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Boindil

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  • Compleanno 02/10/1986

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Obiettivi di Boindil

Novizio

Novizio (2/15)

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Insegne recenti

5

Punti Esperienza

  1. Eccellente idea! E' un lato del gioco che piacerà sia ai DM che ai giocatori.
  2. Complimenti per il tuo lavoro! La copertina è fantastica! xD
  3. Scusa Goz siete riusciti ad uppare la versione definitiva? Grazie
  4. Boindil

    Cavallo in un dungeon

    Un cavallo da guerra al garrese (altezza del dorso) è almeno di 1 metro e 60/80..se poi consideri che sei in sella..
  5. La storia di Edwin comincia nell'Amn dal quale, ancora ragazzino, partì in nave con i suoi genitori alla volta di Waterdeep. Il padre, Eric Thran, era un facoltoso mercante, e la famiglia si trasferì con lui. Edwin crebbe nell'abbondanza e nell'agio della Città degli Splendori, in mezzo alla media nobiltà ed alla classe mercantile. Edwin venne istruito sugli usi ed i costumi di una citta cosmopolita come Waterdeep, e imparò in fretta l’arte dell’ospitalità: l’inchino, il baciamano e il galateo. Non era però entusiasta di stare ore e ore seduto ad ascoltare i numerosi e noiosi ospiti che facevano visita alla sua famiglia, di stare composto e di essere vestito come un paggetto. In quelle occasioni la sua casa diventava una bomboniera, ostendando esageratamente la sua ricchezza. Per la sua famiglia infatti l'importante non era quello che si è realmente, ma quello che si appare. Edwin non si sentiva a suo agio in quelle situazioni. Sicuramente non a suo agio come invece appariva sua sorella Sharlene, bellissima, ammirata da tutti, pettegola e decisa a sposarsi con grandi e ricchi uomini. Ella aveva la sciocca abitudine di girare per casa agghindata come un palo della cuccagna alla festa del paese. Edwin era proprio l'opposto.. con sua sorella condivideva solo una fine bellezza, anche se non poteva reggere il confronto. Egli imparò a leggere e scrivere molto presto. Spesso trascorreva le ore della sera nella biblioteca della casa, leggendo enormi e polverosi tomi. In particolare gli piaceva leggere di leggende (la sua preferita era “Boron, l’uccisore di draghi”), di posti sconosciuti, di antichi manieri, di città elfiche magiche sprofondate nell'oblio, di arcimaghi potenti e sognava di essere in quei posti o al fianco degli eroi dei racconti. Alle volte se una storia era avvincente, portava con sé più di una candela, così da poter leggere anche nel cuore della notte. Era un ragazzo dai capelli lunghi biondi, che osservava la realtà con occhi vivaci, curioso di tutto. Già, i suoi occhi...l'unica pecca in un viso altrimenti bello. Un occhio azzurro ghiaccio e un occhio marrone scuro scrutavano tutto ciò che lo circondava. Edwin non lo ha mai considerato un problema, anzi ne andava fiero. Gli piacevano i colori. Ma non la pensavano così chi gli stava accanto. Guardarlo dritto negli occhi per più di qualche secondo era impossibile senza avvertire disagio e un brivido lungo la schiena. La gente mormorava di un demone che lo possedeva, e la prova era proprio il diverso colore dei suoi occhi. Non poteva essere altrimenti. Sua madre negli anni cercò aiuto in grandi sacerdoti e ciarlatani, spendendo grandi somme di denaro, per cercare di modificare quel difetto o di estirpare chissà quale presenza demoniaca, senza riuscirci. Edwin ne soffrì, e per questo motivo il suo “io” cambiò già in tenera età. Divenne duplice, come i suoi occhi. Da una parte alcune volte mostrava espansività, dall’altra un tormento interiore. La cosa però che lo realizzava maggiormente era dipingere. Nelle ore di luce lo si vedeva sempre insieme ai suoi pennelli, ai suoi colori e alle sue tele. Li custodiva come se fossero un tesoro. Amava sentire scorrere il pennello e i colori sulla tela, dare vita a qualcosa che prima non c'era. Mettere del colore sul bianco della tela, quello sì che lo entusiasmava. In questo modo riusciva ad esprimersi totalmente. Dipinse inizialmente dei