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Renis

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Tutti i contenuti di Renis

  1. Renis

    La leggenda dell'orso dormiente

    Aran vagò per il bosco alla disperata ricerca di un rifugio dove trascorrere la notte. E proprio quando aveva perso le speranze, i suoi passi lo condussero all’entrata di una caverna. La madre lo aveva spesso avvertito di non entrare mai in quegli antri bui dove, secondo il folklore della sua gente, dimoravano i demoni e gli spiriti. Ma fuori faceva un freddo che si moriva e poi disobbedire era così eccitante… Aran si fece coraggio ed entrò. All’interno della caverna c’era un piacevole tepore e, a giudicare dalla pulizia con cui era mantenuta, doveva essere abitata. In fondo alla caverna Aran vide risplendere una luce. Era senza dubbio un fuoco. Per un momento Aran valutò la possibilità della fuga: con tutta probabilità gli spiriti non si erano ancora accorti di lui. Poteva andarsene e tornare al villaggio con una storia paurosa da raccontare agli amici! Ma la curiosità la vinse sulla paura, e da quel fanciullo sconsiderato che era Aran si affacciò, piano piano, per guardare. Dentro, disteso pigramente su un soffice giaciglio di foglie secche, vide un orso davvero grosso. Quando l’orso russava la pancia gli si gonfiava fin quasi a toccare il soffitto. Ma gli occhi del fanciullo notarono anche qualcos’altro: accanto all’orso c’erano dei barattoli traboccanti di miele. Una vera leccornia. Aran non mangiava da quella mattina e il suo stomaco era in preda ai lancinanti morsi della fame. Sarebbe scappato, d’accordo, ma non prima di aver preso uno di quei barattoli. Così si avvicinò il più silenziosamente possibile, attento a non fare il minimo rumore, ma proprio quando aveva abbracciato un barattolo, l’orso spalancò improvvisamente gli occhi. Aran non ebbe nemmeno il tempo di urlare che l’animale lo atterrò con una poderosa zampata. «Non mangiarmi! Non mangiarmi!» Implorò il fanciullo, nell’infantile speranza che l’orso riuscisse a capirlo. «Mangiare un ladruncolo come te mi causerebbe solo una tremenda indigestione!» Rispose l’orso arrabbiato. «Cosa?! Ma tu parli!» Aran non poteva credere alle sue orecchie. Quel grosso orso gli aveva parlato! «Sicuro che parlo. E adesso vattene dalla mia caverna prima che mi arrabbi sul serio. Disturbare il sonno di un orso in questo modo. Bah!» «Ma fuori fa’ freddo, ed io mi sono perduto… lasciami trascorrere qui la notte.» L’orso sbuffò. Era evidentemente seccato dalla presenza del ragazzino, che considerava un imprevisto. «E sia. Ma solo se prometti di non toccare il miele.» «Prometto!» Questa fu la prima promessa che Aran rispettò nella sua vita. Il fanciullo scoprì che mantenere una promessa lasciava una sensazione piacevole, migliore anche del miele. Aran si distese vicinissimo al fuoco, nella speranza che il calore della fiamma lo riscaldasse, ma presto il falò si spense e il fanciullo rimase inerme al gelo notturno. Stava per morire congelato quando sentì una calda pelliccia avvilupparlo: era l’orso. Il bestione lo strinse a sé e in questo modo gli salvò la vita.
  2. La leggenda dell’orso dormiente ~ Yugi on-na ~ di Jason R. Forbus Esiste un piccolo villaggio di pastori ai piedi del Monte Otai, la vetta più alta di Kara-Tur. Le stagioni sono inclementi in quella terra. Di inverno il vento è così freddo che nessun fuoco può riscaldarti, mentre l’estate il sole è così rovente che la pietra si spacca. Aran nacque in questo villaggio. Esiste una leggenda sulla sua nascita: sembra, infatti, che quel giorno non fosse né freddo né caldo. Per la prima volta da quando gli uomini si erano insediati in quella regione inospitale, giunse la primavera. Un’effimera primavera. Fu così che il padre del fanciullo decise di chiamarlo Aran O-denshi, “colui che porta la primavera”, e questa è la sua grande storia. Sin da piccolo Aran era diverso dagli altri bambini. Odiava condurre al pascolo il gregge. Quei sentieri ripidi e brulli erano il suo incubo e così osservare quelle sciocche, belanti pecore brucare l’erba lo annoiava terribilmente. Appena poteva, il fanciullo abbandonava il suo dovere per correre a giocare nei boschi. Più di una pecora si smarrì per colpa sua, finendo in pasto ai lupi crudeli del Monte Otai. Aran era il disonore della famiglia e il disonore di suo padre, ma non gli importava. Il bosco era un posto troppo divertente per resistere alla tentazione. Volta per volta si inoltrava sempre più oltre, sempre più lontano dai soliti sentieri dei taglialegna. Finché un giorno, seguendo il corso del torrente, Aran perse la cognizione del tempo e non si rese conto del sole che tramontava oltre la vetta innevata della Montagna. E quando Aran scoprì di essersi perduto, era ormai buio per tornare indietro. Aveva dodici anni allora, il giorno in cui conobbe il Saggio.
