Vartenia scivolava furtivamente lungo i corridoi, ben attenta a non fare il minimo rumore. I suoi insistenti silenzi ed il mistero del quale si era circondata agli occhi della ragazza non erano stati altro che un trucco per nasconderle la propria crescente preoccupazione. Forse aveva detto troppo al vecchio kissal, o forse no: non era necessario che altre persone rischiassero la loro vita. Alcune cose dovevano necessariamente rimanere segrete, almeno fino a quando non fosse giunto il momento giusto per svelarle. E per alcune di esse tale momento poteva non giungere mai.
Si fermò all'improvviso, avvertendo qualcosa al di là delle solide pareti.
Si concentrò, isolando ogni cosa lì intorno ed estendendo i propri sensi al di là dei muri più vicini, fin dove poteva arrivare: udì dei passi di corsa ed uno sferragliare di armature, nient'altro.
La ragazza era al sicuro nella sua stanza. Affrettò il passo, preoccupata. Sapeva bene che non erano al sicuro, nemmeno lì dentro. Ed aveva il forte presentimento di essere stata seguita: se questo fosse stato vero non rimaneva loro nemmeno molto tempo. I Suoi emissari li avrebbero individuati e distrutti, o peggio.
"Lui" non avrebbe perso tempo.
Per questo motivo ogni istante che passavano lì ad Olnemain era sempre più prezioso.
Quando le visioni l'avevano costretta a mettersi alla ricerca dei segni aveva pensato che fosse tutto uno sbaglio. A volte capitava: ciò che lei vedeva non era mai esattamente una copia della realtà, ma soltanto una delle tante possibilità. A volte le visioni nemmeno si avveravano, mostrando semplicemente a tratti ciò che sarebbe potuto accadere, ma che poi alla fine non si avverava.
Ma stavolta…
Aveva trovato pian piano tutti i segni là dove le era stato indicato di cercare ed i peggiori incubi si erano materializzati davanti ai suoi occhi. Quando, alla fine, si era decisa a partire dal Tissen la situazione si era già notevolmente aggravata. Forse già allora era troppo tardi.
Quando la ragazzina le aveva descritto i mostri che l'avevano attaccata, Vartenia si era ricordata di quelle cose con un brivido improvviso. Magari avesse potuto sbagliarsi: aveva viaggiato per mesi in lungo ed in largo per tutte le terre, cogliendo qua e là solo qualche segnale allarmante, alcune volte soltanto voci di strani eventi. Sussurri o presagi. Poi aveva attraversato la carestia, la morte e la follia, ma nemmeno questo le era bastato. Un giorno era arrivata in quel villaggio deserto. Non sapeva che i Suoi schiavi la aspettavano lì da tempo per distruggerla. Erano forme prive di una vera vita, schiave del terribile potere che le aveva plasmate ed insieme frutto nefasto di incubi angosciosi e furtivi, che reclamavano il loro sollievo nella sete di sangue. Erano le stesse cose che avevano attaccato la ragazza. Non poteva sbagliarsi.
Ma era riuscita a scappare anche quella volta, per un pelo. Aveva evitato lo scontro che le sarebbe stato fatale ed aveva imparato che quelle cose andavano temute. Non l'avevano inseguita. Ma ancora non sapeva se non l'avessero fatto perché ancora troppo deboli e disorganizzate, o piuttosto perché quello era solo un avvertimento. Sapeva che la prossima volta che le avesse incontrate non se la sarebbe cavata così facilmente. Poichè c'era potere in loro, un potere che aumentava di giorno in giorno, al pari della follia che le guidava.
Per questo desiderò che la ragazza non fosse mai arrivata, o meglio che non fosse mai nata. Non qui, non adesso, pensò. Eppure era stata costretta dalle visioni a guidare in fretta gli eventi, a preparare il suo arrivo per quanto fosse possibile. Ma il vero problema ora era se sarebbe sopravvissuta a quello che l'attendeva. Nemmeno Vartenia sapeva cosa le sarebbe successo: il futuro era ancora troppo incerto e volubile per poter azzardare una qualsiasi previsione.
