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Appunti di Lingua Italiana


Aerys II

Messaggio consigliato


esempio pratico:

"Ho preso un po' di purè" sbagliata

"Ho preso un po'di purè" giusta; più o meno come si fa con le altre elisioni: un'altra, d'inciso...

... a meno che non abbia preso una cantonata (può benissimo essere)

Non mi risulta che si debba togliere lo spazio...

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non ne posso piu`. forse non e` il posto giusto, ma lo dico una volta per tutte:

quando un sostantivo finisci per cia o gia al plurale fa

ce o ge se la sillaba e` preceduta da una consonante (salsicce, mance, facce, frecce...)

cie o gie se la sillaba e` preceduta da una vocale (ciliegie, valigie...)

non mi sembra particolarmente complicato. :banghead:

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non ne posso piu`. forse non e` il posto giusto, ma lo dico una volta per tutte:

quando un sostantivo finisci per cia o gia al plurale fa

ce o ge se la sillaba e` preceduta da una consonante (salsicce, mance, facce, frecce...)

cie o gie se la sillaba e` preceduta da una vocale (ciliegie, valigie...)

non mi sembra particolarmente complicato. :banghead:

E allergia ? :-D:-D:-D:-D

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E allergia ? :-D:-D:-D:-D
sapevo che dovevo specificare.

la regola vale per parole in cui cia/gia formano una sillaba unica (cosa che avevo sottinteso). e credo valga solo per parole piane (con accento sulla penultima sillaba), ma non ho esempi contrari.

al-ler-gi-a

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Io una volta sola, credo in prima media, scrissi "pioggie" con la i.

Passai il fine settimana seguente a riscriverlo duecento volte in maniera corretta, e dal lunedì successivo non ad oggi non ho più sbagliato.

Ecco i risultati di avere una professoressa di italiano che non si lasciava chiamare "Prof" e che indossava spesso un tailleur verde mare con disegnati degli squali.

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Io sono stato amabilmente sbeffeggiato in farmacia dal direttore perché, appunto parlando del plurale delle parole con "cia" e "gia" ho personalmente aggiunto che c'era una regola grammaticale precisa, ma che comunque in caso di dubbio io scrivo sempre la parola ed ad occhio mi accorgo di quale sia quella giusta. Risultato: inevitabilmente avevo indovinato la versione giusta, pur non ricordando esattamente la regola... Ghghghgh

E ricordatevi che ci si aiuta a volte anche con le piccole filastrocche, del tipo: su lì e là l'accento va, su qui e qua l'accento non va.

Tra parentesi... scrivendo stavo per scrivere "qual'è" che è ovviamente errato. L'apostrofo NON va.

Invece io mi trovo spesso a litigare con il correttore ortografico per gli accenti di perché, finché, affinché, apperciocché (quest'ultima nemmeno so se esiste...ghghghgh). C'è una regola specifica?

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Io sono stato amabilmente sbeffeggiato in farmacia dal direttore perché, appunto parlando del plurale delle parole con "cia" e "gia" ho personalmente aggiunto che c'era una regola grammaticale precisa, ma che comunque in caso di dubbio io scrivo sempre la parola ed ad occhio mi accorgo di quale sia quella giusta. Risultato: inevitabilmente avevo indovinato la versione giusta, pur non ricordando esattamente la regola... Ghghghgh
bravo, hai raggiunto la maturita` linguistica di un bambino di terza elementare :-p

Invece io mi trovo spesso a litigare con il correttore ortografico per gli accenti di perché, finché, affinché, apperciocché (quest'ultima nemmeno so se esiste...ghghghgh). C'è una regola specifica?
no, perche` dipende dalla pronuncia. per esempio perche` e e` hanno due accenti diversi. la prima ha la e chiusa, la seconda ce l'ha aperta (uno e` grave e l'altro acuto, ma non chiedermi quale sia uno e quale l'altro).
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La regola c'è:

dalla wiki (la grammatica di mia madre è a casa e la vedrò soltanto lunedì e, comunque, vista la scarsa affidabilità della wiki in alcune voci, mi riservo di controllare)

Parole che vogliono l'accento grafico

È obbligatorio utilizzare l'accento solo in questi casi:

* nelle parole tronche (vedi oltre) composte da più di una sillaba: (es. Perù, bensì ecc.)

* nelle seguenti parole monosillabiche: è, dà, dì, là, lì, né, sé, sì, tè, ciò, già, giù, più, può, scià ma con alcune eccezioni. L'accento non si usa su da usato come preposizione, e come congiunzione, la come articolo e pronome, li come pronome, ne come pronome o avverbio, se come congiunzione, si e te come pronomi, di come preposizione. L'Accademia della Crusca consiglia di usare sé anche quando seguito da stesso o medesimo e indifferentemente al singolare o al plurale.

* nelle forme desuete del verbo avere senza l'acca: ò, à, ài, ànno. Tali forme non sono più utilizzate nell'italiano odierno, ma è possibile incontrarle in testi datati tra l'Ottocento e il primo Novecento.

È utile indicare l'accento nei casi in cui due parole si distinguono solo per la sua posizione (ad esempio: viòla, il colore, e víola, terza persona singolare del presente del verbo violare), laddove non risulti evidente dal contesto. Risulta peraltro obbligatorio solo l'accento alla fine di una parola.

