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Dragons´ Lair

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Visualizzazione dei contenuti con la reputazione più alta il 28/07/2016 in Voci blog

  1. Introduzione Recentemente mi è capitato, a causa dei miei interessi come sportivo "fai da te", di leggere una quantità innumerevole di commenti su facebook, e di vedere innumerevoli vignette/foto, a riguardo di un problema parecchio grosso per la nostra società. Parlo dell'obesità. I commenti di cui parlo ovviamente erano tutt'altro che lusinghieri, e spesso incentrati sull'analogia tra la persona ritratta, o di cui si discute, e diversi tipi di cetacei. Poi c'è un altro tipo di commenti e vignette/foto che mi è capitato di vedere, ed è del versante opposto: il loro intento è sbugiardare e controbattere il fat-shaming, cioè appunto le prese in giro nei confronti dei "ciccioni". E qui la pagina facebook "Abbatto i muri" è principe della difesa di tali persone. Sinceramente, a me sembrano entrambe posizioni estreme: se da una parte per l'obeso la critica è serrata e senza pietà, dall'altra il lassismo la fa da padrone, come anche alcuni riferimenti decisamente fuori luogo. Vediamo il peggio delle due parti, e cosa impararne noi. Fat-shaming Alcune pagine dedicate al body-building, o altre discipline volte al miglioramento del corpo, spesso si rendono partecipi di alcune scariche di insulti da far rabbrividire. Questo è un caso, ma si potrebbe continuare cercandone altri nella stessa pagina, o in altre. La sostanza non cambia: di solito una persona evidentemente sovrappeso viene presa di mira, senza una reale ragione, per il semplice fatto che è grassa. Sempre la stessa pagina ha pubblicato quest'immagine Adesso, per quanto possa far anche sorridere questa immagine, è un esempio perfetto di fat-shaming: perché prendere in giro quel tizio? Perché è pesantemente sovrappeso? Che ne sappiamo noi se quel tipo sovrappeso ha magari un problema ormonale, o di altra natura, che gli rende estremamente difficile perdere peso, ed estremamente facile metterne su. Aggiungiamoci magari un problema al ginocchio, e già capiamo che questa persona potrebbe non essere grassa di propria volontà. Quindi a che pro prenderla in giro? Giusto per farla sentire in colpa? Ma in colpa di cosa? Social justice warriors uniti contro tutti E poi ci sono loro. Quelli del politicamente corretto ad ogni costo. Quelli che pur di difendere le persone difendono anche l'indifendibile. Queste persone arrivano a fare paragoni di ogni tipo, anche senza alcun nesso logico con il tema in questione, pur di dimostrare il loro amore per tutti. Prendiamo ad esempio questa immagine: Questa donna, per quanto sia evidentemente molto grossa, difficilmente lo è per il solo accumulo di grasso. Tutti i weightlifter sono più o meno come lei, perché il loro obiettivo è alzare il più alto quantitativo di peso possibile, e per farlo devono ingerire una quantità di calorie spaventosa ogni giorno, per poter mantenere la massa muscolare che gli permette di farlo. Per ragioni logiche il loro body fat non potrà essere quello di un body-builder, e di sicuro non quello di un calciatore, o di un ginnasta. Ma sarebbe come paragonare un pesce a un uccello: il loro corpo è stato costruito e modellato per svolgere funzioni completamente differenti. La buona Cheryl non è in forma, se intendiamo per "in forma" lo stato di fitness di un centometrista. Ma per il suo sport è sicuramente perfetta (e il suo palmares le dà ragione). Ora però vorrei far notare una cosa: quante persone sovrappeso e basta riescono a sollevare i pesi che sollevava Cheryl? Lei non era grassa per gusto personale (e non era di sicuro solo grassa, chissà quanti muscoli aveva), ma per esigenze sportive. Avesse scelto un altro sport magari sarebbe stata più magra. I suoi successi nella sua disciplina non dovrebbero servire a giustificare chi è obeso, e invitarlo a rimanere tale "perché tanto ci sono i weightlifter che sono ciccioni come me", il weightlifting è una disciplina sportiva, non una scusa per essere grassi. Una buona via di mezzo no, eh? Ad accompagnare la foto di Cheryl c'è anche un articolo dello stesso blog, in cui, in mezzo a considerazioni condivisibili, sono anche inserite le più grandi scemenze che abbia mai letto a riguardo. Il grasso non fa bene. Punto. Essere obesi è un rischio per la salute. Stop. C'è poco da giocarci su, e i dati europei a riguardo sono preoccupanti, per l'aumento costante di persone obese. Al primo tipo di persone di cui abbiamo parlato, deve entrare in testa semplicemente una cosa: non sempre una persona è obesa per scelta. Prenderla in giro non serve a niente, se non a cercare di ingigantire il proprio