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Snorri Sturluson - Edda


Samirah

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Ho approcciato questo testo di mitologia nordica dopo una rapida lettura di un volumetto della collana Atlanti di Mitologia riguardante appunto i "Miti del Nord".

L'interesse motore di queste letture si snoda su vari piani, il primo fra tutti quello di ricerca letteraria, ma anche quello della necessità di un'ispirazione mirata e, non ultimo, di curiosità personale.

Ciò che mi sono trovata di fronte non corrispondeva assolutamente alle aspettative. Siamo abituati a immagini epiche e grandiose quando si fa riferimento alla mitologia scandinava, forse condizionati dal modo di vedere altri miti, come quelli greci, dove le divinità, seppur coi loro difetti, sono indubbiamente eleganti e trasudanti fascino.

Le divinità nordiche sono tutt'altro che permeate da un alone di bellezza divina, tanto da risultare, in più di un'occasione, alquanto ridicole.

Gesta epiche sono narrate con una semplicità disarmante, arricchite di particolari a volte insignificanti, altre volte addirittura contrastanti con il contesto in cui si trovano.

Non posso nascondere una certa delusione durante l'approccio iniziale, delusione che però ha lasciato il posto a una curiosità sempre maggiore.

Ho sentito difatti questo mondo molto distante, molto diverso dal mio modo di vivere la mitologia, e per questo ritengo possa nascondere un fascino che non mi si è ancora palesato, ma che non escludo possa risultare fonte di stupore e di una conoscenza con cui finora non sono entrata in contatto.

Un aspetto di cui invece ero già a conoscenza è il concetto di destino, di predestinazione. E' sconcertante, per una cultura abituata alla concezione di un destino costruito giorno per giorno, in dipendenza esclusiva della propria volontà, trovarsi di fronte a un tale fatalismo, a una rassegnazione da cui neanche gli dei possono sottrarsi.

Ma è una rassegnazione che non comporta prostrazione, perché ogni cosa è vissuta in un ciclo senza fine, dove ciò che muore rinasce. Anzi, vita e morte sono condizioni contemporanee, perché ciò che rinascerà è come se fosse già vivo, e ciò che morirà può essere considerato già morto.

L'assenza di una precisa linea cronologica è un altro aspetto che mi ha spiazzata e incuriosita. Alcuni avvenimenti narrati in successione sembrano non possedere una precisa collocazione temporale all'interno dei miti, come se tutto accadesse in una realtà senza tempo, senza un prima e un dopo, come se l'unico elemento importante fosse la sua realizzazione.

Affrontare una mitologia siffatta mi sta costringendo a demolire luoghi comuni e aspettative letterarie, ovvero gli stessi vincoli che importo anche in ciò che scrivo. Se durante questa ricerca mi renderò conto di aver imboccato la strada sbagliata per quanto concerne il materiale da cui volevo attingere, potrò comunque ricevere il beneficio di saper affrontare gli argomenti con meno schemi mentali e forse la capacità di interpretare visioni della realtà diverse dalla mia.

2 Commenti


Commento consigliato

Io l'ho sfiorato per preparare una parte del bagaglio necessario per UDFO, devo dire che mi sento abbastanza in colpa per non aver dedicato il tempo necessario alla lettura, ma al momento sto leggendo in parallelo un mattone omni-scientifico, un libro sul Go, un testo di filosofia, degli appunti di informatica, quindi devo posticipare...

Vorrei avere tre cervelli.

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La bellezza del mito norreno, per quanto mi riguarda, è sempre stata proprio li dove tu hai trovato quella che chiami iniziale delusione. Il libro che ti ho prestato, Musica Rock da Vittula, è l'apoteosi di questo modo pratico ed scanzonato di vivere la quotidianità.

Ma in questa prossimità all'umano, all'immanente, io ho sempre trovato molto più di divino che non nel tentativo di molte culture, di dare un volto al trascendente.

Le culture occidentali classiche, quali quella greca, hanno cercato la bellezza del creato nelle rappresentazioni geometriche, per definizioni ideali e false.

Le culture che hanno trovato il divino nell'opera di ogni giorno, come quelle che hanno basato il loro pensiero sul fatto che la vita è una ruota che gira ed hanno intuito che non esiste un concetto di tempo assoluto (e scusate se è poco, Einstein ci è arrivato cognitivamente agli inizi del 1900 mentre interi popoli lo ripetono da millenni, seppur allegoricamente) sono, a mio avviso, quelle che più hanno saputo guardare.

L'osservazione contemplativa, l'assenza di domande atte a costruire una rappresentazione mentale, falsata e rigida del mondo che ci circonda è una pratica talmente aliena alla nostra cultura, basata su millenni di cognitività, che non riusciamo a percepirne un senso. E infatti la maggior parte di coloro che leggono storielle zen le commentano dicendo "Sono piccoli dialoghi volutamente senza senso".

In realtà dovrebbero dire "il cui senso non riesco a cogliere".

Per quanto mi riguarda, il gusto dell'Edda è che quando hai finito di leggerla, farti una sauna con Thor sarebbe una figata! :-) E non è una battuta.

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