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TheClue

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  1. TheClue

    Forum "RPG Design"

    metodi metodi per la creazione di giochi di ruolo, più o meno formali, approfondendo tematiche molto varie che vanno dalle filosofie di gioco, dalle teorie su come sono strutturate le sessioni, al linguaggio, a metodi per creare le meccaniche, sul playtest, sul raffinamento, le campagne, gli intecci narrativi, come sostenere la tensione e cosi' via molte teorie hanno raggiunto conclusioni veramente interessanti e, non fosse altro per cultura personale, meritano di essere approfondite...anche perché, anche se in molti sono convinti del contrario, per creare un gioco di ruolo non basta un po' di fantasia e una matita
  2. TheClue

    Forum "RPG Design"

    si, è vero, su molti siti è andata a finir male (vedi gdritalia, dove peraltro ero costante frequentatore) ma la comunità di DL è relativamente meno chiassosa per definizione, secondo me se ben gestita, con un po' di attenzione, si dovrebbe almeno tentare anche semplicemente un forum dove approfondire consigli e tematiche di game design, senza finire nella maestade della teoria di gioco (con tutti i "filosofi" improvvisati che pretendono di dire la loro)
  3. TheClue

    Forum "RPG Design"

    Salve a tutti, è da un po' che mi faccio promotore di un subforum per la sezione "Progetti" (se non anche un forum indipendente) su cui postare e discutere di elementi di design di giochi di ruolo e di teoria del gioco. Ho avuto modo di parlarne anche con Strikeiron e con Chiavix e mi sembravano abbastanza colpiti dalle tematiche Sono molti i materiali che mi piacerebbe condividere e con cui mi piacerebbe scambiare opinioni con la comunità di DL e che, a mio parere, sarebbero offtopic nella sezione progetti. Ora, dopo aver organizzato il materiale, avanzo ufficialmente la proposta al direttivo dielle attendo istruzioni, ciao!
  4. riporterò brevemente il big model e la creative agenda, ma solo per completezza d'esposizione in realtà non voglio curarmi di come si crea un sistema di gioco, ma di come si scrive un gioco di ruolo...quindi istanza di gioco, linguaggio, scelta delle fonti, influenza del metagioco, arricchimento dell'idea originale, playtest e creazione di un regolamento ad hoc, cosmetica... quindi piu' dal lato narrativo che meccanico, insomma
  5. 1.Introduzione “Sebbene sia possibile giocare una singola partita, non collegata ad altre partite passate o future, queste regole sono state progettate per una campagna. Imbastire una campagna fan-tasy è relativamente semplice e, soprattutto, non costa assolutamente nulla” Tutto è iniziato, semplicemente, da qui: una prefazione di un libricino sulla cui copertina campeggiava la dicitura “Dungeons & Dragons” e che, nel 1974, diede inizio ad una nuova era. Era un gioco dalle dinamiche molto semplici, piuttosto rozzo e rudimentale se confrontato con i wargames che, in quegli anni, monopolizzavano il mercato del gioco intelligente. Ma da quel giorno di tanti anni fa tanta strada è stata fatta e tante menti geniali si sono cimentate nel design, portando il genere alla piena maturazione. Così, oggi possiamo picchia-re selvaggiamente forme di vita mostruose in mondi fantasy credibili e detta-gliati, investigare su misteriosi orrori cosmici, mostrare tutta la nostra ambizio-ne nello scalare complesse gerarchie vampiriche e un milione di altre situazio-ni. È innegabile: dal punto di vista qualitativo, siamo testimoni di un continuo miglioramento. Ma, per l’appunto, come si crea un gioco di ruolo? La credenza più diffusa è quella secondo cui, per creare un gioco di ruolo, basti una buona dose di fantasia, un livello culturale dignitoso, un po’ di falsa modestia e un paio di amici che fungano da cavia. Dal punto di vista