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ectobius

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Punti Esperienza

  1. ectobius

    Il colportore

    La nonna materna era una bizzoca! Frequentatrice di messe e funzioni a tutte l’ore; fedele assidua di sagrestia; presidentessa delle “Dame di S. Vincenzo” (nonostante i poveri la infastidissero); di religiosità non solo tutta esteriore ed esposta!, ma anche vissuta come spazio di potere nel segno di una indiscussa aderenza e conformità alla dottrina della Chiesa cattolica. Uniche leggi per lei, e della sua religiosità, e della sua stessa vita sociale, erano i precetti delle gerarchie ecclesiastiche: in casa sua circolava un solo giornale: “L’OSSERVATORE ROMANO”. Colpa solo sua?, o era stata così impostata, una volta per tutte, per ereditarietà genetica?, poi rafforzata da lunga tradizione familiare piccolo borghese? In queste condizioni avrebbe mai potuto essere di aiuto per una più aperta crescita culturale… e spirituale, delle sue figlie? E mia madre, aveva ereditato, a sua volta, parte del patrimonio genetico, ed era vissuta poi nel regime autoritario dello stretto ambiente sociale (suo padre era una nullità con tratti di amoralità), quindi stessa visione della realtà, e stesso stile di vita della madre (ne aveva ereditato anche la carica di presidentessa delle “Dame di san Vincenzo”). E quanto a cultura… solo, forse, la lettura di qualche romanzetto rosa non all’indice del vaticano. Essere semplice, però, mia madre!: carattere mite e riservato per natura, al contrario della madre arcigna e autoritaria E aveva assorbito, mia madre, gli insegnamenti alla lettera, soprattutto l’obbedienza cieca alle autorità… qualsiasi autorità (anche quella fascista). Comunque la sua religiosità fu sempre meno esposta di quella della madre, e ciò sia per carattere che per i tanti impegni di madre assurda di dieci figli (aveva ricevuto per questo anche il diploma fascista di madre prolifica!), e leggeva solo opuscoli di vite di santi che le forniva mia nonna, e recitava preghiere da qualche libro di orazioni. La BIBBIA!, era libro proibito ai cattolici… all’indice! I figli ormai cresciuti. Tutta la famiglia si è trasferita a Napoli per motivi di studio, in appartamento in affitto. Io avevo una stanza appartata e silenziosa, divisa dall’ingresso da due porte ben isolate dai rumori di casa. Sono lì che studio nel silenzio, quando percepisco, urlato e chiaro: “SIAMO CATTOLICI APOSTOLICI ROMANI!!!”. Segue lo sbattere violento della porta di ingresso, che fa vibrare l’aria dell’intero appartamento, e forse anche le pareti. Esco dalla stanza e nell’ingresso trovo mia madre ritta in piedi che brandisce una scopa… No, forse esagero… forse la scopa no, ma l’atteggiamento è chiaramente aggressivo: le braccia leggermente allargate, i pugni serrati. Mai vista in quello stato di irritazione, che se me lo avessero raccontato non ci avrei creduto. “Cosa succede?”, domando. “VOLEVA VENDERMI LA BIBBIA!!!”, risponde inusualmente decisa. Il tutto prese per me l’aspetto di una caricatura, e infatti risi, e ancora adesso mi diverte il ricordo della scena. Ma, ritornato ai miei libri, non riuscivo più a studiare. Pensavo a quel pover’uomo, il colportore, venditore ambulante di libri sacri porta a porta… a piedi e con un sacco o una cassetta piena di Bibbie, porzioni, commentari, romanzetti edificanti, “evangelini”, racconti di vita cristiana (venduti tre a un soldo), almanacchi… porta a porta… e le porte gli venivano regolarmente e violentemente sbattute in faccia. Ho lasciato tutto e, correndo, ho sceso le scale; ho ispezionato la strada, sempre in corsa nei due sensi; non l’ho incontrato, il colportore, ché gli avrei comprato la Bibbia, la più bella… la più costosa… la più pesante! E per quel giorno poi non ho più studiato. Però, questa dell’nseguimento, non è la verità!, fu solo un meditato proposito. Non l’ho inseguito, il colportore… e invece avrei dovuto… avrei dovuto inseguirlo, il colportore, e acquistarla, la Bibbia, da leggere poi ad alta voce a mia madre e soprattutto a mia nonna… ogni giorno ad alta voce!
  2. ectobius

