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Libertà


esahettr

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Ma io mi dico... è una cosa normale? Ma ti sei visto scrivere? Sei bravissimo, pieno di passione, metti tutte le emozioni in una poesia, mi ricordi Leopardi, non so perchè:rolleyes:

Forse perchè anche lui era un genio che scriveva poesie di questo genere da fare riflettere, un po malinconiche....

Sei un GRANDE continua che non mi sono ancora annoiato.

Ciao!!!:bye:

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  • 4 settimane dopo...

I

sono tutti matti

ma mai abbastanza da

sono tutti

tutti morti

ma non al punto di

io sono un preservativo nella spazzatura,

ma le nuvole mi chiamano

seme di aborto,

e necessità negata

il vento che le spinge

e ancora ricordo

in questo cinereo vortice di superfluo

ciò che disse la lei con le mani rosse

togliendosi le grida dai capelli,

il torbido dal sogno degli occhi

(il cervello di lui decorava il pavimento)

- morta mia stella,

parola trapassata all’alba,

bambino egoista

va’, va’ avanti

torneremo un giorno

come necessità senz’utero –

e il poco di lui che rimaneva, che esitava

non più del contorno di un sospiro:

- mai e sempre

mai e sempre

mai e sempre

II

siamo vomito di supernova che secca al tempo

e con questo?

tutti vogliono essere belli

solo sabbia inventata da nessuno

luce! diventarla! ditemelo!

(il bianco è la più antica masturbazione nichilista)

la sua frase preferita era

- quando Dio si sparerà

mi sparerò anch’io

come quando sdraiato sul suo letto triste

nella sua camera triste

acceso dalla luce che consuma

aveva guardato nello spazio fra le cose

III

Terra,

che con una mano mi hai spinto

nell’implosione della fossa

dove il verde artificiale

si fonde con l’infinito di gomma da masticare

(e allora cercai un’altra te,

ma che avesse le calze a rete rosse

e mi bagnai nel fiume dimenticato

e andai fra i vermi di fuoco

coltivai feti di illuminati a un lato dell’autostrada)

che nel fiorire delle lacrime,

madre,

urlavi - vivi il meglio

scaldati al silenzio della brace giovane

splendi di ciò che è tuo e degli altri

prigioniero dell’inutile

con il suo recinto di non attorno

che rimpicciolisce sempre

scorticarsi il cuore contro il filo spinato

non abbastanza da morirne,

troppo per riprovarci

oh, fottersi il cervello con un proiettile!

IV

le sue poesie parlavano solo del nulla

(la professoressa di italiano

- è proprio questo il problema)

non dei bambini dall’anima assoluta,

avvelenati di magico tutto,

ma della vecchia pistola d’ordinanza del nonno

(mietitrice di sediziosi studenti, forse),

del male blu sepolto alla radice del pensiero,

(attende

attende

attende)

è strano sentire

l’insperato fiorire del più fragile dei nostri semi di tempo

(ti ricordi, li mettemmo

non si sa se a fottere o a marcire

sui prati del sempre,

bianchi nell’attesa nera)

perché le mie poesie parlano solo di me

maldestro giocoliere di menzogne,

me quasi senza cuore,

mormoratore di vecchi canti

e cose spente per sempre?

masturbatore! masturbatore!

tutto ciò che è fine a se stesso!

V

quante volte abbiamo giocato con la morte?

