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Libro "Come scrivere un gioco di ruolo"


TheClue

Messaggio consigliato

Era da tempo che mi ronzava questa idea in testa, cosi' ho cominciato a buttare su carta, con metodo, tutte le mie esperienze nella creazione di un gioco di ruolo moderno per il 9th Circle Games :)

Questa è l'introduzione...e mi piacerebbe conoscere il vostro parere...che ne pensate? Suggerimenti? Commenti? Critiche? :)

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Principali partecipanti

1.Introduzione

“Sebbene sia possibile giocare una singola partita, non collegata ad altre partite passate o future, queste regole sono state progettate per una campagna. Imbastire una campagna fan-tasy è relativamente semplice e, soprattutto, non costa assolutamente nulla”

Tutto è iniziato, semplicemente, da qui: una prefazione di un libricino sulla cui copertina campeggiava la dicitura “Dungeons & Dragons” e che, nel 1974, diede inizio ad una nuova era. Era un gioco dalle dinamiche molto semplici, piuttosto rozzo e rudimentale se confrontato con i wargames che, in quegli anni, monopolizzavano il mercato del gioco intelligente. Ma da quel giorno di tanti anni fa tanta strada è stata fatta e tante menti geniali si sono cimentate nel design, portando il genere alla piena maturazione. Così, oggi possiamo picchia-re selvaggiamente forme di vita mostruose in mondi fantasy credibili e detta-gliati, investigare su misteriosi orrori cosmici, mostrare tutta la nostra ambizio-ne nello scalare complesse gerarchie vampiriche e un milione di altre situazio-ni. È innegabile: dal punto di vista qualitativo, siamo testimoni di un continuo miglioramento.

Ma, per l’appunto, come si crea un gioco di ruolo?

La credenza più diffusa è quella secondo cui, per creare un gioco di ruolo, basti una buona dose di fantasia, un livello culturale dignitoso, un po’ di falsa modestia e un paio di amici che fungano da cavia. Dal punto di vista concettu-ale questa idea non è del tutto sbagliata, così come non è sbagliato considerare il gioco di ruolo come la naturale continuazione dei giochi di simulazione fatti dai bambini, come “cowboy ed indiani” e “guardia e ladri”. Molto intrigante per chi voglia perdersi nel magico e filosofico mondo dell’homo ludens, senza dubbio, ma assolutamente fuorviante per chi voglia cimentarsi nella (meno nobile?) arte del game design. In ogni caso, devo proprio dirlo, questo approc-cio tradisce una certa dose di dilettantismo.

L’altra scuola di pensiero, in voga soprattutto a partire dagli anni Novanta, è quella che vorrebbe un gioco di ruolo come il frutto di una meticolosissima, per non dire maniacale, ricerca del dettaglio, nella creazione di un mondo fan-tastico full optional in cui ambientare le proprie avventure. Un po’ per motivi di marketing, un po’ per le influenze provenienti dal mondo dei videogiochi, un po’ per via di un certo tipo di narrativa di genere, questo approccio al design va ancora oggi per la maggiore, trainato da quel Dungeons&Dragons che ora-mai è ben lontano dal minimalismo del passato. Tanto è sedimentata l’idea, tra master e giocatori, che più notizie implichi più credibilità, e quindi più diverti-mento, che so già che sarà difficile, per me, demolire questa convinzione.

Così, appurato quello che non va fatto, siamo finalmente pronti per comincia-re a vedere cosa, invece, deve essere studiato per ottenere un capolavoro?

No. Non ancora. C’è ancora la domanda fondamentale a cui rispondere, pri-ma: cos’è un gioco di ruolo?

La domanda non è inutile, anche se non ci sarà, credo, lettore di questo saggio che non conosca già il motivo del dibattere, né voglio sostituirmi a Wikipedia in quanto a definizioni e tecnicismi di genere. Il punto è che, effettivamente, non esiste una definizione univoca di gioco di ruolo così come non esiste uno stile unico di gioco. Per alcuni il gioco di ruolo è un mezzo espressivo, per altri un mezzo per simulare la realtà, per altri ancora un veicolo di interpretazione teatrale, per altri ancora una derivazione di un certo tipo di narrativa decostrut-tivista, per altri è un mezzo divulgativo…potrei continuare all’infinito.