Accento grave ed acuto a fine di parola

In questi casi, l'accento grafico è praticamente sempre grave nelle vocali à, ò e sempre acuto nelle "i, u". Bisogna invece distinguere, alla fine di una parola, tra é (accento acuto) ed è (accento grave).

Qui di seguito sono elencate le parole più comuni che richiedono l'accento acuto sulla e finale:

* Affinché, benché, cosicché, finché, giacché, macché, nonché, perché, poiché, purché, sicché e tutti i composti di che; inoltre, lo stesso ché nel significato di perché (o affinché);

* Né (= e non o simili);

* Sé, usato come pronome;

* Ventitré e tutti i composti analoghi di tre (trentatré, quarantatré, centotré, ecc.);

* Credé (= credette) e tutte le terze persone singolari del passato remoto in -é (rifletté, dové, ecc.; eccezione: diè, per cui vedi sotto);

* Scimpanzé, nontiscordardimé, mercé, testé, fé (per fede e per fece), affé, autodafé, viceré.

È, voce del verbo essere, e il suo composto cioè vogliono invece l'accento grave, come anche certe altre parole, soprattutto d'origine straniera e non recenti: ahimè (e ohimè), diè (antiquato o letterario per diede), piè (= piede), tè e caffè, coccodè, bebè, cabarè, bignè, canapè, gilè, lacchè, narghilè, purè, Noè, Mosè, Giosuè, Averroè, Salomè, Tigrè, ecc.

Uso dell'accento e dell'apostrofo

La regola generale da seguire è:

* l'apostrofo si usa in caso d'elisione;

* l'accento si usa per distinguere due monosillabi altrimenti omografi ma di significato diverso (le note musicali costituiscono eccezione), e su tutti i monosillabi composti da due grafemi vocalici.

Nel primo caso, da un punto di vista grafico, si verifica un'eccezione riguardo all'uso dello spazio, dal momento che il segno dell'apostrofo non viene né preceduto né seguito da uno spazio.

Esempi:

* po' usa solo e unicamente l'apostrofo, in quanto forma apocopata di poco.

* Su qui e su qua l'accento non va, in quanto hanno un unico significato.

* Su lì e su là va l'accento altrimenti si confondono col pronome li (li ho presi, li ho visti) e l'articolo la.

* Su è senza accento. Giù ha l'accento perché, pur essendo un monosillabo, potrebbe altrimenti essere letto gíu, con l'accento sulla i, come in magia.

* Su fa, va, sta di solito non occorre né accento né apostrofo. «Maria fa la doccia», «Va bene», «Come sta?» tranne nel caso dell'imperativo monosillabico: Fa'!, Va'!, Sta'! da Fai!, Vai!, Stai!. Esempi: «Fa' presto!», «Va' via!», «Sta' fermo!».

* In dialetto, tuttavia, si può trovare «Che stai a fa'?» (per fare) e, in romanesco, anche «Che sta' a fa'?», pronunciato praticamente tutto d'un fiato: «Che staffa'?» .

* Accanto a dà terza persona singolare del verbo dare, da non confondere con la preposizione da. Esiste pure Da'! con l'apostrofo, forma monosillabica dell'imperativo Dai!. Come apocope (o «troncamento») dell'ultima sillaba di Dici!, troviamo l'imperativo monosillabico Di'! di dire. Esempi: «Da' una mano!», «Di' tutto!».

* Su dì, forma arcaica per giorno, l'accento serve a operare la distinzione con la preposizione semplice di: si dirà quindi, con Leopardi, La sera del dì di festa. Viene confuso spesso con la forma imperativa del verbo dire (Es.: Di' soltanto una parola e... - vedi sopra).

Si nota, dunque, che all'imperativo non va l'accento su nessun verbo.

Infine: l'articolo indeterminativo un si scrive con o senza l'apostrofo? È un errore molto comune. In questo caso la regola è apparentemente semplicissima:

* Un senz'apostrofo è maschile: un amico, un italiano, un libro…

* Un' con l'apostrofo è femminile: un'amica, un'italiana, un'eco…

Come si vede dagli esempi, un' si usa solo con parole inizianti in vocale mentre un si usa sempre tranne con le parole inizianti in z-, s impura (cioè seguita da consonante) e simili.

Tuttavia, si è spesso tratti in inganno dal fatto che le parole maschili che cominciano per vocale richiedono l'articolo determinativo lo, in forma troncata (l'albero); siccome tutti gli altri sostantivi che richiedono quest'articolo usano l'articolo indeterminativo uno e non un, è immediato vedere il parallelismo «lo/uno» e «il/un», e quindi supporre «l'/un'» («un'albero»). Siccome la presenza dell'apostrofo non indica alcuna differenza di pronuncia, alcuni non comprendono i motivi logici alla base di questa regola. Essi sono invece da rintracciarsi nel fatto che al maschile c'è un troncamento, al femminile un'elisione.

Secondo me "é" va con l'accento aperto (voce del verbo essere) mentre perchè con l'accento chiuso...

Appunto.

accento grave=aperto: è

accento acuto= chiuso: é

Quindi "è" voce del verbo essere va con accento grave, i composti di "che" con accento acuto.

PS: Sì, avverbio e affermazione, va con l'accento. E "né", congiunzione negatica, idem.

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