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Cardano

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  1. Scartabellando nel mio archivio di ritagli, ho trovato un'intervista di Angelo Stano al Corriere della sera (che ho ripescato anche sul web a questo indirizzo) Fra le altre cose, segnalo questa domanda con risposta: Parto da questa previsione di Stano per chiedere: ma cos'è che fa davvero invecchiare e/o morire un fumetto? C'entra la società che cambia, come dice Stano, oppure è tutto più legato alla qualità di chi lavora sulle storie e sui disegni? Voi che ne dite?
  2. Fenna, il mio non era assolutamente un discorso nostalgico (o, almeno, non voleva esserlo). E soprattutto non vorrei aver dato l'idea di quello che ora non gioca più. Certo, gioco di meno di vent'anni fa, ma ho imparato a godermi ogni singolo secondo attorno al tavolo da gioco
  3. Hai ragione, e mi scuso. Guardo di riparare adesso: ho 37 anni e gioco da quando ne avevo 16. Fino a una decina di anni fa ho provato qualsiasi gioco di ruolo mi passasse sotto mano, poi gli impegni di lavoro mi hanno costretto a diradare. Ma, come si dice... il fuoco brucia ancora!!
  4. Spero, con queste mie riflessioni, di non annoiare e di non essere OT. Spero anche che le righe che seguono possano far partire una discussione, uno scambio di esperienze e anche di critiche. Discutiamo, raccontiamoci le nostre storie e parliamo di cosa significa il gioco (e il gioco di ruolo in particolare) per noi. (Ok, il preambolo è finito...) Per qualcuno il gioco è solo una parentesi fra il lavoro, lo studio, l'impegno in casa e in famiglia. Per me, no. Per me, in una fase delicatissima della mia vita, ha rappresentato una medicina potentissima in grado non solo di farmi uscire da un periodo di crisi ma anche di farmi crescere e diventare quello che, nel bene e nel male, sono adesso. L'anno è il 1991, quando molti (forse la maggioranza?) dei frequentatori di questo forum non erano nemmeno nati. Allora ero un ragazzino introverso, timido, un po' musone. 16 anni, figlio unico, pochi amici, ragazze nisba. L'unico contatto con il gioco di ruolo era, finora, stato casuale:con mia madre, a Firenze, visitando una libreria, mi imbattei nel manuale in inglese del Merp (Middle-earth rolr playing). Bene, alla fine convinsi mia madre a comprarlo: non perché avessi capito minimamente cosa fosse il gioco di ruolo, ma perché adoravo Tolkien. Inutile dire che quel manuale, dopo una veloce lettura, rimase sulla mia scrivania a prendere polvere. Il punto di passaggio fu la morte, improvvisa, di mio padre. Mi trovai sbalestrato, senza un punto di riferimento. Il dolore mi mangiava, per sopravvivere avevo "solo" l'amore di mia madre e la pace che trovavo nella musica. Questo almeno fino a quando un mio compagno di classe, un sabato mattina di metà giugno, non mi telefonò: "Oggi vieni a casa di Diego, che facciamo un gioco di ruolo?". Loro giocavano già da anni. Aver risposto di sì, aver fatto chilometri in bicicletta sotto il sole, sedermi a quel tavolo, è stata una delle migliori scelte della mia vita. Perché attorno a quelle schede, a quei dadi, c'erano quelli che sarebbero diventati i miei cinque migliori amici. Per la cronaca, il gioco era il Richiamo di Cthulhu. Ho dei flash di quel pomeriggio: la spiegazione delle regole, il piatto di plastica ricoperto di panno verde dove si tiravano i dadi, l'adrenalina del primo combattimento. Da quel giorno cominciarono anni di gioco matto e felicissimo (Leopardi mi perdonerà...). Il gioco di ruolo (Cthulhu, D&D, AD&D, Cyberpunk e tanti altri) diventò un nostro compagno fisso. Pomeriggi, sere, a volte notti, a creare mondi, storie, personaggi. A creare degli alter ego nel quale sublimare i nostri dolori, i nostri problemi. Perché, se vado indietro col pensiero, mi rendo conto che tutti, più o meno, avevamo delle storie non facili e qualche problema di relazione con gli altri. Come tutti, accoglievamo con gioia il sabato perché era l'ultimo giorno di scuola della settimana. Ma noi avevamo un motivo in più: il sabato pomeriggio era il nostro momento, quello del gioco. In un periodo nel quale in tanti cominciavano