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Strikeiron

Circolo degli Antichi
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  1. Questo darà alle vostre stampanti un po' di tregua... 5.In fuga Odiava quella cella e soprattutto non poteva sopportare di starsene chiuso in quel modo. Nessuno, fino ad allora, lo aveva mai costretto a rimanere fermo per un giorno intero tra quattro pareti e per giunta umide. C'avevano provato in molti, è vero, ma nessuno c'era mai riuscito, almeno fino al giorno prima. A dire tutta la verità fino in fondo, se stavolta si era ritrovato in una situazione del genere non era altro che per colpa sua. In fin dei conti l'avevano messo in gabbia soltanto perché era un po' ubriaco e … sì, d'accordo, aveva scatenato una rissa con un soldato della guardia cittadina. Ma non se ne ricordava il motivo. Poteva essere una ragazza? Ricordava soltanto in maniera vaga di aver preso a pugni qualcuno, ma non sapeva decidersi su chi potesse aver picchiato stavolta: l'oste? Oppure uno dei compagni del soldato? O forse il soldato stesso? Mah. Poco importava ormai. Scosse la testa, sentendo salire alle tempie i postumi della sbronza, in una fitta allucinante: non è che rimanere chiuso lì dentro contribuisse a fargli passare il dolore. Per questo aspettava pazientemente che qualcuno venisse ad aprire la solida porta della cella, magari soltanto per portargli qualcosa da mangiare. Sarebbe stata un'ottima occasione per fuggire. Si frugò nelle tasche, sovrappensiero: erano completamente vuote. Ladri! Non avrebbe potuto farsi ridare neanche i suoi soldi ora; forse qualcuno ne aveva approfittato quando lo avevano catturato la notte prima o più probabilmente aveva speso lui tutto, per bere. Beh, importava poco anche questo. Quando fosse uscito da lì avrebbe trovato un modo per arrangiarsi. Ma il problema era che non c'era anima viva lì dentro con lui. Si sedette con impazienza sul pagliericcio in un lato della cella e cominciò a lisciarsi la lunga coda di capelli che scendevano fin oltre le spalle. Era orgoglioso di quel segno di distinzione, lui non era come tutti gli altri: lui era uno zigar. E gli zigar sopravvivevano sempre ad ogni ostacolo della propria vita. Non si sarebbero mai arresi finchè vi fosse stata la più piccola possibilità di trovare un'ultima scappatoia. Certo la gente comune non vedeva gli zigar di buon occhio, ma questo non gli impediva di ingannarli lo stesso al bisogno. Tutti quelli che incrociava sulla sua strada erano degli sprovveduti; cosa volevano? Che non approfittasse di così tante occasioni? Per questo rimaneva in silenzio, attento a percepire anche il minimo rumore ed aspettava con impazienza che gli venisse presentata una nuova allettante occasione. Trattenne il respiro per un attimo. Aveva sentito male? Accostò l'orecchio alla porta della cella ed ascoltò con attenzione: erano dei passi quelli che si avvicinavano? Attento a non fare il minimo rumore si acquattò accanto alla porta, pronto a scattare. Ora qualcuno stava sferragliando rumorosamente con delle chiavi. La robusta porta in legno si aprì di scatto, ma non entrò nessuno. O meglio entrò soltanto qualcosa: lo zigar sentì la pressione della lama di una spada contro la gola. Non era poi così ingenuo come aveva sperato in un primo momento. «Seguimi e non fare scherzi. Il kissal in persona vuole parlarti.» gli venne intimato. Lo zigar annuì senza fiatare e subito la pressione sulla gola venne meno. Ormai non aveva senso scappare e docilmente si fece condurre fuori dalla cella, nel corridoio. Il soldato, perché tale era a giudicare dall'uniforme, lo lasciò andare avanti e lo guidò, tenendo la spada sollevata nel caso tentasse la fuga. Lo zigar sospirò di sollievo: da come l'aveva guardato l'altro non sembrava che lo avesse riconosciuto. Quindi non lo aveva incrociato nella rissa. Per ora quindi non aveva la minima intenzione di scappare. Se fosse scappato lì dentro la guardia avrebbe subito dato l'allarme ed in breve tempo lo avrebbero riacciuffato. Era meglio per il momento aspettare un'occasione migliore. Cosa voleva il kissal da lui, però? Forse la sua cattiva reputazione era giunta fin lì e qualcuno voleva fargliela pagare? Effettivamente non teneva più neppure il conto di quanti avevano con lui dei conti da saldare, ma per lo più erano sempliciotti. Come avevano fatto stavolta a raggiungerlo fin qua dentro? Doveva esserci qualcosa d'altro in ballo… La guardia lo spintonò di malo modo su per le scale, verso il livello superiore. Qui i corridoi erano considerevolmente più larghi e ben illuminati. Soprattutto non c'era nessuno in giro; magari con un colpo ben assestato avrebbe potuto mettere a tacere la guardia e scappare velocemente da quella brutta situazione. Ma per fare una cosa del genere avrebbe avuto bisogno di un piccolo aiuto: lanciò un'occhiata alle pareti. Una torcia spenta gli avrebbe fatto comodo per parare un colpo di quella spada… Accidenti! Non ce n'era nemmeno una! Soltanto quei maledetti lumi ad olio, troppo scomodi da afferrare. Ma se quel soldato fosse stato meno agile di lui, magari… Guardò avanti, nel corridoio dritto e lungo alla sommitàdella scala a chiocciola e si accorse che qualcuno, completamente avvolto in un drappo bianco, ostruiva il passaggio. E non sembrava avere nessuna intenzione di levarsi da lì. Lo zigar si fermò improvvisamente: non gli importava nulla della spada puntata contro la sua schiena. C'era qualcosa di strano in quel tipo, glielo stava letteralmente urlando il suo istinto. E lui si era sempre fidato della prima impressione: quelle vesti nascondevano troppo. Chi era veramente quel tipo là davanti? E perché era vestito in quel modo? «Vai avanti! Nessuno ti ha detto di fermarti!» sbraitò il soldato. Lo zigar si fece da parte, di modo da far notare alla guardia quella strana figura in mezzo al corridoio. Il soldato capì al volo e si rivolse all'estraneo: «Togliti da lì! Devo portare quest'uomo dal kissal. È urgente.» Ma l'altro non diede cenno di volersi spostare, anzi sembrò soltanto raddrizzarsi ancora di più. Lo zigar ebbe un brivido: come poteva essere un uomo così grande? «Dov'è la ragazza?» La voce di quello strano tipo era lenta e strascinata, innegabilmente umana, ma al tempo stesso roca, come la voce di un vecchio. Il soldato non si scompose: «Di che ragazza stai parlando? Qui non c'è nessuna ragazza.» gli rispose con tono sospettoso. Lo zigar nel frattempo era prudentemente scivolato a lato, la schiena rivolta alla parete del corridoio. «So che è