concettu-ale questa idea non è del tutto sbagliata, così come non è sbagliato considerare il gioco di ruolo come la naturale continuazione dei giochi di simulazione fatti dai bambini, come “cowboy ed indiani” e “guardia e ladri”. Molto intrigante per chi voglia perdersi nel magico e filosofico mondo dell’homo ludens, senza dubbio, ma assolutamente fuorviante per chi voglia cimentarsi nella (meno nobile?) arte del game design. In ogni caso, devo proprio dirlo, questo approc-cio tradisce una certa dose di dilettantismo. L’altra scuola di pensiero, in voga soprattutto a partire dagli anni Novanta, è quella che vorrebbe un gioco di ruolo come il frutto di una meticolosissima, per non dire maniacale, ricerca del dettaglio, nella creazione di un mondo fan-tastico full optional in cui ambientare le proprie avventure. Un po’ per motivi di marketing, un po’ per le influenze provenienti dal mondo dei videogiochi, un po’ per via di un certo tipo di narrativa di genere, questo approccio al design va ancora oggi per la maggiore, trainato da quel Dungeons&Dragons che ora-mai è ben lontano dal minimalismo del passato. Tanto è sedimentata l’idea, tra master e giocatori, che più notizie implichi più credibilità, e quindi più diverti-mento, che so già che sarà difficile, per me, demolire questa convinzione. Così, appurato quello che non va fatto, siamo finalmente pronti per comincia-re a vedere cosa, invece, deve essere studiato per ottenere un capolavoro? No. Non ancora. C’è ancora la domanda fondamentale a cui rispondere, pri-ma: cos’è un gioco di ruolo? La domanda non è inutile, anche se non ci sarà, credo, lettore di questo saggio che non conosca già il motivo del dibattere, né voglio sostituirmi a Wikipedia in quanto a definizioni e tecnicismi di genere. Il punto è che, effettivamente, non esiste una definizione univoca di gioco di ruolo così come non esiste uno stile unico di gioco. Per alcuni il gioco di ruolo è un mezzo espressivo, per altri un mezzo per simulare la realtà, per altri ancora un veicolo di interpretazione teatrale, per altri ancora una derivazione di un certo tipo di narrativa decostrut-tivista, per altri è un mezzo divulgativo…potrei continuare all’infinito. Il gioco di ruolo è, insomma, una medaglia dalle infinite facce, che il giocatore ed il master apprezzano in toto nella loro brillantezza, ma il risultato è eccel-lente solo se il suo autore ha saputo introdurre un buon equilibrio tra le parti. L’equilibrio non è automatico e per raggiungerlo bisogna operare delle scelte, sacrificare alcuni elementi per approfondirne degli altri, per dare una direzione ben precisa al gioco che si sta creando, ed indirizzarlo ad i suoi giocatori più naturali. Più avanti nel libro introdurrò una teoria molto formale, la cosiddetta “Teoria Forgista”, che dovrebbe aiutare nel raggiungimento di questo equili-brio, anche se non è saggio, come ogni cosa, prenderla troppo alla lettera. Ad essere del tutto onesti, io stesso l’ho raramente usata nel design dei miei giochi, ma ho pensato, però, di riportarla ugualmente a titolo di confronto con ciò di cui parleremo e per aiutare nella comprensione del cosiddetto “ciclo di realiz-zazione” (game design lifecycle) di un gioco. Ma, allora, in mezzo a questo maelstorm relativistico, qual è il punto fermo da cui partire? Qual è il postulato euclideo su cui si fonda tutta la nostra geome-tria creativa? Con un’acrobazia marzulliana, posso dire che la risposta è contenuta nella do-manda stessa: ammettere che non esiste un gioco di ruolo universale, ovvero fruibile da parte di tutti i tipi di giocatori, abbandonare questa irragiungibile chimera e concentrarsi su ciò che si sa fare meglio per i giocatori (e i master) che si conoscono meglio. Lapalissiano? Forse. Sbagliato? Per alcuni designer e per molti master sì. Su questi master e su questi