Non le rimaneva che fidarsi delle proprie decisioni, pronta ad accettarne le conseguenze: tutte quante, quali che fossero. E non poteva non essere assalita dal rimorso per questo: avrebbe dovuto guidarla, cercare di spiegarle e farle capire… sembrava così debole ed indifesa.
Ma nelle visioni anche in lei c'era qualcosa. Vartenia sospirò… Se soltanto ci fosse stato più tempo per prepararla a ciò che l'attendeva, pensò. Ma non c'era né tempo né modo: la ragazza doveva imparare da sola e affrontare quelle terribili prove senza aiuto.
Era rischioso, ma era l'unico modo per salvarli tutti, compresa lei stessa.
Così le era stato mostrato.
Si inoltrò nell'ultimo corridoio e si diresse alla porta giusta; forse era stata un po' troppo imprudente a lasciare la ragazza sola per tutto quel tempo. Bussò piano, sussurrando appena le parole:
«Sono io. Apri.»
Il chiavistello venne tolto bruscamente dall'interno e la porta si socchiuse.
Lara la stava aspettando da un bel po' di tempo ormai. Dopo essersi rinfrescata, non era riuscita a rimettersi a riposare. A dire il vero non era riuscita neppure a star ferma dentro quella stanza, tali e tanti erano i pensieri che l'assillavano. E nonostante avesse riflettuto a lungo su cosa chiedere a Vartenia, quando questa fosse ritornata, ora non aveva la più pallida idea di dove iniziare.
Come al solito Vartenia l'anticipò: «Siediti un attimo, devo parlarti.»
Lara si accomodò alla meglio su una sorta di sgabello malfermo e fissò Vartenia dritto negli occhi, incuriosita. Ma Vartenia fece finta di non accorgersene:
«So che avresti molte cose da chiedermi, ma non posso rispondere a tutto. Purtroppo non ce n'è il tempo. Per prima cosa devi accettare il fatto che la luce che ti abbia portata qui a Solnem. Si tratta di una magia talmente forte e talmente antica da non poter essere usata da altre persone, ma soltanto da te stessa. Non so ancora come tu possa esserci riuscita, ma ho un'idea di cosa lo abbia provocato..»
«Ma io…!» protestò Lara.
«Non interrompermi, non ho finito.- le intimò Vartenia e riprese:- Stamattina ho visto che indossi un piccolo ciondolo. Puoi farmelo vedere?»
Lara portò le mani al collo, chiedendosi che cosa potesse c'entrare un miserabile ciondolo con quella storia. Lentamente sfilò la cordicella e lo strinse nel palmo delle mani.
Non era diverso dal solito vecchio pezzo di legno intagliato e colorato, un oggetto da bambine quasi, ma mentre Vartenia lo rigirava tra le mani, esaminandolo con attenzione, a Lara venne da chidersi il perché se lo fosse portato dietro. Ripensandoci non c'era stato un motivo preciso…
Vartenia le restituì il ciondolo: «Capisco perfettamente a cosa stai pensando ora.-disse- Lo hai sicuramente sempre considerato un oggetto senza valore. Ma non è mai stato così. È tanto pericoloso quanto può sembrare innocuo; devi promettermi che non lo userai mai. Nemmeno a rischio della tua vita.»
Lara la guardò sbalordita: non stava scherzando. Ma come poteva pensare che quel ciondolo fosse…
«E come potrei usarlo? È un semplice pezzo di legno! E poi non è possibile che sia stata io a distruggere quelle due "cose".. era come se qualcun altro lo facesse…» protestò.
«Dentro di te.- finì per lei la frase Vartenia e continuò- Sono sensazioni, illusioni, comuni a tutti quelli che abbiano sperimentato una magia simile alla tua. Credimi Lara! Se vuoi ritornare indietro, dovrai farlo solo con le tue forze e non con la magia. Questa è una cosa estremamente seria: devi promettermi che qualsiasi cosa avvenga non userai la magia.»
