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Risveglio Prologo e Capitolo 1


dancing sprite

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E' un progetto un po' lungo, se però qualcuno ha voglia di leggermi e commentare queste prime pagine... ho bisogno di feedback

Spoiler:  
In principio avevo creato i Quattro Custodi, i miei draghi guardiani.

Il primo, in sapienza e astuzia, era Ardergast. Nero come la pece; sul capo portava dieci corna che gli facevano da corona. Era il mio consigliere, amante della conoscenza.

La seconda era Liannon, sua moglie. Il suo corpo era quello di una donna, con grandi ali d'oro bianco sulla schiena e profondi occhi gialli. Ella mi aiutò a creare i mari e le foreste, gli uccelli ed i pesci, gli uomini, gli elfi ed i nani. A lei affidai la Fiamma della Vita, che soffiò sulle perfette statue che Ardergast aveva costruito, dando così vita agli aysen, razza potente e magnifica che per anni governò in silenzio Oeneta, donandole pace e prosperità.

Il terzo, Rheis, era gioia pura. Allegro ed creatore delle arti, amava se stesso più di ogni altra cosa. Sagace nelle battute e vivace nello spirito, coinvolgeva spesso i suoi fratelli in scaramuccie e battibecchi affettuosi. Ad egli affidai la gioia delle mie creature.

La quarta, Vestral, era la custode della morte e del dolore. Ella raccoglieva, tra le sue scaglie d'argento, le lacrime di Oeneta e della sua gente, facendosi carico delle loro sofferenze. Era la consolatrice.

A loro affidai per sempre Oeneta dopo la Guerra dei Due Secoli, che mi vide combattere in prima linea, contro mio fratello, Nectnan, e la sua invidia: egli desiderava la mia creazione per poterci giocare... distruggendola. Così lo allontanai, ed io con lui, per poter proseguire la nostra battaglia, laddove lo scontro non avrebbe devastato ciò che ormai amavo. Talvolta Nectan studia modi nuovi per riuscire a sfuggire ai miei controlli ed attaccare Oeneta, ma anch'io ho i miei messaggeri e i quattro draghi non tardano a narrarmi la storia del mio mondo, che ormai è diventato adulto ed in grado di difendersi senza bisogno del mio aiuto.

Proprio ora i miei fedeli mi attendono nella Sala dell'Oblio, per raccontarmi le ultime nefandezze di mio fratello.

PARLANO I QUATTRO DRAGHI

Nostro Signore, Dio Illuminato, un altro tentativo di Nectan di distruggere Oeneta, corrompendola completamente, è stato sviato, ma questa volta la responsabilità della vittoria non è nostra, se non in minima parte.

L'apertura, da parte di un elfo, del Libro del Potere, lasciato dal generale di Vostro fratello centinaia di anni fa, scatenò su Oeneta un'onda di devastazione mai ricordata in precedenza. Raphael, signore dell'armata distruttrice, in pochi anni sottomise in schiavitù quasi tutti i regni, e solo una piccola manciata di ribelli dei Regni Verdi, assieme a qualche superstite dell'Impero di Gaier, resistevano.

La rottura del sigillo del libro non ci concesse di intervenire, trasformandoci in rigide statue di pietra. I seguaci di Raphael ci raccolsero e ci seppellirono sotto le pendici del Monte Grateh. Le nostre menti tuttavia erano attive e seguirono le opere dei nostri eletti.

Io, Ardergast, ammiravo l'astuzia del Principe Elrion. Aysen di un intelligenza mirabolante anche per la sua razza, egli era riuscito a convice Raphael della sua lealtà ed attendeva il momento giusto per tradirlo.

Io, Liannon, avevo dato il mio cuore ad Alexandros, lo stesso druido che sei secoli prima avevo graziato donandogli l'immortalità ,per concedergli una vita serena con la sua Rowena e che era tornato dalle Terre Sommerse dopo aver percepito la portata del pericolo.

Io, Rheis, non potei non ammirare affascinato Valker, un ibrido, figlio dell'amore tra un uomo ed uno spirito dei boschi. Narcisista, amante del sesso e delle belle donne, era l'unico in grado ancora di far sorridere i superstiti ed i ribelli, donando loro qualche istante di gioia pura. Nulla sembrava toccarlo, sebbene ad un osservatore attento egli sarebbe apparso un po' permaloso... era l'unico tra i prescelti del quale non riuscivo a percepirne i pensieri... affascinante.

Io, Vestral, raccolsi ogni lacrima di El che, imprigionato nel suo stesso dolore, soffriva ogni istante con un'intensità infinita, consapevole di ciò che accadeva ed impotente rispetto alla sua sfida. Cercava il sostegno della sua amata, credendosi solo, inadeguato rispetto al suo amore... non capiva che ella lo avrebbe sempre amato per ciò che era.

E tutti noi accogliemmo nel nostro abbraccio colei che più di tutti soffrì in quel tempo buio: la Contessa del Vespro, la grande Jullieva Aderre Nivi, ridotta in schiavitù e costretta a torture che non solo tormentavano il suo fisico, ma anche la sua mente. Ella aveva vissuto ogni istante dell'ascesa di Raphael e da sempre lo aveva combattuto. Desiderava salvare se stessa, desiderava salvare El, desiderava porre fine a quell'incubo.

Se avete pazienza, Nostro Signore, ora Vi narreremo con chiarezza questa lunga avventura che i Vostri figli hanno combattuto.

CAPITOLO UNO (in costruzione... però valgono suggerimenti)

PARLA ARDERGAST:

Ho sempre ammirato gli aysen, come un artista ammira la sua opera migliore: belli, di un'armonia pari solo a quella del famoso Alexandros, agili, aggraziati, intelligenti e dotati di capacità magiche fuori del comune. Un capolavoro nato dall'amore, un amore forte e puro, quello che per sempre ha legato la mia esistenza a quella di Liannon. Per questo motivo la mia attenzione era indirizzata a Elrion, l'erede di Ammyllar, l'isola che per prima fu conquistata da Raphael. Da prigioniero Elrion era riuscito, con molta pazienza ed arguzia, a guadagnarsi la fiducia del suo nemico, diventando suo alleato e fingendosi traditore di quelli della sua stessa razza, che lo maledissero. Così, dopo quasi cinquantanni, era stato nominato principe ereditario dello stesso Raphael ed aveva ottenuto ogni privilegio. Dopo la caduta dell'Impero di Gaier, lui si era insiediato nella corte, presso il Palazzo di Cristallo della Città Azzurra, e lì aveva iniziato a tramare. Il tempo era giunto e sapeva di dover muovere le sue carte. Per anni aveva studiato il suo avversario, copiando i suoi movimenti, osservando ogni sua tattica, chiedendogli spiegazioni quando non comprendeva le motivazioni di una sua scelta. Per anni si era finto il suo più caro amico, il suo unico amico, e le informazioni che aveva raccolto gli erano state sufficienti per sperimentare la sua tesi.

Un mese prima, una notte, era sceso sino ai tunnel sotterranei del Palazzo di Cristallo e lì si era avventurato alle tombe dei grandi, per spegnere una delle sacre fiamme di Liannon. La prima fiamma si era spenta senza che Raphael si accorgesse dei cambiamenti, ma Elrion aveva studiato la trama magica e se ne era rallegrato: la sua tesi era esatta.

Da quel giorno, per un mese, aveva studiato un modo per ridare la libertà a colei che tempo prima amava come una sorella, Aderre Nivi, la Contessa del Vespro. Un mese per creare un piano senza falle, un piano perfetto, che avrebbe richiesto il prezzo del sangue. Inviati i propri messaggeri, coinvolti i suoi alleati, il giorno era finalmente giunto ed io, come al solito, osservavo gli eventi alle spalle del mio protetto.