ritratti della sua famiglia, poi passò ai paesaggi. Waterdeep era una città dai mille colori e offriva moltissimi spunti per i suoi quadri. Dalla finestra di casa immortalava i tramonti rossi e infuocati che si immergevano nel mare blu. Il verde del giardino di casa con l’oro e argento delle statue della dea Waukeen, adorata dal padre. Il nero profondo della notte in contrasto al pallido bianco della luna piena. L’intenso giallo dei girasoli, contro il grigio delle nuvole cariche di pioggia all’orizzonte. Dava un senso a ogni colore e prese l’abitudine di vestirsi con colori molteplici, attraverso i quali esprimeva anche il suo stato d’animo. La sua camera fu interamente tappezzata di quadri. Un ritratto di sua sorella venne davvero bene, e lei lo appese nella sua camera. Edwin ne fu lieto e capì di avere realmente una dote. Per questo motivo all'età di sedici anni prese una decisione. Avrebbe fatto della pittura il suo mestiere. Decise di andarne a parlare col padre, e per conquistare la sua fiducia fece anche a lui un ritratto, che lo ritraeva statuario e compiaciuto, circondato dalle sue ricchezze. Mise in quel lavoro moltissimo impegno e il risultato fu davvero notevole. La reazione del padre, però, non fu quella che si aspettava. Il padre andò su tutte le furie dopo aver appreso che Edwin aveva l’intenzione di divenire un artista e così scialacquare, secondo lui, tutto il patrimonio accumulato da anni di lavoro. Il suo futuro, a sua insaputa, infatti era già stato deciso: doveva mandare avanti il mestiere del padre. Doveva diventare anch’egli un facoltoso mercante così da mantenere in auge il nome della sua famiglia. Il dipinto che gli aveva donato fu fatto a pezzi e gettato nel camino. Stessa sorte ebbero i quadri della sua camera. L’unico a salvarsi fu il ritratto della sorella, che essa nascose in un baule. Edwin scoprì così quanto fosse doloroso vedere il proprio sogno spezzato e bruciato, e quanto fossero dolorose le bastonate e le percosse di settimane. Edwin soffrì ulteriormente ma serbò queste cose nella sua mente. Il giorno della sue entrata in affari sarebbe stato da lì a 6 mesi (poiché a quel tempo il padre stava seguendo, come disse lui stesso, “un importante affare con cui la famiglia avrebbe triplicato i suoi possedimenti”), in cui lo avrebbe seguito in un comune scambio di merci al porto di Waterdeep. La sera prima del fatidico giorno però successe una cosa inaspettata. Il padre di ritorno da un incontro notturno fu assassinato. L’unica traccia era una Z. Gli Zentharim. Le voci si rincorsero e più spiegazioni vennero ipotizzate: l’avevano tolto di mezzo per aver ostacolato i loro affari, era in combutta da anni con loro ma poi li aveva traditi, aveva visto qualcosa quella notte che non doveva vedere. Non si seppe mai la verità. Il mondo della casata di Edwin crollò improvvisamente sulle fragili spalle della madre. La donna, abituata a vivere di rendita negli sfarzi e nel lusso, non aveva la minima idea di come mandare avanti casa Thran e cadde in depressione. Edwin cercò numerose volte di aiutarla, confortarla. Tutto ciò che otteneva erano solo parole amare e di disprezzo e presto diventò il capro espiatorio. La sua psiche cominciò seriamente a barcollare. Sei mesi dopo sua madre fece l’unica cosa che era in grado di fare: si risposò. Accettò di buon grado la proposta del calishita Cahlif Ambar, uno dei più facoltosi mercanti in affari con suo marito. Era un uomo dalla fame e dall’avidità inesauribile, ma anche dalla grande cultura. La sua dispensa e la biblioteca erano sempre piene di cibi e libri rari, che proveniva dai diversi angoli del Faerun. A questi ultimi Edwin si accostò e si dimostrò sempre più interessato agli studi antichi e scientifici, in special modo agli antichi tomi arcani che invecchiavano nella libreria del mercante. Per assecondare questi interessi, non molto tempo dopo il raggiungimento dei diciotto anni, Cahlif sfruttò alcuni favori che gli erano dovuti per far accettare il ragazzo alla Torre del mago Khelben “Blackstaff” Arunsun, la più prestigiosa accademia di magia della città. Edwin accettò