Questo personaggio era Astaroth, un Forgiato Guerriero Discepolo di Dispater, piazzato in un'ambientazione custom in cui il male era stato scacciato in un angoletto del pianeta, mentre il bene regnava incontrastato nel restante vasto territorio. In origine lui era un essere superiore, al pari di un divinità minore, ma poi venne punito per un crimine non commesso, quindi la sua anima venne "smacchiata", e siccome distruggerla sarebbe stato troppo semplice ed una punizione troppo indulgente, la confinarono in un corpo né vivo né morto, anche se mortale.
<<Finalmente riaprii gli occhi.
Mi trovavo in una piccola stanzina buia, agghindata con ninnoli arcani e chincaglierie meccaniche.
Di fronte a me, un uomo, evidentemente provato da un lungo lavoro, ed accanto a lei una più giovane donna, con molta probabilità la sua assistente.
Il primo mi stava fissando con occhi spalancati, colmo di gioia e stupore, la seconda invece aveva un’aria mista di entusiasmo e odio, come se non fosse contenta di vedermi, ma la felicità dell’altro la rendesse partecipe.
I giorni successivi non furono piacevoli come quello del mio risveglio.
A quanto pareva, l’uomo non era del tutto contento di me. E, questo, in un certo senso, probabilmente allietava la sua apprendista: meno tempo avrebbe dedicato a me, più ne avrebbe avuto per lei.
Impiegai qualche giorno per rendermi conto realmente di cos'ero. Né uomo, né macchina, ma una cosa totalmente diversa e tuttavia identica a quelle due cose. Pelle di metallo, circuiti e ingranaggi al posto degli organi, ma dentro di me ardeva una fiamma vitale: qualcosa che pochi, da quanto mi venne detto, erano in grado di realizzare.
Passarono giorni, settimane, ed io rimanevo sempre dentro quel buio stanzino, visitato giorno e notte dal mio creatore e dalla donna. Da quanto potevo aver capito, egli trovava in me qualcosa di sbagliato, di inesatto nei suoi calcoli della mia creazione. Qualcosa non era andato secondo i suoi piani. Nel frattempo, io passavo le giornate leggendo libri ed armeggiando con i congegni che trovavo nello stanzino.
Un giorno, sentii dall'esterno un grande frastuono. Non avevo mai visto il mondo esterno, quindi non avevo idea del fatto che quello fosse il suono di una folla inferocita. Il mio creatore entrò di corsa dalla porta, e mi intimò di andarmene, agitato. Ero confuso, ma seguii ugualmente ciò che mi diceva, e scappai da una finestra nel retro della casa. Per la prima volta, in questa vita, mi trovai libero, nel mondo esterno. Fuggii dalla casa, lontano, verso una meta ignota.
Dopo mesi di vagabondaggio, finii nel regno dei rinnegati. Non conoscevo nessuno, e molto poco del mondo, anche se apprendevo in fretta. Non avevo però uno scopo, un obbiettivo. Il mio corpo, profondamente diverso da quello dei mortali, non necessitava né di mangiare o bere, né di dormire.
Durante i miei viaggi, per evitare di essere scoperto, procedevo sempre celato da un mantello provvisto di cappuccio, mentre il resto del mio aspetto visibile (mani e piedi) erano facilmente confondibili per un paio di guanti e stivali d’acciaio. Un giorno, però, fui catturato da trafficanti di schiavi e venduto come attrazione per combattere in un’arena, un gladiatore. Venni soprannominato “guerriero d’acciaio”, anche se poi venni a scoprire, da quanto mi fu detto dagli artigiani dell’arena, che il materiale di cui ero rivestito era bensì mithril, e non acciaio. Un materiale decisamente raro, soprattutto nella quantità che mi rivestiva.