La Città Azzurra era reputata da sempre una delle più ricche città di Oeneta. Ricostruita dopo la Grande Guerra, Re Laren l'aveva resa un centro di commercio di grande importanza e, rivestita di enormi ricchezze, la città era divenuta la capitale politica ed economica di Gaier. Anche sotto il giogo di Raphael , nonostante il crollo delle mura orientali, avvenuto durante l'assedio, la città non aveva perso la sua bellezza. Era primo pomeriggio e la piazza di fronte al Palazzo di Cristallo era quasi deserta. Un tempo, dinnanzi alle alte torri cristalline della dimora del Re di Gaier, quello era centro nevralgico del commercio e raramente banchetti e chioschi chiudevano prima di sera; ora vi risiedeva il quartier generale dell'Armata Oscura e pochi osavano attraversare quella strada, se non obbligati. Quando il portone principale, in argento, si spalancò ed una figura alta, coperta da un manto di velluto nero uscì, i pochi passanti si ritirarono verso le case, gli sguardi fissi sull'uomo. Il Principe Elrion trattenne a stento un sorriso nell'osservare il timore che la sua sola apparizione suscitava negli abitanti della città ed il suo sangue corse d'eccitazione nelle vene. L'orgoglio degli aysen era così simile al mio... Alzò gli occhi ed osservò il cielo terso, gli stormi di rondini che disegnavano cerchi concentrici nell'aria, presagio dell'autunno imminente. Poi il suo sguardo si posò sullo stuolo di cadaveri ammucchiati ad un lato della piazza. Erano elfi, trucidati dalle mani dei soldati Uno sterminio inutile, una barbarie che poteva essere evitata. Una morsa gli strinse il petto, ma la mente rimase lucida e i poveri passanti poterono giurare di aver sentito la risata suadente del principe, mentre quest'ultimo osservava i cadaveri. Gli anni trascorsi con l'armata lo avevano temprato a sufficienza per consentirgli di controllare meravigliosamente ogni sua emozione: nessuno si sarebbe mai accorto del suo disgusto. Elrion sapeva che il popolo di Gaier odiava gli inasori ed in cuor suo più volte si era chiesto di non appoggiarsi proprio a loro per il piano che aveva in mente, ma i loro cuori erano deboli ed il terrore forte: dovevano crederlo come gli altri ufficiali, altrimenti presto Raphael si sarebbe accorto del tradimento. Si voltò e prese a camminare rapidamente verso il luogo dell'appuntamento, imboccando la strada principale.

Camminava disteso e sicuro, gli abitanti si aprivano al suo passaggio e si inginocchiavano, tremando. Un sorriso beffardo gli illuminava il volto nello scrutarli, retaggio della stirpe da cui derivava. Passeggiò per una decina di minuti, prima di arrivare al vicolo che cercava. Là si guardò attorno e, non scorgendo nessuno, piegò nella stradina, avendo cura di calare sul capo il cappuccio del mantello che lo avvolgeva.

Conosceva bene la città e rammentava la locanda che l'amico gli aveva indicato, ma quando la vide ebbe un sussulto. Dall'invasione usciva raramente dal palazzo e non si era mai addentrato in quella zona, così quando il suo sguardò si posò sulle stalle crollate e sulla porta d'ingresso sfondata si dispiacque per il povero Hortensio, il proprietario.

Entrò a capo basso e si accomodò in un tavolo laterale, in penombra. Poco distante un drappello di fanteria festeggiava un compleanno, maltrattando e importunando una giovane piuttosto insignificante, probabilmente la figlia dell'oste, a giudicare dallo sguardo che Hortensio lanciava, impotente, a quella marmaglia. Il cuore di Elrion prese a battere più forte: disprezzava la crudeltà degli ufficiali, ma riconosceva l'eleganza delle loro torture; quelli che gli stavano dinnanzi erano invece semplici soldati che avevano abbandonato la propria coscienza per seguire i loro istinti. Poteva perdonare un uomo che, maledetto da Nectnan e assetato di sangue, strappasse il cuore ancora fresco dalle carni di un prigioniero, per cibarsene, o che seducesse una giovane dama solo per il piacere di una notte, ma non tollerava che una persona in possesso delle sue capacità mentali si comportasse in tal modo, tuttavia decise di non intervenire, a meno che la situazione non peggiorasse.

Fu il festeggiato ad accorgersi di lui, comodamente appoggiato al muro ed intento a fumare del tabacco dalla pipa. Non lo riconobbe, giacchè la fanteria raramente incontrava la nobiltà di Raphael, ma quando il suo sguardo incrociò gli occhi color ghiaccio di Elrion, egli rabbrividì. Anche i suoi compagni osservarono lo sconosciuto e, incuriositi e, allo stesso tempo, indispettiti da un pubblico che non desideravano, fecero lo stolto errore di lasciare libera la giovane, che corse rapida in cucina, per avvicinarsi a lui. Erano uomini del sud e puzzavano terribilmente di sudore e di alcool. Elrion chinò il capo: doveva concentrarsi sul suo piano ed attendere lì il suo compagno, senza attirare a sè l'attenzione di alcuno... nel caso in cui non ci fosse riuscito sapeva già con che nome presentarsi... il nome di un ufficiale che sarebbe comunque stato condannato a morte molto presto... e non perchè colpevole.

"Nessuno può bere della birra senza il permesso dell'Armata Nera!" urlò il più grasso dei cinque prendendo il boccale del principe e gettandolo a terra. Lui non rispose, sorridendo tra se e se, mentre aspirava un'altra boccata di fumo. La chiazza di birra si allargò sul pavimento, vicino ai sui piedi.

"Guarda: trema!" proseguì uno, con una barba sudicia e unta "non ha nemmeno il coraggio di parlare!"

Un terzo gli avvicinò la spada alla gola: "non è che un vigliacco!"

"Lasciamolo stare, non ne vale la pena!" aggiunse un quarto sputando a terra.

Solo il festeggiato non rideva delle spacconate dei suoi compagni. Elrion lo stimò per quello: anche tra i comuni soldati esisteva ancora un po' di intelletto. Quell'uomo aveva percepito che, sotto quel cappuccio, era celato qualcuno che aveva già ucciso e che non avrebbe esistato nel rifarlo.

Concentrandosi solo sulla pipa, il principe si costrinse a non reagire, sino all'arrivo di colui che aspettava.

Quando un individuo, avvolto da una cappa verde scuro, entrò nella locanda, per dirigersi verso Elrion, il drappello di fanteria tornò al suo tavolo.

"Era tempo che arrivassi!" commentò gelido il principe.

"Ti chiedo perdono, amico, ma riuscire a raggiungere la città non è così semplice di questi tempi, soprattutto se solo due giorni prima un falco ti porta un ulteriore messaggio, in cui ti si chiede di allungare il tuo percorso di quasi una giornata, per comunicare ad un gruppo di mercenari che la gallina sta arrivando!"

Alexandros, l'ultimo druido, era indispettito. Da quando era tornato, per concessione della mia sposa, non aveva fatto altro che percorrere tutto il territorio di Oeneta, obbedendo ciecamente agli ordini che Elrion gli impartiva, fidandosi ciecamente dell'aysen, tuttavia esigeva delle risposte, ora che finalmente si incontravano, risposte che invece avrebbero atteso ancora.

"Non ora, carissimo, non è tempo, ma presto, ad Ilhmarim, potrò spiegarti."

"Ilhmarim? Alla corte dell'Imperatrice? Sembra che si stiano riuniendo lì tutti gli ultimi ribelli."

Elrion annuì, sorridendo: era stato lui a suggerire ad Adelsha di ritirarsi sul lago, nella torre dell'Accademia Magica. Sì, era decisamente mio figlio!