ego. Al secondo tipo di persone deve entrare in testa un'altra cosa: solo perché per alcuni l'obesità è una condizione sulla quale possono fare poco o niente, non per questo dobbiamo dare adito a stili di vita insalubri, e che mettono a repentaglio la salute di migliaia di persone. Perché questi paladini dei deboli devono capire che alcune scelte, più di altre, influenzano anche la collettività, e quindi il singolo non può semplicemente sbattersene e dire "emmammè mi piace cussì". Perché quando poi la persona viene ricoverata per problemi al sistema cardiovascolare, a pagare siamo tutti noi contribuenti, non solo lei. Teniamo poi conto che un eccessivo lassismo può portare al fenomeno inverso: e cioè a dare il merito di una certa forma fisica apprezzabile, unicamente alla genetica! Quante volte mi è capitato di leggere commenti simili a questo: "Eh ci credo che è così, tutto merito del metabolismo!". Ignorando il fatto che il metabolismo, come tante cose del nostro corpo, non è scritto sulla pietra, si può influenzare, e anche aumentare con un una dieta e un esercizio mirato. Insomma, per evitare il fat-shaming non incominceremo mica lo slim-shaming? Direi che è il caso di ritrovare il buon senso, caratteristica rara ad oggi, e promovere se non degli stili di vita da atleti, che obiettivamente non sono perseguibili da molti, e per le più disparate ragioni, almeno degli stili di vita sani. A partire dalle scuole, l'educazione alimentare dovrebbe essere uno strumento per incominciare tale promozione. Non si tratta solo di far mangiare i broccoli ai bambini, ma anche di preparare le pietanze in modo appetibile. A volte vedi delle sbobbe arrivare a 'sti poveri cristi, che manco in galera. Magari, la butto lì eh, potremmo anche incominciare a pretendere che i nostri bimbi/ragazzi possano mangiare in modo sano e invitante. Si potrebbe anche incominciare a variegare l'educazione fisica, per somatotipi, invece che proporre lo stesso identico programma per tutti: ogni persona ha una differente genetica (e questo è vero), che lo predispone ad alcuni sport piuttosto che altri. Non ha alcun senso proporre la stessa attività a tutti i bambini/ragazzi, si potrebbe diversificare la proposta, magari con progetti interclasse, per facilitare il compito agli insegnanti (e avere un numero più consistente per i diversi gruppi che si andrebbero a formare). Insomma, possiamo inventarci un sacco di cose per incamminarci su una strada più virtuosa, io ho fatto solo due esempi. Esempi concreti e realizzabili però, perché di parole a riguardo ne sono già state dette un sacco, e sinceramente ci credo poco. Educazione ad un'alimentazione variegata, educazione sportiva il più possibile personalizzata, e rispetto per l'altro (senza scadere nel lassismo). Sembra un programma irrealizzabile, eppure, a parer mio, è ciò a cui dobbiamo tendere.
  2. Un argomento cui mi imbatto spesso, anche grazie a persone con cui mi sento per vie "private" e chiedono: "quale edizione"? Spesso si parte da un'idea concreta di gioco, spesso da necessità specifiche, spesso "banalmente" dal gusto, ma non sempre si riesce a compiere la scelta più saggia. Da "musicista chitarraio" vi garantisco che il rischio di prendere quello che si "vuole" e scambiarlo con ciò di cui "si ha bisogno" è un rischio effettivo in ogni forma espressiva e ludica. Oggi cerco di aiutare voi dubbiosi e, magari, chi ha bisogno di schiarirsi le idee. Premetto che questo piccolo esercizio mentale lo applico anche ad altri elementi del GdR e aiuta parecchio: un pò come dire "creo un pg guerriero" e "creo un pg" che poi scopro essere un guerriero. Vorrei aiutarvi a uscire dagli schemi e descrivervi quelli che secondo me sono gli habitat naturali delle varie edizioni, con loro Pro e Contro. Advanced D&D Sebbene si tratti di due edizioni separate (1st / 2nd) con le loro revisioni interne, si tratta di fatto di un sistema coerente che, con la seconda incarnazione, vede una stesura più organica e l'integrazione di un buon numero di opzioni. Un'osservazione va comunque effettuata: la prima edizione, scritta dal buon Gary, ha un taglio decisamente più "oscuro". Il feel è quello di un gioco di avventure tetro, intransigente, mortifero. C'è un forte accento sul dungeon crawling, ma i personaggi venivano comunque definiti dalla loro storia. Il potere del master è nel suo stadio più rozzo ed elevato, lasciando che molte regole (spesso inutilmente complesse) vengano interpretate e modellate di volta in volta. La Seconda Edizione lascia meno elementi al caso, anche se permane la sensazione di instabilità. Al tempo stesso, la sua imperfezione è talmente affascinante che resta un punto saldo al giorno d'oggi e lo resterà molto a lungo, con la