calorosamente la proposta del patrigno. Edwin partì carico di aspettative, che non furono deluse. L’accademia era davvero un posto fantastico, ricco di magia, di colori e di conoscenza. Si impegnò tantissimo e i suoi sforzi vennero premiati. Fu considerato presto uno dei migliori allievi dei primi anni. Ma non è tutto oro ciò che luccica. Edwin all’interno dell’accademia non aveva amici ed era spesso oggetto di scherzi, scherni da parte dei suoi compagni o pestaggi da parte dei suoi invidiosi colleghi più grandi. I motivi del suo isolamento erano futili: dal fatto di avere il colore degli occhi diverso, della sua effemminata passione per la pittura, e per essere uno dei preferiti dai maghi insegnanti. Aveva una predilezione per gli incantesimi di abiurazione, i quali gli riuscivano spontaneamente, forse perché efficaci per difendersi da quegli episodi di bullismo. Così per Edwin passarono otto anni. Otto anni di studio, letture, sacrifici, lacrime, sudore, gesti ripetuti all’infinito fino alla perfezione. Le materie e lo studio dell’arte col passare del tempo si fecero sempre più difficili. Edwin cominciò a soffrire di emicranie e di insonnia, ma pur di riuscire al meglio, strinse i denti. Poi, un giorno in cui ebbe il permesso di tornare a far visita alla sua famiglia, fece una scoperta che fu la sua maledizione. Il suo patrigno aveva viaggiato con una lunga carovana nel selvaggio Chult ed era appena tornato con numerose e ricche mercanzie. Una di queste colpì particolarmente Edwin. In un’anfora di vetro erano contenute delle foglie finemente sminuzzate di una pianta misteriosa…sulla targhetta vi era inciso il nome: “erba degli dei”. Spinto dalla sua curiosità ne prese un’abbondante manciata e la portò con sé in accademia. Una sera tornò nei suoi alloggi allo stremo delle forze, dopo una giornata particolarmente intensa. Credendo fosse un semplice infuso di erbe aromatiche, si preparò una tisana con quelle foglie, sperando così di prendere sonno rapidamente. Non si aspettava di certo ciò che sarebbe successo di lì a poco. Gli effetti di quell’erba (una reale versione di quest’erba è simile alle foglia di coca, n.d.a.) lo rinvigorirono immediatamente. Inoltre gli donarono una lieve euforia e un aumento delle capacità mentali, che gli fecero pesare meno le giornate di studio. Inoltre nel tempo si accorse che quella tisana diminuiva temporaneamente il bisogno di dormire e di mangiare, cosa che gli lasciava più tempo per studiare anche di notte. Questi blandi effetti però, dopo numerose dosi, cominciarono a farsi sentire sempre meno e Edwin era consapevole che aveva bisogno di quell’erba miracolosa. Tornò a casa e si appropriò di tutte le foglie che c’erano e le custodì in una saccoccia per tenerle al riparo dall’umidità. Un giorno, dopo una lezione di alchimia gli venne in mente un’idea. Una di quelle idee che non dovrebbero essere portate avanti. Il maestro aveva fatto vedere come si potevano estrarre i succhi o gli oli essenziali dalle piante, attraverso l’uso di alcune pozioni e solventi. Edwin aspettò il calar della notte per scendere nei sotterranei della torre riservata agli studi alchemici. La torre dall’esterno era praticamente imprendibile, difesa dai migliori incantesimi, ma si era accorto che la maggior parte degli insegnanti, occupati dalle loro ricerche, non chiudevano mai quelle aule, e si preoccupavano soltanto di sigillare ermeticamente i propri alloggi dove ricercavano nuovi incantesimi. Percorse il corridoio in pietra, passando sotto un arco. La porta che cercava era proprio lì. Edwin la trovò aperta, e si meravigliò nuovamente dell’ inesistente livello di protezione, abbozzando un sorriso. In effetti si disse che un semplicissimo incantesimo di apertura delle porte avrebbe aperto qualsiasi porta chiusa e una goccia di acido avrebbe fatto saltare un lucchetto. I maghi poi non avrebbero certo sprecato ogni giorno della magia per chiuderle. Entrò nel laboratorio e accese un piccolo lume, che rischiarava il bancone. Estrasse il contenuto della saccoccia e preparò gli ingredienti che erano utili. Non sapeva in che dosi usarli, perciò