designer e sui loro metodi presunti universali tornerò più avanti, per non divagare. C’è ancora, piuttosto, quella domanda lasciata in sospeso, per la quale siamo riusciti a dare solo risposte empiriche e soggettive. Prendiamone atto e sostituiamo il fatidico quesito con altri due con meno pre-tese: cos’è per me un gioco di ruolo? Che tipo di giocatore (master) sono? Come attori famosi che scremano le parti che propongono loro, cercando quelle che sembrano più adatte ai tipi di interpretazione che sentono propri, quest’indagine è fondamentale: è vero che restringerà gli ambiti di applicazione della ricerca creativa, ma è altrettanto vero che ci garantirà una forte coerenza, che definirei “idealistica”, e la capacità di utilizzare con profitto le nostre espe-rienze di giocatori di ruolo ed il nostro intuito. Banalmente: parlare la propria lingua. Attenzione, però! Questo non vuol dire che un giocatore, designer in erba, debba avere al più una sola faccia, sia essa ben definita o dai contorni sfumati di un cross-over. Un giocatore può anche essere multiforme e, per quanto si sen-tirà inevitabilmente più a suo agio con una tipologia di narrazione rispetto ad altre, ciò non gli impedirà di giocare (e di creare) su modelli completamente diversi. Io voglio solo evitare che si crei su aspetti di gioco che non si cono-scono o che non si sono mai sperimentati perché i risultati saranno scadenti e senza forma. Questo è esattamente il contrario dell’etichettare come qualun-quista chi (beato lui!) è in grado di abbracciare molti tipi di gioco diversi e si è documentato abbastanza da potervi fare su ognuno della ricerca creativa. Avvertimento superfluo? Se le mode e le esigenze di marketing nel mondo dei giochi di ruolo non fossero così invasive, forse sì. Per ora, prendiamolo per buono. Pensiamoci bene, comunque, a quelle domande perché dalle relative risposte (anche se non irreversibili) verranno fuori le scelte che ci guideranno per tutto il processo creativo. Una volta fatto ordine nei nostri neuroni e chiarito quali e quante di quelle infinite facce rappresentano il nostro stile di gioco, possiamo finalmente cominciare ad occuparci di design vero e proprio. Come ho detto all’inizio del capitolo dire che è possibile imbastire un gioco di ruolo con pane, amore e fantasia è come dire che John Ford ha girato “Ombre Rosse” trasponendo su pellicola i nipotini che giocavano a cowboy ed indiani. Non voglio abbandonarmi ad inutili formalismi che sembrano più da analista informatico che da designer di giochi, ma lo schemino di Fig. 1, nonostante l’aspetto ipnotico, rende quantomeno l’idea dei punti da affrontare e delle rela-zioni tra le parti. Lo schema è solo indicativo: in realtà non è quasi mai se-quenziale ed è praticamente sempre necessario ritornare più volte sui punti precedenti per correzioni ed aggiustamenti. Il primo punto da approfondire è l’individuazione della cosiddetta istanza di gioco, senza dubbio la parte più importante e laboriosa, tramite la quale il gio-co assume una forma ben precisa, sia in termini del messaggio da rivolgere a master e giocatori, sviluppo tipico della narrazione e, ovviamente, il modo in cui delineare l’ambientazione. Il secondo punto è la scelta delle fonti, intendendo non solo quelle documen-tali per l’arricchimento dell’ambientazione, ma anche le fonti di influenza che formeranno l’atmosfera di gioco e che sono alla base del citazionismo, più o meno stretto, che è presente in ogni gioco di finzione narrativa. Il terzo punto è, né più né meno, la stesura dell’ambientazione, i cui punti fo-cali ed il grado di dettaglio da tenere, per facilitare il passaggio dal semplice nozionismo didascalico al “mito”. Il quarto punto è la realizzazione regolamento, inteso come insieme di mecca-niche che consentono l’interazione tra i giocatori e