Il tempo era poco ed il tramonto stava arrivando, quindi Elrion prese a spiegare rapidamente il piano ad Alexandros, il quale, pur restando perplesso, si mise nuovamente a disposizione dell'amico. Finalmente il momento era arrivato.

I due si erano accordati sul piano e Hortensio aveva già indicato ad Alexandros la camera che lui aveva richiesto, per travestirsi, quando il drappello che stava festeggiando rivolse nuovamente l'attenzione ai due. Elrion era infastidito, avrebbe preferito evitare di coinvolgere il proprietario della locanda, ma non poteva perdere tempo prezioso: presto avrebbe dovuto cenare con Raphael. Non potendo presentarsi ai soldati con il suo vero nome, si alzò in piedi e scostò il mantello solo a sufficienza per mostrare le insegne degli ufficiali. Gli uomini si fermarono, sbigottiti, timorosi: avevano mancato di rispetto ad un ufficiale... un affronto che, se portato alla corte marziale, avrebbe decretato la loro morte. Il festeggiato si buttò rapidamente a terra, la testa china, tremante ed implorando pietà: "Perdonateci Sir, non sapevamo, non abbiamo capito..."

Tutto si sarebbe potuto risolvere con qualche intimidazione da parte di Elrion, ma l'aysen si illuminò mentre la sua mente calcolava le possibilità di volgere la situazione a suo favore. Un atto di clemenza avrebbe risuonato stridente all'interno dell'armata: quel soldato, pavido e spaventato, attendeva insieme ai quattro la sua fine, dopo un breve processo dinnanzi ai generali, ed il principe sapeva che agire diversamente avrebbe attirato su di sè un'attenzione che non desiderava. Quegli stolti sarebbero morti quella stessa sera, per mano sua... solo uno sarebbe sopravvissuto, un testimone terrorizzato che sarebbe diventato la sua pedina per dichiarare scacco a Karran.

"Voi! In piedi feccia!" prese ad urlare, con tono metallico, inflessibile. "E tu, oste, chiudi la porta d'ingresso a chiave, e poi ritirati!"

Hortensio obbedì rapidamente, per poi scomparire in cucina con la figlia.

"Sono il Comandante di Cavalleria Karran e voi, voi state per morire!"

Il volto era ancora saldamente nascosto tra le pieghe del cappuccio.

Uno dei cinque prese a piangere, implorando pietà, chiedendo d'essere giudicato presso la corte. Fu allora che Elrion, con un movimento veloce della mano, all'apparenza accidentale, scostò il mantello del compagno, rivelando così la sua identità: uno dei maggiori ricercati su Oeneta, il druido Alexandros. I suoi ritratti erano appesi ad ogni dove.

I soldati, per quanto stupidi, compresero subito di essere di fronte ad un generale traditore, scoperta che rinvigorì alcuni di loro.

"Comandante Karran, " chiese il più robusto, quello che aveva rovesciato la birra di Elrion "per quale motivo vi accompagnate ad un nemico dell'Armata? State forse cospirando contro il nostro sire?"

Elrion rispose estraendo la spada: "Non vi conviene fare gli eroi: accettate la vostra fine!" parole secche, intrise di vivida rabbia.

Alexandros prese l'arco che aveva in spalla ed incoccò una freccia: quella sera il sangue si sarebbe sparso.

"Lascia scappare il festeggiato!" urlò Elrion al compagno, in druidico, così da non farsi comprendere dai suoi avversari.

Fu il primo soldato che li aveva infastiditi ad avventarsi per primo contro di loro, folle ed ebbro dal vino. Elrion schivò il colpo con grazia e, girando su se stesso a forte velocità, sferrò un fendente. Il soldato non ebbe il tempo di accorgersi di aver mancato il colpo, che cadde bocconi a terra, con la testa tagliata di netto.

Scossi per la morte rapida del compagno, gli altri quattro gli si gettarono addosso. Il primo fu trafitto da una freccia infuocata di Alexandros, un altro fu fulminato da una saetta di Elrion che, proseguendo il suo percorso, distrusse la porta d'ingresso, il terzo si infilzò da solo contro la spada dell'aysen ed il quarto, il festeggiato, fu lesto a scappare dalla porta infranta, così come Elrion aveva immaginato.

Il principe ripulì la spada, mentre Alexandros recitava una breve preghiera per le anime degli sventurati. Entrambi disprezzavano ciò che avevano appena compiuto, ma si era rivelato necessario:

"Ora un soldato di fanteria terrorizzato sarà interrogato dal Principe Elrion dinnanzi all'alta corte tra due giorni e rivelerà il tradimento di Karran! La mia anima è ormai corrotta, ma il costo della mia dannazione sarà un pegno degno per la liberazione di Oeneta!" commentò l'aysen, cupo ma soddisfatto.

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CAPITOLO 2

[hrC]PARLA LIANNON:

Ardergast e Vestral mi avevano incaricato di sostenere Jullieva nei suoi anni di prigionia. Ogni notte osservavo le torture a cui l'aysen era sottoposta, per poi, durante il suo sonno, rincuorarla, rammentandole cosa fosse l'amore. Ogni notte anche per me era una tortura, ma quella notte sapevo che qualcosa sarebbe cambiato, Ardergast me lo aveva promesso.

Mi concentrai e liberai il mio spirito oltre la corazza di pietra che mi avvolgeva, oltre il monte Gareth, libero sopra le cime tempestose dei monti, lungo le pianure smeraldo di Vebar, sopra la Foresta dell'Aurora, sino alla Città Azzurra. Là, rapida e veloce, verso il Palazzo di Giada, al secondo piano. Un balcone, una finestra socchiusa... penombra. La camera, come sempre, era buia e silenziosa. La luce debole di una candela illuminava la sagoma della poverina, nuda, sdraiata sul pesante letto a baldacchino. Le tende lievemente tirate, le lenzuola gettate per terra, in un angolo, vicino ad una cassapanca.

Lei era immobile e così rimase quando una cameriera entrò, senza bussare, per posare un vaso colmo di lavanda sul comodino, ritirare la biancheria, ed uscire. Poco dopo entrò un uomo, un eunuco a giudicare dalle fattezze, che avevo imparato a conoscere come il suo “guaritore” personale. Come ogni notte, si avvicinò a lei, le tastò il polso e controllò il respiro, appuntando tutto su un taccuino che aveva con sé, senza emettere parola. Annuendo soddisfatto sollevò quel corpo sottile e fragile sulle braccia, la condusse in una sala attigua, ove era pronta una vasca colma d'acqua fumante e lì l'adagiò. Un lieve lamento uscì dalle labbra dell'aysen, quando fu coricata nella vasca. Lo schiavo la lavò, liberandola dal sangue che si era rappreso in più punti, vicino al seno e sul ventre, la asciugò, cosparse con unguenti gli ematomi che la segnavano in più punti su tutto il corpo, borbottando a voce bassa alcuni incantesimi curativi, e la riportò nel letto, per poi ritirarsi.

Solo quando la porta si chiuse alle sue spalle, Jullieva aprì gli occhi, sottili e profondi. Un sospirò le sollevò il petto, mentre ascoltava le voci concitate fuori dalla sua porta:

“Oggi Karran ha esagerato... le mie capacità di guaritore sono sempre più messe alla prova con il capitano!” lamentava l'eunuco.

“Sono stanca di sentire le tue sciocche lamentele! Il capitano è uno dei nostri migliori clienti e non dimenticare che, fino a quando la sua attenzione sarà su Jullie, non dobbiamo preoccuparci: quella non morirebbe nemmeno la richiedesse Tenneshi: è un aysen, il suo corpo rigenera con una velocità sorprendente. Lavora qui da cinquant'anni e, oltre a non essere invecchiata di un giorno, non ho mai dovuto sospenderla dalle mansioni: ogni ferita si rimargina entro poche ore senza lasciare traccia. È splendida... il nostro capitale è aumentato notevolmente da quando usufruiamo dei suoi servigi.” rispondeva la voce gracchiante della matrona. “Raphael ci ha fatto un grande dono con lei. E ora vai, sento qualcuno al piano di sotto... è quasi mattina, controlla chi sia e, se non è nessuno di importante, rimandalo a domani: le ragazze devono riposare.”