a smettere di sognare, noi creavamo le nostre "dreamland". E intanto diventavamo da cinque uno, intrecciavamo quel rapporto magico per il quale ora come venti e più anni fa ti puoi capire con uno sguardo o con un movimento del corpo che gli altri nemmeno noterebbero. E poi, ci aprimmo agli altri: il nostro gruppo divenne un sorta di centro di gravità per altri giocatori. Alcuni rimasero per una sera, altri sono diventati nostri grandi amici. I giochi e le storie che affrontavamo sono cresciute con noi (personalmente, ritengo che l'apice l'abbiamo raggiunto con Vampire: The Masquerade). Poi le storie della vita e del lavoro ci hanno allontanato, impedendoci di giocare 4-5 sere la settimana come nelle estati del 1991, 1992, 1993, 1994. Ma la vita ci ha regalato anche tante letture, amori, gioie, dolori, il primo lavoro e le tante telefonate fra noi, i cinque amici, che non riescono a non sentirsi per più di qualche settimana. E tutto è partito da lì: da un gioco di ruolo, da un tappeto verde dove lanciare d8 e d10. Certo, so benissimo che anche noi ci abbiamo messo del nostro: il gioco non può fare tutto da solo. Ma credo sia un potentissimo catalizzatore per tirare fuori il meglio (e, a volte, il peggio) di quello che c'è in noi. Spero che la mia bambina di 21 mesi non debba passare quello che ho dovuto passare io. Ma spero anche che si avvicini alla grande e magnifica esperienza del gioco di ruolo, e che possa trovare accanto a sé persone che vivano con lei questo viaggio. Il racconto è finito. L'ho postato in questo forum perché so di essere fra persone che potranno capire. Mi dispiace se ho annoiato qualcuno ma devo dire che mi dispiacerebbe ancor di più se questo post rimanesse senza risposta, senza alcun germe di dibattito...
  5. Racconto la mia esperienza, senza pretesa che sia a verità con la V maiuscola. Per chi, come e, è cresciuto con il classico percorso D&D - AD&D - Cthulhu - Wod, la Masquerade ha rappresentato una sorta di summa, di momento apicale del gioco di ruolo. Qualcosa nel quale potevi trovare il meglio delle tue esperienze, delle tue letture, delle tue fantasie. Date queste premesse, segue che un nuovo prodotto che si voglia chiamare Vampire, non potrà reggere il confronto. E questo, badate bene, al di là dei pregi indubitabili di Requiem, soprattutto dal punto di vista della meccanica di gioco. Diverso, forse, il discorso per l'ha,nient azione, dove credo che si sia perso quel senso di profondità, di vertigine storica, di magia (ovviamente non nel senso della magia del D&D) che pervadeva ogni pagina di Masquerade. Credo che l'errore principale dei creatori di Requiem sia stato non avere il coraggio di proporre qualcosa di completamente nuovo. Forse anche per ragioni di marketing, si è voluto fare un prodotto che fosse buono per i nuovi giocatori, ma che strizzasse l'occhio anche a chi veniva dalla Masquerade. E, in quest'ultimo caso, si è ottenuto (almeno per la mia esperienza, lo ripeto) il risultato di proporre se non una brutta copia, qualcosa che, confrontata con l'"originale" aveva pochissime possibilità di uscire vincitrice. Così, almeno, la vedo io
  6. Credo che in pochi lo sappiano e non so a quanti interessi. Ma, comunque, per me è un anniversario da ricordare. Esattamente venti anni fa, nel giugno del 1992, la Mondadori terminava la pubblicazione integrale dei racconti di Lovecraft (qui sotto le copertine, perlatro a mio parere bellissime) Si trattò di un momento importante, perché fino a quel momento erano stati pubblicati solo alcuni racconti (ad esempio quelli del mai troppo venerato "I mostri all'angolo della strada"). E lo ricordo anche per motivi personali, perché in quegli anni mi avvicinavo ai giochi di ruole, con D&D e - appunto - con il Richiamo di Cthulhu. E vi garantisco che leggere per la prima volta i racconti del grande di Providence e interpretare dei personaggi nel suo mondo è stata una delle esperienze più stimolanti della mia vita. E c'è qualcuno tra voi che si ricorda, come me, l'emozione di andare in libreria, nei giorni subito dopo la fine della scuole, per comprare questi libri?
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