Il gioco di ruolo è, insomma, una medaglia dalle infinite facce, che il giocatore ed il master apprezzano in toto nella loro brillantezza, ma il risultato è eccel-lente solo se il suo autore ha saputo introdurre un buon equilibrio tra le parti. L’equilibrio non è automatico e per raggiungerlo bisogna operare delle scelte, sacrificare alcuni elementi per approfondirne degli altri, per dare una direzione ben precisa al gioco che si sta creando, ed indirizzarlo ad i suoi giocatori più naturali. Più avanti nel libro introdurrò una teoria molto formale, la cosiddetta “Teoria Forgista”, che dovrebbe aiutare nel raggiungimento di questo equili-brio, anche se non è saggio, come ogni cosa, prenderla troppo alla lettera. Ad essere del tutto onesti, io stesso l’ho raramente usata nel design dei miei giochi, ma ho pensato, però, di riportarla ugualmente a titolo di confronto con ciò di cui parleremo e per aiutare nella comprensione del cosiddetto “ciclo di realiz-zazione” (game design lifecycle) di un gioco.

Ma, allora, in mezzo a questo maelstorm relativistico, qual è il punto fermo da cui partire? Qual è il postulato euclideo su cui si fonda tutta la nostra geome-tria creativa?

Con un’acrobazia marzulliana, posso dire che la risposta è contenuta nella do-manda stessa: ammettere che non esiste un gioco di ruolo universale, ovvero fruibile da parte di tutti i tipi di giocatori, abbandonare questa irragiungibile chimera e concentrarsi su ciò che si sa fare meglio per i giocatori (e i master) che si conoscono meglio.

Lapalissiano? Forse. Sbagliato? Per alcuni designer e per molti master sì. Su questi master e su questi designer e sui loro metodi presunti universali tornerò più avanti, per non divagare. C’è ancora, piuttosto, quella domanda lasciata in sospeso, per la quale siamo riusciti a dare solo risposte empiriche e soggettive. Prendiamone atto e sostituiamo il fatidico quesito con altri due con meno pre-tese: cos’è per me un gioco di ruolo? Che tipo di giocatore (master) sono?

Come attori famosi che scremano le parti che propongono loro, cercando quelle che sembrano più adatte ai tipi di interpretazione che sentono propri, quest’indagine è fondamentale: è vero che restringerà gli ambiti di applicazione della ricerca creativa, ma è altrettanto vero che ci garantirà una forte coerenza, che definirei “idealistica”, e la capacità di utilizzare con profitto le nostre espe-rienze di giocatori di ruolo ed il nostro intuito. Banalmente: parlare la propria lingua.

Attenzione, però! Questo non vuol dire che un giocatore, designer in erba, debba avere al più una sola faccia, sia essa ben definita o dai contorni sfumati di un cross-over. Un giocatore può anche essere multiforme e, per quanto si sen-tirà inevitabilmente più a suo agio con una tipologia di narrazione rispetto ad altre, ciò non gli impedirà di giocare (e di creare) su modelli completamente diversi. Io voglio solo evitare che si crei su aspetti di gioco che non si cono-scono o che non si sono mai sperimentati perché i risultati saranno scadenti e senza forma. Questo è esattamente il contrario dell’etichettare come qualun-quista chi (beato lui!) è in grado di abbracciare molti tipi di gioco diversi e si è documentato abbastanza da potervi fare su ognuno della ricerca creativa.

Avvertimento superfluo? Se le mode e le esigenze di marketing nel mondo dei giochi di ruolo non fossero così invasive, forse sì. Per ora, prendiamolo per buono.

Pensiamoci bene, comunque, a quelle domande perché dalle relative risposte (anche se non irreversibili) verranno fuori le scelte che ci guideranno per tutto il processo creativo. Una volta fatto ordine nei nostri neuroni e chiarito quali e quante di quelle infinite facce rappresentano il nostro stile di gioco, possiamo finalmente cominciare ad occuparci di design vero e proprio.