l’ambientazione. Ci sono infinite scuole di pensiero circa la creazione di regole per i giochi (non solo di ruolo), pertanto più che adottarne uno, su questo libro si cercherà più che altro di estrarre un metodo e non un regolamento definitivo. Il quinto punto è l’integrazione tra le parti, tenendo presente che un gioco di ruolo più che un aggregato è un sistema. In questa fase dovremmo affrontare tematiche completamente nuove, e le risposte alle domande che ci siamo posti in questa introduzione, tracceranno la strada da seguire. Il collante, in questa fase, sarà la nostra ambientazione, che a questo punto, affiancata da tutti gli altri elementi, sarà in grado di vivere di vita propria, come un vero prodotto di ingegno creativo. L’ultimo punto è cosmetica: capire come elementi sia grafici che testuali (il cosiddetto paratesto) concorrono all’aumento di fascino e di fonte di stimoli narrativi sia per i master che per i giocatori. Toccheremo anche elementi di subliminale nelle sessioni di gioco, senza però scendere in approfondimenti superflui. Questo è, schematizzato, il percorso che io ho seguito nella creazione dei miei giochi. Non posso affermare che sia il migliore né il più breve, ma è sicura-mente quello che mi ha permesso di dare dignità ad Eden: l’Inganno, il mio pri-mo gioco di ruolo, che sarà utilizzato più e più volte negli esempi di questo libro. Anche io, naturalmente, ho dato risposta alle domande che ci siamo po-sti in questo primo capitolo, tant’è che i prossimi capitoli sono proprio eredità di quelle scelte. Nel farlo, ho cercato di elevare il gioco di ruolo al rango di prodotto di arte narrativa, e per questo dalla narrativa ho deciso di adottare tutti i postulati, e dalla scrittura creativa parte dei suoi metodi. Cominciamo?
  6. Era da tempo che mi ronzava questa idea in testa, cosi' ho cominciato a buttare su carta, con metodo, tutte le mie esperienze nella creazione di un gioco di ruolo moderno per il 9th Circle Games Questa è l'introduzione...e mi piacerebbe conoscere il vostro parere...che ne pensate? Suggerimenti? Commenti? Critiche?
  7. ho invitato massimo, il cofondatore con me del 9th circle games, ad intervenire nella discussione....vediamo lui che ne pensa
  8. mi pare un buon connubio...in effetti la sola componente favolistica (senza quella fiabesca) rischia di tirar fuori un gioco...decisamente noioso!
  9. la puntualizzazione di airon e' ottima vista la componente morale e catartica, probabilmente e' piu' proprio parlare di favola che di fiaba. tuttavia se agli estremi abbiamo esopo e basile, e' pur vero che c'e' una forte letteratura favolistica nel mezzo con sfumature di entrambi i mondi...
  10. senza dubbio! il lupo esiste ed è cattivo proprio in virtù del fatto che, se non esistesse, non trarremmo un insegnamento dal suo comportamento degenere. ecco perché insisto sul fatto che il lupo non può che essere cattivo e non si ravvederà mai delle sue malefatte. lo stesso dicasi per il PG. il PNG come antagonista morale? Forse, ma non solo. Esso puo' essere "mostro" come il lupo cattivo, "guida" (positiva o negativa, come lo stregatto o il grillo di pinocchio), "incipit" come la mamma dei tre porcellini. Credo che possa essere interessante capire il ruolo dei supporting role per recintare, per complemento, quello dei PG sul discorso della "morale commutativa"...wow...fa molto filosofia orientale...devo documentarmi un po'. la vedo un side effect davvero complesso da analizzare: predeterminismo del tutto come parte del tutto? non intravedo sentieri, per ora ma...ripeto...wow...l'argomento e' dannatamente complesso! pero' capisco il timore di uno scenario alla hero quest che si profila all'orizzonte...sento che mancano davvero pochi millimetri alla soluzione...eppure non riesco ad afferrare l'idea che mi ronza nel subconscio...maledizione!