qui. Ditemi dove si trova e risparmierò le vostre vite.Voi non mi interessate.» insistette l'altro. Il soldato fece scivolare lo zigar completamente alle sue spalle e mise la spada tra sé e l'estraneo, pronto ad attaccare. Ecco l'occasione buona, pensò lo zigar: adesso poteva lasciare la guardia a sbrogliare la faccenda ed allontanarsi in tutta fretta da lì. Il soldato in effetti era distratto, tutto concentrato su quella strana figura incappucciata. Ma quello che successe lo prese completamente di sorpresa. Un sibilo frustò l'aria davanti alla guardia e questa subito cadde a terra come un pupazzo di pezza. Aveva gli occhi sbarrati ed un foro sanguinolento al posto della gola. «Dimmi dov'è la ragazza.» intimò l'estraneo, questa volta rivolto allo zigar. Ma lui non se lo fece ripetere un'altra volta. Gli era bastato quanto aveva creduto di vedere assieme a quel sibilo: un'enorme braccio artigliato che schizzava fuori da quelle vesti bianche. Qualunque cosa fosse, sicuramente non era umana. E prima che potesse ripensarci si lanciò di corsa nella direzione opposta. Aveva visto pochi passi prima un corridoio che si collegava con una diramazione sulla destra e questa fu la sua fortuna: vi sgusciò dentro prendendo completamente di sorpresa quella cosa. Non per molto però, visto che quando arrivò alla fine del nuovo corridoio, sentì che lo stava inseguendo. Ed era maledettamente veloce. Destra, destra, sinistra... non si guardava mai indietro, mentre schizzava letteralmente dentro quel labirinto, sicuro che a pochi passi da lui il suo inseguitore stesse rapidamente guadagnando terreno. I polmoni gli sembravano scoppiare, ma non per questo smise di correre: stringeva i denti dal dolore ed accelerava l'andatura, sempre di più. Questa volta la cosa dietro di lui perse terreno: non la sentiva quasi più ormai. Ecco! Una porta socchiusa! La spalancò senza pensarci e ci si infilò dentro, al buio. C'era odore di polvere lì dentro ed il naso gli prudeva orribilmente. Si maledisse per quell'idea stupida mentre là fuori dalla porta sentiva le lunghe falcate del suo inseguitore. Poi più nulla. Possibile che se ne fosse andato? Silenzio. Aspettò ancora un istante. Nulla. Il naso gli prudeva orribilmente, cercò di non pensarci troppo. Si era fermato od era andato oltre? Era riuscito ad ingannarlo? Odiava affrontare simili pericoli disarmato, ma doveva farlo. Era una cosa ancora più stupida, ma doveva sapere se l'altro fosse ancora nel corridoio. Ancora un istante e si sarebbe tradito, starnutendo. Con cautela riaprì lentamente la porta che aveva lasciato accostata. E qui fece un gigantesco errore: prima che potesse fermarsi i cardini cigolarono sinistramente nel corridoio. Lo zigar maledisse a denti stretti la propria imprudenza perché quella cosa era ancora lì, proprio davanti a lui, poco oltre la porta. Non fece in tempo a voltarsi, che già lui volava letteralmente via, lungo il corridoio. Ce la poteva fare, si disse. Ce la poteva ancora fare, urlò silenziosamente dentro di sé. Ma le forze gli venivano rapidamente meno mentre quella cosa dietro di lui non sembrava essersi ancora minimamente affaticata. Lo teneva dappresso ormai. Quasi c'era, maledettamente vicina. Qualcosa lo colpì duramente alla spalla in un'esplosione accecante di dolore: vacillò, ma non cadde. Continuò a correre, per sopravvivere. C'era quasi! Là davanti, oltre un androne buio, c'era una luce; ma non era fioca come le altre, bensì più forte e diffusa. Da là venivano anche delle voci, non poteva sbagliarsi. Si buttò in avanti con le sue ultime forze e si lanciò attraverso l'androne. Ma era troppo veloce: rotolò rovinosamente a terra al di là di esso e schivò per un pelo una spada che si stava già per abbattere su di lui. «Fermo!» intimò minacciosamente qualcuno. Lo zigar non lo sentì nemmeno, la paura di morire era più forte di qualsiasi altra cosa. Si girò velocemente a guardare dietro di sé, aspettandosi di veder comparire quella cosa. Nulla, solo ombre vuote. Lì attorno vi erano soltanto una decina di spade puntate verso la sua gola, visto che si era lanciato a capofitto in mezzo ad un plotone intero di guardie, ora in pieno allarme. E tutte quante insieme gli gridavano contro e lo minacciavano. Qualcuno lo tirò su e gli urlò in faccia: cosa ci faceva lì? Che gli era successo? Lo zigar lo lasciò fare e non rispose: non ne aveva più il fiato. Anche per questo si sedette lentamente a terra, esausto e sollevato. Le spade puntate contro di lui non le degnò nemmeno di uno sguardo. Nulla aveva più importanza ora, se non che quella cosa non lo aveva seguito lì in mezzo. E per il momento era in salvo.
  2. Premetto... *DIIIITOOO DI MOOORTE SULL?AVATAR DI NHEMESIS (SI SCRIVE COSI'?)* Dove ho sbagliato? Accidenti!!! In merito ai tuoi commenti, tranqui ho postato giusto per avere critiche... e per capire un po' meglio se è il caso di scrivere avanti o lasciar perdere. Guarda, dal mio punto di vista devo ammettere che all'inizio è volutamente criptico, ovvero un po' troppo misterioso perchè su tale mistero si incardina uno dei temi principali del racconto... poi, lo ammetto, sono un gran bastardone e mi piace tenere il lettore all'oscuro di MOOOLTE cose... ho tagliato e ritagliato moltissime volte la parte iniziale per dare idee, ma non certezze.... La parte dell'entrare in città l'avevo tenuta così per motivare la confusione ed il sonno della ragazza che entra in città esausta e coglie solo alcuni frammenti...vie buie, voci..e nient'altro. Urka proprio l'attacco non t'è piaciuto, ma almeno ho una consolazione..il suicidio della tua stampante..spero per hara-kiri
  3. Diciamo molto sinteticamente che Asimov è un grande amante, oltre che del rapporto tra uomo e tecnologia, anche e soprattutto delle trame con risvolti politici... il ciclo della Fondazione in questo è unico perchè pone particolare attenzione alle conseguenze sociali che ipoteticamente potrebbero essere innescate da un enorme sviluppo tecnologico. In questo Asimov e cioè nella sua invenzione di una storia futura nel quale ambientare i propri libri è semplicemente inimitabile... è però più una letteratura di pensiero e di meditazione, che una letteratura d'azione la sua...
  4. Ihih intanto ho la suprema soddisfazione di aver esaurito la tua stampante... Cmq sto lavorando già al prox capitolo....
  5. Strikeiron

    Wildlings

    No, continua a dirmi che il sito è stato trasferito e mi rimanda alla pag principale
  6. Strikeiron

    Wildlings

    Non mi apre il tuo link... dice che è stato spostato....