Quelli erano quei momenti in cui maledicevo la mia impossibilità di intervento diretto, quei momenti in cui avrei volentieri spazzato via la vita che io stessa avevo donato a quella donna.

Il volto di Jullieva, nella stanza, si increspò in un sorriso ironico. Si mosse nel letto, stirando i muscoli indolenziti e doloranti e rivelando, alla tremula luce di candela, tutta la sua perfezione. Era un aysen, una delle creature leggendarie, create dall'amore impetuoso e profondo che aveva conivolto me ed Ardergast. Il suo corpo riluceva della grazia e del fascino della sua stirpe. I lunghi capelli d'ebano, fini come seta, erano abbandonati, ribelli, sul cuscino. Gli occhi, di un grigio intenso, si muovevano nella stanza, osservando inquieti i giochi d'ombre che la candela proiettava sull'armadio, i seni, sodi e perfetti, si alzavano al ritmo lento del respiro, sul ventre, piatto una cicatrice iniziava a sparire, le gambe, lunghe e toniche, erano abbandonate, immobili.

Volse la testa, per aspirare il profumo di lavanda che veniva dal vaso portato da Hannan. Potevo leggere nella sua mente: un'altra notte era trascorsa e lei era ancora viva... diciottomiladuecentoottantuno giorni di agonia... e lei era ancora viva, la sua anima ancora integra. Dopo i primi anni aveva compreso come alienarsi, per salvarsi dall'orrore che, notte dopo notte, era costretta a subire ed, in breve tempo, aveva anche compreso come soddisfare Bardera, la sua “schiavista personale”, in modo da poter godere di qualche comfort extra. A lungo aveva pensato a come poter liberarsi, fantasticando su mille modi possibili per togliersi la vita, ma il suo orgoglio non le lo aveva permesso: mai avrebbe dato a Raphael quella soddisfazione. Così, man mano, aveva accettato la sua trasformazione, riuscendo comunque a preservare la sua sanità mentale, ricorrendo a diverse tecniche di concentrazione che aveva imparato all'Accademia Reale, durante i suoi studi.

Bardera aveva accennato di alcuni rumori al piano sottostante ed il fine udito di aysen le confermava che nella Hall più di una persona era in fermento. Nella sua mente pregò Ardergast che non si trattasse di Raphael... non quella notte... Io sorrisi perchè sapevo che mio marito non sarebbe dovuto intervenire... Raphael aveva creduto che la volontà Jullie avrebbe ceduto al trattamento che le aveva riservato, invece lei resisteva, stoica, contro ogni previsione, solo per contrastarlo, per indispettirlo, per accrescere la sua ira: lui avrebbe anche posseduto il mondo, ma non avrebbe mai piegato il volere della Contessa del Vespro, cugina prima di Vrann III, antico Imperatore di Ammylar. Negli ultimi cinque anni Raphael aveva intrapreso una nuova strategia, facendole spesso visita ed offrendole ogni volta quel posto, alla sua destra, che da sempre le apparteneva di diritto, umiliandola, ricordandole la sua natura e sottolineandole la grandiosità della sua caduta, e, ad ogni suo netto rifiuto, l'irritazione di quell'uomo, che governava quasi tutta Oeneta, cresceva. Negli ultimi tempi Jullie si era chiesta più volte se un giorno l'ira del suo carceriere non l'avrebbe finalmente condotta alla Torre Nera, dove dopo solo qualche mese di agonia anche lei avrebbe raggiunto la pace della morte, tanto a lungo desiderata ed invocata. La sua condanna sarebbe mai giunta? Sicuramente i tempi della sua umiliazione sarebbero duranti ancora molti decenni... la pazienza era una delle poche qualità che doveva anche lei riconoscere a Raphael.

Si voltò su un lato e la schienà le bruciò dal dolore: Ferre aveva ragione, quella notte Karran era stato più impetuoso del solito... probabilmente durante il giorno Raphael doveva averlo nuovamente punito. Il capitano sfogava così la sua rabbia repressa nei confronti del suo comandante, credendo che infliggendo a lei dolore in qualche modo ferisse anche lui. “Se non ti ha ancora ucciso ci sarà un motivo!” le aveva urlato quella notte. Ma il tempo in cui l'Oscuro Re si interessava della salute di Jullie era passato da molto tempo, uanche se Karran non era dotato dell'intelletto necessario per comprendere a pieno la crudeltà del suo signore: non l'avrebbe mai uccisa prima di aver ottenuto il suo totale annientamento. Entrambi sapevano che non sarebbe stato semplice: nel sangue di Jullie scorreva la linfa aristocratica dell'Antico Reame e lei non l'avrebbe mai rinnegata. Noi draghi ammiravamo il suo coraggio ed il suo orgoglio: degna erede della stirpe eletta ella non aveva mai disconosciuto nessuno dei doni che le avevamo fatto nella sua gioventù, anzi, anche nei momenti di disperazione, nella prigionia, sotto il gioco di una belva sadica e feroce che avrebbe goduto solo nel totale annientamento dell'anima dell'aysen, Jullieva ci ringraziava per quanto ricevuto.

L'orologio della Piazza Grande battè cinque colpi, ma il vociare al piano inferiore, sebbene più ordinato, non accennava a smettere... qualcosa nello stomaco le si aggrovigliò ed un brivido freddo le percorse la schiena: non era ancora tempo di dormire. Convinta della presenza di Raphael, si alzò di scatto, nonostante il dolore, e prese a vestirsi: l'avrebbe accolto con la dignità che le si confaceva, come ogni volta. Anche il mio cuore prese a battere più velocemente...

PARLA ARDERGAST

Alexandros maledisse ancora una volta il suo bizzarro amico. Mentre seguiva Madam Bardera, stizzito per il terzo grado che aveva dovuto subire semplicemente per avere un incontro con una delle sue ragazze, ancora una volta si chiedeva se Elrion fosse impazzito. “Necessito di un motivo per allontanarmi dalla città senza che Raphael si insospettisca... e dobbiamo giocare d'astuzia, perchè il nemico è estremamente intelligente, ma conosco il suo punto debole, ciò che lo ossessiona da tempo. Il mio piano necessità tuttavia dell'aiuto di un diplomatico del sud.” gli aveva spiegato sorridendo e lui, come sempre, si era lasciato convincere ed eccolo allora ad infiltrarsi sotto falso nome al Palazzo Gallade, luogo di divertimento dei grandi capitani dell'Armata Nera e di alcuni diplomatici, per incontrare una prostituta... perché Raphael fosse ossessionato da una cortigiana gli era oscuro: Elrion amava fare il misterioso, per “aggiungere un po' di brivido alla tua avventura solitaria.”

Mentre seguivo il druido non potevo far a meno di sorridere, ipotizzando lo stupore di Liannon quando avrebbe scoperto il mio piano, o meglio il piano del mio prediletto: l'arguzia di Elrion mi colmava di orgoglio.