furbata di rendere più comprensibili alcune meccaniche e aggiungere tante regole modulari, rispettando il profilo della Bounded Accuracy, ovvero un principio per il quale le minacce restano effettive nell'arco della crescita del pg. La moltitudine di meccaniche matematiche (alcuni valori richiedono un tiro alto, altri un tiro basso) possono confondere, ma fungono in parte da deterrente per la "sfortuna", in parte aiutano a fare meno previsioni, da un'ulteriore prospettiva da a ogni parte del sistema un andamento che impedisce il potere esponenziale e garantisce anche elementi evocativi (vedi la Classe Armatura che va in negativo, dando fortemente l'idea del guerriero lattina o del mago mezzo nudo). L'ultima fase dell'Advanced è altamente controversa, a metà strada tra i manuali della serie "Complete" (in cui si legittimano i Kit, simili ai Background della 5e, strumenti che servono a definire ulteriormente un personaggio fornendogli delle linee guida di creazione) e molte regole opzionali, assieme al tema relativo (per esempio, nel "completo ladro" trovi tutte le indicazioni per creare una gilda dei ladri evocativa)... Dall'altra parte ci sono i "Player's Option", manuali del tutto opzionali che espandono il sistema in modi ambigui, fornendo una serie infinita di scelte (la creazione proposta in Skills & Powers secondo cui si acquisiscono i privilegi di classe spendendo punti, potendo modellare di fatto un mago "alla Gandalf" o un "Druido con pochi incantesimi e la fisicità di un barbaro" resta forse il migliore mai visto per profondità). Questa fase post revisione è un pò il "beta testing" di ciò che D&D sarà negli anni 2000. Non piace a tutti: complica di molto un gioco improntato più sull'interpretazione e su dei paradigmi rigidi che però fungono da strumenti narrativi. Le classi, per dirne una, sono viste più come professioni, percorsi lavorativi e passionali in un contesto post-medievale in cui non si aveva tempo di fare molte cose contemporaneamente, vista anche l'aspettativa limitata di vita. L'apparente limitazione di un ladro che può fare cose che un guerriero realisticamente non farà mai serve a sottolineare come la dedizione richiesta per portare a termine una carriera vittoriosa sia estrema e spesso difficile da mantenere costante. In ultimo, le ambientazioni in AD&D sono le più evocative in assoluto: i manuali sono disordinati e scritti più come tomi antichi che come compendi per un giocatore, ma l'anima dei mondi è li e non avrai bisogno di altro che delle piccole descrizioni fornite per entrare in quegli universi e sentirli vivere attorno a te. Quel che puoi trovare senz'altro in AD&D è un mood medievale o rinascimentale esemplari, la capacità di unire (specie nella seconda edizione) la flessibilità del gioco più "moderno" con i paradigmi proibitivi del gioco anni '80, in cui le scelte contano, il sistema è imprevedibile (funzione importante per evitare l'eccessiva system mastery) e ai giocatori viene richiesto l'utilizzo effettivo delle cellule grigie, con pochissimi pf, risorse limitate e la necessità di approcciarsi al mondo di gioco in maniera più oculata. AD&D fa per te se... A. cerchi un gioco che possa, gradualmente, fornirti un certo grado di credibilità storica; B. cerchi un sistema flessibile incentrato sull'autorità e l'affidabilità del master; C. un sistema in cui le classi danno l'idea di "professioni" cui dedichi un'intera vita per eccellere; D. un sistema fantasy eroico che tenga d'occhio il realismo senza eccedere in complicazioni; E. un sistema modulare con tante opzioni (dell'ultima era) per replicare la profondità dei giochi moderni. F. se vuoi conoscere il D&D per come è nato, lasciando che poi il tuo gusto ti spinga a restare o a spostarti altrove. Come contro, posso dirti che si tratta di un gioco complesso e senz'altro poco intuitivo, specie se hai già provato sistemi moderni. D&D 3.x Pochi elementi di discussione hanno generato scontri come la famigerata terza edizione di D&D. La WoTC fece un salto qualitativo secondo me anche coraggioso e lungimirante, individuando il trend commerciale legato ai mercati affini (miniature, boardgame, videogiochi) e garantendo ai giocatori un'esperienza organica che replicasse, mantenendo il contatto con l'animo ruolistico, quel tipo di intrattenimento. La terza edizione di D&D riesce in tutto questo, coi suoi pregi e difetti. Il sistema proposto è molto articolato: la modularità è presente, ma è fallace. La tentazione di usare "tutto" è fortissima, ma si scopre presto come (similarmente alla sopracitata ultima era della seconda edizione) farlo significa andare incontro a sbilanciamenti effettivi e scelte poco sensate. Il lavoro del master è inferiore sul piano dell'arbitraggio, visto che le regole sono più precise e delineate, con l'aiuto delle miniature che diventano quasi obbligatorie (arricchendo di fatto i momenti morti del combattimento "theater of the mind" nel gusto di molti giocatori e devo dire che aiuta a tenere l'attenzione alta su cosa accade in molte situazioni). Di contro, il DM si ritrova con un pò di lavoro extra di "approcio", visto che è meglio studiarsi in anticipo le regole che prevede entreranno in funzione durante le sessioni, visto che in 3.x è probabilissimo perdersi nei meandri del manuale senza trovare una meta (colpa secondo me più dell'editing e della scelta espositiva, che del sistema in sé). 