  3. Renis

    Figlio del lupo grigio

    Figlio del lupo grigio di Jason R. Forbus Quella notte il vento sembrava ululare. Le capanne erano sul punto di cedere all’impeto delle raffiche da un momento all’altro. Violenti scrosci di pioggia si abbattevano sulla terra trasformandola in fango. Ilkreg pugno di roccia, lo sciamano della tribù, si prostrò al cospetto del Totem. La robusta colonna di legno raffigurava, a grosse linee, un lupo feroce e possente, uno dei molteplici aspetti del dio Uthgar. L’anziano sollevò le callose mani al cielo stellato e, gridando più forte che poteva: «Uthgar! Il cielo piange! Il vento si lamenta! I tuoi figli hanno fame!» Il venerabile sciamano si accasciò a terra, stremato. Ma i suoi sforzi erano stati vani, poiché il vento e la pioggia continuarono a spazzare la terra impietosi. «Uthgar non ci sente, il vento è troppo forte!» Costui era Torkenheim, figlio di Trulkaard e fiero capo della tribù del lupo grigio. L’uomo dagli occhi di ghiaccio, fra lo stupore degli altri guerrieri, si arrampicò sul totem e una volta in cima sollevò il pugno serrato e gridò: «Uthgar! Cento madri e cento figli sono morti quest’inverno! La selvaggina scarseggia e gli uomini di città ci combattono con il fuoco e la magia! Uthgar! Io non ti ho mai pregato e tu lo sai! Ma anche un uomo forte prega quando i suoi fratelli e le sue sorelle muoiono!» Un fulmine saettò dal cuore delle nubi, colpendo in pieno il totem. La forza dell’impatto scaraventò Torkenheim a qualche metro di distanza ma, inspiegabilmente, non lo ferì. Anche il totem era completamente intatto e, agli occhi spalancati degli uomini, parve che il lupo di legno ringhiasse nel vento. Una voce tonante allora si udì, una voce che umiliò la tempesta. «HO UDITO LE VOSTRE PREGHIERE, TORKENHEIM FIGLIO DI TRULKAARD. TEMPI DURI STANNO PER ARRIVARE E TUTTO IL NORD SOFFRIRÀ. MA IO VI DICO: SIATE DEI VERI LUPI GRIGI E CACCIATE QUANDO LA LUNA È PIENA. «QUESTA NOTTE HO BENEDETTO UNA DONNA CON UN FIGLIO. EGLI SARÀ GRANDE.» Detto questo la voce scomparve ma anche la tormenta, goccia dopo goccia, soffio dopo soffio, diminuì di intensità. Lentamente, le nuvole si diradarono, rivelando un’enorme luna piena. Gli uomini sollevarono gli sguardi incantati verso il meraviglioso astro. Era un dono, od una maledizione? La pelle si coprì di folto pelame grigio; i volti si allungarono nei musi di lupi feroci; le membra si irrobustirono e dalle mani guizzarono degli affilati artigli. Un odore, fino ad allora impercettibile, giunse alle narici dei licantropi che proprio allora salutavano la luna: odore di carne. Il branco affamato corse a perdifiato nella notte, seguendo la scia invisibile che si faceva sempre più pungente. Dopo mezz’ora di marcia forzata, il branco si imbatté in una dozzina di renne: le creature erano stanche e ferite, una facile preda per i licantropi che non persero tempo a farle a pezzi. Tornati al villaggio, i lupi affidarono la selvaggina alle loro compagne. Bisognava vederle le lupe, mentre difendevano ad artigli tratti il cibo dall’ingordigia dei lupacchiotti. Quando la luna sprofondò al di là dell’orizzonte, la maledizione si spezzò cosicché uomini e donne tornarono alle loro sembianze originali. Un guaito di cucciolo salutò il giorno nascente. Proveniva dalla tenda di Egrid la guaritrice. Allora Torkenheim e Ilkreg, memori delle parole di Uthgar, accorsero a vedere. Entrando nella tenda i due uomini trovarono la giovane donna intenta ad allattare un neonato avvolto in un pellicciotto di lupo bianco e, ben sapendo che Egrid non aveva alcun uomo, Torkenheim il capo e Ilkreg lo sciamano si inchinarono al cospetto di colui che riconobbero come il figlio di Uthgar. Il fanciullo, forse, era la risposta del dio ai tempi duri predetti dalla profezia. Lo chiamarono Nokinair, che nella variante dell’illuskan parlata dai barbari uthgard vuole dire “figlio del lupo grigio”. Un giorno Nokinair avrebbe sconfitto i malvagi signori del nord e liberato la terra dalla tirannia. Un giorno il potente guerriero avrebbe condotto il suo popolo a sud, verso grandi conquiste, e fondato l’immenso Impero di Gundfang. A lungo i bardi narrarono l’epopea del Fiero Signore. Ma con lo scorrere inesorabile delle ere, anche le sue gesta sono state dimenticate e tutto ciò che è rimasto è la storia di un uomo che sfidò il mondo intero… e vinse.