fece molti tentativi. L’alba stava sorgendo quando, dopo numerose prove, ebbe un risultato insperato: nel mortaio si formò una pasta marrone biancastra, che sembrava formata da cristalli grezzi. Non aveva un bell’aspetto, ma Edwin sentì l’impulso di provarla. Il sapore era davvero amaro, ma diede l’effetto che Edwin stava cercando, anzi molto di più. La sua mente fu come se si fosse aperta istantaneamente, gli incantesimi affioravano alla mente vividi e vide la realtà in modo diverso, con colori molto più accesi e nitidi, cosa che gli piacque immediatamente. Si sentì davvero come un dio, e tutta la stanchezza del giorno e della notte svanì. Euforico ne produsse ancora e portò via con sé il mortaio; era sicuro che con quell’aiuto avrebbe superato in potere i suoi maestri. Preso dalla foga non si preoccupò di rimettere in ordine gli attrezzi che aveva usato, lasciando il bancone, di solito ordinato in modo impeccabile dagli allievi, pieno di macchie e sporcizia. Accostò la porta, pensando di averla chiusa, e corse per raggiungere i suoi alloggi. Passarono un paio di mesi. Quella pasta era davvero portentosa e fu attento a non parlare con nessuno della sua scoperta. Era un segreto che doveva rimanere tale. Nessuno l’avrebbe mai scoperto. Non si era accorto però che la stava consumando velocemente, e infatti ormai la ciotola era quasi vuota dopo un mese e mezzo. “Devo farne dell’altra” era il suo pensiero fisso dopo una settimana in cui non ne aveva più assunta. In quei giorni si faceva sempre più aggressivo e molti si tenevano alla larga da lui, dicendo che parlava anche da solo o che si svegliava nel cuore della notte urlando, in preda a spasmi. Edwin decise che sarebbe tornato nel laboratorio a produrne ancora. Doveva per forza, non ne poteva fare a meno. Scese nuovamente nel cuore della notte e percorse in fretta il corridoio che lo separava dalla porta. “Devo farne dell’altra, subito!” sussurrò a mezza voce. Passò sotto all’arco di pietra che era stato abbellito da due statue dalla forma demoniaca. “Alcuni maghi hanno un senso del gusto davvero orrendo” pensò. Entrò come un uragano alla ricerca delle componenti da usare. Le mani gli tremavano per lo sforzo di velocizzare i movimenti. Gli occhi erano dilatati dall’attenzione. Utilizzò tutte le foglie che erano rimaste e questo allungò il processo di produzione. Si accorse di aver fatto realmente tardi quando un raggio di luce tagliò la stanza e illuminò il bancone. “Ecco! Finalmente!”. Edwin fissò estasiato la pasta che riempiva il mortaio. Aveva preparato alcune fiale, le riempì all’orlo e le nascose nelle pieghe delle sue vesti. Una buona metà era ancora nella ciotola di marmo. Decise che l’avrebbe tenuta ancora per sé e che avrebbe riempito altre fiale nella sua stanza. Erano le 6 di mattina quando Edwin uscì dal laboratorio correndo a perdifiato su per le scale, non vedendo l’ora di pregustare gli effetti del suo preparato, di cui ormai sentiva incontrollabilmente la mancanza. Ne aveva una tremenda necessità. Non si accorse che le due statue dell’arco in pietra lo seguirono con lo sguardo. Una delle due si staccò dal suo piedistallo e prese il volo verso i piani alti della torre. I piani degli insegnanti. Edwin era quasi giunto al suo alloggio quando, alla fine di una rampa di scale, in un corridoio laterale e deserto, quasi si scontrò con Tygell, un borioso apprendista di un anno più grande. Era molto più massiccio dei suoi compagni, cosa che gli aveva procurato il soprannome di “mago panzone”. Era uno dei bulli dell’accademia ed Edwin era uno dei suoi bersagli preferiti. Con rapidità prese per la veste Edwin. “Toh! Guarda chi c’è a quest’ora del mattino! Edwin lo strambo…dove vai tutto solo?! Non sai che è pericoloso gironzolare per la torre?! Stavi andando come una signorina a dipingere l’alba?!” gli disse con un sorriso malizioso Tygell. “Lasciami andare, panzone!” gli urlò senza pensarci Edwin. Brutto errore. Tygell odiava quel soprannome. Due pugni arrivarono nello stomaco di Edwin che gli mozzarono il fiato e lo costrinsero a piegarsi. Nel farlo gli scivolò il mortaio dalle