    Omicidio colposo

    Un foglio bianco ondeggia nell’aria Lento scivola su scale aeree… oscilla sui gradini, uno di qua uno di là, e va a riposare su un costato martoriato. Si macchia… di rosso sangue. L’autobus è fermo, vuoto di passeggeri. Proveniva dal deposito diretto al capolinea. Il conducente è sceso e se ne sta ritto immobile nell’incerta luce dell’alba resa più livida dalla poca neve sporca caduta nella notte. Ha gli occhi sbarrati, fissi al portone dell’elegante condominio dal cui balcone centrale pende un nastro bianco di lenzuola annodate oscillante pigro sull’uscio chiuso mosso dalla lieve fredda brezza: pendolo di un tempo sospeso. Un ladro?… in fuga?… Impossibile!… Una improvvisa minaccia? Più in là una donna stretta in un lungo logoro pastrano della Caritas che le copre in parte anche le scarpe logore Lineamenti inespressivi, fermi… occhi che un giorno, si intuisce, furono splendenti di bellezza Il volto pallido e magro come succhiato dall’amarezza… sempre presenti queste vecchie bellezze, disunite e logore, sui luoghi del dolore. A qualsiasi ora, come cose abbandonate. Anche un uomo laggiù. Presenza insignificante. E ancora un figurante che cerca il pulsante della portineria: lo preme, infine, mentre scosta con l’altra mano il cordone di lenzuola bianche svolazzanti sul suo viso. Nessun altro sul palcoscenico, se si escludono il conducente dell’autobus e il morto foglio insanguinato. La portinaia affaccia al portone. Lo conosceva appena l’inquilino fuggiasco del primo piano che ha interrotto laggiù la sua pazza corsa, in ciabatte nella neve. Era ingegnere! “Assurdo… e poi a quest’ora!… un signore normale… serio tranquillo educato… Salutava sempre!”. È rientrata in portineria, la portinaia grassa, per telefonare alla polizia. Si fanno avanti sulla scena tre uomini infreddoliti. Uno con una borsa logora in similpelle da impiegato del catasto, apatico come fosse al suo sportello: mostra spudoratamente la sua deformazione professionale di impiegato modello allo sportello che non deve mai lasciare spazio a emozioni, turbamenti, incazzature. Solo l’impassibile professionalità di una macchina! Gli altri due hanno borse da supermercato: bianche di plastica… borsine gonfie per la pausa pranzo. Sono molto concentrati i tre ed hanno fretta d’andare a timbrare. Della breve sosta non vogliono lasciarsi sfuggire nessun particolare. Vogliono guardare da vicino l’insolito cadavere sui quaranta quarantacinque, che giace di traverso sulla strada, il volto pallidissimo e intatto, il costato schiacciato. Indossa un accappatoio di buona qualità; una ciabatta di pelle è lontana come un’orma scura nella neve; l’altra ciabatta gli è accanto; i piedi lividi. Pur in queste condizioni si intuisce che appartiene ad una razza sconosciuta ai tre passanti, e avrà certamente avuto un buon motivo per morire. Questo pensano. Un motivo che quelli della propria razza nemmeno si sognano quando cadono da un’impalcatura, senza lenzuola e senza il tempo di un pensiero. La borsina di plastica della pausa pranzo abbandonata nella polvere contiene pane, frittata di maccheroni avanzati dal giorno prima… vino, per il rito celebrato in solitudine nell’ora della pausa: un pezzo di pane a me e uno a te; una fetta di frittata di maccheroni avanzati a te… uno a me: “Mangiate, questo è il mio corpo!”. Un sorso di vino a te… e uno a me: “Bevete, questo è il mio sangue!”. E Amen! “Ite Pausa Est!”. Si affrettano all’impalcatura. E questo qui? Non ha da donare né corpo né sangue Non a chi donarli. Morte immotivata! Una morte tutta sua, senza un colpevole! Avrà avuto tempo per pensare… a lungo e profondo, e nessuno la raccoglierà questa morte. Solo, col petto schiacciato. Solo e privo di vita. Se ne impossesseranno del suo corpo, ma non lo mangeranno Lo squarteranno per scoprire la causa della morte Bisogna sempre scoprirla, anche quando c’è evidenza. Interessante! Rottura dell’arteria aorta… Stop! Uno degli operai si è fermato ancora un attimo ad accendersi una sigaretta. Ha ripreso la borsina col suo pranzo che aveva momentaneamente posata in terra, e si è avviato frettoloso verso le ciminiere della fabbrica laggiù. È in arrivo l’auto della polizia lampeggiante con sirena dal viale deserto. Stridono i freni. Sono in quattro. tre in divisa; uno in abito borghese, il commissario. “Spenga quel maledetto motore… Non sente che puzzo?”, ha gridato, il commissario E tossisce con violenza e sputa in un fazzoletto. Raccoglie dal costato il foglio di carta senza alcun segno di scrittura Lo esamina, è solo scritto di rosso sangue. “Coprite questo disgraziato!”. Agita con gesto eloquente il foglio, poi, spazientito, fa il gesto come a pulirsene il ****. “È senza importanza!… lo metta comunque agli atti! E chiami l’autorità giudiziaria.” Poi, rivolto al conducente dell’autobus che è… come dire?… sotto shock! “Lei si fermi qui… non si allontani!” “Io sono innocente!” “Aspetti a dirlo! Un uomo è morto!… e non si muore mai senza colpe!”. “Ma…” “Taccia… le conviene! In fragranza di reato potrei arrestarla… quantomeno per omicidio colposo!… Per ora sarà trattenuto!… Sotto inchiesta!… Cominci comunque a pensare ad un avvocato…”. L’autorità giudiziaria tarda ad arrivare. Il traffico di auto mortifere piene di fumo si infittisce Rallenta per dar tempo ai trasportati di vedere la sagoma del morto sotto il lenzuolo. Chiusi negli abitacoli si affannano a pulire con le mani i vetri appannati Occhi assonnati lacrimosi nel fumo… sfatti. E finalmente arriva, l’autorità giudiziaria E c’è già un traffico intenso, e l’aria è densa oleosa e fa tossire il commissario… un tossire che si accentua alla vista del giudice, un omino piccolo, occhialini rotondi con montatura in oro, borioso e di malumore per l’ora inopportuna. “Scelgono sempre le ore meno comode!… ‘sti disgraziati!”. Ha guardato il morto Poi lo sguardo è andato al portone. Le lenzuola! Ha considerato i disegni in gesso sull’asfalto. L’autobus! Ha capito tutto in un attimo ed ha concluso: “Certo che se questo stronzo… se quest’autobus fosse arrivato con un minuto di anticipo o meglio di ritardo…”. Ha firmato alcune carte… fumando lì in piedi. Il commissario tossisce ché il fumo della sigaretta dell’autorità lo insegue… come sempre. A supporto della penna d’oro dell’autorità viene utilizzata la borsa del cancelliere: un ometto modesto sempre un passo indietro. “Mi permetto di farle osservare…rispettosamente s’intende…che l’incidentato fuggiva… Era forse minacciato… ”, gli viene impedito con un gesto brusco di continuare. “È solo uno squilibrato uno che fugge così!… Beh, cosa aspettate a sgomberare?” E se ne va! Il commissario è colto da un accesso di tosse violento dal timbro quasi asmatico. Sussurra: “Coglione!”. Il carro dell’obitorio è già arrivato. Messo in un sacco nero della spazzatura… lenzuolo e tutto… e via! Via anche l’autista dell’autobus con l’auto della polizia. Via l’autobus con conducente di ricambio. Lo spettacolo è finito! Resta solo il festone delle lenzuola annodate come una decorazione. E traffico bestiale. Il commissario e due agenti si avviano verso il condominio La portinaia chiede rude che venga eliminato quello sconcio in fretta… le lenzuola penzolanti annodate al balcone: “È un condominio rispettabile questo Tutte persone a modo Rispettate e con un lavoro onesto… di prestigio… medici… ingegneri… Famiglie serene… Nessun drogato!” Il festone della fuga naturalmente è un marchio ingiusto! Intollerabile Il commissario ne conviene. “Protrarremo al minimo il disagio… Certamente!… Colpevole… Indegno!… Ma io voglio scoprirlo l’altarino… Ah! Se lo scoprirò… Succedono di quelle cose nei quartieri alti!… Ci indichi l’appartamento di ‘sto disgraziato!”. La porta dell’appartamento è chiusa Una porta di ottima fattura Lucida, e senza un graffio Uno dei poliziotti propone di forzarla. Il commissario. “Coglione!… una bella porta così!... Il balcone è aperto, entreremo per di là!”. Tenta di arrampicarsi alle lenzuola, il commissario… Non ce la fa!… Tossisce furiosamente. “Se non fosse per questa dannata asma…” L’insuccesso lo ha molto contrariato E tossisce ancora… Il timbro è asmatico. Fallisce miseramente anche il tentativo, a turno, degli agli altri due, per quanto più giovani del commissario… e senza asma. Si rincuora il commissario e comanda. Il tono è rude, come di chi ha riacquistato l’autorità messa inopinatamente a rischio da un’impresa impossibile alla sua età… in sovrappeso e con asma. Ce le ha tutte le scuse buone! “Telefoni ai pompieri!… Presto!” L’appartamento è un monolocale, ed è in ordine. Solo il letto è disfatto; la porta di ingresso è chiusa a chiave ed ha inserito il dispositivo di sicurezza, ma all’occhio esperto del commissario non sfugge una porticina camuffata, nascosta dietro un cassettone. “Spostate quel cassettone!”. Oltre la porticina una scaletta ripida e buia. Una ventata di aria umida e ammuffita fa tossire violentemente il commissario. “Con prudenza… CRAaK! CRAaK!, ‘sta tosse accidenti!… scendiamo con prudenza a controllare… CRAaK! CRAaK!, ‘sta tosse, accidenti!... ché qui potrebbe esserci la chiave di tutto”. È la cantina! Che puzza laggiù: carta igienica, spesso anche imbrattata… una bambola mostra la paglia dalla pancia sventrata ed è guercia da un occhio. L’orbita vuota è un buco nero con un fondo di nulla… anche qualche topo in fuga… dei topi sono entrati nell’orbita e rodono… rodono… compiono un lavoro profondo… anelli di una catena sul pavimento, inerti. Uno specchio! Spolverato e splendente e lucidato con cura di recente. È infranto a stella al centro come da una martellata e manda lampi della follia. “Che schifo!”, e tossisce in modo preoccupante, il commissario. Poi pensieroso, con un filo di voce: “… che schifo!... ho le spalle piene di brividi… presto, risaliamo… qui non c’è che merda… Ma questo specchio?...”. Si riprende lentamente il commissario: “Ecco!… L’avevo sospettato!... E’ evidente!… qualcuno lo minacciava… si è barricato, si è specchiato ed è fuggito… Si complica la faccenda… Altro che rispettabili!… Questi sporcaccioni!… Dal pianerottolo le minacce?... dalla cantina?... i topi… lo specchio! Ah, se non ci fosse stato quel maledetto autobus… proprio in quel momento… a complicare l’indagine!… Ma scoprirò lo stesso lo sporco intrigo… a costo di installarmi qui… notte e giorno… non può aver ragione quel giudice coglione”. A questo pensiero riprende a tossire. Rimettono il cassettone contro la porticina, chiudono il balcone e pongono i sigilli. Aprono la porta con la chiave che era nella toppa. Escono sul pianerottolo… chiudono a chiave e pongono i sigilli. Il processo al conducente dell’autobus viene celebrato con rito abbreviato. Ha riconosciuto la colpa e si affida alla clemenza della corte. L’accusa ha brevemente esposto i fatti. “È appurato da scrupolosi calcoli che l’autobus è transitato sulla scena del delitto con ben un minuto di anticipo rispetto all’orario previsto… chiaro quindi che se fosse transitato in orario giusto non ci sarebbe stato l’omicidio… Chiaro anche che per arrivare in anticipo sono stati superati i limiti di velocità, ma forse non c’è stata volontarietà… forse… ma colpa sì!... Omicidio colposo: Imprudenza Imperizia Negligenza”. Scroscia un applauso dal pubblico. Prima che la difesa prenda la parola, il Presidente invita l’avvocato ad essere conciso: “… Guardi il mucchio di pratiche… etcetera!”. “Signor Presidente, mi rendo conto di approfittare del suo tempo prezioso, ma nell’interesse del mio assistito dovrò essere preciso… fino allo scrupolo. Mi perdoni e non si spazientisca! Mi occorre un minimo di tempo… Parto direttamente dal nocciolo!… Se il mio cliente fosse giunto sul posto con qualche attimo di ritardo, le conseguenze sarebbero state ben più gravi, e, invece che il costato, sarebbero stati ridotto in poltiglia gli arti inferiori con esito probabilmente ugualmente letale, ma tra grandi sofferenze… o peggio avremmo avuto un invalido in carrozzella da mantenere per una vita… e non consideriamo le spese ospedaliere!… Che se poi il ritardo fosse stato appena più lungo, ci avrebbero pensato le ruote posteriori dell’autobus piuttosto che quelle anteriori!… Tutto evidenzia una fatalità… una necessità!”. Il Presidente mena colpi terrificanti sulla cattedra col suo martello, ché dal pubblico si è levato un mormorio di disapprovazione… il pubblico esige un colpevole e una pena esemplare! Il giudice presidente non si lascia comunque influenzare ed emette il suo verdetto. Rivolgendosi all’avvocato della difesa “Apprezzo le sue considerazioni, ma ritengo ad ogni modo il suo cliente colpevole di omicidio colposo, per quanto con attenuanti generiche… In nome, etcetera etcetera… si condanna l’imputato all’ammenda massima per l’eccesso di velocità ed alla sospensione della patente per mesi due. La condanna tiene conto delle agevolazioni derivanti dal rito abbreviato… Il caso è concluso!”. Il pubblico rumoreggia… il Presidente mena colpi col martello. Crucifige! Crucifige! “Chi è senza peccato scagli la prima pietra!… Il caso è concluso!…Faccia sgomberare l’aula!”.
  3. ectobius