Alexandros salì le scale con lentezza, ricordando più volte di lisciarsi i lunghi baffi che gli coprivano le labbra e pregando che la parrucca continuasse a nascondergli le orecchie. Avrebbe voluto che Elrion usasse qualche incantesimo su di lui, per garantirgli maggior copertura, ma l'amico si era saggiamente rifiutato: Raphael avrebbe potuto rintracciare qualche residuo d'aurea magica, un rischio che non voleva correre. Il trucco pesante che gli circondava gli occhi e le lenti che aveva applicato sulle iride, per nasconderne il reale colore, lo irritavano terribilmente, ma si tratteneva. Doveva entrare nella stanza, cercare di parlare con la donna, e poi uscire... e se si fossero accorti di qualcuno che origliava... fare ciò per cui tutti credevano lui fosse venuto. Pregò Liannon affinché tale possibilità non si realizzasse: il suo cuore apparteneva ancora a Rowena e non era convinto che le attenuanti relative al pericolo fossero sufficienti per perdonare un tradimento.

Madame Bardera continuò proseguendo per un lungo corridoio. La seguì. Dopo qualche minuto la donna si fermò dinnanzi ad un'ampia porta, più grande delle altre. Lui imprecò tra se: sicuramente la ragazza che cercava doveva essere nelle grazie della matrona, se alloggiava in una camera patronale. La sua missione si rivelava sempre più complessa: la scomparsa di una delle favorire avrebbe attirato l'attenzione delle guardie in poco tempo. Trattene quasi il respiro quando, dopo aver dato tre colpi secchi alla porta, Madame si scostò, permettendogli di avvicinarsi. Un suono leggero di passi e la porta si socchiuse. Alla luce tremante di qualche candela Alexandros osservò la figura slanciata che gli apriva la porta, le labbra si aprirono dalla meraviglia: il volto affilato, gli occhi intelligenti e scrutatori, i fianchi ampi, il seno piccolo, ma sodo, che si affacciava da un sottile bustino di raso nero. Non si trovava dinnanzi ad un'umana o ad un'elfa, bensì di fronte ad un aysen, una consanguinea di Elrion, un'erede della magnifica razza che nacque dal mio amore con Liannon: lei aveva creato corpi di una bellezza senza pari e li aveva investiti di magia, io avevo dato loro particelle della mia intelligenza, innalzandoli in astuzia su tutte le altre razze di Oeneta. Lo sguardo di Jullieva si posò per qualche istante sulla sua patrona, la quale si limitò a sorriderle, prima di dileguarsi tra i corridoi: “un'ora messere, non di più.” ricordò allo druido mentre quest'ultimo entrava nella camera, forzandosi a sfoggiare una sicurezza che in quel momento non gli apparteneva. Elrion avrebbe dovuto prepararlo.

Camminò all'interno della stanza, per fermarsi dinnanzi al letto, ordinato e pulito. Un odore di lavanda gli riempì le narici.

L'aysen chiuse la porta e gli si avvicinò, con lentezza, quasi a far assaporare prima con gli occhi la bellezza che a breve gli avrebbe offerto:

“Un diplomatico del sud... affascinante...” gli sussurrò all'orecchio “Io sono Jullie. Posso sapere il vostro nome?”

Una voce dolce, calda, custode di promesse di gioia pura che da tempo non lo tentavano. Un brivido rovente gli corse lungo la schiena, lo sentii nitidamente, quasi fosse il mio stesso corpo a reagire alla voce dell'aysen, così simile a quella della mia amata... il desiderio si stava affacciando. Respirò a fondo. Doveva concentrarsi, doveva fare ciò per cui era giunto sin lì, doveva ricordarsi di Rowena, doveva... la luce illuminò il collo della giovane e lui non potè fare a meno di sobbalzare: quella voglia sull'incavo della clavicola destra, una piccola macchia rossa, quasi invisibile, ma che aveva un significato preciso: si trovava di fronte alla Contessa del Vespro, la moglie di El, la cantrice dei sogni, colei che in gioventù aveva ricevuto il mio bacio e che Liannon aveva amato, facendole il dono della voce più melodiosa che mai Oeneta avesse ascoltato. Le leggende che si narravano su di lei nelle taverne, prima che Raphael le bandisse, gli tornarono alle orecchie ed improvvisamente si sentì piccolo ed inadeguato... una sensazione che aveva percepito solo un'altra volta nella sua lunga vita, dinnanzi ad Elrion. Lui, il druido delle leggende, cantato per secoli dai bardi, colui di cui la stessa Jullieva più volte aveva narrato, tremava di rispetto e riverenza nei confronti di coloro che erano nati dall'amore dei due draghi. Le gambe gli cedettero e lui si trovò in ginocchio, la fronte china:

“Contessa, è un onore essere in questa stanza e poterla incontrare.”

“Incontrare? Siete giunto sin qui, disturbando Madame Bardera, che sicuramente vi avrà richiesto un cospicuo extra per l'ora, solo per incontrarmi?” lo interrogò Jullie, chinandosi e prendendogli la testa tra le mani.

Era attraente, disponibile, perfetta... ma Alexandros intravide, dietro lo sguardo seducente dell'aysen, il dolore della schiavitù.

La Contessa del Vespro era stata a lungo una delle personalità più conosciute ed amate di Oeneta. Ogni regnante si rivolgeva a lei con deferenza e rispetto, dopo il matrimonio con El a lungo i due furono ospitati presso l'Impero Celeste, alla corte dell'Imperatore Mikail, e per alcuni anni avevano vissuto alla Corte degli Elfi. Quella donna aveva salvato, ancora fanciulla, tutti i regni del Sud grazie al suo canto e permesso a Diress di trovare pace nel suo cuore impazzito. Nelle sue vene circolava il sangue dei Grandi, le sue mani erano state create per essere appena sfiorate dalle labbra dei suoi ammiratori, il suo corpo era il tempio della magnificenza: nessuno avrebbe osato toccarla o peggio violentarla... ma l'ascesa di Raphael aveva modificato tutte le regole del mondo ed ora Jullieva Aderre altro non era che una prostituta, con la quale i soldati dell'Armata Nera potevano godere una notte di divertimento. Gli occhi presero a bruciargli e si costrinse a respingere le lacrime di pietà che stavano nascendo, mentre con una mano tirava fuori da una tasca la lettera che Elrion gli aveva dato, per consegnargliela, facendo cenno di tacere.

Lei lo guardò, confusa, prese in mano il foglio e lesse. Il suo viso si dipinse di mille emozioni mentre gli occhi proseguivano la lettura. Il druido attese in silenzio che Jullie terminasse, e, quando vide la sua testa alzarsi e le mani accartocciare il biglietto, per portarselo alla bocca, l'anticipò e glielo strappo di mano, per divorarlo lui stesso. Condivideva con l'aysen la necessità di far scomparire qualunque prova, ma era pur sempre un druido della Corte: non avrebbe mai permesso ad una donna di mangiare un biglietto. Jullie rispose al suo gesto con un sorriso, il primo autentico che le illuminava il volto, poi si mise in ascolto, per controllare che alcun altro origliasse il loro colloquio.

Forse complice la prima mattina, forse la soddisfazione di Madame Bardera per la cifra guadagnata, nessuno era di guardia e presto la Contessa invitò Alexandros a sedersi accanto a lei, sul bordo del letto.

“Così siete il lacchè di mio cugino?” scherzò “Beh, mai messaggero mi è stato più gradito. Le istruzioni sono chiare, ma voi dovete ancora darmi qualcosa, esatto?”

“Si, mia signora. Questo sacchetto contiene la polvere della gemma di cui parlava Elrion: una gemma elfica, dono di Liannon: la maledizione sarà spezzata non appena voi ingoierete la polvere. Non attivando alcun incantesimo, Raphael non avvertirà il ritorno dei suoi poteri e lei sarà libera di allontanarsi dalla città indisturbata. Valker ed i suoi la aspettano a due giorni di cammino, nel cuore della Foresta dell'Aurora... sono una compagnia di zingari, fedeli all'Impero Celeste, o meglio a ciò che ne rimane. Insieme a loro sarete scortata sino ad Ilmharin e lì attenderete l'arrivo di Elrion. Non fatevi ingannare dalle apparenze: Valker è molto più abile e capace di quanto dia a vedere al primo sguardo.”