mani e cadde ai suoi piedi con un tonfo. “E questo cos’è, piccolo ladruncolo?” Chiese Tygell. “Adesso ti metti a preparare la colazioncina come una brava cuoca? E ha un odore disgustoso…sarà meglio buttarla, ma prima assaggiamola…” disse con ingordigia. Edwin era furioso e senza controllo. “Quel grassone non deve toccare la mia pozione o addio segreto!” disse una voce nella sua testa. Tygell intinse il suo dito grassoccio e prelevò una generosa dose della sostanza, per poi buttare a terra il mortaio. Stava per aprire la bocca quando sentì un grido pieno di furore. “NOOO!” urlò Edwin stralunato e dalle sue mani giunte partì un ventaglio dai colori dell’arcobaleno..Edwin sentì che il suo incantesimo era come se fosse più potente, e provò eccitazione. Tygell urlò dalla sorpresa e cadde a terra, senza un suono e con gli occhi annebbiati. Edwin, che ormai non era quasi più cosciente, con uno scatto prese da terra il mortaio e lo fracassò sulla tempia di Tygell, uccidendolo sul colpo. Il rosso acceso del sangue zampillò sulle sue vesti. Non si rese contò di quello che aveva fatto e pensando di averlo solo stordito, cercò di metterlo in un angolo. Edwin cercò di sollevarlo da terra, ma era troppo pesante. Per questo nella sua mente resa folle, cercò di far passare l’assassinio come un incidente. Fece rotolare il corpo sui gradini della scala in pietra e creò dell’unto sotto le scarpe e sui primi gradini della scala, così da simulare uno scherzo di un qualche apprendista sciocco, in tragedia. Poi si rinchiuse nel suo alloggio. Non si accorse che dietrò di sé lasciò delle macchie di sangue, che indicavano la via da seguire. Quasi senza fiato, masticò avidamente la pasta dal mortaio e gli effetti e la felicità nel volto di Edwin tornarono improvvisi. Ma quella felicità non durò a lungo. Dopo neanche un’ora tutti i maghi e gli apprendisti della torre erano in agitazione. Il corpo di un giovane mago era stato ritrovato senza vita in fondo alle scale. Quando si rese conto di quello che aveva fatto Edwin dapprima si paralizzò con lo sguardo perso, poi tentò la fuga, portandosi dietro lo stretto necessario. Ma era troppo tardi. Mentre stava chiudendo lo zaino, la sua porta venne aperta improvvisamente e un alto mago dal viso imperioso entrò. Dietro di lui, la figura demoniaca in pietra lo indicò e annuì al suo padrone, poi volò via. Edwin cominciò a tremare, si mise le mani in faccia per la vergogna e iniziò a piangere. Il mago che stava già preparando un incantesimo di verità, si interruppe immediatamente, ben conscio che non ce ne era bisogno. Edwin si ricorda tutt’ora le parole che gli disse il suo maestro: “Ragazzo, come hai potuto fare una cosa simile? Pensavi davvero di ingannare chi ha molti più anni e potere di te? Sei uno stolto! Il solo fatto di essere entrato senza permesso nel laboratorio nella notte, equivarebbe all’allontanamento dall’accademia. Ma dopo quello che hai fatto sarai bandito da questa torre e non potrai mai più farvi ritorno!”. Il mago non disse mai chi fu il vero colpevole, se non ai maghi più potenti, suoi pari. La torre non aveva bisogno di una pubblicità infamante, ma essere sempre un faro di conoscenza per Waterdeep. Edwin si ritrovò così per strada. Non tornò mai a casa, forse per vergogna, ma forse perché sapeva che non lo avrebbero mai più accettato. L’ultima sua ipotesi era quella giusta: sua madre, appena ricevuta una lettera dalla Torre, bruciò la sua vecchia stanza ed eliminò il suo nome dai ricordi e dalla genealogia. La casata Thran non sarebbe stata ulteriormente macchiata. Così Edwin fu dimenticato a Waterdeep ed egli non utilizzò mai più il suo cognome. Prese a chiamarsi Edwin “lo strambo”, così da ricordarsi cosa aveva fatto, e si tagliò i capelli. Prese a vagabondare per alcuni settimane, distrutto quasi ormai totalmente dalla sua stessa pozione, di cui non poteva fare più a meno. Viaggiando con una carovana arrivò a Baldur’s Gate in un paio di mesi, pagandosi le spese con un lavoro improvvisato di scriba per le missive. In quella grande città, il suo corpo e la sua mente cedettero definitivamente. Era da troppo tempo infatti che non assumeva più la sua droga. Il suo corpo fu scosso da tremiti sempre più violenti, mentre la sua mente era in preda a psicosi e a paranoie. La sua vita si stava per spegnere in uno dei tanti vicoli di Baldur’s Gate e l’ultima cosa che vide furono dei nastri rossi che dondolavano davanti ai suoi occhi, poi tutto si fece nero. Sentì il suo corpo sollevarsi e pensò che la sua anima si fosse innalzata in cielo. Gli parve di udire la voce di un angelo che diceva: “Presto, portate questo fratello sofferente al tempio!”