Meccaniche vs fiction, parte 1
(Questo post è tratto dal mio blog su wordpress 1 Hit Point Left. Ho aperto il blog su wordpress in modo da poter essere libero di parlare di argomenti diversi dai giochi di ruolo, ma riposterò quello che scrivo sui giochi di ruolo anche qui.)
Ci sono pochi dubbi che D&D 3.x e Pathfinder abbiano lasciato la loro impronta su una generazione di giocatori, che è cresciuta imparando a dare per scontate le caratteristiche di questi due sistemi. In altre parole, ci sono giocatori il cui modo di giocare e di concepire il gioco di ruolo riflette l’impostazione del sistema, comprese le sue idiosincrasie.
Una di questi aspetti che trovo estremamente interessante è la separazione tra regole e fiction. Questo è un termine che riprendo da Dungeon World perché mi fa comodo. Cos’è la fiction? In pratica, è tutto quello che succede nella finzione del gioco, nel mondo immaginario che è creato in comune da tutti i giocatori. Quando il ladro cerca di scassinare una serratura, quello che succede a livello meccanico è che il giocatore risolve l’azione con le regole appropriate per il sistema (es. tirando un dado per fare una prova di Lockpicking). Nella fiction però il ladro non tira un dado – nella fiction non esistono regole, dadi, prove di abilità e così via. Nella fiction il ladro si accuccia, tira fuori alcuni bizzarri strumenti da una tasca nascosta nella sua cintura, ed inizia ad armeggiare sulla serratura per qualche minuto.
Ora, una caratteristica che vedo in molti giocatori provenienti dal d20 system o qualche sua variante è una spropositata attenzione all’aspetto meccanico, a discapito della fiction, che viene considerata come qualcosa di effimero, intangibile – e in ultimo irrilevante. (E non c’è niente di intrinsecamente sbagliato in questo – mi soffermo su questo fenomeno unicamente perché lo trovo interessante). A cosa mi riferisco?
Esempio 1: Stai giocando a D&D 3.5. Il tuo personaggio vorrebbe cercare di colpire con un unico fendente due nemici adiacenti. Il DM ti informa che non puoi “perché non hai il talento”.
Esempio 2: Stai giocando a D&D 3.5. Il tuo personaggio, sfruttando una sua capacità in modo non convenzionale, aggredisce un nemico in modo tale che l’attacco, logicamente, dovrebbe provocare una qualche conseguenza oltre al danno (es. lo azzoppi, lo accechi, etc.). Il DM ti dice che questo non è possibile perché la regola non lo prevede.
Questi esempi sono forse un po’ estremi. Cioè, sono esemplificativi di un giocatore di D&D teorico, che in realtà probabilmente non esiste. Un DM ragionevole, nell’esempio 2, potrebbe concederti l’uso non convenzionale della capacità/potere/quello che è. Penso comunque che servano a illustrare il tipo di ragionamenti che chi ha giocato con questi sistemi ha probabilmente ben presenti.
Ad ogni modo – questi esempi hanno una cosa in comune. In entrambi i casi, ciò che è successo (o che poteva succedere) nella finzione del gioco è stato ignorato in favore di una aderenza stretta alle meccaniche del gioco. Quello che voglio sottolineare è l’idea che tutto ciò che accade in gioco debba essere rappresentato (o rappresentabile) meccanicamente. Questa logica è probabilmente incoraggiata anche dalla presenza di un sistema molto dettagliato, con una regola per ogni caso particolare. La conseguenza di questo ragionamento è che se qualcosa nella fiction non è rappresentato (o non è rappresentabile) meccanicamente, non sta davvero succedendo. Se, per esempio, accechi un nemico, questa nuova situazione deve necessariamente avere una ricaduta meccanica, altrimenti non sta “davvero” succedendo.
Un altro problema è dato dal fatto che seguire il regolamento strettamente può portare i giocatori ad accettare come vere nella fiction cose che altrimenti non avrebbero accettato. Se un giocatore, sfruttando un qualche cavillo delle regole, crea una “build” (sic!) che riesce a fare cose fisicamente impossibili o comunque poco credibili (es. un personaggio che fa 1,067,212 attacchi in un’azione di round completo – e sì, ovviamente questa build è un esperimento concettuale estremo), siamo più propensi ad accettare come vere le imprese del personaggio perché sono legali. Le regole lo permettono. Naturalmente questi sono esempi di min/maxing estremo – non sono indicative di nessun giocatore di D&D reale. Tuttavia, mi è successo di vedere giocatori che pretendevano che le regole fossero applicate alla lettera anche quando questo portava a risultati palesemente assurdi. Penso che anche questi ragionamenti siano familiari alla maggior parte dei giocatori di questi sistemi.