  11. ha senso, ma e' veramente quello che si cerca in una fiaba? Il lupo cattivo non è cattivo perché contestualizzato in un contesto che lo rende cattivo...è cattivo perché è cattivo. La sua è una cattiveria quasi "aristotelica", non c'è posto - in questo senso - per un relativismo "nicciano" Lo dico da profondo ignorante in materia, spero di nn proferire scemenze!! Pero' si e' sollevato gia' l'argomento che secondo me racchiude l'intero contendere. L'assolutismo morale portal'ascoltatore (il bambino o quel che è) alla catarsi finale che ha il solo scopo di prepararlo per l'insegnamento morale racchiuso dalla favola. Senza questa catarsi, non ha senso parlare di insegnamento morale. Se vuoi insegnare che A + B = C puoi farlo senza postulare con assoluta CERTEZZA dove finisce A e dove inizia B?
  12. hai ragione...il rischio è tangibile, ed anche i "pruriti" da powerplayer o da allineamento da DnD ma infatti io nn dico che i PG devono essere buoni e legali, possono anche essere perfidi (in tal caso hai il rovesciamento della morale come di cui abbiamo discusso) in un mondo idilliaco, o adamantini in un mondo malvagio. l'importante è che la demarcazione sia netta, assoluta. Esiste il bene e il male. cmq secondo me ci sfugge, anche se ci stiamo ronzando attorno a pochi millimetri, la vera "essenza", quel "quid" di filosofia di gioco che renderebbe del tutto legittima questa dicotomia...pensiamoci un po'
  13. eviterei assonanze troppo nette con ambientazioni stile magic, non fosse altro che per definizione un gioco di carte ha risvolti epici. inoltre lorwyn, come hai giustamente notato, ha una ambientazione fiabesca, ma sostanzialmente nella sua componente idilliaca e bucolica, che non credo sia quello che stia cercando il lepra mi piace molto la contestualizzazione tempo-spazio! "un regno lontano", "una torre", "un castello", "un fiume" mi suonano molto bene! sulla dicotomia bene-male mi trovi meno daccordo...io marcherei molto la differenza tra bene e male! con i PG che sono rigorosamente i "buoni" (ma anche i cattivi) e il master che interpreta i cattivi (o i buoni), pero' senza gradazioni intermedie o relativistiche, che sono il contrario stesso della "morale" favolistica. o bianco o nero insomma sui mostri...indubbiamente io li vedo molto "primordiali", indefiniti, semplici materializzazioni di paure. niente a che vedere con i trattati di zoologia alla DnD, insomma cmq ci sono davvero tantissimi spunti fantastici su cui lavorare!
  14. finalmente si parla di game design!!! gli elementi archetipi ci sono tutti. Aggiungerei: 1. voluta distorsione di tempi e spazi - in una favola i tempi e gli spazi si dilatano e si contraggono a seconda delle necessità e sono spesso non specificati (banalmente: "c'era una volta" e "cammina cammina..."). Mi sembra un ottima peculiarita' per rendere il genere. 2. il linguaggio - che è molto particolare e su cui sicuramente c'è molta letteratura a riguardo 3. il patto finzionale - che è alla base della favola (e di tutta la narrativa, in fondo) e anche del gioco di ruolo. Un mondo favolistico è un mondo in cui noi possiamo ammettere che i lupi parlino e gli animali nei dintorni di brera siano in grado di suonare. L'assunto e' l'opposto di quello del fantasy, in cui c'è una naturalizzazione di elementi fantastici, quasi come se lo scopo fossequello di convincerci della credibilita' del mondo (fantastico, appunto, per definizione) tra quelli che hai citato tu mi colpiscono in modo particolare la moralita' e la dicotomia netta bene-male...come pensavi di sfruttarli? sullo schema di propp, ne intravedo molte sfaccettature catartiche che, in fondo, sono le stesse che vedi in molti giochi di ruolo (chtulu, ad esempio, ma soprattutto DnD a modo suo)
  15. non lo nascondo: nonostante non sia una gran fan di Dnd trovo questa tua ambientazione molto promettente! mi piace l'idea di un fantasy orientaleggiante con pero' una valenza piu' "scanzonata" e pirotecnica dei vari legend of 5 rings e similari. mi ha ricordato molto usagi yojimbo, tra l'altro, con tutti gli spunti del caso keep going!
