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Dragons´ Lair

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Visualizzazione dei contenuti con la reputazione più alta il 19/07/2013 in Messaggi

  1. 1 punto
    Prendere 20 si può fare solo per cose molto semplici se si ha a disposizione parecchio tempo. Per esempio tu non puoi predere 20 a disattivare una trappola o uccidere un nemico nel sonno perchè significa che tu tiri tante volte il dato fino a far uscire venti (supponiamo 10 volte) e quindi nel mentre passano parecchi round e si scatenano conseguenze. Viceversa è tipo se prendi 20 che so ora dico una boiata, a mangiare la zuppa
  2. 1 punto
    Beh teoricamente possono prendere 20 se lo desiderano, fai conto che ogni quadretto (della griglia) impiegano 1 round completo per scansionarlo, quindi in base alla grandezza della stanza il tempo passa... Poi beh potresti (ovviamente quando ha qualche senso con la sessione) come ha detto nolavocals fagli incontrare mostri o inserire in alcuni casi il fattore tempo....chessò roba del tipo devono salvare il chierico entro le 12:00 e entrano nella grotta alle 10:00, in modo da non dargli il tempo di prendersela con comodo Poi boh anchio ho il tuo problema su questo punto..non sei solo :-)
  3. 1 punto
    prendere 20 comporta perdere numerosi fallimenti prima di un successo, quindi i personaggi potrebbero attivare tutte le trappole della stanza e in più perdere tempo di gioco, cioè i giocatori potrebbero incontrare qualche mostro errante oppure un determinato evento della storia potrebbe accadere senza che i pg possono farci nulla.
  4. Intervengo soltanto per schierarmi contro la filippica ad argomento: "le regole per le abilità sociali tolgono spessore all'interpretazione". Non è assolutamente vero. Le regole per le abilità sociali incoraggiano a fare un PG che punti sull'interpretazione: se non ci sono regole per gli incontri sociali, questi sono decisi dai giocatori, master compreso, non dalle regole, pertanto sono A) completamente soggetti all'arbitrio del master legati alle abilità di persuasione del giocatore C) completamente trascurabili Mi spiego punto per punto: A) abbastanza ovvio: se il master riterrà la tua interazione adeguata, passi, se no, no. Non importa che tu sia Ulisse o Fantozzi, avete le stesse possibilità di convincere qualcuno a fare qualcosa tutto questo significa anche che il mio PG barbaro potrebbe essere bravo a parole tanto quanto il mio PG precedente, che era una canaglia piena di fascino. Certo, l'interpretazione mi ferma ma, sul piano delle regole, i due PG sono identici. La loro abilità di persuasione non è davvero loro, ma mia. Dall'altro lato lato, se io volessi giocare un affabulatore ma mancassi di capacità di eloquio o di convincimento, non potrei farlo C) semplicemente, si può giocare senza interpretare e al tempo stesso sfruttare il 100% delle potenzialità del gioco, inteso come prodotto composto di regole: giochiamo a Risiko! senza interpretazione o gioco di ruolo, ma non abbiamo la sensazione di perderci nulla. Perché? Perché il Risiko! non ha regole per gestire l'interpretazione e non le ha perché i creatori del gioco non pensavano fosse un gioco che richiedesse un certo tipo di risoluzione dei problemi Un gioco con regole per l'interpretazione è un gioco che la preveda, un gioco senza può farne a meno. In D&D 3, 3.5 e in Pathfinder, queste regole sono ridotte, perché si tratta di giochi di combattimento. Non è assolutamente vero, però, che trovare soluzioni alternative al "tiro il dado" sia inutile: se trovi informazioni scottanti riguardo il bersaglio da minacciare, gli rapisci la figlia, costruisci un inganno elaborato e credibile, corrompi qualcuno, dimostri di avere amicizie potenti o fai qualsiasi cosa che possa portare dove vuoi tu l'opinione dell'interlocutore, ottieni un bonus alla prova, che può anche essere abbastanza alto da renderla pura formalità. Viceversa, se ti comporti malissimo, una penalità colossale potrebbe impedirti di salvare la tua situazione anche con un 20 naturale. Questo significa che le abilità sociali sono inutili, dato che tanto tutto viene risolto a priori? No, significa solo che se interpreto un grandissimo oratore, un diplomatico, un torturatore o un venditore di fumo non avrò bisogno di rapire la figlia del sindaco per farlo parlare. Il che ha senso. E significa anche che se io, barbaro che sa contare fino a due e conosce solo diciassette lettere, parlo col sergente corrotto, difficilmente riuscirò a convincerlo anche pagandolo, perché ho la capacità di persuasione di una cima di rapa. Regolamentare l'interpretazione non significa costringerla, ma contemplarla quale parte integrante del gioco.