(come le quindicenni anoressiche che dicono

– è la mia migliore amica)

non è nulla, non è nulla

tranne il nulla che siamo stati tanto a lungo

senza lamentarci

tranne il nulla che prima o poi saremo lo stesso

(lo sappiamo dalla notte che tu le baciasti il collo e mi sfidasti

e io le tolsi la gonna e dissi che ero pronto:

ma nessun vortice oltre la pelle calda,

nulla d’importante)

a casa con lei certe volte era strano

aspettava due ore prima di cominciare a baciarla

perché ora del suo seno

ho leccato quello che mi era consentito

VI

quante volte siamo cancri?

turbato il nulla,

sterilizzato il sogno,

dimenticato il resto

impazzì sentendo il suono delle nuvole al tramonto

brucandol'oscurità nata dalla cenere del sole

viaggiava dissonante per elettrizzate sinapsi

- nulla continuerà per molto! -

così sfotteva lo specchio

mentono tutti

(banana marcia,

devi fidarti degli alieni)

è un gioco subdolo

VII

e la lei torbida vide il foglio a righe accanto alla pistola:

risorgere è ridicolo come gli amanti

sfavillanti di sangue nella notte livida

***** e cuore e **** e cervello

fondersi è la chiave

tutto quella pulsazione

sono l'angelo dagli occhi sporchi,

non temere,

non smetterò di precipitare

per l’impuro amore puro:

solo fango, solo terra

e il resto non ci riguarda

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Primo giorno di primavera

I - Mattino

I semi si schiudono nella terra bagnata.

Secche foglie d'autunno ancora si aggrappano ai rami:

derelitti fantasmi di un tempo perduto.

Lasciatevi andare, mormora loro la terra.

Non abbiate paura, non c'è nulla da temere.

Quaggiù riposano le vostre compagne.

Venite, venite. Siate lievi,

qui si compie il ritorno e il dolore finisce.

In me sono tutte le vostre compagne.

E fa loro coraggio il vento, accarezzandole.

Sospirando, ridendo, piangendo, alcune si lasciano e cadono.

Altre restano immobili, terrorizzate.

Verrete anche voi, presto, canta loro la terra.

Io sono tutte le vostre compagne.

Rami morti rivivono.

Gemme argentate cullano embrioni di fiori.

La gioventù schiuma nei parchi.

Bambini che giocano a calcio. Giacche gettate a terra.

E il vecchio pino scuro dondola lieve nel vento,

commosso e irritato se la ride da solo:

i vecchi camminano un passo per volta,

invidiosi dei cani che corrono.

Il cielo è fuggito nel suo cantuccio di nuvole.

Ricorda l’infanzia perduta.

Il sole neonato si sveglia piangendo.

Ci pensa, si accende e consuma.

La croce di legno sorride sanguigna.

Canto di uccelli.

II - Tramonto

Nel santuario di roccia riposa la morte.

Assordata dal verde è strisciata nei monti.

Non ancora, non ancora, vaneggia nel sonno.

Verrà! Verrà! Verrà!

Il sole sbadiglia. Comincia il ritorno.

Di tre che partirono uno solo è tornato.

Il poeta ha con sé l’asfodelo che brucia i serpenti.

Tetti aranciati si rigirano nel sonno.

Non sognano affatto.

A volte si svegliano e chiacchierano.

La pioggia guarisce la quercia tremante.

Il sole si asciuga la fronte.

E nelle notti ancora gelide sui prati

Dormon gli amanti abbracciati, le labbra stremate.

Si sveglian coperti di brina:

per loro hanno pianto le stelle.

Erba tenera fra le rovine. Gemme.

Fiori gialli sul ponte di legno.

La neve si scioglie, gonfia i ruscelli.

Umidi i tronchi e le rocce.

Nulla è cambiato:

il bianco sentiero di ghiaia

come un tempo si snoda fra i pioppi,

e accanto l'azzurra ringhiera.

Eppur noi non siam quel che eravamo.

E accanto l’azzurra ringhiera.

III - Oscurità

La discesa ci espone ai rumori.

Sirene. Steccati urlanti.

Il sole ha la morte nel cuore.

Le nuvole vanno rauche alla tomba.

Stridendo si ammassano i corvi.

Il poeta estrae da terra la croce.

Il sole sprofonda nel lago.

Si accende un lampione in città.

Cielo coperto. Catafalchi di nuvole.

Cielo di niente.