  16. archetipi di morale e satira...effettivamente sono spunti ESTREMAMENTE interessanti e io mi concentrerei molto su questa ricerca (la storia e le monete possono aspettare ). Il rischio è quello che il concetto di morale si traduca in qualcosa simile all'allineamento di D&D, che e' la cosa piu' oscena che mente di designer di gdr ha mai concepito :S Quindi mi sembra di capire che la tua istanza di gioco è, grossomodo: un mondo di fiaba e favoloso (nel senso "di favola") il cui metamessaggio (perché rivolto al giocatore, non al personaggio...ne parleremo!) è di insegnamento profondamente morale, sottolineato dalla marcata dicotomia bene-male (che è tipica della "fabula"). In altre parole "tu, eroe, agisci secondo morale perché cosi' deve essere". E' uno spunto tremendamente succoso! E te ne offro anche un altro, che spero solletichera' i tuoi istinti narrativi primordiali la frase di cui sopra a chi è rivolta? all'eroe (ovvero al personaggio) o AL GIOCATORE? A chi è rivolta la morale della favola di Esopo? Alla volpe, che non raggiunge l'uva, o a noi che leggiamo la favola? Sulla struttura delle fiabe c'è uno splendido saggio di Italo Calvino, che pero' ti diro' la verita' non l'ho letto. Jung ne "L'uomo e i suoi simboli" (ed. Tea Due se non ricordo male...dovrei vedere ma ce l'ho giu' a Salerno il libro) ne parla in termini archetipici. Wikipedia basta e avanza, almeno per ora. Cito: ma soprattutto le sue caratteristiche, da cui dovresti attingere per tanti elementi del tuo gioco di ruolo (il linguaggio, le prolessi, le analessi...) Il punto 3) si riallaccia perfettamente alla tua desiderata dicotomia morale!!
  17. bene! o meglio "davvero?" un gioco di ruolo in un immaginario fiabesco è senza dubbio una bellissima idea...devo dire che leggere il tuo post mi ha subito solleticato suggestioni alla perrault, alla basile, alla fratelli grimm. E devo dire che l'idea mi piace molto e offre moltissimi spunti narrativi succosissimi! Ma anche a voler rimanere piu' sui binari del fantastico (che nella mia accezione e' diverso da "fantasy"), si puo' attingere da tante cose...Shakespeare, ad esempio, tanto per dire il primo che mi viene in mente, i limerick inglesi, persino Giulio Verne! pero'...ora la domanda è lecita: questa succosa istanza di gioco...dov'è? visto che come si dice, di buone intenzioni e' lastricata la via dell'Inferno...un gioco di ruolo fiabesco (eliminerei dal vocabolario la parola "stile"...perché in questo contesto e' fuorviante ) in cosa potrebbe tradire, appunto, la sua istanza fiabesca? Al momento, per alcuni motivi su cui possiamo discutere naturalmente, Doramath non veicola a mio parere questa istanza, e rimane ingessato in un canovaccio fantasy che ne depaupera la potenzialita'. Questo, almeno, e' il mio parere Riguardo all'importanza della storia...anche li' c'è da discutere...ma sto divagando Ribadisco, cmq, che io non voglio fare un professorone. Né voglio sembrare chissa' chi, né tantomeno voglio distruggere la tua "creatura" (se ci pensi, la sto prendendo ad esempio solo per parlare di forma, di linguaggio, di filosofia, ma non sto entrando assolutamente in merito al soggetto!!). Doramath d'altra parte e' una ambientazione giovane, si presta bene a discussioni di questo tipo. Pero' nel momento in cui la cosa dovesse cominciare ad infastidirti...dimmelo e la pianto