  5. 1 punto
    Mi sembra che sia stata data risposta a tutte le domande.
  6. Questo personaggio era Astaroth, un Forgiato Guerriero Discepolo di Dispater, piazzato in un'ambientazione custom in cui il male era stato scacciato in un angoletto del pianeta, mentre il bene regnava incontrastato nel restante vasto territorio. In origine lui era un essere superiore, al pari di un divinità minore, ma poi venne punito per un crimine non commesso, quindi la sua anima venne "smacchiata", e siccome distruggerla sarebbe stato troppo semplice ed una punizione troppo indulgente, la confinarono in un corpo né vivo né morto, anche se mortale. <<Finalmente riaprii gli occhi. Mi trovavo in una piccola stanzina buia, agghindata con ninnoli arcani e chincaglierie meccaniche. Di fronte a me, un uomo, evidentemente provato da un lungo lavoro, ed accanto a lei una più giovane donna, con molta probabilità la sua assistente. Il primo mi stava fissando con occhi spalancati, colmo di gioia e stupore, la seconda invece aveva un’aria mista di entusiasmo e odio, come se non fosse contenta di vedermi, ma la felicità dell’altro la rendesse partecipe. I giorni successivi non furono piacevoli come quello del mio risveglio. A quanto pareva, l’uomo non era del tutto contento di me. E, questo, in un certo senso, probabilmente allietava la sua apprendista: meno tempo avrebbe dedicato a me, più ne avrebbe avuto per lei. Impiegai qualche giorno per rendermi conto realmente di cos'ero. Né uomo, né macchina, ma una cosa totalmente diversa e tuttavia identica a quelle due cose. Pelle di metallo, circuiti e ingranaggi al posto degli organi, ma dentro di me ardeva una fiamma vitale: qualcosa che pochi, da quanto mi venne detto, erano in grado di realizzare. Passarono giorni, settimane, ed io rimanevo sempre dentro quel buio stanzino, visitato giorno e notte dal mio creatore e dalla donna. Da quanto potevo aver capito, egli trovava in me qualcosa di sbagliato, di inesatto nei suoi calcoli della mia creazione. Qualcosa non era andato secondo i suoi piani. Nel frattempo, io passavo le giornate leggendo libri ed armeggiando con i congegni che trovavo nello stanzino. Un giorno, sentii dall'esterno un grande frastuono. Non avevo mai visto il mondo esterno, quindi non avevo idea del fatto che quello fosse il suono di una folla inferocita. Il mio creatore entrò di corsa dalla porta, e mi intimò di andarmene, agitato. Ero confuso, ma seguii ugualmente ciò che mi diceva, e scappai da una finestra nel retro della casa. Per la prima volta, in questa vita, mi trovai libero, nel mondo esterno. Fuggii dalla casa, lontano, verso una meta ignota. Dopo mesi di vagabondaggio, finii nel regno dei rinnegati. Non conoscevo nessuno, e molto poco del mondo, anche se apprendevo in fretta. Non avevo però uno scopo, un obbiettivo. Il mio corpo, profondamente diverso da quello dei mortali, non necessitava né di mangiare o bere, né di dormire. Durante i miei viaggi, per evitare di essere scoperto, procedevo sempre celato da un mantello provvisto di cappuccio, mentre il resto del mio aspetto visibile (mani e piedi) erano facilmente confondibili per un paio di guanti e stivali d’acciaio. Un giorno, però, fui catturato da trafficanti di schiavi e venduto come attrazione per combattere in un’arena, un gladiatore. Venni soprannominato “guerriero d’acciaio”, anche se poi venni a scoprire, da quanto mi fu detto dagli artigiani dell’arena, che il materiale di cui ero rivestito era bensì mithril, e non acciaio. Un materiale decisamente raro, soprattutto nella quantità che mi rivestiva. Combattei per mesi, e sviluppai ottime qualità come guerriero, seppure ad ogni combattimento mi ammaccavo sempre più. I fabbri provarono a risistemarmi, ma non riuscirono a fare granché, e gli incantesimi curativi non avevano il benché minimo effetto su di me. Un giorno si recò presso me un losco figuro, ammantato di nero, tenebroso, che mi chiese se ero interessato a raggiungere il potere. Gli risposi di sì, e mi disse di incontrarlo la stessa notte, nella sua “casa”. Seppure non mi fidassi di quell'uomo, raggiunsi comunque il posto quando il sole era ormai calato da ore, ed entrai in quella che appariva più una tana, che un’abitazione. Ci disponemmo all'interno di un circolo, tracciato con una polvere particolare, mentre l’uomo, ora ben visibile agli occhi, gesticolava e salmodiava in una lingua sconosciuta. Costui era ricoperto di strani tatuaggi, e di tanto in tanto qualche placca metallica gli spuntava dal corpo. Dopo qualche