Lara ci pensò sopra un istante: d'altra parte cosa le costava promettere qualcosa che, comunque, non avrebbe mai saputo come fare?
«D'accordo.» le rispose, rinfilandosi delicatamente il ciondolo al collo, sotto i vestiti. Sembrava sempre lo stesso, innocuo pezzo di legno. Lara si rese conto che la sola idea che potesse avere un qualsiasi potere era a dir poco assurda. Vartenia sicuramente si stava sbagliando, doveva esserci qualcos'altro sotto …
Vartenia la stava ancora guardando.
Lara annuì: «Certo. Lo prometto. Non la userò.»
La donna le sorrise soddisfatta e fece per alzarsi, ma Lara fece per fermarla stavolta: aveva ancora molte, troppe domande:
«Cosa devo fare ora?» le chiese.
«Dovrai cercare una persona.» rispose Vartenia.
«Chi?» chiese Lara, esasperata.
«Un vecchio in una scuola di magia di Tulen, una città non lontana da qui. Dovrai chiedere del Primo Maestro: solo lui potrà dirti come tornare a casa.» le rispose.
«Ma non conosco niente di questo mondo! Come posso affrontare un viaggio? Mi accompagnerai tu almeno?»
Vartenia abbassò gli occhi, incapace di guardare la ragazza negli occhi: «Non io. Non posso.»
Lara trattenne il fiato: «Ma come?» esplose.
«Non ti devi preoccupare di questo. Altri ti accompagneranno nel tuo viaggio e ti proteggeranno. Ho fiducia in loro e dovrai averne anche tu, allo stesso modo.»
Non appena ebbe finito di dirlo Vartenia ripensò allo zigar e riprese: «Uno di loro potrebbe sembrarti tutto tranne che una persona nella quale riporre la tua fiducia, ma ricordati sempre che non bisogna mai fermarsi alla prima impressione.»
Sul momento Lara non capì cosa intendesse dirle, ma preferì non obiettare.
Vartenia non aveva finito, ma soppesò bene le parole, prima di dirle stavolta: «C'è un'altra cosa: possono esserci altri mostri come quelli che ti hanno assalita. Per questo motivo dovrai essere sempre molto attenta e non mostrare mai, per nessun motivo, quel ciondolo a nessuno. A parte i tuoi compagni non fidarti di nessuno e ricorda: prima arriverai a Tulen e prima sarai al sicuro.»
Lara rimase in silenzio, rimunginando su quello che le era stato appena detto. Se potevano esserci altri mostri simili a quelli che l'avevano assalita, allora non era finito nulla. E come avrebbe potuto difendersi? A parte il fatto che non era stata lei a scatenare la magia, ma qualcun altro… come avrebbe potuto sopportare una fuga estenuante in un mondo sconosciuto, inseguita da quegli incubi terribili?
Guardò Vartenia, terrorizzata.
Inaspettatamente la donna la tirò a sé e l'abbracciò, ma solo per un istante: «Ce la farai. Non devi preoccuparti.» le aveva sussurrò.
Lara rimase come impietrita, assolutamente spiazzata da quello strano gesto d'affetto. Avrebbe dovuto odiarla per quello che aveva appena fatto. Il terrore che era in lei fino a pochi giorni prima non avrebbe potuto ammettere un simile contatto, per lo più con un'estranea. Eppure sembrava essere tutto svanito; come se non provasse nulla. In quei due giorni Lara si era fidata ciecamente di Vartenia, senza neppure conoscerla e senza neppure chiedersene il perché. Per qualche strano motivo era riuscita a rimanere immobile, senza sottrarsi a quell'abbraccio.
«Bene, ora possiamo andare.» esclamò Vartenia, staccandosi in fretta da lei. In fretta aprì la porta, sbirciando nel corridoio. Nessun pericolo e soprattutto nessun rumore.