3.x presenta anche una serie immonda di vantaggi: creare personaggi è stimolante, "giocarli" sulla griglia rende il combattimento molto più tattico e oculato, le combinazioni di sistema sono talmente tante che coi soli manuali base e (forse) un singolo compendio (come Arcani Rivelati, in cui si introducono innumerevoli varianti di gioco) non vi basterà una sola vita per esplorarne la metà. Se per molti questo può essere un difetto, posso garantirvi che perdervi tra i manuali in cerca della combo può diventare un gioco nel gioco. Vengono introdotte idee come "Classi di Prestigio", percorsi iperspecializzati che si possono ottenere dopo diversi livelli nelle classi base e dopo aver raggiunto determinati obbiettivi. I "multiclasse" vengono definiti in modo più concreto rispetto al passato, forse più giocabile... L'eccesso di opzioni porta però certe scelte a essere inspiegabilmente più significative di altre, anche mono classe, cosa che va contro l'idea del "tutto è peggio" che dovrebbe dominare il buon design. L'ingresso dei "talenti", abilità speciali dei pg a sfondo caratterizzante e al tempo stesso di "ottimizzazione", rende lo sviluppo del personaggio estremamente personalizzabile e ogni singolo pg molto diverso dagli altri del suo stesso genere. Le classi non sono più da interpretarsi come "professioni" vincolanti (nel bene e nel male), ma come frammenti della vita di un avventuriero. La 3.x è anche l'edizione in cui alcune ambientazioni storiche si sono confermate e nasce quella che secondo me è la quintessenza (sistemica, ludica e narrativa) di un sistema come 3.x: Eberron. I manuali di ambientazione di terza edizione ricalcano l'impostazione dei manuali base: tantissime informazioni, regole pre-confezionate e una miriade di dettagli sui luoghi e personaggi. Vantaggio o svantaggio, sta a voi dirlo. Non sono i manuali evocativi e "polverosi" di AD&D, ma sicuramente aiutano molto di più ad ambientarsi nei mondi e a comprendere certi elementi, che vengono sempre assecondati dalle meccaniche, aiutando non poco a creare personaggi prima difficili da concepire. Definisco Eberron la quintessenza dell'edizione perché unisce pregi e difetti e rende tutto estremamente gradevole: azione eroica, profondità delle meccaniche narrative, collisione (creativa) tra fantasy classico barocco e steampunk, classi di prestigio stupende. Forse, a livello di meraviglia, le Dragonlance sono subito dopo: ottimamente descritte e delineate, giocare Dragonlance in 3.x ha definito buona parte del mio immaginario post-adolescenziale e lo consiglio a tutti. La 3.x fornisce un profilo action controbilanciato da una miriade di fuffa interessante, sebbene anche li la voglia di codificare tutto in regole rovina un pò l'incanto. Il divertimento di gruppo è preservato dall'avanzamento congiunto di tutte le classi, un pregio se non altro "interno", visto che nella sua logica, non poteva essere altrimenti. D&D 3.x fa per te se... A. vuoi un sistema complesso e più uniforme; B. la tattica in battaglia è una prerogativa; C. ti piacciono manuali di ambientazione estremamente dettagliati; D. ti piace il fantasy di stampo marcatamente eroico; E. ti piacciono opzioni extra di personalizzazione, multiclasse, classi di prestigio e talenti (nessun'altra edizione riesce in questo forse). Come contro ti segnalo l'eccessiva (e inutile) difficoltà di alcune parti di regolamento (troverai presto house rule pratiche) e la pericolosa tendenza a venire distratti dai numeri rispetto al "cuore" del personaggio. D&D 4th Edition Se ricevessi un euro per ogni insulto che ho sentito sulla quarta edizione sarei miliardario. Eleganti o meno, gli insulti non sono mai sensati. La quarta edizione ha fatto tanto di giusto e tanto di sbagliato e spesso i due elementi si mescolano. La WoTC altro non fece che ripetersi: adeguarsi ai tempi. Solo che, stavolta, lo fece esagerando. Calzò fortemente la mano sull'immaginario videoludico, bilanciando alla perfezione ogni classe, proponendo un sistema facile da personalizzare in termini di house rules e fuffa, ma di fatto