Il poeta ha staccato le foglie morte dai rami.

Si strofina la terra sugli occhi.

Dà fuoco alla croce sommersa di foglie.

Il silenzio montano urla un nome perduto.

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  • 3 settimane dopo...

Un presunto infelice - Autoerotismo in verso sciolto

Scuoteremo la testa fuori dal colletto della camicia

passando in Mercedes davanti alle discoteche

con bionda e mocciosi, il bagagliaio pieno.

Forse negheremo tutto:

‘che io mi ricordi, non mi sono mai sentito solo,

non ho mai pianto o urlato,

no, mai pensato di impazzire’

Preso tutta la ***** che sono riuscito a trovare,

come direbbe il protagonista di un vecchio film di Gus Van Sant.

Danzato con la psicosi, e di brutto, mano nella mano, guardandole le tette;

l'ho fatta mia alla musica del caos, bruciato

come una chitarra ignorante nella notte di porcellana.

Ho limonato con gli occhi le insegne luminose quando giravano,

scosso la testa, spalancato la bocca, rimasto attonito,

preso parte più volte allo smembramento dell'ego.

Meschinamente gentile, ma meno di altri,

quasi il migliore a piangermi addosso.

In sedic’anni, un paio d’ore di realtà,

perchè ho sempre mentito, spesso a mio svantaggio,

deformando i fatti fino a renderli irriconoscibili,

o inventando di sana pianta per il mero gusto di farlo,

per provare a me stesso che ne ero capace.

Di solito, piaccio a quelle che nella foto di classe

chiudono gli occhi perché non sanno dove guardare.

Mi sono sempre innamorato delle principesse imperturbabili,

profumate, irraggiungibili, misticamente stupide…

Loro che per uno strano scherzo del destino

non si ritrovano ancorate alla terra come gli altri...

Spaziano eteree come colombe di luce,

incuranti della gravità,

fra jeans attillati e ventunenni che sanno di dopobarba…

E noi possiam solo guardare: evidentemente

il cielo è soltanto per fighe e cretini.

Sarebbe lecito annoiarvi con le mie gesta da idiota,

la fobia per il carnevale e le maschere,

la mia strenua difesa degli insetti (che mi fanno schifo):

mai ammazzare una mosca in mia presenza.

Ma mentire, pisciare in faccia all'agonia di chi più mi vuole bene…

Oh, non ho mai pianto molto per mia madre!

Niente fratelli, ma ho avuto tante baby-sitter,

con quelle strane ragazze ho sognato l'infanzia.

Femminilità alternativa al grembo, se volete,

spesso i miei erano via per lavoro.

Ventitreenni da università

mi venivano a prendere a scuola.

Le sceglieva mia madre: prima di tutto orrende,

sveglie-ma-non-abbastanza-da-rubare.

Ricordo che qualche volta le mettevo a disagio.

Benedette, alcune le porto ancora nel cuore.

‘Fai quello che vuoi’.

Schiantarmi un intero pomeriggio di Crash con gli amici,

giù di joystick fino all’epilessia; parolacce libere,

coca-cola e doppia speedy-pizza per cena, of course;

rimanere a giocare anche dopo l’allenamento.

Benedette. Benedette.

Poi... La commedia comincia.

I baci e le canne e le seghe: immolare alla colpa l’oblio della morte.

Barattai la purezza con un incubo di cartapesta.

A mio padre caddero i capelli, quelli che rimangono sono bianchi;

la mamma ha le rughe e da tre anni è in menopausa.

Per il mio quindicesimo compleanno, fra le altre cose,

ho ricevuto un opuscolo che tratta

degli 'irreparabili danni delle droghe sintetiche'.

E sequele di luoghi comuni a pranzo:

‘Ti farò conoscere il mio amico X,

che era così intelligente, e ai tempi dell'università

scriveva poesie sulle fiancate dei treni…

Ora pesa 120 chili, ha cinquant’anni e vive con sua zia’.