    Omicidio colposo

    Un foglio bianco ondeggia nell’aria Lento scivola su una scala aerea… oscilla come su gradini Uno di qua uno di là, e va a posarsi su un costato martoriato. Si macchia… di rosso sangue. L’autobus è fermo, vuoto di passeggeri: proveniva dal deposito diretto al capolinea. Il conducente è sceso e se ne sta ritto immobile nell’incerta luce dell’alba resa più livida dalla poca neve sporca caduta nella notte Gli occhi sbarrati fissi al portone dell’elegante condominio dal cui balcone centrale pende un nastro bianco di lenzuola annodate che oscilla pigro sull’uscio chiuso appena mosso dalla lieve fredda brezza Pendolo di un tempo sospeso. Un ladro?… in fuga?… Impossibile!… Una improvvisa minaccia? Più in là una donna stretta in un lungo logoro pastrano della Caritas Lineamenti inespressivi, fermi, che un giorno furono splendenti di bellezza Il volto pallido e magro come succhiato dall’amarezza. Le trovi sempre presenti queste vecchie bellezze, disunite e logore, sui luoghi del dolore. A qualsiasi ora Cose abbandonate. E anche, tra le presenze insignificanti, un uomo laggiù! Il figurante che cerca il pulsante della portineria. Lo preme, infine, mentre scosta con l’altra mano il cordone di lenzuola bianche svolazzanti sul suo viso. Nessun altro sul palcoscenico, oltre il morto foglio svolazzante e il conducente dell’autobus. La portinaia si è affacciata al portone. Lo conosceva appena, l’inquilino fuggiasco del primo piano che ha interrotto laggiù la sua pazza corsa in ciabatte nella neve. Era ingegnere! “Assurdo… e poi a quest’ora!… Un signore normale… Serio tranquillo educato… Salutava sempre!”. È rientrata in portineria, la portinaia grassa, per telefonare alla polizia. Si fanno avanti sulla scena tre uomini infreddoliti. Uno con una borsa logora in similpelle da impiegato del catasto, apatico come fosse al suo sportello: deformazione professionale, ché un impiegato modello di uno sportello che si rispetti non deve lasciare spazio a emozioni, turbamenti, incazzature. Solo l’impassibile professionalità di una macchina impiegatizia! Gli altri due hanno borse da supermercato, bianche di plastica. Borsine! Gonfie della pausa pranzo. Sono molto concentrati i tre. Hanno fretta d’andare a timbrare, ma della breve sosta non vogliono lasciarsi sfuggire nessun particolare. Vogliono guardare da vicino l’insolito cadavere, sui quaranta quarantacinque, che giace di traverso sulla strada Il volto pallidissimo e intatto Il costato schiacciato. Indossa un accappatoio di buona qualità; una ciabatta di pelle è lontana come un’orma nella neve; l’altra ciabatta gli è accanto; i piedi lividi. Pur in queste condizioni si intuisce che appartiene ad una razza sconosciuta a quei tre, e avrà certamente avuto un buon motivo per morire. Questo pensano. Un motivo che quelli della propria razza nemmeno si sognano quando cadono da un’impalcatura, senza lenzuola e senza il tempo di un pensiero Abbandonata nella polvere la borsina di plastica della pausa pranzo che contiene pane, frittata di maccheroni avanzati dal giorno prima… vino, per il rito celebrato in solitudine nell’ora della pausa: un pezzo di pane a me e uno a te; una fetta di frittata di maccheroni avanzati a te… uno a me… “Mangiate, questo è il mio corpo!”. Un sorso di vino a te… e uno a me. “Bevete, questo è il mio sangue!”. E Amen! “Ite Pausa Est!”… e si affrettano all’impalcatura. E questo qui? Non ha da donare né corpo né sangue Non a chi donarli. La sua morte è immotivata! Avrà avuto tempo per pensare… a lungo e profondo… una morte tutta sua, senza un colpevole! Nessuno la raccoglierà questa morte. Solo, col petto schiacciato. Solo e privo di vita. Se ne impossesseranno del suo corpo, ma non lo mangeranno Lo squarteranno per scoprire la causa della morte… bisogna sempre scoprirla, anche quando c’è evidenza. Interessante! Rottura dell’arteria aorta… Stop! È in arrivo l’auto della polizia lampeggiante con sirena dal viale deserto. Stridono i freni. Sono in quattro; tre in divisa; uno in abito borghese, il commissario. “Spenga quel maledetto motore… Non sente che puzzo?”, ha gridato, il commissario E tossisce con violenza e sputa in un fazzoletto. Raccoglie dal costato ed esamina il foglio di carta senza alcun segno di scrittura Scritto di rosso sangue. “Coprite questo disgraziato!”. Lo agita eloquente, il foglio… spazientito fa il gesto come a pulirsene il ****. “È senza importanza!… lo metta comunque agli atti! E chiami l’autorità giudiziaria.” Poi, rivolto al conducente dell’autobus che è… come dire?… sotto shock! “Lei si fermi qui… non si allontani!” “Io sono innocente!” “Aspetti a dirlo! Un uomo è morto!… e non si muore mai senza colpe!”. “Ma…” “Taccia… le conviene! In fragranza di reato potrei arrestarla… quantomeno per omicidio colposo!… Per ora sarà trattenuto!… Sotto inchiesta!… Cominci comunque a pensare ad un avvocato…”. L’autorità giudiziaria tarda ad arrivare. Il traffico si infittisce e rallenta per dar tempo ai trasportati delle auto mortifere, piene di fumo, di vedere la sagoma del morto sotto il lenzuolo. Chiusi negli abitacoli si affannano a pulire con le mani i vetri appannati Occhi assonnati lacrimosi nel fumo Sfatti. E finalmente arriva, l’autorità giudiziaria E c’è già un traffico intenso e l’aria è densa oleosa e fa tossire il commissario… e la tosse si accentua alla vista di quest’omino piccolo, occhialini rotondi con montatura in oro, borioso e di malumore per l’ora inopportuna. “Scelgono sempre le ore meno comode!… ‘sti disgraziati!”. Ha guardato il morto Poi lo sguardo è andato al portone. Le lenzuola! Ha considerato i disegni in gesso sull’asfalto. L’autobus! Ha capito tutto in un attimo ed ha concluso. “Certo che se questo stronzo… se quest’autobus fosse arrivato con un minuto di anticipo o meglio di ritardo…”. Ha firmato alcune carte… fumando lì in piedi. Il commissario tossisce ché il fumo della sigaretta dell’autorità lo insegue… come sempre. A supporto della penna d’oro dell’autorità viene utilizzata la borsa del cancelliere Un ometto modesto sempre un passo indietro. “Mi permetto di farle osservare…rispettosamente s’intende…che l’incidentato fuggiva… Era forse minacciato… ”, gli viene impedito con un gesto brusco di continuare. “È solo uno squilibrato uno che fugge così!… Beh, cosa aspettate a sgomberare?” E se ne va! Il commissario è colto da un accesso di tosse violento dal timbro quasi asmatico. Sussurra: “Coglione!”. Il carro dell’obitorio è già arrivato. Messo in un sacco nero della spazzatura… lenzuolo e tutto… e via! Via anche l’autista dell’autobus con l’auto della polizia. Via l’autobus con conducente di ricambio. Lo spettacolo è finito! Resta solo il festone delle lenzuola annodate come una decorazione. E traffico bestiale. Il commissario e due agenti si avviano verso il condominio La portinaia chiede rude che venga eliminato quello sconcio in fretta… le lenzuola penzolanti annodate al balcone. “È un condominio rispettabile questo Tutte persone a modo Rispettate e con un lavoro onesto… di prestigio… medici… ingegneri… Famiglie serene… Nessun drogato!” E il festone della fuga è marchio ingiusto! Intollerabile Il commissario ne conviene. “Protrarremo al minimo il disagio… Certamente!… Colpevole… Indegno!… Ma io voglio scoprirlo l’altarino… Ah! Se lo scoprirò… Succedono di quelle cose nei quartieri alti!… Ci indichi l’appartamento di ‘sto disgraziato!”. La porta dell’appartamento è chiusa Una porta di ottima fattura Lucida, e senza un graffio Uno dei poliziotti propone di forzarla. Il commissario. “Coglione!… una bella porta così!... Il balcone è aperto, entreremo per di là!”. Tenta di arrampicarsi alle lenzuola, il commissario… Non ce la fa!… Tossisce furiosamente. “Se non fosse per questa dannata asma…” L’insuccesso lo ha molto contrariato E tossisce ancora… Il timbro è asmatico. Fallisce miseramente anche il tentativo, a turno, degli agli altri due, per quanto più giovani del commissario… e senza asma. Si rincuora il commissario e comanda. Il tono è rude, come di chi ha riacquistato l’autorità messa inopinatamente a rischio da un’impresa impossibile alla sua età, in sovrappeso e con asma. Ce le ha tutte le scuse buone! “Telefoni ai pompieri!… Presto!” L’appartamento è un monolocale, ed è in ordine. Solo il letto è disfatto; la porta di ingresso è chiusa a chiave ed ha inserito il dispositivo di sicurezza, ma all’occhio esperto del commissario non sfugge una porticina camuffata, nascosta dietro un cassettone. “Spostate quel cassettone!”. Oltre la porticina una scaletta ripida e buia. Una ventata di aria umida e ammuffita fa tossire violentemente il commissario. “Con prudenza… CRAaK! CRAaK!, ‘sta tosse accidenti!… scendiamo con prudenza a controllare… CRAaK! CRAaK!, ‘sta tosse, accidenti!... chè qui potrebbe esserci la chiave di tutto”. È la cantina! Che puzza laggiù: carta igienica, spesso anche imbrattata… una bambola che mostra la paglia dalla pancia sventrata, guercia da un occhio e l’orbita vuota è un buco nero con un fondo di nulla… anche qualche topo in fuga… dei topi sono entrati nell’orbita e rodono… rodono… compiono un lavoro profondo… anelli di una catena sul pavimento, inerti… uno specchio infranto manda lampi della follia… “Che schifo!”, e tossisce in modo preoccupante, il commissario. Poi pensieroso, con un filo di voce: “… che schifo!... ho le spalle piene di brividi… presto, risaliamo… qui c’è la merda…”. Si riprende lentamente il commissario: “Ecco!… L’avevo sospettato!... E’ evidente!… qualcuno lo minacciava… si è barricato ed è fuggito… si complica la faccenda… Altro che rispettabili!… Questi sporcaccioni!… Dal pianerottolo le minacce?... dalla cantina?... i topi… ah, se non ci fosse stato quel maledetto autobus… proprio in quel momento… a complicare l’indagine!… Ma scoprirò lo stesso lo sporco intrigo… a costo di installarmi qui… notte e giorno… non può aver ragione quel giudice coglione”. A questo pensiero riprende a tossire. Rimettono il cassettone contro la porticina, chiudono il balcone e pongono i sigilli. Aprono la porta con la chiave che era nella toppa. Escono sul pianerottolo… chiudono a chiave e pongono i sigilli. Il processo al conducente dell’autobus viene celebrato con rito abbreviato. Ha riconosciuto la colpa e si affida alla clemenza della corte. L’accusa ha brevemente esposto i fatti. “È appurato da scrupolosi calcoli che l’autobus è transitato sulla scena del delitto con ben un minuto di anticipo rispetto all’orario previsto… chiaro quindi che se fosse transitato in orario giusto non ci sarebbe stato l’omicidio… Chiaro anche che per arrivare in anticipo sono stati superati i limiti di velocità, ma forse non c’è stata volontarietà… Forse… ma colpa sì!: Imprudenza Imperizia Negligenza… omicidio colposo!”. Scroscia un applauso dal pubblico. Prima che la difesa prenda la parola, il Presidente invita l’avvocato ad essere conciso: “… Guardi il mucchio di pratiche… etcetera!”. “Signor Presidente, mi rendo conto di approfittare del suo tempo prezioso, ma nell’interesse del mio assistito dovrò essere preciso… fino allo scrupolo. Mi perdoni e non si spazientisca! Mi occorre un minimo di tempo… Parto direttamente dal nocciolo!… Se il mio cliente fosse giunto sul posto con qualche attimo di ritardo, le conseguenze sarebbero state ben più gravi, e, invece che il costato, sarebbero stati ridotto in poltiglia gli arti inferiori con esito probabilmente ugualmente letale, ma tra grandi sofferenze… o peggio avremmo avuto un invalido in carrozzella da mantenere per una vita… e non consideriamo le spese ospedaliere!… Che se poi il ritardo fosse stato appena più lungo, ci avrebbero pensato le ruote posteriori dell’autobus piuttosto che quelle anteriori!… Tutto evidenzia una fatalità… una necessità!”. Il Presidente mena colpi terrificanti sulla cattedra col suo martello, ché dal pubblico si è levato un mormorio di disapprovazione… il pubblico esige un colpevole e una pena esemplare! Il giudice presidente non si lascia comunque influenzare ed emette il suo verdetto. Rivolgendosi all’avvocato della difesa “Apprezzo le sue considerazioni, ma ritengo ad ogni modo il suo cliente colpevole di omicidio colposo, per quanto con attenuanti generiche… In nome, etcetera etcetera… si condanna l’imputato all’ammenda massima per l’eccesso di velocità ed alla sospensione della patente per mesi due. La condanna tiene conto delle agevolazioni derivanti dal rito abbreviato… Il caso è concluso!”. Il pubblico rumoreggia… il Presidente mena colpi col martello. Crucifige! Crucifige! “Chi è senza peccato scagli la prima pietra!… Il caso è concluso!…Faccia sgomberare l’aula!”.
  4. ectobius