  4. Quando ripresi conoscenza mi trovavo nello stesso, lurido angolino dove dormivo prima di imbattermi in Dunk. Per un brevissimo istante pensai che si fosse trattato di un incubo, ma guardando il pugnale e le mie mani imbrattate di sangue capii che no, non l’avevo sognato. Strano, ma la mia coscienza era sgombra da qualsiasi rimorso. Pensai a Dunk, a com’era morto per proteggermi. Vacillai: il dolore era ancora troppo vicino. Quella notte conobbi me stessa. Perché un’altra ragazza al mio posto si sarebbe costituita alle guardie o avrebbe atteso immobile lo scorrere degli eventi. Io scelsi un’altra via. Al momento decisivo, il mio istinto di conservazione ebbe la meglio su tutto. Sciacquai le mani e il pugnale in una pozzanghera e mi allontanai scomparendo nelle tenebre. Sin da allora conoscevo abbastanza bene questo sporco mondo da sapere che le guardie corrotte si sarebbero intascate il borsello del marinaio e mi avrebbero accusata di furto e omicidio. Per un pugno di soldi e minacce, il vecchio oste avrebbe testimoniato a loro favore. Per me non restava altro da fare che lasciare Baldur’s Gate, dove avevo vissuto per un anno. Un lungo anno in cui da ingenua fanciulla ero diventata una donna. Avevo sedici anni allora, quando cominciai a peregrinare in giro per il Faerûn. La paura della legge mi indusse a viaggiare di città in città, anonima e silenziosa come un’ombra. Fui obbligata a compiere altri crimini per sopravvivere. All’inizio piccoli furti, quel tanto che bastava per tirare avanti. Ma poi mi spinsi sempre più oltre, finché uccisi di nuovo. E poi ancora, e ancora… Con il tempo ci presi gusto. Per la prima volta nella mia vita ero io a scegliere, io a comandare, io e soltanto io. Nel corso dei miei viaggi ho appreso i segreti della Via e raffinato le tecniche; ho conosciuto altri come me: nobili o corrotti, innocenti o colpevoli, vivi o morti. Ma per tutti vale la stessa regola, la stessa religione: la lama silenziosa taglia meglio. Due anni or sono conobbi Ezkar, un mago dalle vesti rosse. Fu lui a convincermi a seguirlo fino a Thay, dove diventammo soci in affari e non impiegammo molto a farci una discreta reputazione. Io mi servivo delle sue conoscenze per procurarmi i “lavori”: affari complicati, politica e quant’altro. Ma una pugnalata dietro la schiena risolveva ogni problema, garantito. Ad essere sincera i maghi non mi sono mai piaciuti. Troppo astuti e pericolosi per potersi fidare di loro… Immaginate, dunque, la mia sorpresa quando Ezkar confessò di amarmi. “Lasciamo stare questa vita. Abbiamo abbastanza soldi da vivere bene per il resto dei nostri giorni. Andiamo via, io e te, e ricominciamo tutto daccapo.” Povero, stolto Ezky. Gli tagliai la gola nel sonno e fuggii con i soldi. La nostra unione era conclusa, eh eh. Forse quei bifolchi dei miei compaesani avevano ragione su di me, forse sono davvero una “strega”. Fatto sta che adesso ho una taglia sulla testa. Ammonta a 3,500 pezzi d’oro, se non sbaglio. Senza la protezione di Ezkar, la nazione di Thay mi considera una pericolosa fuorilegge. Devo trovare un altro mago rosso e guadagnarmi la sua fiducia, se non voglio che la morte venga a bussare alla mia porta anzitempo. Solo allora potrò dormire sonni tranquilli. Credo. La gente mi conosce come Ombra Rossa, ma in qualunque modo vogliano chiamarmi io non devo rispondere ad altri che a me stessa. Dopo tutto chi ha mai detto che sarebbe stato facile? Vivere, intendo.