E mia madre (non credo sia mai andata oltre il terzo bicchiere)

non vuole essere da meno… Ha letto dei rade party

sul D di Repubblica.

Sarei tentato di paragonare l’innocenza

alla patina bianca che ricopre le larve,

l'utero in terra dell'incomprensibile.

Ma la larva non è per sempre,

un giorno la vita si traveste per spararti.

Ti sporchi, diventi uno storpio.

E il primo bacio è Dio che dice:

‘spolpiamo per bene anche questo tumore’,

perché i bambini sono come gli albanesi:

oltre il mare c’è solo immondizia.

Tutti vorremmo disperatamente essere qualcuno,

disperatamente avere qualcosa.

Tutta insicurezza incancrenita,

tutta adolescenza irrisolta.

Patetico, no?

Suicidio da salotto alternativo.

Barista del mondo, ***** ghiacciata!

Il prigioniero sta divagando!

Scusate, già delirato sotto questo titolo.

Fin dalla nascita, combattuto fra due strade:

la naturale propensione per l'estasi epilettica e il dileggio dell'eternità,

il rigurgito chiamato arte, il gradino più basso della schizofrenia;

d’altra parte, ho un'anima troppo puntigliosa per soprassedere

a idiozie come la vita, la felicità da porci,

l’apoteosi dell’amore sigillata in una tomba d’incenso…

Acido avariato o sperma secco?

A casa il pomeriggio mi sento prosciugare, passeggio da solo,

decido di non portarmi da scrivere, prendo freddo,

scrivo aforismi sul cellulare, li salvo in archivio

e rileggendoli vorrei morire, poi ne scrivo altri.

Quando viene buio siamo rimasti solo io e il cane di turno,

con rispettivo vecchio rincoglionito al seguito.

Uno di quelli che se fossero colti direbbero:

‘Ah, modernità! Ludibrio d’ogni etica!

Ma io passeggio con la mia alterità al guinzaglio!’

Disgustato, me ne torno a casa.

E minuscoli alieni mi traforano il cranio ridendo.

Una dopo l’altra, le ragazze dei poster

ballano la lap dance sul televisore,

e con il tacco delle labbra mi toccano tutte nello stesso punto.

La notte, impensati castelli di sospiri gemono per torturarmi,

io non riesco a starmene fermo e zitto.

Tornano sempre per lacerarmi il cervello,

con gli occhi avvelenati degli sbirri della reincarnazione…

Ed è per questo che ho corso scalzo per la strada

e ho affogato nel cesso il teschio sulla mia maglietta,

morso il sapone, fatto la doccia con i ragni.

Fuori è la salvezza!

Riprendendo a scherzare

ho gli occhi a spirale

abortite il plurale

Dio sa negare

Mi mancan da sempre la morte e l’amare

Sporcato abbastanza, mentito abbastanza,

bastevole dose di serata-di-pioggia-passata-a-casa,

in procinto di buttarmi sul letto macchiato di sudore,

verso il lungo naufragio di non-sogni agitati.

Quasi-coiti struggenti, se sarò fortunato.

Il poeta lattante vale i fogli che imbratta?

Lo stupido senso l’urlo degli alberi nel cielo d’estate?

E i tuberi beati, la mucca pezzata, il legno della scrivania?

Perché costringere col fuoco la plastica piangente in mappamondo?

Prendiamo polvere sul comodino.