  7. Sono andato lentamente e faticosamente avanti: 4.Incontri Tutt’ad un tratto si svegliò in una stanza fortemente illuminata dal sole brillante, attraverso pesanti, ma rozzi tendaggi. A quanto pareva Vartenia non era tornata a svegliarla e così aveva dormito per tutta la notte. E con questa erano due le notti che mancava da casa: ci sarebbe mai potuta tornare? Ad un tratto si sentì stupida: fino a ieri avrebbe dato tutto per non dover stare in casa con sua madre ed ora, appena sveglia, già provava nostalgia per quello che aveva appena lasciato. Avrebbe dovuto essere felice per come il destino aveva accontentato i suoi desideri. Ma non lo era: in parte perchè si era ficcata in un mare di guai. E tutto per colpa sua! Ficcò la testa testardamente nel cuscino, tentando invano di non dare più retta alla propria coscienza, allo stesso tempo confusa e sconfitta. Per ogni minuto che passava così, le sembrava di essere lacerata dai propri pensieri, soprattutto da tutte quelle domande senza risposta. Ma alla fine si decise: appena fosse scesa dal letto avrebbe immediatamente cercato Vartenia. Capì di non poter aspettare così un solo momento di più. Rapidamente scostò le coperte e si alzò in piedi sul pavimento gelido. Guardandosi attorno si accorse che dopotutto il sole, per quanto brillante, non riusciva a far penetrare il proprio calore in quella stanza. Sembrava tutto così distante e tetro, adesso. I vestiti erano sempre accuratamente piegati su una sedia lì accanto. Ed una persona aspettava in silenzio, seduta in un angolo della stanza. «Vartenia? Sei tu?» chiese, bloccandosi nel panico, pronta a scattare e fuggire. «Sì sono io, non devi aver paura.» le rispose, alzandosi di scatto ed avanzando verso di lei sotto la luce, fuori dall’ombra. La lunga veste nera che indossava sembrava poter scivolare sul terreno senza toccarlo. Lara la osservò, ammirata. «Stai bene? Hai dormito?» «Sì grazie, ma...» La donna le fece il segno di tacere: «Non adesso, mi spiace ma non c’è n’è proprio il tempo. Sbrigati, il kissal ci sta aspettando.». In un batter d’occhio Vartenia scivolò fuori dalla stanza. Lara indossò velocemente i propri vestiti e la raggiunse nel corridoio. Si guardò attorno, quantomai sorpresa: non si sarebbe mai aspettata di trovarsi in uno spazio angusto, poco illuminato e scavato rozzamente nella pietra. Ma forse la notte era tutto diverso: ora non tutte le lampade nelle nicchie annerite dal fumo erano accese. «Vieni con me.» le disse Vartenia. E subito si inoltrarono in una ragnatela di corridoi egualmente poco illuminati e deserti. Vartenia sceglieva con assoluta sicurezza ad ogni bivio e se talvolta il corridoio era quello più largo, altre volte invece, dopo una stretta curva, si infilavano in sorte di budelli. Una volta sbucarono addirittura in una sorta di crocevia, passando accanto ad una processione di figure silenziose. Ma nessuno prestò loro la minima attenzione. Continuando a girare in quella specie di sotterraneo, Lara si rese conto di sfuggita di non essere passata di lì la notte prima. Ma forse era soltanto un’impressione. Nulla le era familiare. Salirono alcune strette scale a chiocciola inoltrandosi in corridoi sempre più larghi e meglio illuminati; stavolta sembrava quasi di poter sentire il tepore del sole avvicinarsi. Finalmente arrivarono in una stanza, intiepidita dalla luce mattutina. «Aspettami qui un attimo. Non muoverti per nessun motivo.» le disse subito, scomparendo velocemente attraverso un ampio portale in pietra alla loro sinistra . Adesso era di nuovo sola. Lara si guardò attorno incuriosita: se non poteva muoversi avrebbe però sempre potuto guardarsi attorno, si disse. In un primo momento non era riuscita a vedere bene nulla in quella nuova stanza. C’era troppa luce rispetto ai corridoi bui. Ma adesso distingueva nettamente gli ampi arazzi appesi alla parete di destra. I riflessi dorati della luce del sole squarciavano le ampie finestre illuminandoli in pieno. Lara si avvicinò, senza riflettere: distingueva a malapena le figure in colori vivaci. Potevano essere cavalli o bestie di forme inusitate. Non fece in tempo a rendersene conto. Vartenia la strattonò improvvisamente per un braccio, facendola sussultare: «Vieni con me, ragazzina. Adesso puoi entrare.». Stavolta attraversarono insieme il portale: al di là di esso c’era un’ampia stanza, ancora più ricca e luminosa della precedente. La forma ovale accompagnava i cerchi concentrici di scuri seggi lignei, che contrastavano in mezzo con una piattaforma sopraelevata in pietra. Alla sommità di essa c'era un trono. E seduto su quella sorta di scranno ed avvolto in una lunga mantella grigia, c'era un vecchio che stava ascoltando con attenzione altre due persone. In un primo momento Lara non capì assolutamente cosa stessero dicendo; anzi, per un attimo la sfiorò il dubbio che non stessero parlando nella sua lingua. Ma poi una voce tra le altre si fece improvvisamente più chiara e precisa nella stanza, come scandita: « ... Presto manderanno qualcuno per vedere cosa sia successo. Devo arrivare là prima che questo accada, devo avvertirli, anche se per questo dovessero considerarmi un traditore.» Lara entrò completamente nella stanza, spinta da Vartenia e vide che chi stava parlando non era un uomo. Non proprio nel senso stretto del termine, almeno. Un uomo sicuramente non aveva i tratti del volto così affilati e le orecchie appuntite. Chiunque fosse sembrava estremamente dibattuto ed impaziente... accanto a lui quello che doveva essere un nano annuiva e commentava con degli strani borbottii. Quando l’altro si interruppe alla vista di Lara, anche il nano sollevò lo sguardo perplesso su di lei. Sovrappensiero sistemò l’ascia che portava ancora a tracolla e Lara non potè evitare di spalancare la bocca, sorpresa. Ma chi erano quelli? Il vecchio, accortosi della sua presenza le sorrise benevolmente: «Benvenuta ragazza, avvicinati.» Lara obbedì e cercando a stento di ignorare il nano che ora la stava fissando con aria di sfida, si avvicinò alla piattaforma. «Spero tu abbia fatto buon viaggio.» le disse il vecchio, sorridendo. Quasi per nulla confortata dalla presenza di Vartenia dietro di lei, Lara annuì terrorizzata e ricambiò forzatamente il sorriso. Aveva ancora voglia di scappare da lì, visto che fino a pochi giorni prima non sopportava la compagnia dei suoi simili. Ora però non sapeva se il suo fosse ancora odio o piuttosto un genuino terrore. Per il momento aveva semplicemente rinunciato a parlare per timore che gli altri non la capissero. Ma ora cosa doveva fare? Perché Vartenia l'aveva portata lì? Il vecchio le sorrise nuovamente, da dietro quella barba incolore, riempiendo così il silenzio impacciato che era venuto a crearsi nella stanza. Anche il compagno del nano la fissava ora, incuriosito. Lara notò il suo sguardo e non potè fare a meno di rimanerne stupita: era giovane, forse quanto lei stessa ed indossava vestiti semplici; non portava armi, almeno non in vista. All’improvviso, per rompere quel lungo istante di silenzio, Vartenia si fece avanti: «Mio Signore, ho trovato questa ragazza non più tardi di due notti fa, nei boschi a nord del Tissen. Era stata attaccata da strane creature, ma quel che è peggio è stato che, ascoltando la sua storia, ho capito immediatamente che proviene dal mondo al di là del Passaggio.» A questa affermazione tutti la guardarono con stupore ed orrore insieme. Il vecchio quasi si ritrasse sul suo scranno, spaventato: «Ma non esiste nulla al di là del Passaggio. É soltanto una vecchia leggenda!» sbottò. Vartenia aggiunse: «So che può sembrare impossibile. Era tanto, tantissimo tempo che nessuno attraversava il Passaggio. Eppure questa ragazza lo ha fatto; ti prego di ascoltare la sua storia.». «Avvicinati.» borbottò il vecchio, ancora non del tutto convinto. Vartenia la spinse decisamente verso la pedana stavolta, accanto al nano che ora la guardava con crescente sospetto. E Lara rimase in silenzio. Come poteva raccontare loro quello che le era successo, cosa aveva provato? Era