  18. Ah, se posso consigliarti un testo che puo' essere molto utile alla vicenda, anche se non ha attinenza col gioco di ruolo, è il "Sei passeggiate nei boschi narrativi" di Umberto Eco. Descrive in modo molto semplice i "ruoli" coinvolti nella finzione narrativa...si adatta benissimo al design dei giochi
  19. ok, negli scorsi post ho introdotto alcune cose molto oscure, tra cui il metalinguaggio di un gioco di ruolo. Ne vogliamo parlare? No, dopo è troppo astruso, per il momento Ho letto il post sul perché Doramath è diverso, sul relativo blog e su quei tre punti volevo concentrarmi per il momento, perché l'ambientazione pur con degli spunti interessanti (ma ancora da sviluppare) stride per alcune scelte di design che noi abbiamo abbandonato nel corso del tempo...perché non funzionavano. Il problema è nell'istanza di gioco, ovvero di quel "quid" significativo che una ambientazione possiede e che spinge il giocatore a giocare QUELLA ambientazione piuttosto che dozzine di altre. Trovare la giusta istanza di gioco, prima e durante il design, è l'unica cosa veramente importante: Vampiri ce l'ha, Chtulu ce l'ha, Sine Requie ce l'ha, Uomini e Vermi ce l'ha e cosi' via. Inutile dire che quando fai del fantasy, di stampo peraltro molto classico come Doramath rischi di non avere una tua istanza di gioco, che rischia di essere un pallido emulo in cui le città elfiche si chiamano in modo diverso e si tira un dado diverso per picchiare un orco. Vero o presunto che sia, quella sara' la tua istanza, come una etichetta indelebile. E non ci giochera' MAI nessuno, anche se ti sbatti per creare una ambientazione dettagliatissima (sul grado di dettaglio tornero' piu' avanti). La prima domanda, prima ancora del "genere" in cui puoi idealmente categorizzare il tuo gioco, deve essere: qual'è la sua istanza di gioco? che tipo di messaggio voglio dare, io autore, ai giocatori ed al narratore? E' un gioco in cui ci si picchia, in modo epico e rocambolesco (Martelli da Guerra), oppure descrivere lo smarrimento degli eventi che hanno condannato l'umanità alla barbarie (Sine Requie), o la tetra ed elegante cortigianeria dandy alla Vampiri) l'ineluttabilita' dell'orrore cosmico alla Richiamo di Chtulu? Decisa l'istanza lavori sulle fonti, sulle ispirazioni, sugli espedienti narrativi e sul linguaggio...non prima! A meno che non vuoi un pallido emulo di un giocattoloso manuale powerplay alla dungeon's n dragons...
  20. Ok, i punti di discussione sono cosi' tanti che non riuscirei mai a riassumerli in un unico post. Vabbè...cominciamo (poi, se nasceranno discussioni interessanti, ne possiamo sempre parlare in thread appositi). Innanzitutto mi presento, io sono Gabriele e ho un piccolo studio indie di realizzazione di giochi di ruolo. Siamo in quattro abbiamo lavorato per NOVE ANNI ad un nostro prodotto, chiamato Eden: l'Inganno Quello che ci spinge a considerarci uno studio di game design, nonostante gli scarsi...esiti editoriali ...è il fatto che abbiamo seguito da sempre un approccio professionale alla realizzazione dei giochi in tutte le loro fasi. Si puo' dire che in nove anni le abbiamo passate tutte, insomma, con umiltà, chiedendo consigli a chi era piu' esperto e soprattutto studiando tanto tanto e tanto Questo per anticipare che non voglio salire in cattedra, ne' essere arrogante. Solo darvi i miei (nostri) consigli per evitare di incappare negli stessi errori in cui, a suo tempo, siamo incappati noi ed ora...andiamo a incominciar!