«Stammi vicina e non parlare fino a quando non arriveremo di nuovo nella sala del Consiglio.»
Lara diede segno di aver capito e la seguì nel dedalo di corridoi; ma adesso erano talmente attente a non far rumore, da scivolare, più che camminare letteralmente, sulle grezze pietre dei pavimenti. Ed il percorso divenne inutilmente lento, pensò Lara. Vartenia aveva imboccato una strada diversa stavolta, per cui si trovavano spesso ad arrampicarsi su strette scale a chiocciola, in una sorta di costante saliscendi che le condusse alla fine ad una pesante porta borchiata. Lara non aveva la più pallida idea di dove si trovassero ora, ma Vartenia fece velocemente scivolare i battenti verso l'esterno.
E fu così che si trovarono alle spalle del trono del kissal: erano entrate da una delle poche porte non sorvegliate. A dire il vero Lara notò un particolare che prima non aveva assolutamente notato: la stanza ovale del trono era letteralmente piena di portali. Ciascuno di essi, riccamente intagliato, portava in innumerevoli corridoi e la maggior parte di essi erano sorvegliati. Ma a cosa poteva servire un simile labirinto?
Il primo a vederle fu il giovane elfo, che al loro ingresso reagì con un involontario sobbalzo. Al che si girarono tutti verso di loro, colti di sorpresa.
Vartenia non si scompose: «Puoi far ritirare le guardie, kissal. Dobbiamo essere certi che nessun'altro ascolti i nostri discorsi.».
Bastò un semplice cenno del kissal ed un istante dopo gli ingressi alla stanza erano deserti.
Lara si rese conto che stavolta, oltre al nano ed all'elfo vi era una terza persona: un uomo notevolmente alto e vestito con alcuni stracci laceri, i capelli raccolti in una lunga coda che gli ricadeva ben oltre le spalle. Sembrava…
«Ho fatto prelevare dalla cella la persona che mi hai chiesto, Vartenia.- disse improvvisamente il kissal, indicando con disprezzo l'uomo in mezzo alla stanza - Ma c'è un grosso problema: il soldato che ho mandato per prelevarlo è morto con la gola squarciata. Temo che lo zigar lo abbia fatto nel tentativo di scappare. Ciò nonostante lui nega: afferma con forza di essere stato rincorso dal vero assassino.»
Uno zigar? Cosa voleva dire quella strana parola, pensò Lara?
Lo straniero intanto teneva gli occhi fissi a terra, come se non stessero parlando di lui. Come se non sentisse neanche il nano commentare con sarcasmo. Vartenia lo guardò un istante: «Hai fatto controllare se la storia sia vera?» chiese semplicemente al kissal.
«A parte una ferita sulla schiena ed il fatto che si sia lanciato in mezzo ad una pattuglia delle mie guardie, non ho altre prove che ciò che dica sia vero. Ho fatto cercare il mostro da lui descritto, ma non ce n'era traccia. Sempre a patto che esista.» le rispose.
Vartenia riflettè un istante prima di parlare stavolta: «Io ho completa fiducia in lui. Se quello che dice è vero devono partire di qui subito. Non c'è un attimo da perdere.»
«Cos'è questa storia?- sbraitò il nano, visibilmente alterato- Non possiamo fidarci di questo tagliagole!»
Stavolta l'uomo in questione sembrò trattenersi dallo scattare in direzione del nano: «Prova ancora a dire una sola parola nanerottolo e..» sibilò.
«Basta! Non siamo qui per assistere ai vostri stupidi litigi!» lo interruppe Vartenia.
Gli altri due ammutolirono.
« Tallein e Pantekor, assieme a quest'uomo accompagnerete la ragazza a Tulen e vi assicurerete che nessuno le faccia del male.» continuò la donna.
Un pesante silenzio calò nel salone.
«Mai!» sbottò in un soffio Pantekor, ma ammutolì sotto un'occhiataccia di Vartenia.