estremamente blindato. La complessità di un personaggio sta nella selezione di "Poteri" che rappresentano ciò che il personaggio sa fare: per la prima volta si distingue nitidamente la "fonte" di potere delle classi (marziale per guerrieri per esempio, come Primeva per Barbari e Druidi), caratterizzando queste capacità speciali in base al tema. Il punto è che se da un lato il progetto è riuscito alla perfezione (replicare le dinamiche dei videogames lasciandole interessanti sul tavolo da gioco), la quarta ha fallito miseramente nel trasmettere le buone intenzioni di base: leggere le descrizioni dei poteri consente di capire ciò che non traspare affatto da quel che fanno. Sapere che "le tue lame diventano fulmini che strozzano il bersaglio" fa capire che sei una specie di Warlock, cosa meno evidente da "2d6 danni e il personaggio è stunned". Al tempo stesso, questo lavoro immenso di bilanciamento impartisce un grande insegnamento di stile: impara a definire i "ruoli" non in base alle classi di per se, ma in base alla loro utilità. Non c'è più la necessità di avere un "chierico", ma senz'altro quella di avere un "leader". S Si rende meno esclusivo l'accesso alle cure, finalmente valorizzando l'idea che i punti ferita non sono necessariamente punti "vita", ma anche altro (cosa sempre scritta nei manuali, ma spesso ignorata dai detrattori): un Condottiero può "incoraggiare" i suoi compagni e far recuperare loro alcuni HP... "Avanziamo!" grida il Condottiero e il suo potere regala un'azione di movimento a un suo compagno mentre il più ferito si cura... E' evidente sul piano narrativo cosa sta accadendo, ma il distacco dal "ruolo" spesso è inevitabile: e se non volessi seguire il suo consiglio? Se mi stesse profondamente antipatico e il suo incoraggiamento, di fatto, non mi provocasse alcuna cura? Certo, potremmo continuare all'infinito... Potrei, in 3.x chiedere, perché un Dio cura un personaggio malvagio? In base a cosa, in prima edizione, un guerriero non riesce a muoversi silenziosamete? Il punto è che la narrativa fantasy d20 richiede dei compromessi e dei fatti dati per assodati: si da per scontato che, in certe situazioni, alcune meccaniche entrino in gioco. Si bypassa quel che c'è nel mezzo in favore della fluidità tattica... Il problema in quarta è che questo spesso distacca troppo dal tavolo e la tensione narrativa decada. In quarta edizione la velocità si esprime in quadretti, gli effetti si definiscono in turni, danni continuati, hp temporanei etc. Tutto è codificato sulla plancia. Di contro, posso dire che è un sistema molto versatile sui temi e aiuta a creare personaggi high fantasy irripetibili: il Vendicatore che perseguita le sue vittime, lo Psicombattente che altera la mente dei nemici, il Warlock che maledice i nemici e li confina in dimensioni parallele... Tutto deliziosamente over the top, perfettamente codificato e confezionto. La scelta dei poteri è ampissima per ogni livello cui si acquisiscono e il giusto bilanciamento tra poteri a volontà, giornalieri e a incontro di combattimento o meno è di fatto il tratto distintivo del pg. A molti non piace vedere i personaggi definiti attraverso i poteri, ma può piacere ad altri che crescono con un immaginario fantasy tarato sull'azione eroica e sopra le righe. Quarta edizione non è "sbagliata", è diversa. E' un gioco di ruolo con fortissimo accento sulla tattica. Gran parte della campagna la passerete a risolvere enigmi e superare difficoltà in rovine, castelli infestati e aree selvagge e labirintiche dense di mostri. Il vostro ruolo è quello di eroi che risolvono problemi, "epici ghostbusters", signori/e che si disinteressano alla vita mondana, si caricano di prestigio e oggetti incantati per porre fine all'esistenza dei nemici. Non è un modo "sbagliato" di giocare: la mia migliore campagna l'ho avuta in quarta ed è stato leggendario. Ma di sicuro non è un gioco in cui puoi passare sessioni intere a guardarti la scheda senza sapere cosa farci... Devi usare i tuoi poteri, attingere agli straordinari doni della tua "fonte" e distinguerti, perché il mondo ha bisogno di gente che si sporchi le mani. Tutto è semplificato, il percorso dei pg è indirizzato verso tre step: classe, cammino leggendario e destino epico. Nell'arco di 30 livelli acquisirai un gran numero di poteri e oggetti magici che, assieme ai privilegi unici di ogni percorso che sceglierai, definiranno in cosa ti distingui dagli altri eroi del tuo gruppo. Le sfide sono esponenziali, i numeri crescono a dismisura e il bookeeping è alle stelle, lasciando che il master si occupi di creare (cosa necessaria altrimenti le vostre partite saranno un disastro) incontri interessanti densi di trappole, indovinelli, enigmi strutturali e nemici