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  • 3 settimane dopo...

ragazza verde

eterno colore dei campi

non ho mai smesso di fingere di non cercarti

dovessi sposare un assessore ai trasporti

cullata a morte dall’orrore quotidiano

innamorarti di un tossico dagli occhi tristi

farci una figlia e chiamarla Lucia

sognerò sempre che tu sia mia

c’è stata una primavera

in cui prendevamo la funivia alle due

e tornavamo a casa al tramonto

trafitti dalla luce dell’attimo

con terra e fili d'erba nei capelli

e la sera le stelle sopra la piazza

le stelle sapevano di fieno

timida e maliziosa

di una dolcezza scostante

era il genere di ragazza

che ascolta i cantautori

e metteva a seccare i fiori

nei libri ingialliti di sua madre

(Jane Austen e Tolstoj)

non parlavamo molto

ma ascoltavamo i grilli

e i grilli dicevano

non esiste l’inferno

l’universo è tutto

un unico seme

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  • 3 settimane dopo...

banalmente

con ironia funesta mi trasformavi in neve

e da angelo padrone figlio di teatranti

nutrivo di speranzosa superficialità

la reiterata esibizione delle tue ferite

ma nella pantomima disumana dell'imbuto

i nostri nodi hanno consunto il risveglio

incubo fragile

con quel tuo fucile di pensieri folli

caricato a purezza di radici

uccidimi come fossi tuo padre

come un'alba che non ricordo più

o la canna che non sapevamo rollare

umiliarti per nulla era dirti

ciò che non sapevo dire

il mondo è più grande di noi

mi faccio schifo da tanto tempo

cent'anni da profeta ai sordi

spezzati dalla stessa dissonanza

e con rancoroso amore

a masturbarti piangendo contro pareti imbottite

se sono stato svastica o voragine

se ho trascinato ingannato risucchiato

tu santo per avermi tenuto stretto

quando mordevo annegavo

un ultimo sforzo ora

volami addosso

in questi brutti versi non corrisposti

perdona il mio perdono

e lasciamoci andare

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il generatore spazzi già passati

per madre vaporosa giù pitone

runa luna e assenza

sintonizzano di uccidiamo disidratato

lentezze ringiovanire druido

a dirotto le strade spariscono

e i gabbiani straziante

non doppio passando

congerie dell'azzurrità

disimparano semiotico ai fili pallidi

in meteora disinfettando me pioggia

purpureo scomparso

confusione incalzato

musica gamma pensano

eroe in notte

nevicante luna tempo

e lanciano i capelli giù per la bruma

come sangue io

recondito cigno

sacrificio in adesso

svasa pance

ma increando annulla al sorgere

so anche

in verde corallo fratello cosmo

sparato il mare con ritardo

Giulia inseguivamo cimice

in lievissimo disgiungi biondo

sul piangente colloca

pallida giorno blu convergono

o rinnegare sottoterra d’alberi

per il su verme stellare

penetrati fuoco in membra arrese

i lembi e non finendo crivellano

sole di tuono arreso

o se credenza incendia

vaghiamo per foglie

o grembo argentato

solennità da flebile

nero trovarsi guscio mondo

recisamente travisato in fiori

in viaggio senza

suono cade nubi

profondo arancio

midollo di abisso

non dio nulla natura

nominando

fusione del trovarsi

resuscitan geometrico

negato nei profeti

che immenso tornano

il frutto 11

------------------------------------------------------------

PS: Il post di Aerys di qualche giorno fa su UDdFO mi ha fatto venire in mente una cosa: forse non ero mai stato esplicito.

Ora lo sarò: vi autorizzo ufficialmente e pubblicamente a insultarmi, smontarmi, ridicolazzarmi & chi più ne ha più ne metta... :-D

Basta che commentiate! Magari senza limitarvi a dire 'bello', ma anche 'bello' è qualcosa... Sono secoli che nessuno mi dice un ca***, a parte quel santo di BG... :lol:

Sennò come faccio a migliorare, o anche semplicemente a decidere di buttare i quaderni nel cesso e mettermi a collezionare goldoni usati...

(Leggerina, questa).

Spoiler:  
C'ho piazzato pure un paio di faccine così si capisce che scherzo... :lol:
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Fa cagare, ma è una merdosità in endecasillabi, perlomeno.

La luna d'estate

Chi ha svegliato la luna d'estate?