  5. La lama silenziosa taglia meglio! di Jason R. Forbus “Muovi il culo, sorellina!” “Un’altra pinta di birra a questo tavolo, occhi belli!” Chi ha mai detto che sarebbe stato facile? Vivere, intendo. Quando sei la sguattera di una bettola puzzolente, la vita non è tutta rosa e fiori. Perché scrivere delle mie memorie? Per rammentare a me stessa che ho il cuore dannato? Forse per ritrovarmi in queste pagine, fra qualche anno, e scoprire che i petali della mia vita sono appassiti come la rosa che stringo in pugno. Non fa differenza. Il babbo era morto l’anno prima. Ricordo che una sera tornò dai campi con un febbrone da cavallo e il dottore ci disse che non sarebbe sopravvissuto alla notte. Aveva ragione. La gente se ne infischiò. La vita era già abbastanza dura a causa della carestia e delle tasse del connestabile, perché preoccuparsi della vedova O’Leary e figlia? Gli usurai si portarono via tutto. Anche quei quattro stracci che avevamo addosso. Mi piace pensare che mamma morì di dolore per la scomparsa del babbo, ma la realtà è che quell’inverno fu particolarmente rigido e le pietre del vecchio mulino erano fredde e piene di spifferi come una tomba. Al villaggio i superstiziosi e i maligni cominciarono a mormorare: “È la figlia” dicevano “la giovane O’Leary è una strega. È stata lei a far ammalare i genitori! Avete visto i capelli? Sono rossi come le fiamme dell’inferno. Presto quella strega verrà a prendersi i nostri bambini!” Altre porte si chiusero. Altre teste si voltarono al mio passaggio. Sola e miserabile, lasciai il villaggio a bordo di una carovana diretta a Baldur’s Gate. Lì restai nascosta per due giorni, succhiando il sangue appiccicoso dai ventri squartati dei maiali. Il pasto migliore che avevo da mesi. Non ero mai stata in una città prima di allora. All’età di quindici anni il mondo è un luogo pieno di meraviglie e, malgrado tutti i miei guai, mi sentivo piena di vita. Mi sarei trovata un lavoro, avrei messo su un sacco di soldi e sarei diventata ricchissima… Quando sei una ragazzina di campagna ci credi a certe cose. È sempre la solita storia: in città le strade sono lastricate d’oro e tutto il resto. Ben presto capii che mi sbagliavo. La gente di città era peggio di quella del mio villaggio. Nessuno si curava di una ragazzina sporca e cenciosa, nessuno. Provai dunque ad elemosinare e all’inizio le cose andarono benino. Ma una sera un mendicante, un uomo che reputavo mio amico, mi pestò di botte e si portò via quella moneta d’argento che avevo faticosamente risparmiato… Lo guardai con gli occhi lividi di pugni e di lacrime mentre, in locanda, banchettava con il mio denaro. È così che conobbi l’odio. Stanca, infreddolita e affamata scivolai nella stalla, dove mi adagiai sul fieno. Non riuscii neppure a chiudere gli occhi, però, che sentii afferrarmi da due forti braccia. “E tu chi sei?” Era un ragazzo, poteva avere al massimo un paio di anni in più a me. “E cosa ci fai qui?” “Cerco solo un posto dove passare la notte… ti prego, non picchiarmi!” Solo allora il ragazzo parve accorgersi dei miei lividi. “Chi ti ha fatto questi segni?” Ma io non risposi e scoppiai a piangere. “Non piangere…” e porgendomi uno straccio “… tieni, asciugati quegli occhioni tristi. Io sono Duncan, ma tutti qui mi chiamano Dunk. E tu?” “S-Sarah, Sarah O’Leary.” “Ti andrebbe del latte caldo, Sarah O’Leary?” Annuii entusiasta e