astuti e ben assortiti. D&D 4th edition fa per te se: A. cerchi un fantasy eroico sopra le righe; B. la tattica degli scontri è un elemento fondamentale (griglia obbligatoria); C. al DM piace un gioco con alta componente tattica e raffinati tempi di preparazione; D. ti piace l'high fantasy, avere tanti oggetti meravigliosi e benedizioni divine; E. ti piace l'idea che il tuo personaggio cambi il mondo; F. ti piace avere tantissimi poteri tra cui scegliere e adori i videogiochi di ruolo di stampo moderno. Come contro, segnalo l'eccessiva linearità delle classi in alcuni aspetti e il focus sulla plancia, che può infastidire. D&D Quinta Edizione Meglio tardi che mai, direbbe qualcuno. Dopo vari tentativi, esperimenti e un playtest onesto intellettualmente, WoTC comprende le necessità globali e investe le sue energie in un sistema nuovo che riporti in auge sensazioni antiche. La quinta incarnazione di D&D si presenta come un sistema semplificato rispetto alle ultime due edizioni, con un ritorno alla bounded accuracy (controllo dei livelli di potere, schiacciando la differenza tra livelli bassi e livelli alti), al potere positivo del master (che aggiudica variabili a seconda della scena), alla descrizione del gioco "gridless" e un occhio alla profondità del character building, senza eccessi. Le classi sono variegate e definite in base alle "sottoclassi", percorsi che definiscono (similarmente alle classi di prestigio della 3.x) il profilo narrativo e pratico di un personaggio: due ladri possono prendere percorsi diversi, col primo che diventa uno spietato assassino e il secondo un Arcane Trickster che unisce abilità ladresche a magia illusoria. Allo stesso modo, un Guerriero battle master è uno spietato stratega, mentre il Champion investe tutto nella potenza offensiva e nella resistenza in battaglia. Assieme a questa scelta, vengono introdotti i background (versione evoluta dei kit) che garantiscono forse l'elemento caratterizzante più forte, visto che definisce il vero "animo" del pg e, pur conferendo poco sul piano tecnico (qualche competenza nelle abilità e oggetti particolari e una capacità narrativa tematica) garantiscono la sensazione di avere un pg vivo tra le mani. Molto di quello che farete sarà definito dalla vostra competenza, un bonus crescente che si somma alle prove in cui siete specificatamente competenti (se sei competente in Acrobazia, aggiungi il bonus di competenza alla prova di Destrezza richiesta, altrimenti aggiungi solo destrezza. Plain and simple). Per tutto il resto, ci sono Vantaggio e Svantaggio: una meccanica semplice, a tratti forse banalotta, che però riesce in qualche modo a conferire al gioco un elemento fortemente narrativo, consentendo ai pg di accaparrarsi il primo o ad attribuire il secondo non solo attraverso le proprie capacità, ma anche attraverso le situazioni di gioco. Il difetto, forse, è che se si prende la cosa alla leggera, molte situazioni saranno una gara a prendere "Vantaggio" su una prova, lasciando che lentamente le descrizioni scivolino via in favore della meccanica... Sì, è uno dei rischi della banalizzazione sistemica. Ma, d'altro canto, non si può avere tutto e la scelta appare perfettamente in linea coi criteri di design dell'edizione. Gli oggetti magici sono praticamente opzionali e non necessari: ciò ne preserva il fascino (parzialmente svanito nelle due edizioni precedenti, dove la presenza di oggetti straordinari era insita nella crescita prevista per un pg rispetto alle minacce). Qui un goblin può essere pericoloso anche molti livelli dopo, così come un personaggio può far fronte a nemici sulla carta "troppo potenti" (pregio della BA). Per molti, questo schiacciamento fa venir meno la sensazione di "heroic fantasy", che comunque rimane la base del d&d e comprendo la critica: l'idea che un personaggio che si è fatto sedici livelli a prgressione lenta possa essere steccato da un mucchietto di coboldi può infastidire (cosa di fatto assai improbabile, ma non si sa mai con la BA)... L'esempio è estremo, ma fa comprendere lo scoramento. D'altro canto, D&D aveva smarrito la sensazione di pericolo costante e questo strumento di design fornisce a un gioco comunque moderno ed eroico quel qualcosa di "retro" che gli restituisce quell'animo da troppo tempo perduto nei meandri delle opzioni borderline. Il gioco presenta regole molto poco realistiche (recuperare tutti gli HP a ogni riposo esteso) ed elementi ereditati dalla quarta (come la possibilità di "curarsi" da soli in certi momenti); di contro, sono necessità di semplificare e consentire ai pg di affrontare grandi avventure unendo gestione delle risorse di gruppo senza eccedere nella severità. La quinta è perfettamente giocabile coi tre manuali