    Funambolo

    Andava!…andava… comunque. Nell’incubo andava! La sua ombra lo precedeva Concreta E precedendolo di un buon tratto, la sua ombra lo attirava con forza ed era andata a sbucare in una piazza nuda estesa Chiusa, senza interruzioni percepibili al primo sguardo sulla palizzata calcinata di lapidi grattacieli. E non riconosceva più, girando lo sguardo a ritroso, nemmeno lo stretto varco di strada dal quale era sbucato. Stanco di guardarsi attorno si sedette rassegnato sulla panchina, l’unica nella grande piazza E guardava in alto in cerca d’un cielo assente. Solo una lunghissima corda, scorse Tesa sul vuoto della piazza da due opposti edifici Altissima Lontana… sul vuoto. E un funambolo lento si inoltrava sul sottilissimo percorso… senza acrobazie... triste!... e senza pubblico. Avrà una meta?… Laggiù! E cosa c’era laggiù? Forse un pubblico?... Forse un applauso? Improbabili! Ma l’aveva incuriosito questo viaggio senza senso su una corda Intrapreso né per lo spettacolo, né per un applauso. Che l’unica giustificazione fosse l’approdo in un luogo? Si levò dalla panchina e si diresse all’alto edificio alla cui sommità si agganciava il terminale della corda sospesa nel vuoto. L’ingresso all’edificio era stretto… quasi un pertugio Ma dava su una normale scalinata di condominio. Prese a salirla con impeto, la scalinata, saltellando sulle punte dei piedi Ma non si raggiungevano pianerottoli per una sosta. Dovette sedersi sulle scale ansimando, e riprese la salita con meno foga poggiando sui gradini tutta la pianta dei piedi, ora. Non si aprivano porte su quelle scale immerse in una luminescenza grigia, interrotta solo di quando in quando da brevi lampi… lampadine sul limite dell’esaurimento! Ma udiva un mormorio, un brusio ininterrotto proveniente da punti indefiniti Arrivava da ogni lato questo bisbigliare che talvolta si faceva riso sardonico fino al gemito. Poi la scala si biforcò in bivio… A destra o a sinistra?… scelse la sinistra e incontrò altre biforcazioni Ad ogni bivio prendeva a sinistra. Inopinatamente, la scalinata prese a scendere, poi risalì ed ancora discese in larghe curve Infine era un labirinto da percorrere Trascorrere. Trapassava dal passo ciabattante in salita, al trotto lungo le scale in discesa A tratti si piegava per la fatica, ed a tratti quasi strisciava, ché la rampa si infilava a scorrere in cunicoli. Era esausto ma doveva andare… come avesse sottoscritto un impegno. I piedi erano gonfi e non tolleravano le scarpe Le tolse, le scarpe, e riprese a trascorrere quel labirinto di scale che ancora saliva, scendeva, si ingrottava Procedette per inerzia! I piedi piagati. Dalle piaghe fuoriusciva abbondante il pus. La pelle grinzosa disidratata La barba e i capelli lunghi E qualcosa vi aveva colonizzato tra i capelli e la barba. Era il barbone! Sbucò infine, dopo aver salito e sceso molte scale, in un pianerottolo e non c’erano più scale per proseguire il viaggio. C’era la porta di un ascensore! Premette il pulsante di chiamata e, dopo un tempo lungo di attesa, inerte lunga angosciosa, la cabina fu presente. Anche qui un solo pulsante… Non c’erano scelte!… Lo sfiorò appena, ed in un attimo era arrivato Una luce chiarissima Trasparente Abbagliante da non potere definire i confini dello spazio… se spazio era… Non c’erano confini né di pareti, né d’altro tipo… chessò… una barriera di alberi… un non confine vago di un prato con acque limpide... magari fiorito. Era un non luogo, invece. Senza colori Il non luogo della negazione dei colori! Una colonna sosteneva un grosso cavo di acciaio che andava a perdersi nel vuoto. Cercò di far penetrare lo sguardo per scorgervi il funambolo Non vide nulla nella luce chiarissima. Che fosse già giunto? Ma c’era niente intorno… Niente! Nemmeno un’ombra. Difficile descrivere la sensazione affatto nuova nel non luogo senza ombre né colori. Anche la sua ombra era perduta. Ebbe il tempo di pensare che non si sarebbe potuta concludere che così come si stava concludendo la sua avventura avendo accettato di trascorrere nel labirinto Il labirinto che non è possibile eludere, ingannare, sfuggire… il labirinto che tutto accoglie e fonde. E si concluse infatti... in perdurante mistero!
  5. ectobius

    Z' Rafaèl'

    “…Il tempo ci porta fin dove si inventa una memoria…” La vianova! Era la strada sterrata che sobbalzava dal paese in collina fino alla piana del Tavoliere… polverosa cosparsa di sterco di cavallo e sassi d’ogni dimensione Nei tratti più prossimi al paese affollata di animali… cani gatti porci cavalli asini muli galline tacchini oche pulcini con chiocce…Talvolta serpentelli innocui regolarmente classificati quali vipere e valorosamente schiacciati da scarpe chiodate. Coloro, pochi, che possedevano un’automobile, si equipaggiavano convenientemente prima di intraprendere la traversata sulla vianova: spolverini lunghi fino alle caviglie, copricapo in pelle da pilota anni venti, occhiali da motociclista… Chi li avesse visti toccare il suolo terrestre dopo un viaggio anche breve, magari all’imbrunire, si trovava faccia a faccia con una comitiva carnevalesca di fantasmi d’altri pianeti Borotalcati e con qualche imbarazzante traccia di materiale organico, vomitato sugli spolverini… Visi pallidissimi, occhiaie profonde e violacee Effetti della frenetica danza tra e sulle buche della vianova sfasciacarrozze. Tra due tratti quasi paralleli di vianova, uniti da un largo tornante in discesa, sorgeva il palazzo di don Vincenzo e subito più in basso, fino alla curva “ sott’a l’ulm’ ”, si estendeva il vasto oliveto di proprietà dello stesso don Vincenzo. L’olmo alla curva non c’era più!… Doveva essere stato un albero maestoso per aver lasciato traccia del suo essere stato: frescura al viandante, ombrosa casa di uccelli e cicale, da provar turbamento al pensiero della sua secolare età recisa. Don Vincenzo aveva un grande amore per i fiori e considerava l’oliveto più un giardino che un luogo di produzione agricola… e si riforniva di bulbi e semi dalla ditta Sgaravatti o fin direttamente dall’Olanda. E l’oliveto era affidato ad un vecchietto, z’ Rafaèl’, che proveniva da chissà quale altro paese… Piccolo e tanto vecchio, z’ Rafaèl’, che a mala pena poteva badare esclusivamente ai fiori Così che di olio se ne produceva poco e di cattiva qualità… Ed anche il giardino, invero, era un po’ arruffato, ma con rovi di rose perfettamente potati e privi di parassiti. E z’ Rafaele, oltre che piccolo e vecchio, era anche così povero che don Vincenzo non se la sentiva di mandarlo via… Sì!… Si, avrebbe potuto solo mandarlo via! Non era infatti possibile procedere a licenziamento poiché z’ Rafaèl’ non percepiva un regolare salario Era quasi un ospite! Viveva miseramente e ci chiedeva sempre delle pezze “ come sonza sonz’ ”, nel suo linguaggio di chissà quale paese perduto E le pezze servivano a rattoppare i suoi indumenti che doveva aver riparati tante di quelle volte che ora dei suoi pantaloni non era più possibile riconoscere la stoffa originaria, né per qualità, né per colore. Era “evangelista”, z’ Rafaèl’. Io non capivo cosa significasse essere evangelisti e forse nemmeno a lui doveva essere molto chiaro il concetto, ma non andava in chiesa. Leggeva la Bibbia e officiava messe solitarie nella casetta degli attrezzi. In un qualche modo... a modo suo, z’ Rafaèl’ dava scandalo... che si trattasse di una sua silenziosa, dignitosa protesta? E un giorno arrivò un suo parente, chissà da dove. Nessuno aveva mai pensato che potesse avere parenti o, quanto meno, parenti che si ricordassero di lui. E il parente invece c’era e se lo portò via con sé, con tutto il suo avere che ci stette largo in una bisaccia. In più, fuori bisaccia, portava via un ombrello e tre polli legati alle zampe… il quarto dei suoi quattro polli era stato sacrificato per festeggiare l’avvenimento. Si allontanavano a piedi verso la stazione ferroviaria galleggiando sulla vianova Miraggio vibrante di luce calore e polvere sotto uno sguardo velato di commozione. Anche z’ Rafaèl’ è passato su questo mondo. Posso testimoniarlo! Ho bevuto acqua fresca dalla sua “cecina” … e qualcosa ho bevuto anche da lui.
  6. ectobius

    In treno

    Vanno verso casa Rocco e Pasquale La squallida stanza in affitto oltre la ferrovia. Si conoscono dalla nascita, se così si può dire. Sono nati nella stessa “stretta”, in due case a faccia fronte, e sono cresciuti insieme nella stretta Forti e sempre in gioco, sorvegliati a vista dalle donne che anch’esse vivevano in allegra comunione all’aperto sulla soglia di casa A fianco, legato ad un anello al muro, il maiale, e tra i piedi le galline razzolanti con il nastrino d’appartenenza legato ad una zampa. Erano stati re dei giochi di strada Arrampicatori di alberi altissimi a caccia di cardellini Ladri di frutta Scavezzacolli in gara a bordo di carrettini traballanti sulle ripide discese sconnesse Capibanda e attaccabrighe Maestri di “staccia” ricchi di bottoni formelle e cioccoloni. E la loro stagione regale era finita! Pluf!! Anche loro sono stati affidati alla locomotiva delle sorti magnifiche e... ché qui, in paese, ormai c’è solo la fame infinita. Sono giunti al passaggio a livello. Per un attimo i due amici riprovano il fascino di quel miscuglio di paura e piacere del vento e del risucchio del treno Dello spettacolo dei finestrini fuggitivi nel buio della notte I luminosi fotogrammi sfolgoranti di una pellicola accelerata. Il passaggio a livello è chiuso, illuminato e scampanellante in attesa del rapido. Persi nella notte. E dalla sbarra a strisce bianche e rosse pendono i cartelli: “Pericolo di morte!”. Inciso nel metallo il teschio con le due tibie incrociate della bandiera dei pirati. Rocco si è piegato ed è passato sotto le sbarre Pasquale lo segue senza parlare. Si dirigono alla cunetta dal forte familiare odore di piscio e carbone, di calce e catrame E nella cunetta aspettano accucciati, gli occhi fissi al lungo serpente di ferro sul quale, da ragazzi, avevano sognato avventure in città e paesi lontani. Rocchino guarda l’orologio e si arrampica sulla bassa scarpata di pietre Si sdraia e pone l’orecchio sul binario, lo sguardo rivolto nella direzione opposta alla marcia del rapido. “A guardare verso il treno sono tutti buoni!...”. Attendono così ancora per un po’ E Pasquale è in ansia e ha gli occhi fissi nella direzione dell’arrivo del rapido. Infine Pasquale lo scorge, il rapido che si avvicina veloce Due grandi occhi illuminati! Rocchino se ne resta sdraiato, immobile e tranquillo, concentrato con l’orecchio sul ferro del binario. Bello! Muscoli tesi pronti al balzo All’ultimo istante Il rapido molto vicino Si avvicina Più veloce delle littorine! È un attimo. L’ansia di Pasquale cresce, tracima incontrollata. Pasquale urla: “ROCCHÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌÌ!… ATTIENT!!!”. Ma il corpo di Rocchino già rotola giù dalla scarpata senza la testa e come una bizzarra bomboletta a spruzzo disegna sulle pietre bianche un inquietante luminoso murales rosso vermiglio. È SUICIDATO! E infatti ecco qua… il traffico fermo su tutta la linea. “I treni son fatti per la notte e la rovina. Noi per la canzone, e per il peccato” “Tossischino! Scaràcchino! Si disossino! Si sderedanino! Se ne volin via con trentamila scoregge nel codione!
  7. ectobius