Dunk, senza aggiungere una parola, sgusciò via dalla stalla. Pochi minuti dopo era di ritorno con una tazza di latte fumante fra le mani. La tazza di latte mi ricordò giorni più felici, quando il babbo e la mamma erano ancora vivi e allora piansi, piansi moltissimo… Dunk lavorava come garzone alla locanda e confessò che, nella penombra, mi aveva scambiata per un ladro di cavalli. Ricordo che lo trovai molto coraggioso. Fu grazie a lui, comunque, che l’oste accettò di assumermi come sguattera. Il lavoro era terribile. Dovevo sopportare in silenzio le continue allusioni sessuali che gli avventori mi sputavano addosso con quelle loro linguacce da ubriachi… Ma la compagnia di Dunk e la sicurezza di un pasto caldo e di un tetto sopra la testa mi sostenevano anche nei momenti più duri. Con il passare dei mesi, mi affezionai a quel ragazzo forte e di buon cuore che mi aveva tolta dalla strada. Ci eravamo promessi che un giorno avremmo aperto una locanda tutta nostra. Sembra ridicolo, ma era il nostro grande sogno. Già mi vedevo indaffarata ai fornelli, aiutata dai miei ragazzi. Sì, perché in quel sogno c’erano anche i figli, i nostri figli. Ma il destino, si sa, lavora per conto suo e nel mio caso aveva in serbo tutt’altri progetti… Accadde una notte sul tardi: Dunk era uscito a controllare la stalla, mentre il vecchio oste russava già da un pezzo. Era rimasto un solo cliente, quello che doveva essere un marinaio a giudicare dalla pittoresca parlantina con cui aveva fatto le sue ordinazioni. Il marinaio si era scolato molte, troppe pinte di birra e dormiva con la testa appoggiata sul tavolo… la prassi, insomma. Mi avvicinai per svegliarlo ed invitarlo cortesemente alla porta quando l’uomo si destò all’improvviso e, con una rapidità sorprendente, mi stritolò il polso. “Sei davvero un bel pezzo di figliola… ti va di spassartela?” “Mi… mi lasci stare! Devo chiederle di uscire, la locanda sta per chiu…” Non ebbi il tempo di finire che l’uomo estrasse un pugnale e me lo puntò dritto alla gola. “Io non vado da nessuna parte e tu, se ci tieni a quei begli occhioni verdi che hai, farai esattamente come ti dico…” Mi fissava con uno sguardo rosso e umido, uno sguardo da ubriaco. Capii subito che faceva sul serio e preferii obbedire. Il marinaio mi condusse alla porta. La paura mi aveva bloccato… non riuscivo a pensare ad altro che al pugnale, che adesso l’uomo mi teneva puntato dietro la schiena. Ci allontanammo di qualche passo ed io mi davo già per spacciata quando Dunk, sbucato dall’ombra, diede un poderoso strattone al mio assalitore. L’uomo cadde a terra ma, prima che Dunk potesse gettarcisi addosso, si era già rialzato e con una prontezza letale lo feriva al cuore. Forse il marinaio aveva sbagliato mira, forse non voleva colpire per uccidere… Fatto sta che Dunk indietreggiò di qualche passo e, guardandomi con gli occhi sbarrati dallo stupore, balbettò: “M-mi dispiace…” Un attimo prima di accasciarsi al suolo, morto. Quel che accadde dopo lo sa soltanto il diavolo. Ricordo un impeto di rabbia, ricordo di aver raccolto il pugnale che l’assassino aveva lasciato cadere a terra… poi un velo rosso sangue copre ogni cosa… Mi vedo in fuga, con il pugnale stretto saldamente nel pugno e il cuore che mi martellava in petto… quell’ardente sensazione di libertà e l’appagamento di una vendetta compiuta… In quel bagno di sangue mi sentii rinata.