base (anche perché, di fatto, gli altri manuali conosciuti sono avventure e opzioni trascurabili) e la WoTC supporta il gioco ottimamente con articoli online (che vanno considerati nel pacchetto). Per cui, la linea editoriale è quella del "pochi core books e tante avventure". Parallelamente, esistono varie risorse come la DM's Guild, da cui scaricare moduli extra e progetti cross-realm con Magic (gioco di carte) e Neverwinter (MMOrpg). In questo caso, dunque, la WoTC riesce a stare al passo coi tempi, riportando però il gioco di ruolo al centro, con una grande enfasi sulla narrativa, su regole semplici anche per i neofiti, senza tradire la fiducia degli ottimizzatori e dei giocatori più esigenti, che possono comunque divertirsi a costruire personaggi entusiasmanti, ben fatti ed evoluti sul piano ludico. D&D Quinta Edizione fa per te se... A. cerchi un sistema narrativo forte corredato da molte opzioni di gioco; B. ti piace l'idea di un sistema base solido circondato da tante storyline da cui trarre ispirazione; C. gradisci un sistema versatile come DM che possa essere adattato a diversi piani narrativi; D. vuoi stare al passo con l'immaginario fantasy preservando il gusto di un dungeon evocativo. Come contro posso dire che ai più esigenti le semplificazioni appariranno come banalizzazioni e la totale opposizione nei confronti di build troppo "ottimizzate" può far storcere il naso a chi gradisce affiancare al buon gioco narrativo anche una dose solida e tangibile di potere individuale. Spero di averti aiutato a capire qualcosa in più sulle varie edizioni di D&D e di averti aiutato, a modo mio, a compiere la scelta più saggia per te e per il tuo gruppo. Ricorda sempre che il tuo punto di vista potrebbe non essere quello del resto del tavolo, specie se intendi essere un DM. Il gioco deve soddisfare te, ma anche gli altri. Esistono dunque soluzioni di mezzo: per esempio, se a te piace l'oscurità medievale di AD&D e a loro il controllo sul pg di 3.x, potresti proporre la quinta. Di contro, se a te piace la 3.x e a loro opzioni meno complesse stile quinta, ma con un occhio alla tattica, potresti proporre la Quarta edizione. Insomma, non esiste una scelta sbagliata e non lasciarti travolgere dalle "edition war": qui ti ho presentato le edizioni in modo superficiale secondo la mia esperienza. Come vedremo, esistono anche soluzioni alternative (parlerò presto di 13th Age), ma questo post dovrebbe essere sufficiente a indicarti la retta via. In caso di dubbi, as usual, posta una risposta e replicherò appena possibile!!! Roll Initiative! DB
  3. Prima o poi doveva capitare: ispirato dai meravigliosi blog degli altri utenti, ho deciso di fare un tentativo e aprirne uno anch’io. Purtroppo non avrò il tempo di tenerlo aggiornato quanto vorrei, e me ne scuso in anticipo. Nei pochi articoli che riuscirò a pubblicare non tratterò un singolo argomento, ma spazierò a sentimento, rimanendo ovviamente sempre in ambito GDR (e in particolare mi riferirò a D&D, in specie nella sua terza e quinta incarnazione). Ma bando agli indugi: vi lascio con qualche avvertenza preliminare e un brevissimo (e spero simpatico) articolo sulla storia dei nostri amici dadi. AVVERTENZE BREVE STORIA DEI DADI Il nome di Dungeons and Dragons è sempre stato indissolubilmente legato al suo caratteristico set di dadi dalla forma bizzarra e alla (altrettanto bizzarra) passione dei suoi giocatori per questi semplici pezzi di plastica. Ma come si è arrivati ad avere branchi di giocatori che affollano le ludoteche solo per acquistare un nuovo d20 che si illumina al buio? “Il dado è tratto, e speriamo in un 20” - Anche gli antichi giocavano ai dadi Contrariamente a quanto si potrebbe pensare i dadi poliedrici non vennero introdotti in concomitanza con i moderni giochi di ruolo, ma nacquero molto tempo prima. Oltre ai ben più antichi e canonici dadi a sei facce, basta infatti pensare che il primo d20 della storia è di origine egizia, e risale addirittura al periodo Tolemaico, all’incirca attorno al 300 a.C. [oggi custodito al Metropolitan Museum of Art]. Anche altri protagonisti del set da 7 dadi hanno fatto ben presto la loro comparsa: il d12 risale sempre al periodo tolemaico (questi egizi dovevano essere dei gamisti mica male), il d4 è addirittura antecedente (3000 a.C !!!), mentre il d6 viene datato attorno al 2000 a.C. Molto più recenti, invece, il d8 e il d10: il primo vede la sua diffusione grazie al poker, sulla fine dell’Ottocento, mentre il secondo si è imposto solo nel Novecento, con grande fatica e proprio grazie ai gdr moderni. L’utilizzo dei primi dadi non è del tutto chiaro, ma è probabile venissero utilizzati già in ambito ludico, come dimostrano il Gioco Reale di Ur (il board game più