    In treno

    Si caricano dei bagagli e si avviano fuori dalla stazione. Procedono fra monumentali edifici d’altra epoca e completamente anneriti di smog. Pasquale sente ancora angosciante la stretta al petto, quella stessa che aveva provata al momento del distacco dal paese… Rocchino cerca di mostrarsi emancipato… uomo di mondo. Quella sporcizia… quella città color antracite... Pasquale non l’aveva immaginata così tetra la grande città! L’aveva pensata grandiosa, ordinata e pulita. Tanta spazzatura accumulata ad ogni angolo di questa città della ricchezza e del benessere… il miraggio della città che fu anche capitale e centro di civiltà andava precocemente svanendo La città che ora espone senza pudore le sue vergogna: desolati e vuoti gli edifici più prestigiosi già sedi di dispute eccelse e progetti grandiosi; piazze segnate da un intreccio di rotaie dei tram; parchi con alberi malati; cattedrali scrostate ed annerite; palazzi dagli alti tetti spioventi con abbaini polverosi, topaie in affitto ai migranti. La nebbia sale dal suolo e ci si imbatte di tanto in tanto in figure spettrali imbottite di stracci Frugano nella spazzatura e qualcuno anche ti chiede del danaro. Tutto avariato! La realtà del miraggio in realtà è un incubo. Lentamente, si allontanano dal centro cittadino. Nei sobborghi le case popolari, allineate, addossate… le facciate una fioritura di croste E ancora più in periferia, dal groviglio di case e capannoni, le ciminiere si innalzano ovunque ed imbrattano il cielo di una scura nuvolaglia giallastra. Ad ogni balcone e finestra, biancheria stesa di colore grigio. Si respira a fatica un magma denso ed oleoso. Si fermano su un piazzale vuoto, deserto e squallidamente illuminato da rari lampioni di luce gialla che fende la nebbia. In fondo al piazzale si eleva la facciata lunghissima di una grande industria con al centro, ben illuminato, un gran portale che dà in un cortile interno. “Fermiamoci un momento!... Tra poco usciranno gli operai… C’è il cambio turno”. Ed eccoli gli operai! Raggruppati, in fila per tre nel cortile interno Poi… come ad un ordine… si muovono oltre il portale ordinati e coperti. Al passo! In divisa e su ogni casacca e cappello spiccano una scritta e un numero. Sul piazzale si sciolgono le righe e gli operai rimangono per un po’ fermi, come disorientati prima di disperdersi. Senza dir parola Rocco e Pasquale girano le spalle al piazzale dove ancora qualche operaio si guarda in giro “ ‘mbambalut’ ”.
  8. ectobius

    In treno

    “La macchina moderna è ogni giorno più complessa e l’uomo moderno ogni giorno più elementare”. Aveva incominciato anche da subito a deportare, la locomotiva Già appena nata. Quando ancora esibiva fumaioli lunghi con fumo nero e denso e vagoni di legno delle tre classi al seguito E nei vagoni gelidi di legno grezzo della terza classe si ammassavano gli emigranti, sepolti sotto un’inverosimile montagna di miseri bagagli tenuti insieme non si sa come E il finestrino di un vagone di treno di terza classe misurava le distanze dell’abbandono. Gira in vortice la terra lacerata di vapori, e il fumo oscura lo schermo del finestrino come un sipario che, allo svanir del fumo, si riapre su una scena che è altra Sempre più estranea!… più fredda! Che non evoca, ma assorbe ed annulla i ricordi nell’angoscia e nella solitaria solitudine. Stazione di Porta Nuova, Torino! Annunciano gracchiando gli altoparlanti: “IL TRENO… VIAGGIA CON UN’ORA DI RITARDO!”… Rocchino! La stanchezza lo appesantisce e cerca una panchina libera Una vera impresa a quest’ora che le panchine sono già quasi tutte trasformate in alcove di stracci. È fortunato!… Si accomoda Si sdraia Già dorme. Viene scosso! Soprattutto la sua spalla destra viene scossa e qualcuno anche lo chiama per nome: “Rocchì!… Rocchì!...” Rocchino si sveglia da un incubo... apre gli occhi Chino su di lui il viso noto di Pasquale che è appena sceso dal treno in ritardo. Gli scuote la spalla destra, lo desta: “... E che, Rocchì, ti si’ addurmut’?”. Si abbracciano.
  9. ectobius

    In treno

    Don Chisciotte?... o Alberto Sordi? Alberto Sordi! Che poi mica è detto che fosse così Interpretava bene il personaggio, ergo... Eh, No! era un bravo professionista! Avrà fatto tanti soldi, ma non ha fatto figli per una vita di ***** Non glie l’hanno perdonato, il personaggio e il non aver seguito il precetto, lui che i figli avrebbe ben potuto mantenerli. E se ne andato quasi in sordina... Disprezzato come il personaggio... l’uomo: “Non mi piacciono gli Alberto Sordi!”. Un funerale con pochi applausi... vuoi mettere il funerale in morte di un cantante di canzonette... lungo che dura ancora. Un cantante di canzonette del quale non ricordo nemmeno più il nome, ma mi verrà in mente! Più o meno questo pensai allora dopo la morte del cantante, che per giorni si continuava a blablabla in memoria: “Oh!… Ma non andremo mica ancora avanti co ‘sta solfa della morte di un cantante… Sessantatreenne, Sì!, che può essere anche considerata un’età precoce per morire… ma se la si paragona a……?”. E la si menava così alla lunga in ragione del fatto che una volta aveva detto: “La libertà è Partecipazione!”. Una frase mica poi tanto profonda e che poi probabilmente glie l’aveva scritta qualcun’altro, la frase, e quel qualcuno altro l’aveva certamente sentita gridata ad ogni angolo di strada, ché così usava esprimersi a quei tempi. Sì, ma… ‘sto cantante, si diceva, era, politicamente parlando, un anarchico! Sì, ma… e il povero Valpreda, allora? Anarchico anche lui, e lo avevano eletto il “mostro” di piazza Fontana. Che si fece anche il carcere? E, a proposito, sapete che è morto anche lui, il Valpreda?… Ah, non vi risulta?… No, dico sul serio!, è morto! Anche lui… chi non muore mai è il Pannella! Ed è morto anche Carmelo Bene… “Oh! Ma non mi dire che è morto!”. “Sì! È morto!... ma detto fra noi… chi era ‘sto Carmelo?... dal nome un siciliano di sicuro!”. “BOH!”. ‘Sto anarchico, sembra sia stato un buon cantante di canzonette… a detta di chi se ne intende… e può bastare questo per un casino così in morte di un cantante di canzonette! E sì che basta! Tanto che le scene si ripetono ancora ora… strazianti e a raffiche… e ancora programmi TV ogni altra volta che muore un contante… Per dirne una: lucio dalla! Certo ad una canzone, ad una voce... sì!, ad una canzone, ad una voce, possono andare a legarsi ricordi, commozioni Si possono provare nostalgie struggenti a riascoltare un motivetto… ma un casino così? ... ogni volta… ma non è un tantino eccessivo? … Esagerato addirittura… Forse addirittura kitsch!! E ancora mi chiedevo già all’epoca: e quando morirà Michele Buongiorno?... ed infatti è morto! e gli hanno tributato funerali di stato con tanto di volo di frecce tricolori... e poi se lo son rubato anche putrefatto.
  10. ectobius

    In treno

    Estraneo Perplesso Oltre il finestrino di nebbia Dieci euro stropicciati, stretti, e questo vizio di immedesimarmi nel dolore altrui. Un pugno! Roteante nell’aria Due calci al vento.
  11. ectobius

    In treno

    In treno. Recandomi alla toilette l’ho incrociato. All’ingresso della carrozza il ragazzo in jeans e fisarmonica Bello! Sedici anni… avrà avuto. Ha attaccato con “Besa me… besa me mucho…”. Sono commosso per la canzone… per il ragazzo… per il ricordo di un meraviglioso ribelle della mia infanzia che cantava sui treni e che morì poco più che ventenne nella legione straniera Pugnalato in una strada buia di Hanoi mentre cantava “O’ sole mio…”. Non ho con me il portazecchini Gli darò dieci euro, tondi tondi, appena rientrato da aver evacuata la vescica e recuperato il portafogli dalla valigia. Ma si sono prolungati i tempi. Hai! La maledetta prostata! Il ragazzo è già fuori Cessata la musica. Lo cerco, il ragazzo Corro verso l’altra carrozza Dieci euro accartocciati in pugno. Introvabile! il ragazzo. Alcuni passeggeri commentano. Li guardo negli occhi!... scuoto il capo in gesto inequivocabilmente eloquente di disapprovazione così E mi chiedono: “Forse non le vanno bene i nostri commenti?”. Non rispondo. Loro continuano: “Ma come permettono che salgano su un treno come questo?… Non ha mica pagato il biglietto quello lì!…”… Mi scuoto e con calma azzardo: “… cosa avrà racimolato?... al massimo per un panino… E come avrebbe potuto pagare il biglietto?... chiedere un mutuo, forse?…”. Non gradiscono l’ironia: “Questo non è neanche italiano!…”. Ed è una signora dall’aspetto gentile che lo dice, e conclude: “… e li picchiano anche questi ragazzi se a fine di giornata non hanno guadagnato abbastanza”. E un altro. “Come si può star tranquilli a lasciare le valigie nel bagagliaio se…?”. Intervengo: “È vita! questa... ed è complicata la vita!”. Poi vorrei solo tacere, ché qui nessuno ha forza di convinzioni sufficiente per polemizzare. Sì, nemmeno io. Penso che qualche ragione questi qui… forse... anche… Abbiamo tutti le nostre ragioni! E ragioni, forti, ce le hanno anche loro, questi poveri ragazzi così belli... Hanno le loro ragioni…tragiche! Hanno imparato anche la lingua per meglio drogarsi col nostro benessere… innamorati di questo paese… dai racconti… perdutamente innamorati del paese esposto in vetrina... il paese dove non si fatica e sono tutti ben nutriti e lustri... dove anche gli animali mangiano bocconcini di carne ben condita che vi arriva il profumo di buono con la televisione fin nelle loro lontane baracche a tagliare il puzzo di cavolo stagnante… e sbavano alla vista dei succulenti bocconcini per gatti. Di quella saliva che cola! Come non avrebbero potuto?… innamorarsi E sono usciti di casa, si sono riversati tutti sulle coste del “Bengodi”… Gli albanesi, i neri, i gialli… donne incinta, vecchi, bambini e giovani forti e decisi… mandrie di gnu in migrazione. Accalcati su un gommone chi ce la fa ce la fa! E sempre qualcuno ci rimane lungo la strada e non arriva, né arriverà mai. E per chi arriva almeno una ciotola di bocconcini per gatti? Macché! No! Brodaglia di cavoli sotto il muso a chi ce la fa ad arrivare ai verdi pascoli. Si fa silenzio sul nostro viaggio comodo in eurostar… nessuno parla. Io medito. E poi c’è stata una fermata non prevista ed hanno avvertito i viaggiatori che la linea è interrotta Si prevede una lunga sosta. Io: “Mi è già capitato ancora… di solito si tratta di qualcuno finito sotto le rotaie”… provocatoriamente. Interviene rude la signorina logorroica che già in precedenza si era dichiarata laureata: “Il solito idiota che si butta sotto il treno… questo è oltraggio alla vita!”. E hanno parlato un po’ fra di loro. “… che modo barbaro di ammazzarsi!”. Io non captavo tutto Ascoltavo distratto Ma quando poi hanno nominato un certo disgraziato di un medico del Veneto, Friuli o giù di lì che ha chiuso i manicomi… che non ricordavano il nome… Automaticamente ho suggerito: “Basaglia!”. Che espressioni! “Ah i manicomi… quelli di una volta. Li hanno chiusi ed eccoci qua!”. Lager per tutti, per tutti i diversi E il carcere o lager anche per il ragazzo bello di sedici anni! La sua laurea! Della laureata dichiaratasi così, “a schiovere” Che teneva banco l’orgogliosa impiegata, schiacciata su una sedia Lo si vede dal suo culone piatto . Cosa può sapere questa qui di quanto dolore può contenere un fragile corpo umano? Questa qui?… e a che livello finisca col tracimare, il dolore? “E’ il momento dell’intensità… ci si sfida a urli e pieno di vino fino al naso… Guai ai deboli allora! Chi è piccolo le prende. I cazzotti spiaccicano al muro tutto quello che non si può difendere e ribattere: bambini, cani o gatti”… Chi ha scritto questo? Non di certo un fesso! Mi estraneo Guardo oltre il finestrino la nebbia Dieci euro stropicciati stretti nel pugno.
  12. ectobius