minuto, l’aria iniziò a farsi pesante, e qualcosa cambiò, in quella stanza. Le ombre sembrarono infittirsi, quasi divenire solide, e la luce divenne di un rosso sangue. Poi, all'improvviso, un'ombra più densa si stagliò tra le altre: un essere infernale. Rapidamente, la figura si fece più nitida, come scrollandosi di dosso le tenebre. La creatura, di una bellezza ultraterrena, una bellezza corrotta e immonda, fluttuava a pochi centimetri dal terreno fissando me e l'evocatore con i suoi occhi fiammeggianti. La sua candida pelle sarebbe sembrata perfetta, se decine di aghi e lame non la trafiggessero in più punti. Le sue ali piumate, nere come la pece, erano richiuse. Una catena chiodata lei si attorcigliata attorno al corpo, come le spire del serpente attorno all'albero dal quale poi calerà per infliggere il colpo mortale alla sua preda ignara. La sola vista del diavolo dalla femminea sembianza mi suscitò timore, mentre l'uomo che l'aveva evocata si esaltò, esultando in qualche strana e sconosciuta oscura lingua. Dopo di che egli mi disse di inginocchiarmi davanti alla creatura infernale, che poi compresi essere un'erinni, mentre lui avrebbe concluso i preparativi terminali per completare il rituale. Ma io, che avevo immaginato i piani che l'incantatore aveva in mente ed in serbo per me, fui più lesto di lui, ed estratta la mia arma, gliel'affondai nel petto mentre lui s'avvicina a me con il coltello sacrificale sollevato sopra il capo, e lo trapassai da parte a parte. Il suo corpo cadde a terra, in preda agli spasmi, mentre la vita rapidamente lo abbandonava, lasciando sotto di sé solamente un'immensa chiazza di sangue, che macchiava ed interrompeva il circolo. L'erinni nel frattempo osservava divertita la scena. Voltandomi, la vidi avvicinarsi a me, e nel mio cuore crebbe il timore. Non osai neppure sollevare la mia spada contro di lei: la sua sola presenza distillava terrore, e l'evidenza della sua potenza era schiacciante. Essa, tuttavia, non tentò in alcun modo di farmi del male ed anzi si congratulò con me, per avere dimostrato di possedere malvagità e potenza superiore a colui che l'aveva evocata in questo mondo. Con voce suadente e sguardo irresistibile, mi convinse che il mondo aveva bisogno di essere epurato dai deboli, come l'uomo che ora giaceva a terra esanime. Coloro che seguivano la via del bene esaltavano la debolezza, anziché contrastarla, e in ciò si sbagliavano perché in questo modo permettevano che gli indegni trionfassero sui forti e i meritevoli, coalizzandosi con altri deboli ed infimi. Lei, insieme al suo signore diabolico, progettava di contrastare la via del bene, e mi propose di unirmi alla loro causa. Accettai il patto, e per suggellarlo ella mi offrì un'arma forgiata direttamente nel piano infernale, con la quale avrei dovuto massacrare i deboli e gli indegni, cosicché i forti potessero regnare con la loro superiorità incontrastata. Prima di tornare al piano da cui era venuta, mi bersagliò con un flusso di energia malefica, che mi rinvigorì e riparò tutte i danni che avevo subito fino ad allora. Fu allora, che per la prima volta ricordare qualcosa di me stesso, ricordi ancestrali perduti tra le sabbie del tempo, svaniti per qualche assurda e inspiegabile motivo, che tuttora sto cercando di scoprire. Nel momento in cui le mie dita metalliche si chiusero sull'elsa di quella lama infernale quelle visioni giunsero, una consapevolezza di un passato dimenticato: in un luogo simile a nessun altro che avessi già visto; in lontananza sterminati eserciti di ogni forma, razza, pianeta, dimensione si affrontavano in quella piana; saette crepitanti, esplosioni ed altri incantesimi sfolgoravano costellando l'intero campo di battaglia di luci multicolore; una delle mie mani stringeva la stessa spada datami dall' erinni; ma, al tempo stesso ero e non ero io, giacché il corpo che abitavo mi appariva estraneo, anche se vagamente familiare. Quando tornai alla realtà possedevo nuove conoscenze, e una nuova consapevolezza. Da allora combattei strenuamente, diffondendo nel creato la verità che Dispater e i suoi servi mi avevano rivelato, contrastando il propagarsi della dottrina del bene, il veleno che stava ammorbando Iradien. E, a mano a mano che perseguivo quest'obiettivo, comprendevo sempre meglio ciò che una volta era stato, ma che sarei ritornato ad essere in futuro, un futuro vicino o distante, ma tuttora sono sicuro del fatto che un giorno diverrà il presente.>>
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