Come ho detto all’inizio del capitolo dire che è possibile imbastire un gioco di ruolo con pane, amore e fantasia è come dire che John Ford ha girato “Ombre Rosse” trasponendo su pellicola i nipotini che giocavano a cowboy ed indiani. Non voglio abbandonarmi ad inutili formalismi che sembrano più da analista informatico che da designer di giochi, ma lo schemino di Fig. 1, nonostante l’aspetto ipnotico, rende quantomeno l’idea dei punti da affrontare e delle rela-zioni tra le parti. Lo schema è solo indicativo: in realtà non è quasi mai se-quenziale ed è praticamente sempre necessario ritornare più volte sui punti precedenti per correzioni ed aggiustamenti.

Il primo punto da approfondire è l’individuazione della cosiddetta istanza di gioco, senza dubbio la parte più importante e laboriosa, tramite la quale il gio-co assume una forma ben precisa, sia in termini del messaggio da rivolgere a master e giocatori, sviluppo tipico della narrazione e, ovviamente, il modo in cui delineare l’ambientazione.

Il secondo punto è la scelta delle fonti, intendendo non solo quelle documen-tali per l’arricchimento dell’ambientazione, ma anche le fonti di influenza che formeranno l’atmosfera di gioco e che sono alla base del citazionismo, più o meno stretto, che è presente in ogni gioco di finzione narrativa.

Il terzo punto è, né più né meno, la stesura dell’ambientazione, i cui punti fo-cali ed il grado di dettaglio da tenere, per facilitare il passaggio dal semplice nozionismo didascalico al “mito”.

Il quarto punto è la realizzazione regolamento, inteso come insieme di mecca-niche che consentono l’interazione tra i giocatori e l’ambientazione. Ci sono infinite scuole di pensiero circa la creazione di regole per i giochi (non solo di ruolo), pertanto più che adottarne uno, su questo libro si cercherà più che altro di estrarre un metodo e non un regolamento definitivo.

Il quinto punto è l’integrazione tra le parti, tenendo presente che un gioco di ruolo più che un aggregato è un sistema. In questa fase dovremmo affrontare tematiche completamente nuove, e le risposte alle domande che ci siamo posti in questa introduzione, tracceranno la strada da seguire. Il collante, in questa fase, sarà la nostra ambientazione, che a questo punto, affiancata da tutti gli altri elementi, sarà in grado di vivere di vita propria, come un vero prodotto di ingegno creativo.

L’ultimo punto è cosmetica: capire come elementi sia grafici che testuali (il cosiddetto paratesto) concorrono all’aumento di fascino e di fonte di stimoli narrativi sia per i master che per i giocatori. Toccheremo anche elementi di subliminale nelle sessioni di gioco, senza però scendere in approfondimenti superflui.

Questo è, schematizzato, il percorso che io ho seguito nella creazione dei miei giochi. Non posso affermare che sia il migliore né il più breve, ma è sicura-mente quello che mi ha permesso di dare dignità ad Eden: l’Inganno, il mio pri-mo gioco di ruolo, che sarà utilizzato più e più volte negli esempi di questo libro. Anche io, naturalmente, ho dato risposta alle domande che ci siamo po-sti in questo primo capitolo, tant’è che i prossimi capitoli sono proprio eredità di quelle scelte. Nel farlo, ho cercato di elevare il gioco di ruolo al rango di prodotto di arte narrativa, e per questo dalla narrativa ho deciso di adottare tutti i postulati, e dalla scrittura creativa parte dei suoi metodi.

Cominciamo?

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Domanda, hai intenzione di citare tutti gli esempi di tipologie di gioco di ruolo (gmaista, narrativista, generalista, e via dicendo) e poi da lì partire con una analisi del perchè e cosa ha senso prendere come modello, o hai già in mente un modello di gioco e relativa teoria di game design e tratti solo quella?

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riporterò brevemente il big model e la creative agenda, ma solo per completezza d'esposizione

in realtà non voglio curarmi di come si crea un sistema di gioco, ma di come si scrive un gioco di ruolo...quindi istanza di gioco, linguaggio, scelta delle fonti, influenza del metagioco, arricchimento dell'idea originale, playtest e creazione di un regolamento ad hoc, cosmetica...

quindi piu' dal lato narrativo che meccanico, insomma

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  • 2 settimane dopo...

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