    A braccia levate

    ... e un breve commento? Ci terrei.
  13. ectobius

    A braccia levate

    “… Per la debolezza della memoria non sappiamo O li conosciamo? ma vorremmo dimenticarli La causa, il motivo, la radice della colpa La tana da cui è uscito il lupo Per darci la caccia”. Piove, fitto. Una luce bigia filtra tra gli alberi alti e spruzza lividi bagliori sulle rocce nere, bagnate, al lato destro della strada stretta in ripida salita Il lato sinistro è nebbia grigia… abisso… palude di corrotti vapori. Tornanti in successione. Ho la nausea nell’auto eccessivamente molleggiata che s’inerpica sul costone dalla valle che avevo risalito tanti anni prima… Che l’impiegato aveva definito “a casa di Dio” indicandomela, in un punto lontano e più scuro, su una carta geografica polverosa alle sue spalle. Andai alla valle a “casa di Dio”! Un passo importante nella mia vita… cambiava tutto per la prima volta. Il posto, che doveva essere inospitale, stando all’espressione di quel viso annoiato d’impiegato. Lo avevo immaginato dalle strade con pendenze impossibili che avrebbero messo a dura prova la mia ‘cinquecento’ colma di ogni mio avere e di speranze. Era pianeggiante invece, la strada, e incantevole tutto questo posto. La cinquecento procedeva allegra, e le terribili salite che mi aspettavo di dover affrontare da un momento all’altro, non si presentarono mai. Una vallata larga e luminosa con prati che erano immense tavolozze verdi a lato della strada Sulla destra, in fondo, le montagne alte con le cime candide contro un incredibile cobalto di cielo. Da quest’altra parte, sulla sinistra, montagne senza cappuccio bianco e coltivate a terrazzo L’aria così inconcepibilmente tersa da rendere trasparente il verde delle viti, tanto che quasi potevo distinguere i grappoli d’uva ancora acerba. Afrore di ***** di vacca e profumo di fieno Un dono alle mie narici campagnole già avvezze al fumo delle bruciate stoppie Cominciavo a sentirmi libero… spensierato Cacciavo e stipavo in cantina tutto quanto mi aveva da sempre angustiato. Si ricominciava! Arrivavo ancora imbozzolato, ma sentivo i primi scricchiolii nel guscio, pronto a dare l’addio all’insulsa vita larvale… fino ad allora. Pronto a sfarfallare stupefatto su un itinerario di vento Fosse stato anche il destino di un giorno… da efemerottero! Ero pronto! Tutto gridava il benvenuto, e mi inebriavo, esaltavo di libertà. Quanta generosità! Dovevi solo allungare la mano e prendere, a man bassa, ma… ma solo ancora non sapevo che anche nelle più favorevoli condizioni occorre talento nel prendere… e abilità… e stile soprattutto!... si rischia altrimenti di mandare in vacca tutto. E perderò anche questa occasione. Ora strani odori penetrano le mie narici e l’abitacolo dell’auto Accentuano la nausea fin quasi al desiderio di vomitare mentre la nebbia, una nebbia fitta, risale dalla palude e invade venefica la strada. Accendo i fari. Un paesino quasi disabitato… questo lo sapevo Ma adesso sembra un cimitero con le tombe raggruppare strette in un abbraccio mortale. C’è da percorrere ancora un tratto di strada, sterrato e pianeggiante. Ed ecco la casa! Silenziosa e tanto desiderata Lontana dal chiasso, dalla folla, Compare e scompare Ondeggia nella nebbia che fluttua umida e bassa sulla strada. Inquadrato dai fari un uomo! In camicia bianca con questo tempaccio!… si presenta visione improvvisa come si fosse materializzato lì per lì Mi inquieta la visione che cammina a braccia levate. Manco mi vede, lui. Ma che va facendo?… Prega, forse… No! Impreca… Maledice! Ne sono certo! Sorto nella nebbia dal fondo in decomposizione sputa al cielo senza stelle Ideogramma che non riesco a decifrare, e che poi, come s’era concretizzato, d’un tratto scompare alla vista Cerco inutilmente di ritrovarlo nello specchietto retrovisore sulla strada degli sprovveduti, degli imbecilli… dei pazzi… che è la sola mia strada e non so più cosa ci faccio qui. Ma sì… a fare il punto! Sono qui per fare ordine… su tutto quello che ho fatto, conosciuto, sentito… devo scovare una logica… poi si vedrà! Cosa? E avanzo barcollando in questo labirinto polveroso della memoria seminato di trabocchetti, e che qualcuno disse “nove parti di delitto ed una di noia”… e che è anche… L’angoscia!… L’ho cominciata a provare molto presto io, l’angoscia!… Fin dalla culla. Non ci credete? Io ce l’ho stampata qui!, io nella culla e la stanza lugubre con una fioca luce da notte… Ombre lunghe inquietanti… un ritmico russare che svolazza ad altezze variabili Intuisco in qualche modo che qui non volevo esserci… non avevo chiesto di esserci… E piango forte che è l’unico mezzo per protestare. Il rifiuto è radicale Un rifiuto totale! Quello che nessuno vuol capire… il rifiuto che forse fu di tutti e che tutti hanno poi cancellato dalla memoria come una bestemmia. Angoscia e protesta Oscuramente me li sono trascinati dietro fino ad età adulta Incubi di notte e di giorno ingozzato perché divenissi. Ma è possibile divenire dopo aver introitato il rifiuto originale?… il peccato originale? E non sono divenuto, infatti! Mi fanno pena quelli che divengono. Ora questo viaggio nel luogo che fu vita e morte… una decisione balorda presa così… di botto. Non più voglia di scappare… non fuga… le fughe che finiscono sempre in cacca Voglia di purificazione una volta per tutte. Catarsi! Sulla soglia, sotto la pioggia Due lampi in rapida successione lacerano la volta nera del cielo e illuminano tutto di una luce livida Rombo possente di tuoni. Sì, l’umore è cupo!, ma non esageriamo!... non sono all’ingresso del castello di Dracula. In un intervallo del frastuono di tuoni e pioggia percepisco note musicali Disordinate disarmoniche Provengono dall’interno della casa che dovrebbe essere disabitata. Ho spalancato la porta. Accozzaglia di suoni Sembrano accordi di strumenti in attesa di un concerto E una strana disordinata quadriglia è diretta, in uno strano francese e dall’alto di uno sgabello altissimo, del tipo di quelli per arbitri da tennis, da un giovane dalla barba nera che sembra un avvoltoio. I danzatori, numerosi, disposti in cerchio, hanno poco di umano. Sono piuttosto un ammasso viscido di pelli cascanti. Al mio arrivo la musica cessa di botto. Mi stavano aspettando! Si sospendono le danze e un applauso frenetico scoppia E grandi sorrisi che sono in verità più simili a ghigni su raccapriccianti fisionomie E sguaiati sghignazzi. Una ragazza con copricapo peruviano fa girare uno spiedo sulla brace del gran camino (strano!… non lo ricordavo così grande il camino) e unge la carne di quando in quando Mi volge le spalle, la ragazza, e copre la luce del camino così che non riesco a vedere cosa sta arrostendo con tanta cura. Quando infine si sposta, sulla brace vedo. Una capra è infilzata su un enorme spiedo…intera... compresa la testa E ha occhi sbarrati del colore della brace, e la bocca semiaperta mostra denti aguzzi e minacciosi. Si è girata, la ragazza, mi ha visto, è rimasta inespressiva Non ha fatto alcun cenno ed è ritornata alla sua occupazione di cuoca. Poi un “BASTA!” urlato dal giovane e tutti si sono disposti, orribili, a semicerchio lungo le pareti della sala Le bocche serrate e gli sguardi fissi su di me. Il giovane è sceso dallo sgabello e, partendo esattamente dal centro di quel semicerchio, si è diretto verso di me Quando è arrivato a distanza da potermi toccare, ha teso a scatto il braccio destro e mi ha piantato violentemente l’indice irrigidito sul petto costringendomi ad indietreggiare, finché le cosce non hanno avvertito il bordo di una sedia sulla quale sono caduto pesantemente. La sedia era stata sistemata alle mie spalle da un vecchio grasso e dal viso informe senza tratti fisionomici E quando mi sono voltato a guardarlo il vecchio ha esibito spudoratamente, tra tutta quella pelle cascante, un largo grottesco ghigno Poi ha raggiunto gli altri immobili statue di cera, per divenire anch’egli cera nell’informe ammasso di fronte a me. Si sono radunati i fantasmi! Maschere raccapriccianti! Una vecchia sdentata sogghigna da una carrozzella in un alone acre d’urina… un livido feto… un bambino strabico… la ragazza con la cuffia peruviana con viso acceso ed occhi iniettati… un vecchio con fucile e dall’espressione ebete… l’ammasso informe di pelle pallida del vecchio grasso… un uomo di gesso… la capra… Una pupilla dilatata come un pozzo Decerebrata riflette l’immagine d’un volto pallido, terrorizzato, terreo sotto il peso di colpe e sofferenze. Uno scheletrico uomo con la barba sussurra: “Regalatemi un po’ di eutanasia”. La matta del villaggio avvolta in un saio senza forma, porta le mani nei capelli unti Gli occhi lucidi mi guarda Io la guardo come se solo da quella parte possa arrivare un impossibile, disperato aiuto. Ho paura! Improvvisa come un uragano è giunta la notte della resa dei conti! Il mio futuro ne rimarrà imbrattato… per sempre. Sapevo di portare dolore… come un alone La mano brancola alla ricerca di una consistenza amica… si stringe nell’aria. Sul pavimento i mille spezzoni di un film chiedono la logica di un montaggio… chiedono si dia loro un senso… Alla rinfusa sul pavimento lo spettacolo confuso, indecifrabile di una vita. Tutto è compiuto! L’idea del peccato non m’abbandonerà più ormai… Un ragno! Come un ragno mi porterò sempre dietro la sottile bava… traccia di sofferenza. E sono stanco. Interpreto… in qualche modo: “E’ giusto… in qualche modo… Eccomi!... Condannatemi!” Il film continua a proiettarsi. Dal profondo affiorano ancora immagini… Non si potrà mai scrivere la parola “THE END”: “Condannatemi!”. Nessuno parla… anzi distolgono lo sguardo da me e incominciano rumorosamente a unire i tavoli per formare la grande tavolata. Ridono, bisbigliano… Ridono e non mi rivolgono più uno sguardo… come non ci fossi… Io!, ridicolmente seduto al centro della sala. Solo la matta del villaggio è ancora al suo posto e continua a fissarmi col suo sguardo scintillante, probabilmente caricato dall’alcool. Passano alcuni lunghissimi minuti e la paura rabbiosa si è trasformata in disappunto per essere stato così trascurato Non riesco a togliermi da quella posizione di gogna apparentemente ignorata. Sono come paralizzato quando la matta mi si avvicina con la sua andatura zampettante Mi prende per mano Mi spinge letteralmente verso l’uscita Sono fuori con lei che ha chiuso la porta alle sue spalle. La guardo, le sorrido. “Non capisco più nulla”, le dico. Ma lei già corre a perdifiato inseguita da se stessa. E fuori io, ora. Senza pazzia Umiliato e incerto se andar via o rientrare Impormi all’attenzione di quella platea di fantasmi… un discorso razionale… chiarificatore Ma cosa c’è da chiarire?, se tutto è sempre opinabile? Comunque mi avvio lentamente sulla strada della matta A testa bassa, assorto Ma d’un tratto mi sembra di udire alle mie spalle un rumore di passi e degli sghignazzi. Mi stanno inseguendo! Accelero il passo… infine è corsa Su un prato stranamente imbiancato di neve. Intravvedo ombre dal paese. Sono loro! Ho poco tempo…non ce la farei a raggiungere l’auto parcheggiata nel garage… la serranda è semisepolta dalla neve… All’improvviso tutta questa neve Neve recente, tanta… È facile che ci sia neve qui in questa stagione, ma così!… e così stranamente improvvisa… solo pochi minuti prima non c’era… La strada è laggiù, non proprio a pochi metri in basso… ci arriverò in breve attraversando il lungo tratto di prato scosceso, in fretta nonostante le scarpe poco adatte e quel terreno scivoloso. Sono in camicia… bianca! Scendo veloce il prato digradante nonostante inciampi spesso slittando sul fondo scivoloso con quelle maledette scarpe non adatte I piedi e i pantaloni nell’acqua. Raggiungo la strada in equilibrio instabile braccato da presso dalla muta… Sopraggiunge una specie di trattore con un solo faro dalla luce fioca… A quell’ora? Un trattore! A braccia levate… prego?… maledico?... Mani in alto! Non può evitarmi! Un urlo dall’alto del trattore ed un botto sordo, nemmeno tanto forte: “MA DA DOVE ***** È SBUCATO?…MA CHI È?”. E il silenzio… finalmente.
  14. ectobius