. Poi, più nulla. Si risvegliò una mattina, su di un giaciglio di paglia e foglie. La prima cosa che vide fu il sorriso di una donna che gli cambiava le bende sulla fronte. La voce era così lontana…gli disse che aveva dormito 5 giorni senza svegliarsi e che era stato molto fortunato. Nei giorni seguenti si riprese quasi del tutto e dopo una settimana era di nuovo in piedi. Il chierico che gli salvò la vita in quel vicolo disse che il suo corpo era contaminato da un veleno insidioso, una droga potente, che fu difficile da estirpare. Edwin pagò le cure, stando al servizio del tempio, offrendo i suoi servigi come scrittore di missive e lettore. Nella biblioteca del tempio riscoprì la sua passione per la conoscenza e si avvicinò al credo di Oghma, anche se definirlo un suo fervente seguace è sicuramente eccessivo. Un anno dopo decise di andarsene. II suoi viaggi non avevano una meta, e i suoi piedi lo portavano ovunque c’era qualcosa di nuovo da conoscere. Viaggiò per anni, da solo o in compagnia in diverse città della Costa della Spada, coltivando gli studi arcani e riscoprendo il suo amore per la pittura. Dapprima gli risultò difficile, per via dei tremori alle mani, una conseguenza dall’abuso di droga, e gettò diverse volte la spugna. Ma superò anche questo limite e tornò a dipingere con lo stesso talento di quando era ragazzino. Iniziò inoltre una fitta corrispondenza, che continua tuttora, con una corporazione di maghi, gli iniziati dei sette veli, una società indipendente e poco conosciuta che come lui condivide la passione per la magia legata ai colori e per la conoscenza. Ora Edwin, è un uomo di 35 anni. Alcuni lo definirebbero un personaggio un po’ eclettico o pazzo: vestito in modo colorato, con gli occhi di colore diverso, con una tela per quadri legata allo zaino, che fuma nei momenti di riposo oppio e che parla spesso da solo (un’altra traccia lasciata dalla droga) o sghignazza con il suo gufo Anacleto, il suo famiglio, l’amico più fidato, trovato in un bosco. Forse un po’ matto lo è davvero. Quando a Edwin chiedono della propria vita, egli risponde enigmaticamente: “La mia vita doveva essere in bianco o in nero, ma a me piacciono i colori…” Lui, d’altronde, è Edwin “lo strambo”. La passione per la conoscenza e per la magia ha portato Edwin a viaggiare tantissimo e la sua ultima meta è stata il tempio di Cadderly, ”Fremente Mistero”, per osservarne la bellezza della costruzione e dei colori. Dopo pochi giorni, in cui ha potuto anche ampliare le sue conoscenze grazie ai testi raccolti dal chierico di Deneir, è ripartito. Suo compagno di viaggio in queste terre pericolose e abitate da orchi e altri mostri, è un mezzorco imponente dalla forza spaventosa. Edwin vede di grande utilità la sua alleanza, e per questo motivo lo paga come guardia del corpo.
  6. Boindil

    Guida al Druido

    Alcune informazioni le trovi a pagina 123 del Manuale del Giocatore
  7. Potresti pensare anche al Huecuva di Abissi ed Inferi
  8. IMHO dipende un po' dal gruppo e dal tipo di avventura. 30 è buono, con 32 i giocatori sono più felici xD La partenza da 8 può andare bene e farei un solo 18. Un guerriero con due 18 a FOR e COS anche se gli imponi un -1 alle altre è solo contento.
  9. Ho pensato alla stessa cosa.. Caneva rulez xD Eventualmente si può pensare a uno sbilanciare..anche per me niente danno.
  10. Per l'arma anatema io però consiglierei un complesso rituale di preparazione per ottenerne il beneficio. L'idea di basarsi sull'arma del kensai mi sembra buona!
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