Non sai, Giulia, tu innamorata

eterna delle notti argentate,

di chi è lo sguardo che l'ha chiamata?

E' il tempo dei fiori del vate,

di bianchi fuochi sull'erba ramata,

e gravide stelle, ninfe svestite

han tratto da sè la luna rinata.

Come i morti van nelle correnti,

fra nebbie di sacro e di profano

mille giorni si perdon nei venti:

con la luna viaggeremo lontano

come folli bambini innocenti

in un sogno purpureo di grano.

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Malinconia, Giulietta!

Nemmeno il coraggio di trascinare

i nostri incubi nella piazza!

Chi più di noi sapeva mendicare,

incurante del tempo rompere un boccale

sui banchi del mercato color suicidio?

E ti schiudevi come un'ostrica

- la mia metafora migliore! -,

come un’illusione alla luce, lo sentivo,

allo scoccare della mia abulia...

Non è da noi fiorire in eterno, Giulietta!

Ti ricontavo i capelli col tuo silenzio

che mi setacciava gli occhi alla vana ricerca

di un luccichio che meritasse il nome di rimpianto,

del più piccolo germoglio, di un qualsiasi soffrire;

poi storcevi la bocca, - bruciato- dicevi,

prima di piangere, tu, e diventare così brutta,

con quelle lacrime di fondotina

giù per le guance a scavarti amare.

E a nulla serviva violentarti di carezze: che sì,

bruciato lo ero stato e un po’ lo sono

- ma le tue mani con quello smalto osceno,

per quelle tue mani un giusto prezzo e niente più

la crepa tremante, il rimorso

del cielo fatto grembo alieno

Te lo ricordi il vento nei campi di soffioni, Giulietta?

Lo ripareresti ancora il mio cuore,

con le promesse e i chiodi?

E i vecchi meli sorretti dai sostegni,

rotti di nostalgia futura? - Lasciamo stare...

Era un maggio nevoso, e con voce incoerente

bestemmiavamo le stelle.

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i vecchi

chiuso in casa

che brucia il cielo

ma il corpo

che cos'era il corpo

un lume fradicio alieno

dal fetore candido

cervello rancido dissolve terra

in viscide pantofole

e volerla ammazzare

grasso insetto

insensati guarda i vecchi film

il pomeriggio su rete 4

voliamo su banchi usati di singhiozzi

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  • 2 settimane dopo...

un matrimonio

io e mio padre

sudando i vestiti scuri

nel sole di paese

mia madre tirata

come una trentenne

soffoca i tacchi nell'asfalto fuso

e dopo la salita l'attesa

della sposa fuori dalla chiesa

in rovina per colpa del pd

il fiato marcio degli sconosciuti

la paura dietro i sorrisi

sono l'unico senza cravatta

tranne un cretino di arredatore pisano

e mia zia robbosa di tranquillanti

gli occhi vuoti commossi

come una tortora zoppa si aggrappa

a quel suo marito padrone gentile

fascista kitsch con un immenso cuore

che ha sposato a vent'anni

per fuggir dalla madre

dentro la chiesa

è una povera chiesa consunta

da cent'anni di comunisti e perdono

e come conviene

la sposa arriva in ritardo

in un turbine di campane

trasfigurata dal vestito bianco

vergine come prima del verbo il cielo

dodici anni nel suo averne trenta

e sua madre con un cappotto rosa osceno

untuoso e idealista

un prete venuto da varese

benedice il dolore

e negando nietzsche

ritorna al dio-tutto

mia madre legge san paolo

e l'annamaria massacra il vangelo

(gli uomini e il tempo ti pioveranno addosso, biondo:

ama i bastardi che ti ammazzan di botte

marchiali a fuoco

quei loro cuori minuscoli

perchè ancor più piccolo è il tuo)

