e a causa di questo, quando interagisco con PNG, lo faccio comportare apposta in modo inappropriato e scortese è come se stessi “contando la stessa penalità due volte”: la difficoltà di interazione del PG sarà già incorporata nel malus alla prova, non è necessario aggravarla approcciando la prova in modo volutamente negativo. Per il mio PG con Int bassissima posso prendere le decisioni che voglio. Anche decisioni intelligenti, e ci mancherebbe! Le conseguenze di tali decisioni saranno poi arbitrate dal DM in base alle regole, il che potrebbe coinvolgere delle prove di Int. Se i ripetuti fallimenti in quelle prove mi indurranno, in futuro, a prendere decisioni diverse che non coinvolgono l’Int… ecco il miracolo: il sistema avrà ripristinato da solo la propria coerenza. Perché la coerenza dei PG è una loro proprietà emergente: ormai lo sappiamo, no? E Pino? E Glog?Credo che sia chiaro, a questo punto, che in tutte e sei le domande del sondaggio la mia risposta è sempre che Pino sta ruolando bene. Ogni volta che il Diemme costruisce una situazione che può essere risolta attraverso decisioni intraprese, senza richiedere tiri di dado, quella situazione è una sfida al giocatore e non al personaggio. Proprio perché prendere le decisioni è il compito del giocatore. È il caso della maggior parte degli enigmi e indovinelli che si vedono in giro. Se tu, Diemme, vuoi creare un enigma la cui soluzione sia legata all’Intelligenza dei personaggi, non hai che una strada: fare in modo che richieda un tiro di dado basato su Int (o, al limite, un punteggio passivo basato su Int). Se così non è, significa che la Int del personaggio non c’entra e non puoi lamentarti se il giocatore dell’orco Glog risolve tutto. Sia chiaro che se Pino, per qualunque ragione (legata o meno all’Int), vuole interpretare Glog in un certo modo e prende una decisione volontariamente sub-ottimale, può farlo e nessuno glielo vieta. Infatti non ho detto che è giusto solo l’approccio 3 della tabella. Sono giusti tutti gli approcci. Pino può fare assolutamente come vuole. Quello che è sbagliato è proprio considerare che ci sia un approccio sbagliato. Nel prossimo articolo, conclusione di questa serie, parlerò di incontri interpersonali. Articoli della stessa serie Guida all'Interpretazione #1: Bando al Recitazionismo Guida all'Interpretazione #2: Psicosofia del Ruolare Guida all'Interpretazione #3: Renza & Co Link all'articolo originale Link al testo originale: https://dietroschermo.wordpress.com/2021/05/10/ci-vuole-un-genio-guida-allinterpretazione-parte-4/ Visualizza articolo completo