«Mi dispiace Pantekor, ma dovrai imparare ad andare d'accordo con lo zigar.» si intromise il kissal.
Pantekor non replicò stavolta, nonostante la sua espressione fosse una risposta più che eloquente.
«Dovrete sopportarvi a vicenda, per il bene delle vostre vite. La ragazza deve assolutamente arrivare a Tulen.» rimarcò Vartenia.
«Ed io cosa ci guadagno? Non c'entro nulla con questa storia e non voglio rischiare ancora la mia vita.» esclamò lo zigar sprezzante.
«Qui c'è in gioco anche la tua vita, che tu lo voglia o meno, uomo dell'est. Quei mostri rappresentano una minaccia per qualsiasi essere vivente.» lo minacciò, Vartenia.
Gli occhi dello zigar incrociarono per un istante quelli di Vartenia; la donna vi lesse curiosità, incertezza, ma soprattutto terrore. Qualunque cosa fosse successa Vartenia capì immediatamente che lo zigar non aveva mentito. I Suoi emissari erano già lì, dentro le mura di Olnemain ed ancora peggio, nella fortezza.
«Deciditi. O parti con loro, oppure rischi rimanendo qui, di essere appeso ad una forca. A te la scelta.» lo apostrofò il kissal.
Vartenia interruppe il silenzio: «Soltanto tu Tallein, puoi decidere se accompagnare la ragazza, oppure tornare dal tuo popolo.»
«La mia gente mi considererebbe un traditore, non un superstite. La mia casa non esiste più.» rispose tranquillamente il giovane elfo.
«Bene allora. È deciso. Vi accompagnerò io stessa fino al limite esterno delle pianure. Partiamo immediatamente, il tempo è contro di noi, temo.»
Il kissal indicò con calma un angolo della stanza: «Ho fatto preparare l'equipaggiamento. Troverete tutto ciò che vi serve in quegli zaini. Che gli spiriti immortali vi proteggano.»
Lara rimase immobile. Spiriti immortali? Cosa intendeva? Soltanto lo sguardo di soppiatto con il quale lo zigar la stava squadrando le gelava il sangue nelle vene.
Silenziosamente ciascuno di loro raccolse uno zaino, Vartenia porse a Lara il suo. La ragazza lo issò sulle spalle con una smorfia, era pesante come il piombo.
«A presto vecchio kissal. Rifletti su quanto ci siamo detti e rammenta che il tempo ora è il nostro peggior nemico.», detto questo, la donna si inoltrò in un corridoio, trascinando dietro di sé la ragazza. «Seguitemi e badate a non fare rumore.» sussurrò stavolta.
Gli altri la seguirono in silenzio.
Nel salone il vecchio kissal rimase solo, quasi ignorato. Per lunghi istanti rimase così, fermo in attesa di un rumore, immerso nei propri pensieri.Quando non sentì più il rumore dei passi fece un respiro profondo… e le pupille si rovesciarono, mentre il corpo intero fremeva sotto le vesti troppo piccole. Si alzò con lentezza, trasformato in una figura imponente e disarticolata, le braccia mutate nuovamente in lunghi e spessi artigli chitinosi. Di quando in quando sbattevano ticchettando sul pavimento. La creatura soffocò una rauca risata sarcastica.
Stupidi! Li aveva ingannati con una facilità straordinaria. Il suo sguardo cadde compiaciuto ad una sagoma appena in rilievo dietro uno degli arazzi. Dopo avergli dato il tempo di origliare in tutta tranquillità quella donna ingenua, il vecchio kissal era morto velocemente, senza aver neppure il tempo di invocare aiuto. Ed altrettanto facile per lui era stato nasconderlo ed assumerne le sembianze. Tutto quanto come aveva previsto il suo Padrone, ne sarebbe stato soddisfatto.
E gli altri per ora non erano un problema…
La creatura fremette ancora, plasmando le proprie sembianze in una forma più rassicurante, ma al contempo più scomoda. Quindi si allontanò disturbata, pregustando già il sapore della vittoria.