Jullieva gli sorrise: “Sembra abbiate molta fiducia nel piano del vostro amico... dev'essere molto valoroso il Principe Oscuro per avere la fedeltà dell'ultimo druido della Foresta dell'Aurora, oltre ad essere sicuramente il più abile attore mai incontrato su Oeneta: persino io avevo creduto al tradimento di mio cugino. Riferitegli, per cortesia, che sua cugina Jullieva si lamenta del lungo tempo d'attesa: poteva essere più veloce nell'elaborare questo piano così perfetto.”

Alexandros sobbalzò: era la prima volta che qualcuno si beffava di Elrion. Il suo stupore doveva essere evidente, dato che la donna scoppiò in una risata, continuando:

“Elrion continua a non amare le critiche, devo supporre... mi ritrovo un cugino supponente; forse è per questo che Raphael lo ha adottato come erede. Suvvia, non vi adirate. Vi sono grata per il salvataggio, riferitelo anche ad Elrion. Ed ora... dobbiamo trascorrere insieme altri quarantacinque minuti... cosa preferite fare, messere?”

Inutile aggiungere che ho sempre adorato l'ironia e la sagacia degli aysen.[/hrC]

Come al solito le correzioni sono ben accette!

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  • 2 mesi dopo...

E' un progetto un po' lungo, se però qualcuno ha voglia di leggermi e commentare queste prime pagine... ho bisogno di feedback

Spoiler:  
In principio avevo creato i Quattro Custodi, i miei draghi guardiani.

Il primo, in sapienza e astuzia, era Ardergast. Nero come la pece; sul capo portava dieci corna che gli facevano da corona. Era il mio consigliere, amante della conoscenza.

La seconda era Liannon, sua moglie. Il suo corpo era quello di una donna, con grandi ali d'oro bianco sulla schiena e profondi occhi gialli. Ella mi aiutò a creare i mari e le foreste, gli uccelli ed i pesci, gli uomini, gli elfi ed i nani. A lei affidai la Fiamma della Vita, che soffiò sulle perfette statue che Ardergast aveva costruito, dando così vita agli aysen, razza potente e magnifica che per anni governò in silenzio Oeneta, donandole pace e prosperità.

Il terzo, Rheis, era gioia pura. Allegro ed creatore delle arti, amava se stesso più di ogni altra cosa. Sagace nelle battute e vivace nello spirito, coinvolgeva spesso i suoi fratelli in scaramuccie e battibecchi affettuosi. Ad egli affidai la gioia delle mie creature.

La quarta, Vestral, era la custode della morte e del dolore. Ella raccoglieva, tra le sue scaglie d'argento, le lacrime di Oeneta e della sua gente, facendosi carico delle loro sofferenze. Era la consolatrice.

A loro affidai per sempre Oeneta dopo la Guerra dei Due Secoli, che mi vide combattere in prima linea, contro mio fratello, Nectnan, e la sua invidia: egli desiderava la mia creazione per poterci giocare... distruggendola. Così lo allontanai, ed io con lui, per poter proseguire la nostra battaglia, laddove lo scontro non avrebbe devastato ciò che ormai amavo. Talvolta Nectan studia modi nuovi per riuscire a sfuggire ai miei controlli ed attaccare Oeneta, ma anch'io ho i miei messaggeri e i quattro draghi non tardano a narrarmi la storia del mio mondo, che ormai è diventato adulto ed in grado di difendersi senza bisogno del mio aiuto.

Proprio ora i miei fedeli mi attendono nella Sala dell'Oblio, per raccontarmi le ultime nefandezze di mio fratello.

PARLANO I QUATTRO DRAGHI

Nostro Signore, Dio Illuminato, un altro tentativo di Nectan di distruggere Oeneta, corrompendola completamente, è stato sviato, ma questa volta la responsabilità della vittoria non è nostra, se non in minima parte.

L'apertura, da parte di un elfo, del Libro del Potere, lasciato dal generale di Vostro fratello centinaia di anni fa, scatenò su Oeneta un'onda di devastazione mai ricordata in precedenza. Raphael, signore dell'armata distruttrice, in pochi anni sottomise in schiavitù quasi tutti i regni, e solo una piccola manciata di ribelli dei Regni Verdi, assieme a qualche superstite dell'Impero di Gaier, resistevano.

La rottura del sigillo del libro non ci concesse di intervenire, trasformandoci in rigide statue di pietra. I seguaci di Raphael ci raccolsero e ci seppellirono sotto le pendici del Monte Grateh. Le nostre menti tuttavia erano attive e seguirono le opere dei nostri eletti.

Io, Ardergast, ammiravo l'astuzia del Principe Elrion. Aysen di un intelligenza mirabolante anche per la sua razza, egli era riuscito a convice Raphael della sua lealtà ed attendeva il momento giusto per tradirlo.

Io, Liannon, avevo dato il mio cuore ad Alexandros, lo stesso druido che sei secoli prima avevo graziato donandogli l'immortalità ,per concedergli una vita serena con la sua Rowena e che era tornato dalle Terre Sommerse dopo aver percepito la portata del pericolo.

Io, Rheis, non potei non ammirare affascinato Valker, un ibrido, figlio dell'amore tra un uomo ed uno spirito dei boschi. Narcisista, amante del sesso e delle belle donne, era l'unico in grado ancora di far sorridere i superstiti ed i ribelli, donando loro qualche istante di gioia pura. Nulla sembrava toccarlo, sebbene ad un osservatore attento egli sarebbe apparso un po' permaloso... era l'unico tra i prescelti del quale non riuscivo a percepirne i pensieri... affascinante.

Io, Vestral, raccolsi ogni lacrima di El che, imprigionato nel suo stesso dolore, soffriva ogni istante con un'intensità infinita, consapevole di ciò che accadeva ed impotente rispetto alla sua sfida. Cercava il sostegno della sua amata, credendosi solo, inadeguato rispetto al suo amore... non capiva che ella lo avrebbe sempre amato per ciò che era.

E tutti noi accogliemmo nel nostro abbraccio colei che più di tutti soffrì in quel tempo buio: la Contessa del Vespro, la grande Jullieva Aderre Nivi, ridotta in schiavitù e costretta a torture che non solo tormentavano il suo fisico, ma anche la sua mente. Ella aveva vissuto ogni istante dell'ascesa di Raphael e da sempre lo aveva combattuto. Desiderava salvare se stessa, desiderava salvare El, desiderava porre fine a quell'incubo.

Se avete pazienza, Nostro Signore, ora Vi narreremo con chiarezza questa lunga avventura che i Vostri figli hanno combattuto.

CAPITOLO UNO (in costruzione... però valgono suggerimenti)

PARLA ARDERGAST:

Ho sempre ammirato gli aysen, come un artista ammira la sua opera migliore: belli, di un'armonia pari solo a quella del famoso Alexandros, agili, aggraziati, intelligenti e dotati di capacità magiche fuori del comune. Un capolavoro nato dall'amore, un amore forte e puro, quello che per sempre ha legato la mia esistenza a quella di Liannon. Per questo motivo la mia attenzione era indirizzata a Elrion, l'erede di Ammyllar, l'isola che per prima fu conquistata da Raphael. Da prigioniero Elrion era riuscito, con molta pazienza ed arguzia, a guadagnarsi la fiducia del suo nemico, diventando suo alleato e fingendosi traditore di quelli della sua stessa razza, che lo maledissero. Così, dopo quasi cinquantanni, era stato nominato principe ereditario dello stesso Raphael ed aveva ottenuto ogni privilegio. Dopo la caduta dell'Impero di Gaier, lui si era insiediato nella corte, presso il Palazzo di Cristallo della Città Azzurra, e lì aveva iniziato a tramare. Il tempo era giunto e sapeva di dover muovere le sue carte. Per anni aveva studiato il suo avversario, copiando i suoi movimenti, osservando ogni sua tattica, chiedendogli spiegazioni quando non comprendeva le motivazioni di una sua scelta. Per anni si era finto il suo più caro amico, il suo unico amico, e le informazioni che aveva raccolto gli erano state sufficienti per sperimentare la sua tesi.