  21. assolutamente no, o meglio...dipende dal tuo approccio alla realizzazione dell'ambientazione. Ho avuto modo di leggere il tuo blog con il materiale, in effetti...ho visto che sei molto dettagliato nei tuoi elementi di soggetto...è una delle due "filosofie" piu' per la maggiore nel design di ambientazioni. E offre tanti spunti di discussione ...solo che ora sono in ufficio e non ho molta liberta' di manovra, stasera da casa mi rituffo a bomba nel thread
  22. Intervengo nel topic, che è molto interessante (e per Eden è stato oggetto di parecchie discussioni). (a proposito lepra...hai letto il PM? ) La medicina in un gioco di ruolo fantasy privo di magia, o cmq dove il ruolo della magia è ridimensionato rispetto ai giochi powerplay alla D&D, è effettivamente uno dei punti in cui i giochi esistenti deficitano molto. Questo perché devono mediare le esigenze di gioco, che pretendono una certa efficacia dell'arte medica (senno' i PG ti muoiono subito) col realismo che imporrebbe, a rigore, una medicina medievale che tutto puo' dirsi fuorche' efficace. Il punto centrale è, tanto per cambiare, nel metalinguaggio del gioco di ruolo (ok qui rischiamo di aprire una voragine di argomenti possibili di game design, spero se ne possa parlare in un forum apposito prima o poi). Riducendo all'osso: non è importante l'efficacia di un espediente narrativo (in termine di narrazione ruolistica), ma come questo espediente è presentato. Come si fa? Si astrae dal linguaggio e si sale ad un diverso livello di astrazione. Questo perché al giocatore non interessa QUANTO un espediente sia realistico, ma IN CHE MODO sia realistico. Questo vuol dire spostare l'associazione soggetto-espediente al livello di metalinguaggio. Sono criptico lo so...cerco di spiegarmi con un semplice esempio: quanto cambia la scheda del personaggio di un gioco di ruolo fantasy se invece di "Pronto Soccorso" e "Medicina" si riporta tra le abilità, ad esempio, "Galenica"? Non è un caso che in Eden: l'Inganno abbiamo deciso di adottare proprio questa nomenclatura per questa ed altre abilità...
  23. ci metto su il carico a coppe...nella room sul progetto eden (che spero sia di imminente apertura) posso aprire parecchi thread sui vari aspetti di game design, nell'ordine in cui noialtri di eden, per l'appunto, abbiamo affrontato...che ne dite?
  24. TheClue

    videocracy

    Io l'ho visto, non è assolutamente polemico...espone semplicemente dei fatti presentati mediante le interviste condotte. L'ho trovato più che buono Spoiler: Soprattutto nella storia dell'aspirante divo tv del profondo nord, la cui vicenda è seguita dall'inizio (con le interviste) e culmina con la sua ridicolizzazione pubblica durante i provini di x-factor. Lì il contrappasso che condensa l'intero messaggio è che l'aspirante, pur palesemente ridicolizzato da ventura e compagni, mentre mostra saturo di orgoglio la videocassetta del provino all'intervistatore, arriva al limite di una vera dissociazione. Ci sarebbe tantissimo di cui parlare su questa "trasformazione" indotta dal mondo della videocrazia, se ci pensate. Unico difetto del film: ha la possibilità di scavare davvero a fondo, di scoperchiare grossi vasi d Pandora, ma lo fa solo in parte. Gratta la superficie, introduce temi bollenti, ma talvolta non li approfondisce abbastanza e si tiene fuori dalla "vera" mischia.
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