successo tutto così rapidamente da non lasciarle neppure il tempo per rendersene conto, figuriamoci se avesse potuto descriverlo ... «Su racconta, non aver paura.» la apostrofò gentilmente il vecchio, notando il panico sul suo viso. Doveva farlo. Lara cominciò, suo malgrado, a raccontare. All’inizio le fu molto difficile trovare le parole giuste per esprimersi, quasi che un groppo in gola le impedisse di parlare. Ma poi pian piano fu come se le fosse più facile parlare: le ultime barriere dentro di lei cedettero alle emozioni. Alla fine provò la netta e terribile impressione di non parlare neppure di lei stessa, ma semplicemente di un’estranea. Sembrava tutto così lontano, seppure fosse passato solo un giorno. Quando ebbe finito il suo racconto il vecchio continuò a fissarla preoccupato. «Questa storia non ha nè capo nè coda! Il Passaggio è stato chiuso nei Tempi antichi e questa ragazza non avrebbe potuto sopravvivere ai confini che lo proteggono. Sempre che tutto quello che ci ha raccontato sia vero! – sbottò il nano e concluse:- Secondo me. non ci dice affatto la verità!». Lara lo guardò impaurita, già pronta a scappare via da lì nella vergogna. Come potevano credere a quello che aveva detto se lei per prima stentava a crederci? «Ricordati che le leggende possono sempre tornare a far parte della realtà.» lo redarguì Vartenia. «Ma sono solo favole! Fiabe di tempi andati e sepolti. Che prove abbiamo per crederci? Nessuna!» «Il mio popolo, il popolo degli elfi del nord ci crede.». Tutti si girarono sorpresi. L’elfo, ovvero quello che per Lara era un uomo dalle orecchie appuntite, scosse la testa annuendo, come rassegnato: «Sì, noi ci crediamo. Le nostre leggende ci hanno sempre avvertito che questo avrebbe potuto accadere. Il Passaggio può essere riaperto. Sempre che si abbiano poteri sufficienti a farlo.» «Ciarlatanate. Non fate altro che ingannarci tutti» soggiunse il nano, sprezzante. Vartenia lo ignorò per il momento. «Io non vengo a presentarvi delle prove, ma dei fatti. Appartiene al kissal la responsabilità di decidere. Io mi rimetto al suo giudizio ed alla sua prudenza.» Il vecchio si alzò in piedi di scatto, innervosito. Sul suo viso passavano nubi scure, mentre contemplava possibilità che solo ora arrivava pienamente a comprendere. Infine si decise a parlare: «Non parlare in maniera così avventata amico mio, forse le leggende sono ritornate veramente in questo mondo o forse no. Non possiamo comunque ignorare la possibilità che ciò sia avvenuto e neppure illuderci che non vi saranno delle conseguenze da affrontare.» Il nano si agitò, irrequieto: «Ma...!» «Niente ma,- lo interruppe subito il kissal- Per ora ho bisogno di calma per riflettere. Prego ciascuno di voi di ritirarsi per breve tempo nelle proprie stanze. Vi farò richiamare quando avrò preso la mia decisione. Fino ad allora rimarrete com'è ovvio miei graditi ospiti.». Con delicatezza Vartenia prese Lara sottobraccio e la ricondusse nella sala degli arazzi. Mentre usciva, Lara vide con la coda dell'occhio il nano e l'elfo che si allontanavano dalla parte opposta del salone. «Ti ricordi la strada dalla quale siamo venute prima?» le chiese Vartenia. Lara rimase in silenzio, cercando di recuperare il ricordo del labirinto che avevano percorso poco prima. Ma subito si rese conto di non essere assolutamente capace di tornare indietro. Fece di no con la testa. «Aspettami qui dentro allora, non tarderò.» la rassicurò Vartenia e quindi scomparve. Lara sospirò rumorosamente e rimase sola nel centro della stanza ad aspettare. Poi quando la curiosità divenne troppo grande si avvicinò a quegli strani arazzi: non aveva notato prima che le figure sembravano muoversi. Seduto sul suo scranno il vecchio passava nervosamente le dita sugli intagli, riflettendo tristemente su quanto stava succedendo. Non era più quello di una volta: ogni giorno cercava un rinnovato vigore per combattere, ma di volta in volta si sentiva sempre più vecchio e soprattutto sempre più debole. Oramai era stanco di lottare e sarebbe arrivata una mattina nella quale, svegliandosi, avrebbe saputo di aver perso completamente la voglia di combattere; temeva anzi che quel giorno potesse essere molto vicino. Dove avrebbe trovato allora un buon successore? Pensò a tutte le persone che quotidianamente gli si affollavano intorno: bastava una sola mano per contare quelli veramente fidati. Ed allora? Aveva sempre saputo che coloro che lo circondavano volevano in realtà solo potere e prestigio,magari anche ricchezze e gloria. Quanti gli si affollavano attorno per dargli veramente un aiuto? Poveri stolti: coltivavano sogni che la sua morte avrebbe velocemente dissipato. Eppure doveva trovare un successore, doveva pensare già ora a cosa sarebbe successo dopo. A chi avrebbe preso il potere tra le proprie mani per proseguire il lavoro che andava fatto. Ma chiunque fosse tale persona non aveva ancora un volto: se non avesse scelto, alla sua morte gli sarebbe semplicemente succeduto il figlio. Ma il sangue del suo sangue non era adatto per assumersi una simile responsabilità, era fidato, questo sì; ma non avrebbe mai imparato la saggezza e la prudenza necessarie per assumere il potere nelle proprie mani. Suo figlio era impulsivo, incosciente, per nulla diplomatico e per giunta immaturo. L’unico problema era che non era ancora pronto e forse dopotutto non lo sarebbe mai stato. Amava la guerra invece di saper cercare la pace, spendeva il denaro per sé stesso piuttosto che per gli altri, inseguiva l'effimero… non sarebbe mai stato un buon kissal. Ma chi altri poteva succedergli? Chiunque altro avesse designato al posto del proprio figlio non avrebbe avuto il diritto del sangue. Erano tempi oscuri questi e senza il diritto del sangue nessuno sarebbe resistito a lungo al suo posto. Se non altro suo figlio non si sarebbe piegato facilmente ai voleri dell'alta nobiltà: l'orgoglio era il suo miglio pregio, ma anche il suo peggior difetto… Sospirò su quei pensieri ancora una volta e volse lo sguardo attorno alla stanza vuota. Od almeno così credeva che fosse. Il debole fruscio di una veste lo raggiunse dall'ombra e già prima di alzare gli occhi seppe che si trattava di Vartenia. Quella donna una volta gli faceva paura: ora non più. «Donna, sei venuta qui ancora come un corvo del malaugurio. Non ti avevo detto di ritirarti nelle tue stanze?» le chiese con sarcasmo. La conosceva ormai, da tanto, troppo tempo. E sapeva che qualunque cosa le fosse stata detta quella donna avrebbe comunque fatto di testa propria. Vartenia si fermò davanti a lui e quindi si inchinò lentamente a terra: «Sai bene che non è per mio volere che porto tali messaggi. Pure qualcuno deve portarli.» «Già, avevo perso l'abitudine alle tue frasi sibilline. Tu aggiungi altre amarezze a quelle che già coltivo io stesso nella mia vecchiaia.» le disse, con amarezza. Vartenia si rialzò lentamente da terra e tacque. Il vecchio kissal prese coraggio e continuò: «Come puoi chiedere a me di assumere simili responsabilità? Non solo sono vecchio, ormai, ma anche terribilmente stanco. Non voglio più sentir parlare di catastrofi, di guerre e delle tue magie! Le mie preoccupazioni sono altre.. e ben più importanti» «E le conosco bene anch'io, mio signore,- lo interruppe Vartenia- ma ciò nonostante devi conoscere quali terribili pericoli ti troverai ad affrontare. Qui non sono in gioco soltanto le nostre due vite, ma è minacciata l'esistenza di qualsiasi essere vivente su Solnem. Un'enorme pericolo ci minaccia, tutti quanti, se sta avvenendo quello che temo. Puoi forse prenderti la responsabilità di ignorare cose molto più grandi di te? Puoi mettere in gioco vite che non ti appartengono?» «Io so soltanto che come al solito non dici mai completamente quello che sai ed io non posso neppure essere sicuro di non essere manovrato per i tuoi scopi. Chi è veramente quella ragazzina? E cosa vuoi da me e da lei? Cosa c'entra con tutti noi?» sbottò incollerito. Vartenia fece per rispondere ma il vecchio kissal non la lasciò rispondere, tale era