    Fiore "la scamorza"

    Embé, io vado avanti. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° Infine è comparso, il képi. Si è avvicinato con calma trattenendo il respiro. Ha tentato di parlarmi nella sua lingua, poi in italiano mi ha chiesto: “Sei italiano?... Clandestino?” “Si!” E con calma mi ha ammanettato e alle manette era attaccata una catenella lunga con la quale mi conduceva tenendomi a distanza... Poi mi ha offerto una sigaretta dal tabacco nero. Gauloise! Me l’ha messa fra le labbra e vi ha avvicinato il fuoco Il fumo della gauloise ha coperto la puzza e mi rende avvicinabile... Mi parla nella mia lingua con un accento che è come musica E la musica come sempre mi tranquillizza ma non tanto da non azzardarmi a chiedere: “Cosa mi capiterà ora?” “La prigione!” “E poi?” “Il rimpatrio”. “Non voglio tornare fra quella gente!” “C’è un solo modo!… per evitare sia la prigione che il rimpatrio... Arruolarsi nella légion”. “Bene per la legione!” “Tu ce la puoi fare! E fra cinque anni sarai libero!”. Mi ha tolto le manette per farmi meglio gustare la Gauloise. Sì, *****! *****! Ora ponevo una domanda al destino: “Cosa devo fare?” Non bastava più vivere in purità di cuore, era giunta l’ora di forzare… portare le cose alle sue estreme conseguenze. Era arrivato il fondo! Era giunta l’ora di sfuggire a se stesso, esemplare malriuscito, e alla vita degli uomini. L’ora di rincorrere la fine!… La fine da sempre intuita, mai confessata. E al diavolo il cappotto lungo! Il vento si è affievolito Solo un sussurro mi giunge. E non tutto percepisco di un discorso confuso che trascrivo mettendo ordine come posso. Camminava a fianco del gendarme come un sonnambulo e la sua mente vagava da una temporalità trapassata, eterna e luminosa, ad un’altra presente e gravida di nubi… La sua stagione regale di ragazzo ribelle… Finita!... senza che quasi se ne accorgesse. Scomparsa nel buio profondo della pancia della balena… E i suoi ventiquattro anni!... Un diverso di ventiquattro anni!… Era stato il diverso a scuola, in paese Diverso fin in famiglia... Diverso!… Diverso da chi? Dalle vittime, dagli schiavi! Diverso nel non accettare… Orgoglioso diverso e solo! tra mille! Malriuscito! L’abbandono della scuola!... gli faceva ancora male. La rabbia per le offese e per il Dio che guardava dalla finestra senza battere ciglia… Ed era giunto così all’età che si doveva essere braccia da lavoro Calli alle mani e schiena piegata… Uno scatto di rabbia!... Vagabondo! I nemici?…Tanti! A migliaia e immeritati…Affollati… Diecimila!… Non più re! Fuorilegge! Abusivo della vita!…Condannato innocente ma complice certo di qualche trama Da riabilitare nelle patrie galere o al manicomio. E con la mente ancora si rincorreva, lontano e si vedeva vecchio, preda di ragazzi ingiurianti Vecchio che alza lento un bastone a minacciare mentre loro gli strappano i peli della barba. No! Ira e sfida! Questa è signorilità, accettare il destino! Doveva percorrerlo tutto questo ultimo tratto della strada del destino… il destino del ribelle... Il suo destino! La voce del vento mi giunge ora più chiara: “Bene per la legione!” Non c’è bisogno di coraggio ad ubbidire, pecora nel branco. Io andrò ad ubbidire dove il comando è brutale e l’ubbidienza cieca! Ultima e definitiva contestazione! “MERDRA!!!” Eravamo in tanti Miserabili Candidati alla légion E fummo messi su un lentissimo treno che viaggiò tutta notte fino a Marsiglia… Rinchiusi affollati in un piccolo vagone di terza classe, i vetri sigillati per il freddo… La puzza di piedi e la mia e quella degli altri. Da vomitare l’anima! Molti erano tedeschi reduci dalla sconfitta… Li salutai! “Guten abent, Kameraden!” Si accorsero che ero italiano e mi girarono le spalle E io non cantai per loro “Lilì Marlène”… Che non ne avevo mica tanta voglia e c’era mica solo loro da consolare. Alla stazione ci prelevarono e con un camion ci portarono al quartier generale della légion a Aubagne. Ci dettero un caffè lungo... una brodaglia! E tutti ruttarono acido, a turno. Dovemmo consegnare documenti, che io non avevo, ed ogni effetto personale, compresi abiti e biancheria…Che sollievo! Ci registrarono con altro nome e ci portarono alle docce. Ci squadravano ben bene… Nudi! “FISSIIiiiiii!” Io non capivo, ma guardavo gli altri e mi comportavo come loro. Da allora cominciarono a gridarci ordini in francese E a spingerci brutalmente nella direzione comandata quando non si capiva. Impiegarono due settimane per valutarci… Visita medica… colloquio… test fisico… prove sportive… test d’intelligenza. Alla visita medica controllavano tutto… ogni buco… financo i piedi, con rispetto parlando. E ad ogni prova erano in tanti ad essere scartati. Gli consegnavano un foglio di via e un biglietto e li rispedivano a casa con il loro nome. Alla fine eravamo rimasti proprio in pochi… me compreso, e forse ancora meno! E siamo trasferiti al campo di addestramento di Castelnaudory per un addestramento di quattro mesi Il campo è circondato da filo spinato illuminato da proiettori la sera E caporali e sergenti abbaianti da mattina a sera. “Hai rasato la tua brutta faccia ce matin?” “Oui!” E ho fatto appena in tempo a spostare il capo cosicché il diretto al viso mi ha appena sfiorato Ma non è stata apprezzata la prontezza di riflessi. Non viene apprezzata qui la prontezza di riflessi quando a colpire è un superiore… è presa come uno sgarbo! E mi ha colpito con un forte destro al fegato che mi ha piegato… una ginocchiata come un fulmine mi ha raggiunto in viso e mi ha steso a terra… Un calcio in **** mi ha rimesso in piedi. “FISSIIIIiiiiiiii !”. “Allora ti sei rasato?” “Non, monsieur le sergent Babouchon!” “Così va meglio! Non devi jamais l’oublier!”. Babouchon era largo, le gambe corte, i glutei possenti Ma agile e fortissimo Amava invitarci a sfide dirette e leali. Qualcuno accettava e finiva irrimediabilmente sciabattato in infermeria. Erano tutti invincibili questi caporali e sergenti! e presto non ci fu più nessuno a cadere in trappola. E lo stesso Babouchon, e anche altri, avevano l’abitudine di effettuare ispezioni notturne in camerata: accendevano le luci e svegliavano quasi tutti. Al minimo motivo mollavano calci e pugni. Ha preso una notte, Babouchon, il mio zaino e lo ha aperto e ne ha vuotato il contenuto fuori dalla finestra al terzo piano. Sono sceso Né Ahi, né Bai!... Ho raccattato tutto E lui era lì in piedi accanto alla mia cuccia a controllare. Non mancava nemmeno uno spillo. Sotto il suo sguardo ho rimesso tutto in perfetto ordine e mi ha guardato tutto il tempo. In silenzio. La testa lievemente piegata da un lato, una piega della fronte alla radice del naso. Non mi è sembrato il “bastardo” che sembrava. Un artista era, Babouchon! Scultore che esamina il suo blocco di marmo per farne un “Monsieur le légionnaire!” Sfiorandolo, il marmo, al limite dell’eccesso che incrina. Non parlarono mai della Francia durante quei mesi di addestramento C’era solo la legione in ogni discorso: la storia della legione, le battaglie della legione... La musica e le canzoni della legione... e la mia voce fu molto apprezzata Sovrastava ogni altra, forte e intonata. “La legione è la vostra Patria! Ogni legionario è tuo fratello senza distinzione di razza, di nazionalità, fede religiosa. Tradizione, disciplina, cameratismo. Orgoglio!!! Rispetterai il tuo nemico sconfitto, non abbandonerai mai i tuoi morti né i tuoi feriti. Non consegnerai le armi in nessuna circostanza”. Avevo dei riferimenti... ora E non erano il risentimento, la rabbia… Nemmeno la Francia e la guerra. L’unico riferimento era la légion! Era dignità, la légion! Molti furono scartati prima della fine dell’addestramento, molti non ressero e scapparono. A Castelnaudory alla fine eravano rimasti in pochissimi e giusto in tempo per sfilare sugli Champs Élysèes nell’anniversario della presa della Bastiglia. Sugli Champs per prima sfilano le forze armate di Francia! Procedono al suono di una marcia militare Centoventi passi al minuto. Poi... Silenzio! Tutti in piedi! Anche il presidente della Repubblica! Tra gli applausi fragorosi sfilano i legionari. In tenuta perfetta, Impeccabili! E la banda attacca un’altra musica: la marcia lenta di “Le Boudin” Ottantotto passi al minuto! Il passo dei re e degli imperatori! Fiore “la scamorza” seppe che la legione era la sua casa E che, se finanche il presidente della Repubblica s’era levato sull’attenti al suo passaggio. Da ora in poi non si sarebbe mai più dovuto umiliare di fronte a nessuno. Eppoi… l’addestramento lo aveva irrobustito e reso più agile Vinceva quasi sempre nelle gare sportive di velocità e lo avevano chiamato “Le léopard!”