antico al mondo?) e Senet, un gioco da tavolo di origine egizia (sempre loro!). Con il corso del tempo, l’uso dei dadi poliedrici ha poi invaso anche l’ambito didattico, diventando un mezzo per l’insegnamento di matematica e geometria. Perché 1d10+1d6 = 1d20? - L’avvento di D&D Un periodo tolemaico tira l’altro, e ben presto si arriva agli anni Settanta e alla prima edizione di Dungeons and Dragons. Narra la leggenda che il game designer Dave Wesley trovò un set di dadi poliedrici in un catalogo di strumenti educativi e li mostrò a Gary Gygax. Fino a quel momento, nei primissimi play-test, il proto-d&d utilizzava solo dadi a 6 facce, ma a Gygax piacquero così tanto quei buffi dadi poliedrici che pensò di utilizzarli per il suo nuovo gioco di ruolo. Nel 1974 la TSR iniziò quindi a vendere i primissimi set, simili a quelli che usiamo oggi giorno se non per una grande differenza: l’assenza del d10. Il solido a 10 facce, non essendo un solido platonico, non era ben visto ed era stato presto accantonato con l’accusa di non essere equiprobabile. Per sostituirlo veniva dunque utilizzato il d20, che era stato opportunamente numerato da 0 a 9 per due volte (le facce erano quindi uguali a due a due). Il dado poteva così essere utilizzato facilmente per generare i numeri da 1 a 10 (lo zero contava come 10). Quando invece bisognava usarlo come d20 vero a proprio, il dado andava tirato assieme a un “dado di controllo”, che stabiliva il valore delle decine. Solitamente veniva utilizzato 1d6: se mostrava un numero da 4 a 6 si aggiungeva 10 al risultato del d20, altrimenti si sommava zero. Un metodo certamente un poco macchinoso. Ad aumentare la confusione interveniva la strana notazione con cui si indicavano i dadi da tirare: contrariamente a quanto accade oggi non veniva fornito il numero e il tipo di dado la lanciare, ma solo il range di valori in cui ricadeva il risultato. Per esempio, non si indicava 2d6, ma 2-12. Questa scrittura, prelevata di peso dai wargame, non era molto immediata: pensate di trovarvi nella situazione di dover stabilire cos’è un 8-23, o un 3-16. Nonostante ciò, piacque a molti giocatori, che la consideravano un “gioco nel gioco” e si sfidavano a vicenda a indovinare i giusti dadi da lanciare. La moderna notazione apparve comunque in quegli anni, e già l’edizione Blue Box del 1977 la descriveva in uno degli ultimi paragrafi: "In some places the reader will note an abbreviated notation for the type of die has been used. The first number is the number of dice used, the letter "d" appears, and the last number is the type of dice used. Thus, "2d4" would mean that two 4-sided dice would be thrown (or one 4-sided die would be thrown twice); "3d12" would indicate that three 12-sided dice are used, and so on." Particolare divertente era che questa notazione non veniva usata da nessuna parte all’interno del manuale! Negli anni seguenti i set di dadi e la corrispettiva notazione si allinearono con quelle oggi conosciute: la vecchia scrittura da wargame venne abbandonata con la Seconda Edizione, in quanto macchinosa e non univoca: pensate per esempio all’intervallo 3-12, che può indicare sia 3d4 che 1d10+2. Il d10 fa invece la sua comparsa alla GenCon del 1980, dove venne salutato come un’incredibile innovazione dell’era moderna, benché si trovasse in vendita in realtà già da svariati anni (anche se quasi mai per scopi prettamente ludici, quanto piuttosto educativi). Cessate le ragioni del doppio scopo del d20, anche il nostro caro icosaedro venne modificato adottando finalmente la normale numerazione da 1 a 20. Il classico set da sette dadi era quindi finalmente completo come lo conosciamo oggi. Curiosità Secondo alcuni voci Gygax avrebbe voluto utilizzare solo il d20 e il d6 nella sua prima versione di d&d, ma la piccola azienda da cui si rifornivano di dadi aveva a disposizione solo set già impacchettati contenenti anche d4, d8 e d12. Per questo motivo si decise a introdurre anch’essi nelle regole. Il signor Lou Zocchi ha ideato il primo dado a cento facce. Non pago di questa bravata, l’ha persino brevettato sotto il favoloso nome di Zocchihedron. Il dado a dieci facce fu brevettato solo nel 1908. La faccia a dieci dadi è tuttora senza brevetto Avete impiegato 2d10 minuti a leggere questo articolo. Spero che l’articolo vi sia piaciuto. Mi sembra giusto sottolineare che io non c’ero né durante il periodo tolemaico né all’uscita della prima edizione di d&d, e che tutte queste informazioni sono quindi di terza mano. Segnalatemi eventuali errori o imprecisioni. Letture consigliate: http://archive.wizards.com/default.asp?x=dnd/alumni/20070302a http://www.awesomedice.com/blog/253/history-of-dice-2/
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