la sua ira: «Porti qui una ragazzina che secondo le leggende dovrebbe venire da un altro mondo e vuoi che sia io a decidere del suo destino. Sai cosa ti rispondo? Che non voglio saperne più nulla di questa storia!» Vartenia trattenne a stento la propria rabbia: «Ai miei occhi sembri soltanto un vecchio egoista che non è più capace di guardare al di là del proprio naso.». Pronunciò le parole a voce alta e con un tono gelido, come se dovesse farle sentire ad un grande auditorio. Ma erano soli nella stanza. «Fuori di qui! Come osi offendermi?» Il vecchio kissal si alzò in piedi dal proprio scranno, puntandole contro un dito. Ma Vartenia non si mosse di un millimetro. Non sembrava più una persona indifesa ora e chiunque si sarebbe spaventato davanti ad una simile trasformazione, ma non Vartenia. «Mi ricordo ancora quando salisti su quel seggio. Allora eri più saggio e prudente. Allora capivi quando la tua gente aveva bisogno di te e mettevi davanti a te la speranza. Come hai potuto farti togliere le tue certezze? Come hai fatto a smarrire la tua strada?» Il kissal sembrò vacillare davanti a queste parole e davanti allo sguardo accusatore di Vartenia. Lentamente si risedette sul proprio seggio, lo sguardo perso in strani pensieri: «Non ho perso nulla, donna. È ancora tutto dentro di me, ma non sempre la saggezza consiste nel prepararsi alla guerra. Talvolta bisogna tenersi stretti a quel poco che si ha. La speranza che mi hai appena ricordato forse è svanita, ma non per questo voglio infliggere nuove sofferenze al mio popolo.» aggiunse a bassa voce. «Non sono io a volerti manovrare, ma gli eventi. Se tutto questo sta succedendo, non puoi incolpare nessuno. Ho visto i segni da tempo ed ora che la ragazza è giunta fin qui ti consiglio di non ignorare quello che deve essere fatto. Almeno questo ti chiedo: non aspettare che la rovina bussi alle porte della tua città soltanto perché intendi ignorare ciò che accade al di fuori di queste mura che ci proteggono.» Si affrontarono ancora per un attimo, fissandosi negli occhi. Il vecchio voleva capire se quella donna gli avesse detto la verità, nonostante sapesse già dentro di sé da tempo che non gli avrebbe mai mentito su una simile cosa. Lo sentiva. Eppure non riusciva ancora ad accettare che delle profezie così oscure si potessero avverare: avrebbe potuto scoppiare una guerra, questo sì. Ma l'arrivo di una sconosciuta, di una semplice ragazzina, non poteva coincidere con l'inizio di uno sterminio. Non poteva costituire una simile minaccia. Eppure gli elfi…. gli venne da pensare. Fissava ancora quegli occhi davanti a sé, senza trovarvi alcuna traccia di menzogna. Quella donna era convinta di ciò che diceva. Il vecchio rabbrividì quasi e distolse lo sguardo; ormai in lui l'ira era completamente svanita, sostituita dalla rassegnazione. «Cosa mi chiedi di fare?» le chiese. Vartenia sospirò: «Quella ragazza viene realmente da un altro mondo, ma per farlo ha utilizzato una magia molto, molto potente…una magia paragonabile a quella del gioiello. Anzi potrei dire che è come se l'avesse usata.» «Il gioiello? Cosa c'entra con tutto questo?» le chiese, incredulo, con il fiato mozzato. Vartenia rimase un istante in silenzio, valutando tra sé quello che stava per dire: «Quella ragazza porta con sé una parte, come un frammento del gioiello. Ogni volta che mi avvicino a lei ne percepisco il potere.. ma è come se non fosse completo.» «Incredibile, ma questo significa…» «Che chiunque sia a conoscenza di questo piccolo segreto farà di tutto per avere da lei il suo pezzo di gioiello. Se è riuscita a raggiungerla nell'altro mondo non si fermerà neppure in questo.» concluse per lui Vartenia. Il vecchio rimase in silenzio a riflettere: «Ed io cosa dovrei fare a questo punto?» «Mandare la ragazza a cercare ciò che resta del gioiello.» «Ma come è possibile? Fino ad ora si credeva che fosse stato perso o distrutto!» «Ma così non è stato, -gli rispose pazientemente- per questo quella ragazzina potrebbe essere l'unica persona su Solnem a poterlo recuperare. Inoltre sono convinta che una volta trovato il gioiello potrebbe portarlo sul suo mondo una volta per tutte. E là non avrebbe più alcun potere.» «Dunque l'unico modo per fermare tutto questo è soltanto riportare quella ragazza nel suo mondo.» disse il kissal. «Ma come intendi farlo? Intendi dirle tutto?» chiese. Vartenia annui: aveva mentito, ma il vecchio kissal non poteva saperlo. La ragazza non poteva e non doveva conoscere tutta la verità. Nessuno doveva farlo, neppure il kissal. Però… «C'è un'altra cosa. Il massacro degli elfi non è stato casuale.-aggiunse Vartenia- Chiunque l'abbia realizzato segue un piano preciso ed intende portarlo a termine qui: ad Olnemain. Ti suggerisco di far partire la ragazza subito. Deve andare via da qui. E qualcuno dovrà accompagnarla…» «Chi?» «Non abbiamo molto tempo: io pensavo al nano e a quell'elfo: Tallein. Loro non avrebbero problemi ad accompagnare la ragazza. Io stessa la seguirei, ma non posso…» «Tu mi chiedi troppo, donna! Non posso coinvolgere dei perfetti estranei! Per di più sarebbe meglio affidare quella ragazza ad una scorta armata....». «Niente di più sbagliato,- disse Vartenia e continuò:- affidarla ad una scorta armata sarebbe come rendere più facile il compito a chi la cerca. Ha bisogno di viaggiare leggera e soprattutto di passare inosservata. Oltretutto non abbiamo molto tempo per organizzare la sua partenza. Chiunque la cerchi potrebbe avere i suoi emissari già qui dentro, in città. Per questo dobbiamo essere molto rapidi.» Il kissal cominciò a riflettere: che quella piccola ragazzina potesse avere a propria disposizione una parte del potere del gioiello era a dir poco incredibile. Ma se fosse stato vero chiunque la stesse inseguendo era senz'altro disposto a tutto pur di stanarla. Il vecchio conosceva le leggende sul gioiello e rabbrividì al pensiero che solo un decimo di quella storia potesse essere vero. Se Vartenia aveva ragione in quella storia c'era in ballo ben più di quanto potesse osare immaginare. All'improvviso gli balenò alla mente una terribile possibilità: «Quegli elfi massacrati sulle montagne, non mi dirai che hanno qualcosa a che fare con questa storia!» esclamò. Vartenia non gli rispose direttamente: «Chiunque sia ad inseguire la ragazza non ha intenzione di fermarsi davanti a nulla. Potrebbe voler scatenare una guerra solo per confonderci o per qualcosa di peggio. Anche se ancora non so quali saranno le sue prossime mosse.». Anche stavolta aveva mentito, ma proseguì, era necessario farlo: «Anche per questo il giovane elfo va allontanato da qui. È l'unico superstite e non verrebbe mai creduto. Finchè rimane in questa città corre il rischio di venire eliminato.». Il kissal annuì, convinto. La rabbia era sbollita e così anche la rassegnazione. Ora vedeva chiaramente cosa fare: «D'accordo allora.- disse- Manderò con la ragazza quel nano e il giovane elfo. Ma dove potranno cercare quello che rimane del gioiello se è andato distrutto? Dopotutto la ragazza ne possiede nulla di più che un frammento, a tuo dire!» Vartenia sorrise amaramente anche stavolta: «Forse le cose non stanno come sembrano. Prima che gli eventi precipitino c'è forse ancora una via sulla quale indirizzare quella ragazza, ma…» «Cosa ancora?» chiese il kissal, esausto. «Il nano e Tallein non bastano per accompagnarla. Le serve anche quello zigar, quello che tenete nelle prigioni.» rispose Vartenia. «Ma sei impazzita? Non puoi pretendere una cosa del genere!» il kissal era sbalordito. Non poteva credere che quella donna arrivasse a chiedergli una cosa simile. «È la nostra ultima possibilità.» confermò Vartenia, senza battere ciglio. «Ma è una pazzia! Ti rendi conto che è un rischio troppo grande? E poi quel nano non accetterebbe mai!» «Delle due l'una: o dovremo convincerlo noi, oppure dovrà convincersi da solo.» concluse Vartenia freddamente e fatto un rapido inchino, si girò ed uscì dalla stanza. Se erano arrivati a quel punto allora non avevano altra alternativa possibile. Non più.