Combattei per mesi, e sviluppai ottime qualità come guerriero, seppure ad ogni combattimento mi ammaccavo sempre più. I fabbri provarono a risistemarmi, ma non riuscirono a fare granché, e gli incantesimi curativi non avevano il benché minimo effetto su di me. Un giorno si recò presso me un losco figuro, ammantato di nero, tenebroso, che mi chiese se ero interessato a raggiungere il potere. Gli risposi di sì, e mi disse di incontrarlo la stessa notte, nella sua “casa”. Seppure non mi fidassi di quell'uomo, raggiunsi comunque il posto quando il sole era ormai calato da ore, ed entrai in quella che appariva più una tana, che un’abitazione. Ci disponemmo all'interno di un circolo, tracciato con una polvere particolare, mentre l’uomo, ora ben visibile agli occhi, gesticolava e salmodiava in una lingua sconosciuta. Costui era ricoperto di strani tatuaggi, e di tanto in tanto qualche placca metallica gli spuntava dal corpo. Dopo qualche minuto, l’aria iniziò a farsi pesante, e qualcosa cambiò, in quella stanza. Le ombre sembrarono infittirsi, quasi divenire solide, e la luce divenne di un rosso sangue. Poi, all'improvviso, un'ombra più densa si stagliò tra le altre: un essere infernale. Rapidamente, la figura si fece più nitida, come scrollandosi di dosso le tenebre. La creatura, di una bellezza ultraterrena, una bellezza corrotta e immonda, fluttuava a pochi centimetri dal terreno fissando me e l'evocatore con i suoi occhi fiammeggianti. La sua candida pelle sarebbe sembrata perfetta, se decine di aghi e lame non la trafiggessero in più punti. Le sue ali piumate, nere come la pece, erano richiuse. Una catena chiodata lei si attorcigliata attorno al corpo, come le spire del serpente attorno all'albero dal quale poi calerà per infliggere il colpo mortale alla sua preda ignara. La sola vista del diavolo dalla femminea sembianza mi suscitò timore, mentre l'uomo che l'aveva evocata si esaltò, esultando in qualche strana e sconosciuta oscura lingua.
Dopo di che egli mi disse di inginocchiarmi davanti alla creatura infernale, che poi compresi essere un'erinni, mentre lui avrebbe concluso i preparativi terminali per completare il rituale. Ma io, che avevo immaginato i piani che l'incantatore aveva in mente ed in serbo per me, fui più lesto di lui, ed estratta la mia arma, gliel'affondai nel petto mentre lui s'avvicina a me con il coltello sacrificale sollevato sopra il capo, e lo trapassai da parte a parte. Il suo corpo cadde a terra, in preda agli spasmi, mentre la vita rapidamente lo abbandonava, lasciando sotto di sé solamente un'immensa chiazza di sangue, che macchiava ed interrompeva il circolo. L'erinni nel frattempo osservava divertita la scena. Voltandomi, la vidi avvicinarsi a me, e nel mio cuore crebbe il timore. Non osai neppure sollevare la mia spada contro di lei: la sua sola presenza distillava terrore, e l'evidenza della sua potenza era schiacciante. Essa, tuttavia, non tentò in alcun modo di farmi del male ed anzi si congratulò con me, per avere dimostrato di possedere malvagità e potenza superiore a colui che l'aveva evocata in questo mondo. Con voce suadente e sguardo irresistibile, mi convinse che il mondo aveva bisogno di essere epurato dai deboli, come l'uomo che ora giaceva a terra esanime. Coloro che seguivano la via del bene esaltavano la debolezza, anziché contrastarla, e in ciò si sbagliavano perché in questo modo permettevano che gli indegni trionfassero sui forti e i meritevoli, coalizzandosi con altri deboli ed infimi. Lei, insieme al suo signore diabolico, progettava di contrastare la via del bene, e mi propose di unirmi alla loro causa. Accettai il patto, e per suggellarlo ella mi offrì un'arma forgiata direttamente nel piano infernale, con la quale avrei dovuto massacrare i deboli e gli indegni, cosicché i forti potessero regnare con la loro superiorità incontrastata. Prima di tornare al piano da cui era venuta, mi bersagliò con un flusso di energia malefica, che mi rinvigorì e riparò tutte i danni che avevo subito fino ad allora.
Fu allora, che per la prima volta ricordare qualcosa di me stesso, ricordi ancestrali perduti tra le sabbie del tempo, svaniti per qualche assurda e inspiegabile motivo, che tuttora sto cercando di scoprire. Nel momento in cui le mie dita metalliche si chiusero sull'elsa di quella lama infernale quelle visioni giunsero, una consapevolezza di un passato dimenticato: in un luogo simile a nessun altro che avessi già visto; in lontananza sterminati eserciti di ogni forma, razza, pianeta, dimensione si affrontavano in quella piana; saette crepitanti, esplosioni ed altri incantesimi sfolgoravano costellando l'intero campo di battaglia di luci multicolore; una delle mie mani stringeva la stessa spada datami dall' erinni; ma, al tempo stesso ero e non ero io, giacché il corpo che abitavo mi appariva estraneo, anche se vagamente familiare. Quando tornai alla realtà possedevo nuove conoscenze, e una nuova consapevolezza. Da allora combattei strenuamente, diffondendo nel creato la verità che Dispater e i suoi servi mi avevano rivelato, contrastando il propagarsi della dottrina del bene, il veleno che stava ammorbando Iradien. E, a mano a mano che perseguivo quest'obiettivo, comprendevo sempre meglio ciò che una volta era stato, ma che sarei ritornato ad essere in futuro, un futuro vicino o distante, ma tuttora sono sicuro del fatto che un giorno diverrà il presente.>>