In altre parole, alcuni giocatori sembrano avere la tendenza a far sì che la fiction si conformi alle regole, e non il contrario. Trovo questa impostazione estremamente interessante perché denota una concezione del gioco di ruolo molto particolare. Cioè: le regole non sono più un qualcosa che esiste con il fine di arbitrare o comunque dare una struttura alla fiction – le regole diventano un qualcosa che esiste a prescindere dalla fiction. La fiction è fluffa, colore. Le regole sono sostanza.
Questo mi colpisce, a distanza di anni, perché è in diretto contrasto col modo in cui ero solito giocare a D&D (ai tempi, AD&D) alla fine degli anni ’90, quando ho iniziato. L’idea era che il mio personaggio avrebbe potuto provare a fare qualunque cosa, e le regole si sarebbero aggiustate per arbitrare in qualche modo anche le situazioni più anomale – questo un po’ per le regole semplici (quasi scarne) di AD&D, che non potevano coprire tutte le situazioni; un po’ per la fantasia degli adolescenti; un po’ perché si giocava in modo sgangherato e ci andava bene così.
Non credo che questo approccio “old school” fosse necessariamente migliore dell’altro approccio, d20-centrico, e più meccanico – ma mi colpisce perché è molto diverso.
Il problema di fondo penso che sia da ricondurre alla "pseudo-omnicomprensività" del regolamento del d20. Se ho un regolamento che rinuncia a voler gestire ogni singolo caso particolare che può verificarsi in gioco, ma piuttosto tenta di ricondurre il tutto a regole più generiche, semplici e astratte, sarà anche più facile aggiustare il regolamento alle situazioni più disparate (è il caso dei giochi OSR, o di D&D 5E, o di Fate). Il prezzo da pagare è che il sistema sarà appunto più astratto e meno dettagliato dal punto di vista meccanico. È un regolamento che funziona come una rete “a maglie larghe”. Un sistema omnicomprensivo invece tenta di avere una regola per ogni cosa che può verificarsi – è una “rete a maglie strette”, che tenta di “intercettare” tutto quello che succede nella fiction. Questo approccio inevitabilmente crea l’aspettativa che una regola precisa ci sia sempre, e soprattutto ci debba essere sempre, per tutto ciò che si verifica.
Il sistema d20 è particolare perché è pseudo-omnicomprensivo. Questo fa sì che l’aspettativa di cui sopra diventi ancora più evidente. GURPS è un regolamento realmente omnicomprensivo – è progettato per questo, e realizza il suo scopo. C’è veramente, da qualche parte, una regola per tutto. Certo, se voglio posso usare le regole più astratte (es. GURPS Lite), ma il sistema è modulare, e posso aggiungere complessità a piacimento inserendo le regole che mi servono. Io chiamo il d20 pseudo-omnicomprensivo perché ha regole dettagliate per certi aspetti del gioco, ma incredibilmente meno dettagliate per altre – e nelle aree del gioco dove le regole sono dettagliate, non è evidentemente progettato come per essere un sistema omnicomprensivo (es. molte manovre di combattimento sono rappresentate da talenti, che devono essere “sbloccati”, invece che da abilità che tutti possono tentare).
L’approccio meccanico, tuttavia, se portato all’estremo va a detrimento dell’esperienza di gioco di ruolo. Se le regole non servono più ad arbitrare ciò che il personaggio fa, ma, al contrario, ciò che il personaggio fa deve conformarsi alle meccaniche, allora il gioco di ruolo da tavolo rischia di diventare simile ad un gioco di ruolo per computer. Le opzioni che a disposizione il personaggio sono sulla scheda, invece che sul menù dell’UI di un gioco, ma il concetto è lo stesso. Il personaggio sceglie ciò che può fare da una selezione limitata di opzioni, e poi conforma la fiction alla regola. “In a normal round, you can perform a standard action and a move action, or you can perform a full-round action. You can also perform one or more free actions. You can always take a move action in place of a standard action. In some situations (such as in a surprise round), you may be limited to taking only a single move action or standard action.” (dall’SRD del d20).
Certo, l’idea è che molte azioni che i giocatori possono voler tentare, e che non sono esplicitamente elencate nel manuale, vadano ricondotte a una standard action o una full-round action. Però, diciamoci la verità: quanti giocano così? Nella mia esperienza, tutti i giocatori che passano molto tempo a giocare con la 3.5 (o hanno iniziato con questa edizione) progressivamente rinunciano alla creatività in favore di un combattimento fatto di “azioni di attacco completo”, “azioni standard”, “azioni di movimento” e “passi di 1.5 metri”. Il che va benissimo – è un combattimento tattico, che avviene secondo regole precise, come può essere tattica una partita di scacchi. Ribadisco che la mia non vuole essere una critica a questo stile di gioco, solo una mera constatazione che questo stile di gioco esiste.
Chiudo qui la prima parte del post, ché sta diventando un po’ lungo. Nella seconda parte del post, parlerò di un gioco che invece ha un approccio totalmente opposto: Dungeon World.
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