sono ancora potenti

le vecchie preghiere

se dette all'unisono

mano nella mano

fanno ancora vibrare

le formule arcane

il mondo fino alla radice

io e mio padre, gli atei

pietre nel torrente

piangiamo in silenzio

perchè la vita senza mantra

è solitudine e l'estate

un morto futuro

e gli sposi davanti all'altare

gli sposi in ginocchio

in questa casa dell'uomo in ginocchio

fra queste mura di pianto dolente

mio cugino lo sposo

che diceva di non essere nervoso

che ha vissuto a new york

e lavora a zurigo

fa sì con la testa

a ogni frase del prete

prima che il prete

abbia finito di dirla

il coro incendia un alleluia

per l’antico mistero del sangue

guardo le vecchie appassite

che con labbra spossate

prendono l'ostia dalla mano del prete

senza toccarla

guardando gli sposi

con un misto d’invidia e speranza

pensando all'odore di giugno

negli anni sessanta

scambio di anelli

giuramento

(giuro

ruberemo il costato al salvatore

per dare l'oro ai poveri)

e intanto le offerte

mio padre buon'anima

che dà un cinquantone

la nostra chiesa così povera

dice il vecchio parroco

- nessuno lo ascolta -

speriamo che il signore ci dia i soldi

ma è già bella così

in un pioggia di riso

il sagrato pieno di americani e lombardi

il sagrato brillante di flash

come un unico fiore

fatto di mille fiori

zoppi per il troppo sole

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  • 1 mese dopo...

Questo è l'incubo per cui tutti hanno pagato,

giarrettiera di punti impossibili

dove tutto è esaudito.

Mostrami il rumore dei ricordi

nascond-insegui la stele dei singulti.

Le mosche intoccabili sul ciglio si accendono.

Parliamo per ore di gente che non esiste.

Saprai soccorrere

i miei occhi colpevoli,

quando ogni teschio verrà giudicato -

credo - per l'intensità

della sua incandescenza?

Là c'è un fiammifero acceso in eterno,

ogni cosa è impossibile,

sono belle le notti cobalto

e nel gesto satanico della bottiglia

una colomba che veglia gli insonni.

Ieri ho visto il Padre

sommergere il mondo

con manciate di pianto gelato.

I futuri, nei bozzoli,

son vizzi e ammuffiti.

(Cristianamente - disse

carezzandole i capelli ossigenati).

Nessuno sopravvisse

alla propria nudità.

I nostri passi bambini nel tempo,

candela demente. Il riso

infinito dei baratri;

il mio nome nel fiume di fuoco,

come un numero sempre mancante.

(Ma tagliare quella pizza convulsa. Eredi.)

Brinda alla notte attutita:

serpenti commossi

morderemo la gente.

Cresceremo figli tragici

per guardarli decomporre,

uccelli migratori.

Nel lungo esilio dell'infanzia

stretti in un guscio di noce

ridemmo blu.

(Mio Dio - non sono

mai riuscito a commuoverti).

Cercateci in un'ombra come una ballata dolente,

nel vagito d'orrore dei giorni. Bocca

che sogna di bere

(la morte), corpo che freme

nell'erba di sperma, muro di mani

che non si toccano.

Cuore tetragono

postumo

blues.

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  • 1 mese dopo...

Viaggiavo l'aria gelida,

gli empty stores,

vuoto grigio senza vederlo,

occhi che serrano il cielo d'erba

alla finestra, nel sudore

dolce delle barbe.

Sgrano un dollaro fra le dita,

gli occhi pomi maturi

fingendo di piangere,

fingendo di essere altrove.

Non funziona se sputi

nel limbo che il cuore abbia denti:

tetri e gelidi i tempi

i passi umidi, che le sbarre smussano

contro il cuscino. I camion

di burro, e' l'alba; nubi

inesistenti. Ti chiedo le case

soffuse perche' sono cresciuto.