  8. Strikeiron

    La nostra storia...

    Ed ora basta scherzare... Il Kyton era irrequieto. Come potevano aspettare e così tanto poi? Come il lich lui voleva vendicarsi del kender, dell'elfo, del nano... insomma di quel gruppo di miserabili straccioni. Ma ogni volta il lich lo fermava. Non era ancora giunto il suo tempo. Ma cosa aspettava? Quante miserabili decine di orchetti avrebbe dovuto accumulare in quel sottobosco prima di sferrare l'attacco finale? Al Kyton non piaceva quel sottobosco, non lo faceva sentire a suo agio e soprattutto odiava aspettare così, senza far niente... fino ad ora aveva soltanto ammazzato qualche orchetto, così solo per passare il tempo. Ma non poteva esagerare troppo. Anche se dentro di sè odiava quello stramaledetto Lich, sapeva che per il momento era opportuno aspettare. Lei l'aveva chiamato in disparte, dopo che aveva parlato col Lich. E lo aveva messo a parte dei Suoi piani, piani nei quali quel miserabile nonmorto era soltanto una piccola, insignificante pedina. Sei un Kyton, un demone, gli aveva detto e come tale sarai trattato. Sì lui era un demone, era più forte e resistente e più furbo. Per questo valeva la pena aspettare e per quanto gli era stato promesso: altri demoni avrebbero raggiunto questo piano di esistenza. L'avrebbe fatto il Lich, senza rendersi conto delle conseguenze. Lei si sarebbe occupata del resto... non occorreva che tornassero al proprio originario piano di esistenza. L'avrebbe creato qui, su questo mondo impuro. Un parco giochi pieno di umani con i quali avrebbero potuto divertirsi, per l'eternità. Ed il primo a godere di questo privilegio sarebbe stato quel kender. Il kyton sorrise sotto le catene uncinate che lo rivestivano. Non c'era nulla di meglio che la promessa di una tortura che non avrebbe MAI avuto fine. Il Lich stava aspettando le ultime ore: gli orchetti erano in posizione ormai e quegli sciocchi aspettavano alla sua portata. Presto li avrebbe spazzati via... ma non avrebbe commesso l'errore di sottovalutarli stavolta. Si diresse nel fitto sottobosco, l'aria resa gelida e silente dal suo passaggio. Non animale, non respiro...neppure la luce in quella radiura immersa nelle ultime luci del tramonto. Attese che il sole sparisse per tracciare i simboli sullo scarno terreno. Immediatamente l'erba appassì per effetto della maledizione. Tutto quanto si ammalò lì intorno... fino a quando la formula di convocazione non fu completa. Le linee sul terreno brillarono sinistramente nell'oscurità. Manca soltanto un'unica piccolissima cosa.... DEMONE, VIENI A ME.
  9. Tranquilli, al teletrasporto c'è sempre rimedio....
  10. Sto ascoltando l'ultimo album della Morissette. Mi aiuta a riflettere, il giornale fresco di stampa sulle mie ginocchia ed una gran confusione in testa. In questi giorni sul giornale che mi ritrovo ogni mattina sembra che stia per succedere il finimondo. Risse, esplosioni qua e là... nulla di interessante. Ma non sono tranquillo. Fuori c'è un sole che non è mai stato così brillante, una giornata bellissima appena al suo inizio. Eppure... Non so se sono io uno stupido od è soltanto un'impressione. Il giornale è tra le mie ginocchia, ma non l'ho ancora aperto, forse per paura di quello che potrei trovarvi scritto dentro. Non sono un eroe, sono vulnerabile... ho soltanto messo da parte un buon gruzzolo in scommesse e dispongo di una buona attrezzatura. Sono andato in un negozio di elettronica dove so che non fanno troppe domande e dispongono di alcuni oggettini interessanti sottobanco. Mi sono sentito un po' come James Bond... chissà se mi serviranno mai. Il gatto miagola dentro casa, irrequieto. Ormai quella maledetta bestiaccia mi gira sempre tra i piedi. Ma non è mai successo prima quello che è successo ora. Miagola insistentemente e mi salta sulle ginocchia, mi sposto di scatto ed il piccolo felino scappa via da me. Vuole che apra questo stramaledetto giornale. Ed ogni volta, mentre penso perchè io, mi tremano le mani. Stendo la carta spiegazzata sul tavolo e non riesco a trattenere un gemito angoscioso. Stavolta sarà una tragedia. Un'esplosione sui binari ed un treno proveniente da Varese che deraglia seminando carrozze in giro per i campi. Come se non bastasse un contemporaneo scontro frontale con un treno merci. Un incidente? Un attentato? Non riesco nemmeno a mettere a fuoco le parole dell'articolo. Come potrei fermare una cosa del genere? So il chilometro ed il momento esatto in cui avverrà, ma non so quando quei bastardi metteranno la bomba, nè perchè. Beh, basterà che telefoni alle FS annunciando che una bomba è stata piazzata sulla linea, basterà farlo giusto un'ora prima dell'esplosione e tutto sarà risolto. Ma è un rischio e bello grosso. E se mi sbagliassi? In realtà non so bene come si svolgeranno le cose. Sul giornale c'è solo una foto che mostra un groviglio contorto di lamiere annerite. Quello che ho sempre temuto. Stavolta dovrò fare da solo se non voglio avere sulla coscienza qualche centinaio di vite umane. Mentre preparo di fretta la valigia (domani telefonerò in laboratorio per dire che sto male) il mio cervello lavora come un ingranaggio a vuoto: perchè io? Perchè io? Perchè io? Perchè? MALEDIZIONE!
  11. L'attimo fuggente... non tristissimo, ma quando Robin Williams lascia quella classe viene il groppo in gola...
  12. Capita, si chiama la maledizione del guerriero... Gideon ne parlava con me una sera....
  13. Io avevo un'idea per scatenare un po' il lich da una parte (manzo ha tra le mani un filatterio che non ha mai fatto la sua comparsa ed il lich non dev'essere molto contento di questo). D'altra parte se qualcuno è venuto a trovarci noi con Alathariel potremmo anche fare il contrario, no?
  14. Era tenuto da Gigared che però ha smesso di scrivere...
  15. Il problema vero e bello grosso è che a parte Joram nessun'altro tiene personaggi cattivi (a parte un mio timido tentativo che cercherò di rielaborare). Sarebbe bello se la situazione fosse un po' più equilibrata....