Un mese prima, una notte, era sceso sino ai tunnel sotterranei del Palazzo di Cristallo e lì si era avventurato alle tombe dei grandi, per spegnere una delle sacre fiamme di Liannon. La prima fiamma si era spenta senza che Raphael si accorgesse dei cambiamenti, ma Elrion aveva studiato la trama magica e se ne era rallegrato: la sua tesi era esatta.

Da quel giorno, per un mese, aveva studiato un modo per ridare la libertà a colei che tempo prima amava come una sorella, Aderre Nivi, la Contessa del Vespro. Un mese per creare un piano senza falle, un piano perfetto, che avrebbe richiesto il prezzo del sangue. Inviati i propri messaggeri, coinvolti i suoi alleati, il giorno era finalmente giunto ed io, come al solito, osservavo gli eventi alle spalle del mio protetto.

La Città Azzurra era reputata da sempre una delle più ricche città di Oeneta. Ricostruita dopo la Grande Guerra, Re Laren l'aveva resa un centro di commercio di grande importanza e, rivestita di enormi ricchezze, la città era divenuta la capitale politica ed economica di Gaier. Anche sotto il giogo di Raphael , nonostante il crollo delle mura orientali, avvenuto durante l'assedio, la città non aveva perso la sua bellezza. Era primo pomeriggio e la piazza di fronte al Palazzo di Cristallo era quasi deserta. Un tempo, dinnanzi alle alte torri cristalline della dimora del Re di Gaier, quello era centro nevralgico del commercio e raramente banchetti e chioschi chiudevano prima di sera; ora vi risiedeva il quartier generale dell'Armata Oscura e pochi osavano attraversare quella strada, se non obbligati. Quando il portone principale, in argento, si spalancò ed una figura alta, coperta da un manto di velluto nero uscì, i pochi passanti si ritirarono verso le case, gli sguardi fissi sull'uomo. Il Principe Elrion trattenne a stento un sorriso nell'osservare il timore che la sua sola apparizione suscitava negli abitanti della città ed il suo sangue corse d'eccitazione nelle vene. L'orgoglio degli aysen era così simile al mio... Alzò gli occhi ed osservò il cielo terso, gli stormi di rondini che disegnavano cerchi concentrici nell'aria, presagio dell'autunno imminente. Poi il suo sguardo si posò sullo stuolo di cadaveri ammucchiati ad un lato della piazza. Erano elfi, trucidati dalle mani dei soldati Uno sterminio inutile, una barbarie che poteva essere evitata. Una morsa gli strinse il petto, ma la mente rimase lucida e i poveri passanti poterono giurare di aver sentito la risata suadente del principe, mentre quest'ultimo osservava i cadaveri. Gli anni trascorsi con l'armata lo avevano temprato a sufficienza per consentirgli di controllare meravigliosamente ogni sua emozione: nessuno si sarebbe mai accorto del suo disgusto. Elrion sapeva che il popolo di Gaier odiava gli inasori ed in cuor suo più volte si era chiesto di non appoggiarsi proprio a loro per il piano che aveva in mente, ma i loro cuori erano deboli ed il terrore forte: dovevano crederlo come gli altri ufficiali, altrimenti presto Raphael si sarebbe accorto del tradimento. Si voltò e prese a camminare rapidamente verso il luogo dell'appuntamento, imboccando la strada principale.

Camminava disteso e sicuro, gli abitanti si aprivano al suo passaggio e si inginocchiavano, tremando. Un sorriso beffardo gli illuminava il volto nello scrutarli, retaggio della stirpe da cui derivava. Passeggiò per una decina di minuti, prima di arrivare al vicolo che cercava. Là si guardò attorno e, non scorgendo nessuno, piegò nella stradina, avendo cura di calare sul capo il cappuccio del mantello che lo avvolgeva.

Conosceva bene la città e rammentava la locanda che l'amico gli aveva indicato, ma quando la vide ebbe un sussulto. Dall'invasione usciva raramente dal palazzo e non si era mai addentrato in quella zona, così quando il suo sguardò si posò sulle stalle crollate e sulla porta d'ingresso sfondata si dispiacque per il povero Hortensio, il proprietario.

Entrò a capo basso e si accomodò in un tavolo laterale, in penombra. Poco distante un drappello di fanteria festeggiava un compleanno, maltrattando e importunando una giovane piuttosto insignificante, probabilmente la figlia dell'oste, a giudicare dallo sguardo che Hortensio lanciava, impotente, a quella marmaglia. Il cuore di Elrion prese a battere più forte: disprezzava la crudeltà degli ufficiali, ma riconosceva l'eleganza delle loro torture; quelli che gli stavano dinnanzi erano invece semplici soldati che avevano abbandonato la propria coscienza per seguire i loro istinti. Poteva perdonare un uomo che, maledetto da Nectnan e assetato di sangue, strappasse il cuore ancora fresco dalle carni di un prigioniero, per cibarsene, o che seducesse una giovane dama solo per il piacere di una notte, ma non tollerava che una persona in possesso delle sue capacità mentali si comportasse in tal modo, tuttavia decise di non intervenire, a meno che la situazione non peggiorasse.

Fu il festeggiato ad accorgersi di lui, comodamente appoggiato al muro ed intento a fumare del tabacco dalla pipa. Non lo riconobbe, giacchè la fanteria raramente incontrava la nobiltà di Raphael, ma quando il suo sguardo incrociò gli occhi color ghiaccio di Elrion, egli rabbrividì. Anche i suoi compagni osservarono lo sconosciuto e, incuriositi e, allo stesso tempo, indispettiti da un pubblico che non desideravano, fecero lo stolto errore di lasciare libera la giovane, che corse rapida in cucina, per avvicinarsi a lui. Erano uomini del sud e puzzavano terribilmente di sudore e di alcool. Elrion chinò il capo: doveva concentrarsi sul suo piano ed attendere lì il suo compagno, senza attirare a sè l'attenzione di alcuno... nel caso in cui non ci fosse riuscito sapeva già con che nome presentarsi... il nome di un ufficiale che sarebbe comunque stato condannato a morte molto presto... e non perchè colpevole.

"Nessuno può bere della birra senza il permesso dell'Armata Nera!" urlò il più grasso dei cinque prendendo il boccale del principe e gettandolo a terra. Lui non rispose, sorridendo tra se e se, mentre aspirava un'altra boccata di fumo. La chiazza di birra si allargò sul pavimento, vicino ai sui piedi.

"Guarda: trema!" proseguì uno, con una barba sudicia e unta "non ha nemmeno il coraggio di parlare!"

Un terzo gli avvicinò la spada alla gola: "non è che un vigliacco!"

"Lasciamolo stare, non ne vale la pena!" aggiunse un quarto sputando a terra.

Solo il festeggiato non rideva delle spacconate dei suoi compagni. Elrion lo stimò per quello: anche tra i comuni soldati esisteva ancora un po' di intelletto. Quell'uomo aveva percepito che, sotto quel cappuccio, era celato qualcuno che aveva già ucciso e che non avrebbe esistato nel rifarlo.

Concentrandosi solo sulla pipa, il principe si costrinse a non reagire, sino all'arrivo di colui che aspettava.

Quando un individuo, avvolto da una cappa verde scuro, entrò nella locanda, per dirigersi verso Elrion, il drappello di fanteria tornò al suo tavolo.

"Era tempo che arrivassi!" commentò gelido il principe.