. La legione era considerata il rifugio di criminali, banditi, ubriaconi, squilibrati... Io invece... quelli che ho incontrato provenivano da ogni nazione del mondo... erano neri, arabi, orientali... e in maggioranza tentavano di arruolarsi per necessità. Poveracci senza lavoro, braccianti disoccupati, ex soldati. Ma anche romantici avventurieri nati E nobili e principi Generali e perfino preti Apaches parigini... Qualche criminale, forse. Gente che, in un modo o nell’altro messi, si allontanavano dalla società. Poi la selezione è stata severissima e quelli che sono rimasti sono i legionari che si sono uniti sui valori della legione: l’onore, il coraggio, l’onestà, l’amicizia senza pregiudizi di razza o di ceto. La legione è un mistero! Da tutti i centri di reclutamento e addestramento fummo trasportati in treno fino a Marsiglia e dalla stazione un caporale ci condusse a Fort Saint-Jean, una fortificazione medioevale all’imbocco del porto. Appena fummo in numero sufficiente ci imbarcarono destinazione l’Algeria. Da Orano raggiungemmo in trenino Sidi bel-Abbès che era una gran città sorta nel deserto intorno alla base della legione. La città viveva della legione Offriva tutti i divertimenti e servizi che potevano confarsi a quella gente: dai cambi valuta ai bordelli Soprattutto bordelli di negre, creole, francesi... D’ogni razza! eccetto le donne arabe che vivevano chiuse nelle loro case di mattoni di sterco e sabbia e fango con miriadi di bambini. Arrivati a destinazione fummo accolti alla stazione, incredibilmente polverosa, dalla banda e marciammo fino alla base tra ali di prostitute, magnaccia, ruffiani, negozianti, maitresses, proprietari di locali. Le giornate alla base erano faticose, l’addestramento duro finiva mai e nemmeno il controllo e le angherie dei sotto ufficiali onnipresenti. Fiore prese a frequentare nelle ore di libera uscita un locale notturno affollato da creole gentili e con un pianoforte e un pianista negro. Entrava nel locale immancabilmente intonando “Creolaaaa, dalla bruna aureolaaa!...” Ed era molto ben voluto e spesso cantava le sue canzoni con l’accompagnamento del pianoforte. Interminabili partite a tre sette... era divenuto amico di tutti. Benvoluto anche da tutto il personale arabo. E arrivò il giorno della festa della legione che commemorava la battaglia di Camarone. La legione è un mistero! Unico corpo militare che commemora una battaglia perduta. Sull’attenti e in “presentat-arm!” sulla piazza della legione ascoltavamo il racconto della battaglia E quando il veterano di stato maggiore portò sul palco la mano di legno del capitano Danjou, noi cantammo il più splendido inno della legione e molti piansero. A Camarone poche dozzine di legionari al comando del capitano Danjou, malmessi per malaria e altre febbri tropicali, avevano tenuto testa per due giorni, riparati in una azienda diroccata, ad un esercito di migliaia di soldati messicani ben armati. Resistettero oltre ogni immaginabile limite umano Giorno e notte sempre vigili Spararono fin l’ultima cartuccia e infine erano rimasti in vita solo in tre. Feriti, punzecchiati da ogni lato da baionette rifiutavano di arrendersi e tenevano ben strette le armi in pugno, benché scariche. Rifiutavano di arrendersi e stavano per essere trucidati quando un ufficiale messicano intervenne e permise loro di tenere le proprie armi. Furono trattati da eroi, curati e infine riconsegnati alla loro “patria”: la legione. Dopo la recitazione del “Récit du combat” c’è sempre un gran banchetto alla base, e per quel giorno il rilassamento della disciplina e delle formalità è totale. Ogni legionario può festeggiare come meglio gli pare... non sarà incolpato di infrazioni al regolamento (purché non gravi!), e in questo giorno anche se un legionario stramazza al suolo ubriaco fradicio, si farà finta che stia riposando. Ogni festeggiamento dovrà cessare immancabilmente entro la mezzanotte”. Fiore si recò come al solito al suo locale con le creole e il pianoforte, e col pianista negro. L’atmosfera era molto più vivace del solito. Nella sala affollata il brusio era assordante e confondeva le note del pianoforte picchiate dal negro e la voce della creola che cantava “J’ai deux amours...” . A tratti le urla dei giocatori alle carte, al biliardo... i canti sgangherati degli ubriachi E il fumo denso confondeva le fisionomie anche dei più vicini. C’era odore di caffè, di rum, di sudore e di piedi. Di botto al centro della sala una calca... Urla! Cresce... trabocca, la calca... tutta la sala sprofonda... È la grande rissa... Il grande smantellamento. Ancora!... Brutto segno! Vola una sedia... un tavolino sfonda, spacca una finestra in mille pezzi... Si incastrano, si scavalcano, si sventrano, si spiaccicano... Volano, cadono, si rialzano... Sono di caucciù! “*****!!!”... “******* di *****!!!”... “Va a cagare!!!” La macchina dell’espresso travolta! Sbuffa, ci ha il brivido, traballa... Cade sotto una spinta Esplode! La sarabanda del panico: “Si salvi chi può!!!”. Uno della stazza di un Babouchon è partito veloce a testa bassa, fende la calca... si leva in volo i piedi in avanti contro la parete di mattoni di sterco e fango... Tutto trema, un brivido... la parete crolla e dalla breccia la fuga E proprio nel momento dei fuochi d’artificio... Tutti fuori nella polvere e nel fumo e... “Ohooooooo!!!”... nasi all’aria al fuoco ed alle grandi stelle immobili e indifferenti. “Io i fuochi non li ho visti... Ho sentito solo i primi botti e poi... Non ricordo più nulla! Mi ritrovo che è giorno... Sono legato e in ginocchio sulla duna, e so cosa sta per accadermi”. Da sempre sapeva che non sarebbe andato lontano, ma da quando era “Monsieur le légionnaire”, “il leopardo”... Chissà!... forse questa volta... Pensava... Timidamente... Timidamente! Ma non da questi se l’aspettava!... Questi erano nemici imprevisti Usciti dal buio Nemici non suoi... e nemmeno nemici della légion... Perdenti come lui! Nemici della Francia, del colonialismo. del razzismo, dello sfruttamento... e suoi fratelli! Qualcuno di loro li conosceva anche di persona E li sbirciava ora con stupore... confuso... Erano nella condizione del torero che deve infilare la spada e deve continuare... Vivevano tutti il loro incubo su quella duna L’incubo che durerà tutta una vita. L’incubo è un corpo nemico che non muore... Non morirà mai! Cresce Cresce Cresce... Mentre la gente riderà sempre della storia stupida che non può essere presa in considerazione: “Fiore la scamorza?... Salute a noi!!” Aveva l’aspetto di un incidente! L’ennesimo. Identico... Ineluttabile. Era l’accidente previsto che si metteva in moto alla scadenza prevista e precipitava senza più ostacoli. Lui fermo lì, legato ed in ginocchio sulla duna. Intorno loro. Circospetti, incerti. La spettrale inquietudine dell’avvenimento cieco. Fu un batter d’occhi! Ed era successo... L’hanno ammazzato! Ora che il suo “nome”, “la scamorza”, se l’era dimenticato, ora leggeva nella luce del sole la parola fine Tum – tum... Tum – tum... Tum... ... tum... T... t ... Era morto! Nemmeno coraggiosamente in battaglia... o nel soccorrere generosamente un camerata... e senza armi in pugno, benché scariche. Doveva accadere... acadere così... come era accaduto. Non c’erano alternative e nessuno poteva essere ritenuto responsabile. E così?... Morire da legionario o da Fiore “la scamorza?”... faceva forse differenza? Però!... si era fatta una gran quiete. E’ notte! Una notte d’aria ferma che non fa dormire… L’afa e il racconto nel vento! Esco di casa d’impulso Nella strada deserta non c’è refrigerio nel vapore che sale dall’asfalto e le gocciole residue dagli alberi picchiettano il leggero strato di sabbia e vi disegnano indecifrabili geroglifici. In fondo al viale due ragazzi!... Li intravvedo nel vapore che firmano in spray colorati la facciata di un condominio borghese appena ridipinto... Firme complicate, e senza velleità d’arte... La spedizione nata negli abissi di un profondo inconscio: “Si vedo un muro bianco, io jelo sfregno!”, diceva il poeta. E io?... Io! Il lembo di un manifesto pubblicitario scollato dalla pioggia mi sfiora il braccio Lo ho afferrato Ho tirato ed è venuto giù intero… Corro a scalzare i lembi umidi di altri manifesti e… Strappo… Strappo… Strappo! Affanno, sudato e fermo. Laggiù il muro firmato!… E i ragazzi hanno già girato l’angolo. Sotto i miei piedi la faccia paffuta, sorridente e colorita da un manifesto. Sotto i miei piedi! A chi la responsabilità? A nessuno! E il viale con gli alberi che piangono. FINE
  15. ectobius

    Fiore "la scamorza"

    Qualcuno l’ha letto, ma nessuno (a parte DeeD) ha sentito il dovere di esprimere un qualsiasi parere. Ho detto “dovere” perché questo è un forum, e un forum è luogo di dialogo. Spero. Qualcuno risponda.
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