  16. Cmq mai lanciare un dado fuori dalla finestra... dopo provi i sensi di colpa... (che io ho puntualmente messo a tacere comprandomi un set nuovo)
  17. Se può interessarti l'ultima sessione abbiamo beccato un drago dietro ad un portale avvolto nella nebbia... siamo tornati indietro (visto che il drago non passava attraverso il portale) e ci siamo caricati....io col mio mago ho calcolato tutti gli stack possibili per l'armatura e quindi ho caricato una bella palla di fuoco... passo il portale ed il master: -fammi un tiro salvezza contro fear! *roll* 1 ..... (bestemmie a go go....) -Bene sei paralizzato per i prox ...uhm... cinque round.. e perdi l'incantesimo.. Ed io...-Ma porca la miseria questo dado fa 1 proprio nel momento peggiore, mai una volta che...- *roll* 20 Beh il dado l'ho lanciato fuori dalla finestra, nel boschetto che ho davanti a casa. Un po' mi dispiace ora ripensandoci..ma quando il dado è canaglia è canaglia (per lo meno era spaiato e non apparteneva ad un set)....
  18. Loooooooooooooooooooollllissimo!!!!! A questo punto potrei farti osservare che nel mio caso i dadi entrano a curvatura e quindi innegabilmente esce fuori sempre il funball (vai tu a capire se c'entra con i warp o con le leggi dello spazio a curvatura...o sarà il subspazio? BOH?)
  19. Dipende... può darsi che non sia acqua! Al che, verificata tale possibilità, i dadi vanno a fondo lo stesso e tu con loro....
  20. Una sola cosa: i dadi regalatimi dalla mia ex....PORTANO UNA SFIGA PAZZESCA! Ho provato a regalarli al master, ma ha desistito...portavano sfiga pure a lui!!!!
  21. Ancora tra i piedi quel maledettissimo gatto. Esco questa mattina e deposito a terra il latte (non scaduto stavolta). Il gatto miagola rumorosamente e mi sfreccia tra le gambe, mentre raccolgo il giornale. Odora d'inchiostro, come se fosse fresco di stampa. Nessuno sa, tranne me, quanto lo sia in realtà. Ultimamente penso di non volere più questa maledizione che mi perseguita, perchè.... Non sono un eroe, punto e basta. Ma soprattutto perchè ho paura, ho paura che un giorno raccoglierò questo giornale da terra e leggerò qualcosa che non avrei mai dovuto sapere. Che so una guerra atomica che abbia spazzato via metà delle misere vite su questa terra. Ho paura di trovarci scritto qualcosa che non potrò cambiare. Nel frattempo sto cambiando la mia vita però... un po' alla volta. Per non dare troppo nell'occhio. Ho scoperto che sul giornale ci sono le uscite dell'enalotto o di qualche lotteria sparsa per questo dannato paese. Basta giocare i numeri giusti, quelli che non diano una vincita troppo alta. Giusto per accumulare un po' di soldi. Eh sì, maledetto gatto. Un bel giorno scapperò in un posto nel quale non potrai rintracciarmi ed allora il giornale, con la sua terribile responsabilità, andrà a qualcun altro. Non a me. In laboratorio ogni tanto mi connetto ad internet e leggo le notizie, ultimamente però ci sono troppe cose strane in giro. Un mostro che corre nelle campagne venete e distrugge tutto ciò che incontra, una specie di uomo ragno giù nel Lazio, una rissa di strada ad Udine.. solo che questa volta sono volate in aria alcune macchine. Ma che razza di mondo è mai questo? Oggi sfoglio il giornale del due dicembre e mi sento fortunato. Non ci sono grosse cose da segnalare. Le solite fughe di gas, per cui dovrò telefonare a chi di dovere. Ma per lo meno ho comprato un apparecchio che mi distorce la voce sul cellulare ed un altro che impedisce che mi rintraccino. Non penso che mi giudichino così importante, ma è sempre meglio essere prudenti. A furia di prevedere disastri può darsi che comincino a considerarmi una sorta di terrorista. Una cosa da evitare.
  22. Ormai vorrei non dover uscire di casa la mattina. Perchè ogni volta che esco il giornale è là che mi aspetta sullo zerbino. Il giornale di domani. Dopo il primo giorno ho provato a buttarli via, nel cassonetto della carta. E' ovvio: così almeno ho la coscienza a posto. Ma chiunque me li consegni la mattina non desiste: alcune mattine fa ho provato ad alzarmi una mezz'ora prima e ad aspettarlo dietro la porta, in silenzio, con in mano il mio caffè bollente. Ma quando ho sentito il giornale sbattere contro la porta e l'ho aperta di scatto per vedere chi fosse.... Quel maledetto gatto, sempre là, che mi fissava con impudenza. Lo odio, anzi lo detesto. -Perchè non mi dici chi è che si diverte a fare questo scherzo?- gli ho detto stamattina. Il gatto mi ha soltanto miagolato in risposta, tranquillo. Prima che miagolasse troppo forte ho sbattuto per terra la ciotola con il latte scaduto ieri. Maledetta bestia futuribile, vedremo se resisterai anche al latte in via di scadenza! Mi sono sentito un po' in colpa forse. Perchè prendersela con una povera bestia? Ma quando ho preso la ciotola per buttare via il latte e dargliene dell'altro lo aveva già finito. Vuol dire che per oggi ti verrà soltanto il mal di pancia, maledetta bestia. Domani latte nuovo, se te lo meriti, ho pensato. All'inizio pensavo che bastasse dargli un po' di latte perchè rinunciasse, ma non desiste...continua a presentarsi davanti alla mia porta. A questo punto, so che è assolutamente folle, ma sono indotto a pensare che sia il gatto a portarmi il giornale. Maledetta bestia. Uscito di casa sono andato verso il cassonetto per buttare via il nuovo giornale: la carta liscia e le pieghe intatte. Spero soltanto che nessuno mi noti mai mentre lo butto via. Forse dovrei metterli in casa e buttarli via un po' per volta, quando non sono più sospetti... Sì certo, ma questo soiltanto se non riuscissi a farlo smettere. Di natura sono pessimista. Ma stamattina non ho buttato via il giornale: non ce l'ho fatta. Stavo per imbucarlo quando ho visto qualcosa sotto la data del 26 Novembre: TRIESTE, FUGA DI GAS FA CROLLARE UNA PALAZZINA: 8 MORTI. Mi blocco e leggo la notizia con un soprassalto. L'indirizzo non è lontano da dove abito io. C'è descritto tutto: da cosa è stata provocata la fuga di gas e tutto il resto. Ma perchè devo immischiarmi? Chi sono io per farlo? Qualcuno dice che quando si è buoni due volte si diventa fessi. Io mi sento eternamente fesso, ma è più forte di me. Da un telefono pubblico dell'Università telefono al numero verde dell'Acegas. -Pronto, sì signorina. Sento una tremenda puzza di gas. Sì in via Vecellio 16. Potete controllare in quello scantinato, proviene da lì l'odore, mi pare. Un tubo che perde nella parete a nord, dietro le bombole usate...- -Come lo so? Ehm... Controllate.- Riattacco. Certo che mi sento proprio stupido a fare la voce stridula da vecchietta. Spero solo che la signorina mi dia retta. Anche oggi arriverò in laboratorio in ritardo.