"Ti chiedo perdono, amico, ma riuscire a raggiungere la città non è così semplice di questi tempi, soprattutto se solo due giorni prima un falco ti porta un ulteriore messaggio, in cui ti si chiede di allungare il tuo percorso di quasi una giornata, per comunicare ad un gruppo di mercenari che la gallina sta arrivando!"

Alexandros, l'ultimo druido, era indispettito. Da quando era tornato, per concessione della mia sposa, non aveva fatto altro che percorrere tutto il territorio di Oeneta, obbedendo ciecamente agli ordini che Elrion gli impartiva, fidandosi ciecamente dell'aysen, tuttavia esigeva delle risposte, ora che finalmente si incontravano, risposte che invece avrebbero atteso ancora.

"Non ora, carissimo, non è tempo, ma presto, ad Ilhmarim, potrò spiegarti."

"Ilhmarim? Alla corte dell'Imperatrice? Sembra che si stiano riuniendo lì tutti gli ultimi ribelli."

Elrion annuì, sorridendo: era stato lui a suggerire ad Adelsha di ritirarsi sul lago, nella torre dell'Accademia Magica. Sì, era decisamente mio figlio!

Il tempo era poco ed il tramonto stava arrivando, quindi Elrion prese a spiegare rapidamente il piano ad Alexandros, il quale, pur restando perplesso, si mise nuovamente a disposizione dell'amico. Finalmente il momento era arrivato.

I due si erano accordati sul piano e Hortensio aveva già indicato ad Alexandros la camera che lui aveva richiesto, per travestirsi, quando il drappello che stava festeggiando rivolse nuovamente l'attenzione ai due. Elrion era infastidito, avrebbe preferito evitare di coinvolgere il proprietario della locanda, ma non poteva perdere tempo prezioso: presto avrebbe dovuto cenare con Raphael. Non potendo presentarsi ai soldati con il suo vero nome, si alzò in piedi e scostò il mantello solo a sufficienza per mostrare le insegne degli ufficiali. Gli uomini si fermarono, sbigottiti, timorosi: avevano mancato di rispetto ad un ufficiale... un affronto che, se portato alla corte marziale, avrebbe decretato la loro morte. Il festeggiato si buttò rapidamente a terra, la testa china, tremante ed implorando pietà: "Perdonateci Sir, non sapevamo, non abbiamo capito..."

Tutto si sarebbe potuto risolvere con qualche intimidazione da parte di Elrion, ma l'aysen si illuminò mentre la sua mente calcolava le possibilità di volgere la situazione a suo favore. Un atto di clemenza avrebbe risuonato stridente all'interno dell'armata: quel soldato, pavido e spaventato, attendeva insieme ai quattro la sua fine, dopo un breve processo dinnanzi ai generali, ed il principe sapeva che agire diversamente avrebbe attirato su di sè un'attenzione che non desiderava. Quegli stolti sarebbero morti quella stessa sera, per mano sua... solo uno sarebbe sopravvissuto, un testimone terrorizzato che sarebbe diventato la sua pedina per dichiarare scacco a Karran.

"Voi! In piedi feccia!" prese ad urlare, con tono metallico, inflessibile. "E tu, oste, chiudi la porta d'ingresso a chiave, e poi ritirati!"

Hortensio obbedì rapidamente, per poi scomparire in cucina con la figlia.

"Sono il Comandante di Cavalleria Karran e voi, voi state per morire!"

Il volto era ancora saldamente nascosto tra le pieghe del cappuccio.

Uno dei cinque prese a piangere, implorando pietà, chiedendo d'essere giudicato presso la corte. Fu allora che Elrion, con un movimento veloce della mano, all'apparenza accidentale, scostò il mantello del compagno, rivelando così la sua identità: uno dei maggiori ricercati su Oeneta, il druido Alexandros. I suoi ritratti erano appesi ad ogni dove.

I soldati, per quanto stupidi, compresero subito di essere di fronte ad un generale traditore, scoperta che rinvigorì alcuni di loro.

"Comandante Karran, " chiese il più robusto, quello che aveva rovesciato la birra di Elrion "per quale motivo vi accompagnate ad un nemico dell'Armata? State forse cospirando contro il nostro sire?"

Elrion rispose estraendo la spada: "Non vi conviene fare gli eroi: accettate la vostra fine!" parole secche, intrise di vivida rabbia.

Alexandros prese l'arco che aveva in spalla ed incoccò una freccia: quella sera il sangue si sarebbe sparso.

"Lascia scappare il festeggiato!" urlò Elrion al compagno, in druidico, così da non farsi comprendere dai suoi avversari.

Fu il primo soldato che li aveva infastiditi ad avventarsi per primo contro di loro, folle ed ebbro dal vino. Elrion schivò il colpo con grazia e, girando su se stesso a forte velocità, sferrò un fendente. Il soldato non ebbe il tempo di accorgersi di aver mancato il colpo, che cadde bocconi a terra, con la testa tagliata di netto.

Scossi per la morte rapida del compagno, gli altri quattro gli si gettarono addosso. Il primo fu trafitto da una freccia infuocata di Alexandros, un altro fu fulminato da una saetta di Elrion che, proseguendo il suo percorso, distrusse la porta d'ingresso, il terzo si infilzò da solo contro la spada dell'aysen ed il quarto, il festeggiato, fu lesto a scappare dalla porta infranta, così come Elrion aveva immaginato.

Il principe ripulì la spada, mentre Alexandros recitava una breve preghiera per le anime degli sventurati. Entrambi disprezzavano ciò che avevano appena compiuto, ma si era rivelato necessario:

"Ora un soldato di fanteria terrorizzato sarà interrogato dal Principe Elrion dinnanzi all'alta corte tra due giorni e rivelerà il tradimento di Karran! La mia anima è ormai corrotta, ma il costo della mia dannazione sarà un pegno degno per la liberazione di Oeneta!" commentò l'aysen, cupo ma soddisfatto.

Non mi è chiara una cosa: come vuoi gestire la parte "il risveglio"? qual'è il suo scopo nel racconto? Sei sicura di voler aprire il racconto in prima persona? Come si lega con la parte successiva, raccontata dai Quattro Custodi in prima singolare? Si potrebbe provare ad iniziare il terza persona, come l'incipit delle cronache. Esempio: "in principio c'erano i Quattro...." ecc, ecc.

Inoltre toglierei tutta la parte di prologo (che mi sembra di capire non è un prologo ma più un'anticipazione di cosa verrà raccontato). Farei così:

"Nostro Signore, Dio Illuminato, un altro tentativo di Nectan di corrompere Oeneta è stato sviato, ma questa volta la responsabilità della vittoria non è nostra, se non in minima parte. Se avete pazienza, Nostro Signore, ora Vi narreremo con chiarezza questa lunga avventura che i Vostri figli hanno combattuto."

Tutto iniziò con un gesto incauto. L'apertura, da parte di un elfo, del Libro del Potere, lasciato dal generale di Vostro fratello centinaia di anni fa, scatenò su Oeneta un'onda di devastazione mai ricordata in precedenza. Raphael, signore dell'armata distruttrice, in pochi anni sottomise in schiavitù quasi tutti i regni, e solo una piccola manciata di ribelli dei Regni Verdi, assieme a qualche superstite dell'Impero di Gaier, resistevano.

La rottura del sigillo del libro non ci concesse di intervenire, trasformandoci in rigide statue di pietra. I seguaci di Raphael ci raccolsero e ci seppellirono sotto le pendici del Monte Grateh. Le nostre menti tuttavia erano attive e seguirono le opere dei nostri eletti.

e poi via di cap 1, 2 ecc, a sviluppare la trama.

Farei poi alcuni cambiamenti nella costruzione di alcuni frasi, ma è un giudizio assolutamente personale.

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