E alle palpebre, a liberta'

minuscole, a sillabe

che sono larve ridero' col mondo

le mie viscere di gorgo,

aggrappato a quei giorni d'insalata marcia: e

il mondo si slabbrera' ridendo.

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  • 1 mese dopo...

Kirsten

Gli occhi di nessuno, gli occhi di nessuno;

e i fratelli maggiori dispersi vecchi

verbi uomini amari urlati ed

esauriti negli zigomi delle loro madri infedeli

per quell'unico istante di giustizia di vite

come case scricchiolanti irrimediabilmente

stritolate dalla notte senza ore.

Il dopobarba di papa';

quanto era alto! Le corse

in montagna la resina le ragazze

di un tempo quando piangevano per

un bacio perche' e' gia' ora di tornare

a casa per amore perche' erano brutte e

mio padre mio padre che spegneva la candela

con un soffio dolce, come per scusarsi,

e poi la notte, amen.

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  • 3 settimane dopo...

Le notti che

si vestiva a incontrare composto

da bara se stesso

del futuro alla finestra:

come carne di ombra come

seme che urla non riusciva avere

pieta' dei santi sul frigorifero

gli scivolava dalle mani

e non godeva scrivere era come

infilare il coltello - ora di cena

sulla soglia - nello zero aperto sulla fronte.

E quando pensato

con vicinanza assordante

vennero i padri dai coltelli gentili

dietro l'argento per scacciarmi

e piansero.

"Cuore scoperchiato".

Perche' non so far altro

presi la gioia sorda

luce fisica un fantasma ma pur

sempre luminoso.

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  • 4 settimane dopo...

Trampolavamo le ombre sudicie

latte e fiori

nella strada cancellata i passanti

diventano un gesto ragazze baci

desolate nella folla avute

bianche come mentire

a cui il fuoco parlo' brucerete

brucerete con le luci di natale la stanza del televisore

tornera' la luce verde il campanile sotto la stella dolorosa

stridente rossa negli occhi

dei gatti ti manca tua madre?

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  • 2 settimane dopo...

E le ore a dirotto, e ti amo credo adesso;

precipitando ritornavo fra i dialoghi sospesi

delle rose quando la terra e' un fulmine un vento

di campane taceva l'eterna luna rotta - tenerezza delle alture,

feroce, ci strisciava le stelle verso il cranio...

Lo stomaco non e' niente, non e' niente

quando il treno viene sul cuscino e squilla

l'alba il suo respiro spezzato e un brivido spazza

i letti intatti delle camere vaganti

- quanto ci vuole a nascere un albero -

senza piu' fede nel giorno.

La notte sa i nostri segreti,

la notte sa tutte le nostre sconfitte.

Che cosa ne e' della mia citta' di luci sterili,

dove ragazzi senza senso vacillano come foglie

nelle strade che gia' piangono per loro, spezzando

il pane della notte, e sognano la terra libera, il fuoco nudo

a venire, le slut dalle risa di sperma azzurro nelle strade

che per cent'anni ancora canteranno il loro nome?

Diro' al fantasma dei nostri giorni migliori ricordo

una classe assolata, il sorriso di Livvy neanche bella

quando mentiva l'ora e usciva, e ricordo, diro',

questa e' la stanza dove ho perso la verginita', questa

e' la soglia di quando morivo e l'uccello

d'argento rideva una chiave.

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  • 3 settimane dopo...

Stanza circolare,

il tempo bisbiglia di pareti fatte luce

vedo ancora per anni la mamma a ore

piangere al telefono del sorriso

avuto sul divano marrone e per questo

forse papa' con gli occhi ferro folle entro'

le nocche bianche era come un bambino

se lei non avesse abbassato lo sguardo

nessuno sapeva cosa fare

E poi venne il Demerol riso scosceso

affogato nello specchio

un morto, inestricabile

disperse il vento fiorito

La buca di pioppi rimbombanti

alimentare la leggerezza della terra

non ci andammo piu'

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  • 2 settimane dopo...

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