  23. La mattina è il momento peggiore per me: proprio non carburo. Potete chiedermi quello che volete, ma prima di aver bevuto un caffè non c'è verso che io possa essere sveglio. Alzato sì, sveglio proprio no. Cosa volete? Non avete mai provato quella sensazione di sollievo quando finalmente portate alle labbra la tazza di caffè bollente e ben zuccherato? Fino ad allora il mondo là fuori può fare quello che vuole, ma qui dentro, nella mia casa è come se il tempo si fosse fermato. Sono io a farlo, almeno fino a quando non alzo gli occhi verso l'orologio ed allora mi accorgo che anche stamattina ho esagerato ed arriverò un'altra volta in ritardo. Einstein ha detto una volta che il tempo è relativo. In realtà è relativo a me, come a chiunque altro... fino a quando non mettiamo il piede fuori dalla soglia di casa. Ed allora bisogna correre perchè si è spaventosamente in ritardo. A volte desidero che tutti siano in ritardo, rispetto a me, così per una volta io sarei in orario almeno. Ma per ora il problema non si pone, in questa specie di lavoro che porto avanti il tempo ha dei ritmi diversi... mi godo questa diversità. Finchè dura. Ho pensato a questo mentre uscivo dal bagno, caricavo la caffettiera di acqua (sì, l'ho messa, devo ricordarmene sempre sennò brucio la guarnizione della caffettiera), accendevo il fuoco, guardavo almeno una decina di volte l'orologio. Adesso il caffè sta venendo su, ma non so cosa sia: se un colpo di sonno od un pensiero di troppo, forse un attimo di indecisione nel spegnere il gas. La caffettiera borbotta in modo sinistro. So cosa mi aspetta, è una di quelle trappole che fanno il caffè corto con la schiuma. Solo che se metti appena un po' di acqua di troppo o lasci acceso il gas un istante di più.... Impreco mentre il caffè inizia a bollire e schizza in un getto allegro al di fuori del beccuccio di quella trappola; tutto sul fornello o quasi. Parte riesco a farlo finire nella tazza, ma spero che lassù da qualche parte non abbiano prestato molta attenzione agli insulti che ho appena pronunciato. Adesso dovrò metterci il latte, visto che già soltanto l'odore del caffè bruciato nella stanza ha cominciato a darmi fastidio. Non ho nemmeno tempo di caricare di nuovo quella stramaledetta Moka e farmene un altro. Brutto risveglio stamattina. Il caffè è veramente schifoso, lo inondo allegramente di latte freddo e butto giù uno schifoso caffelatte gelido. Ecco adesso sono pronto per uscire... spero solo che in laboratorio facciano un caffè, così ne scroccherò allegramente una tazza. Sono in ritardo però. Prendo in fretta lo zaino, controllo di avere le chiavi in tasca e sbatto velocemente la porta d'ingresso dietro di me. Davanti a me c'è un gatto. Non ho un gatto, mai avuto. Ma so che qui a Trieste è pieno di queste maledette bestiacce. E' lì fermo che mi fissa, ma è anche tra i piedi: -Allora mi vuoi lasciar passare?- gli dico infastidito. Come se potesse capirmi, stupida bestia. Ed invece il gatto mi miagola contro. Spero soltanto che di chiunque sia se lo venga a riprendere perchè io certo non lo voglio più vedere tra i piedi. L'animale si sposta con un salto per lasciarmi passare e miagola ancora, come se volesse attirare la mia attenzione. Ma non ha bisogno di farlo. Là sullo zerbino c'è un giornale. So di essere in ritardo, ma lo raccolgo sovrappensiero. Nell'androne non c'è nessuno e quindi lo hanno lasciato lì apposta, proprio davanti alla mia porta. Ma che diavolo? Il gatto non miagola più, ma è come se trattenesse il fiato mentre io distendo il giornale e leggo la prima pagina: casualmente leggo le prime righe sopra il titolo, quelle con la data ed il giorno: mercoledì 24 Novembre 2004. Sì, mercoledì, oggi è martedì... ecco adesso ho capito. Mi hanno scaricato il gatto davanti alla porta di casa ed hanno usato il giornale come lettiera. Quel gatto potrebbe averci pisciato sopra. Con schifo lascio cadere il giornale a terra, il più possibile vicino al gatto di modo che l'animale se ne vada. Ma quello si sposta e mi guarda, sornione. Miagola di nuovo. Ma adesso sono troppo in ritardo. Devo proprio andare. E' quando arrivo alla seconda rampa delle scale che realizzo che c'è qualcosa che non va. Ho appena visto qualcosa che non dovrebbe esistere, perchè la data non è quella della settimana scorsa. Se oggi è il 23 Novembre quel giornale ha la data di domani... So di essere in ritardo, ma ripercorro le rampe di scale a ritroso... se non si tratta di uno scherzo io sicuramente mi trovo ancora a letto a dormire. Riprendo in mano la copia ormai sgualcita e leggo le prime notizie... la cronaca... la politica... dò un'occhiata veloce e febbrile sotto lo sguardo interessato di quel maledetto gatto. No non si tratta di uno scherzo. Ed adesso che faccio? Cucù...il telefilm mi piaceva troppo e così....
  24. Strikeiron

    La nostra storia...

    Invece io ti prego di intervenire, semplicemente scrivendo la parte per un tuo personaggio... se non sbaglio una volta c'era anche un topic per i commenti, ma è stato lasciato cadere, perchè non commentava nessuno al di fuori di quelli che scrivevano... Perenor non aveva più tanto tempo per i giochetti. Quasi non fece attenzione alle parole di Ariaston od al baluginare della fredda lama. Una cosa soltanto gli girava dentro la testa: perchè la donna era tornata. E soprattutto COME era riuscita a fare una cosa del genere. L'avevano già vista altre volte realizzare dei prodigi, ma semplicemente apparire e scomparire in un luogo.... non era cosa da tutti. O la vicinanza con quella dea crudele aveva già avuto i suoi effetti su di Lei, oppure stava rapidamente crescendo. E più fosse cresciuta, più sarebbe stata fragile, malleabile... indifesa. Perenor provò di nuovo rabbia, non soltanto per essere stato usato, ma anche per la sua inutilità. Per i dubbi che non gli avevano fatto comprendere la gravità del pericolo nel quale avevano gettato il loro mondo. Quella dea avrebe distrutto tutto senza pietà. O peggio avrebbe risvegliato qualche orrendo potere. Stava usando Aixela per arrivare a qualcosa di più, forse per usare lei stessa i poteri non ancora ben compresi dalla giovane donna. Perenor continuava a sbattere sui propri ragionamenti senza venire a capo di nulla. Si alzò, sorrise all'elfo ed uscì dal fuoco per isolarsi. Sapeva che gli altri lo stavano guardando, con preoccupazione forse, ma ancora di più con diffidenza. Nonostante tutto era finito il tempo per pensare. Stavolta doveva pregare, prima che fosse tutto troppo tardi. Prima che l'idea che gli era appena venuta in mente lo solleticasse troppo. Era troppo folle... ma era possibile. L'orchetto si avvicinò timoroso nella radura deserta, un essere insignificante che si addentrava nell'aura di tremendo potere e tremendo male del suo nuovo padrone. Lei aveva dato il suo assenso. Ora era suo compito agire e vendicarsi, con ogni mezzo... -Mio Signore, li abbiamo trovati.- sussurrò l'orchetto spaventato. -Dove?- sibilò il Lich, quasi sorridendo di piacere, se avesse avuto le labbra per farlo. -A poche miglia da qui. In un nostro accampamento. Ci hanno attaccati di sorpresa e si sono attestati nelle nostre posizioni. Ma non sanno di essere ormai circondati.- Il Lich sfregò le ossa delle falangi, producendo un sinistro scricchiolio. -Bene, per ora non dovete assolutamente agire.- ordinò il Lich. Tutto procedeva come previsto.. ed il kyton non era troppo lontano da lì.
  25. La partenza lenta di Sometimes You Can't Make It On Your Own, che culmina in quel "Listen to me now" con accompagnamento di chitarrina di The Edge è la conferma più di tutto che gli U2 stanno per uscire con un album discreto. A proposito qdo vi capita andatevi a sentire anche l'attacco di City of Blinding Lights... (lì The Edge parte subito e si sente!!!)
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