  6. Dopo un lavoro titanico durato un paio di mesi, ecco finalmente l'ambientazione "La Notte Eterna" completata, o quasi... mancano giusto due-tre supplementi, ma l'ambientazione è di per sé giocabilissima anche così. Per quanto riguarda le mappe necessarie inviatemi pure una mail su: travelerinthedark@yahoo.it Provvederò a farvele avere al più presto. Grandi gesta a tutti voi, Renis
  7. Renis

    Manuali e loro scelta

    il libro dellen fosche tenebre è davvero ingiocabile per i pg.. d'altronde lo dice l'introduzione stessa del manuale, utilizzando parole diverse. d'altro canto imprese eroiche è un supporto straordinario per creare pg eroici e, allo stesso tempo, fortissimi. grandi gesta a tutti voi, renis arlan della città degli splendori
  8. *sigh* ma infatti bisogna fare almeno un passo di 1,5 m per utilizzare il talento, credevo si fosse capito. comunque sia, è vero che elfi e mezz'elfi, se cresciuti in comunità elfiche, possiedono l'abilità dal primo livello, ma ciò non significa che soddisfano i requisiti (ovvero i gradi necessari). ebbene sì, un guerriero elfico nato e cresciuto fra la sua gente non avrà imparato a ballare la polka nanica ma tantomeno destreggerà la danza elfica. ciò significa che è giustifica a mettere gradi nell'abilità, se lo desidera, ma per lui rimarrà comunque un'abilità di classen incrociata. detto questo chiudo, almeno da parte mia, la discussione. le vostre argomentazioni non possono che migliorare questo talento che, spero, troverà spazio in qualche campagna lontana. ode allo straniero - egli ha veduto il sole un'ultima volta. grandi gesta a tutti voi, renis
  9. un +3 a CA è piuttosto superfluo rispetto alla possibilità di disintegrare un nemico con 7 spadate - vedi ranger 3.5. inoltre, per come la vedo io, i movimenti della danza elfica non impegnano il pg a tal punto da permettergli di sferrare un solo attacco. il talento è, poi, di per sé equilibrato dato che i requisiti non sono decisamente alla portata di tutti (tanto per cominciare, intrattenere è un'abilità tipica di bardi e ladri e un ranger od un guerriero dovrebbero metterci gradi come abilità di classe incrociata e, quindi, impiegherebbero un bel pò di livelli prima di soddisfare i requisiti per ottenere il talento). detto ciò, rinnovo il mio invito ai DM a gestire il talento con tutta libertà e a propria descrizione. grandi gesta a tutti voi, Renis Arlan
  10. danza elfica è, innanzitutto, un'abilità (che solo gli elfi e i mezz'elfi, grazie all'addestramento marziale ricevuto sin da fanciulli, possono avere dal 1 livello, o almeno io la vedo così). obiettivamente avete ragione a considerare il "movimento equivalente a un passo di 1,5 m" un'incongruenza, ma il talento sarebbe davvero superfluo se, un ranger di 15 livello che possedesse il talento danza elfica e vorrebbe utilizzarlo, dovesse rinunciare al suo straripante attacco completo soltanto per aumentare la propria CA di qualche misero punticino. ndr per quanto riguarda le opzioni "fallimento critico" e altre, quelle sono a discrezione di qualsiasi DM. io ho scritto il talento con l'intenzione di rinfrescare e particolareggiare ancora di più il gioco di D&D e sarei estremamente soddisfatto se voi colleghi DM là fuori utilizzereste danza elfica nelle vostre campagne.. con questo vi auguro di compiere grandi gesta, il vostro umile Renis Arlan, guardia di Waterdeep
  11. danza elfica è un talento che, oltre a distinguervi dai bardi umani, vi permetterà di sfruttare l'agilità del vostro pg per aumentare ulteriormente la CA. grandi gesta a tutti voi, Renis Arlan di Waterdeep
  12. Renis

    Nuovi incantesimi!!!

    grazie mille! un'interpretazione magistrale de l'ultima nota! ma se nn mi sbaglio la propagazione è ad area.. sarò impazzito? grandi gesta a tutti voi!
  13. eccovi alcuni incantesimi divertenti (e allo stesso tempo forti) per rinfrescare il repertorio magico delle vostre campagne. anzi invito chiunque abbia inventato nuovi incantesimi ad inserirli in questo topic. grandi gesta a tutti voi, renis
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