Alur, in queste vacanze non ho avuto una beneamato da fare, a parte sci e snowboard, quindi mi sono dato alla lettura. Ho fatto fuori sette libri.
Le ali della sfinge, l'ultimo di Camilleri, è la indagine standard del commissario Montalbano. La storia è sempre uguale, le situazioni sempre le stesse, ma ci si diverte lo stesso e tutto sommato ne esce fuori un prodotto più che discreto. Consigliato agli amanti dell'autore e del personaggio, agli altri raccomando maggiormente i primi, più freschi e appassionanti.
Istanbul, il libro più amato del premio Nobel Pamuk, è un inno a una città in bilico fra Oriente e Occidente, tra occulto e modernità. L'autore ci porta con sè sulle rive del Bosforo e nelle viuzze dei quartieri poveri dell'antica Costantinopoli, dove edifici orrendi giaciono accanto a dimenticati capolavori dell'architettura. Il testo è anche un'autobiografia dei primi venticinque anni di vita di Pamuk. Veniamo a sapere che il padre dello scrittore aveva una quantità illimitata di manti, e dei pianti disperati della madre. Teniamo l'autore per mano al suo primo appuntamento con una ragazza, siamo insieme a lui quando urla alla madre che non gliene può fregare di meno dell'archittettura, perchè vuole fare lo scrittore. Non lo perdiamo di vista quando la manda a quel paese ed esce nella stradine fredde e tortuose di Istanbul, a sbollire la propria rabbia. Mi sa che c'aveva ragione lui.
Come Dio comanda, l'ultima fatica di Ammaniti, è incentrato su un'Italia grottesca e tragicomica, fatta di skinhead e prostitute, di piccoli ladri e bambini cresciuti troppo presto. Rispetto a Io non ho paura Ammaniti compie un gigantesco passo avanti, soprattutto nella caratterizzazione dei personaggi. Essi, sebbene siano sempre al limite della caricatura, acquistano credibilità e verosimiglianza, salvo che in alcuni punti un po' macchinosi e "imposti dall'alto". L'unico vero problema del libro rimane quello che contraddistingue tutte le opere di Ammaniti: manca la profondità. La storia è più che buona, fa ridere e commuove, ci immedesimiamo nei personaggi, e, nonostante rappresentino quando di peggio l'umanità possa offrire, impariamno ad amarli, ma non c'è sfondo. Non c'è nulla di universale, se capite ciò che intendo. Dopo averlo letto, ti rimane in mente un'ottima trama, dei personaggi ai quali ormai vuoi bene, ma non c'è nulla su cui riflettere. Questo è uno dei tipici difetti della narrativa contemporanea, quindi non c'è da stupirsi se anche uno scrittore talentuoso come Ammaniti (uno dei migliori in Italia imho) ci casca.
Il Cliente e L'uomo della pioggia, due dei romanzi più famosi di Grisham, sono due legal thriller perfetti. In entrambi la trama è semplice e affilata come una lama di coltello, e nemmeno la più minuscola incongruenza la offusca. Ero sempre stato scettico, quando mi parlavano di Grisham, così mia madre mi ha regalato questi due romanzi, e sono stato costretto a cambiare radicalmente idea. Ca***, se ci sa fare, con le parole. Si serve una prosa asciutta e ironica alla Elmore Leonard e la vicenda ci si presnta limpidissima davanti agli occhi, quasi stessimo guardando un film. Nessuna meraviglia quindi che dai romanzi di Grisham siano stati tratti tanti film di successo.
Il primo dei due, imho, è solo un thriller perfetto, lo si potrebbe usare per insegnare agli aspiranti scittori da quanto è limpido, mentre il secondo è qualcosa di più. E' la lotta privata di una donna e del suo giovane e coraggioso avvocato contra la più grossa società assicurativa degli States, che si rifiuta di pagare un trapianto di midollo osseo al figlio malato di leucemia.
Aristotele e la giustizia poetica, di Margaret Doody, è il secondo episodio delle avventure di Stefanos e del filosofo Aristotele, nel terzo secolo prima di Cristo. Devono indagare sul rapimento di una celebre ereditiera, e, con l'aiuto dell'Oracolo di Delfi, riescono a venire a capo anche di questo mistero. Si potrebbe dire che la Doody migliora scrivendo. Questo secondo episodio è molto superiore al suo predessore, alquanto legnoso e scontato. I suoi libri non sono nulla di eccezionale, ma li ho traovati entrambi godibilissimi, e, a parte le rare lezioncine filosofiche delle quali francamente si potrebbe anche fare a meno, molto divertenti.
L'inosostenibile leggerezza dell'essere, il grande succeso di Milan Kundera è un romanzo sull'ambiguità dell'esistenza, e sulla grande differenza che è lo spartiacque di tutte le nostre vite: la differenza fra amore e sesso. I quattro protagonisti sono ossessionati dalla leggerezza e dalla mancanza di senso della vita. Non si può vivere due volte, quindi non sapremo mai quando e se abbiamo sbagliato, anche e soprattutto nell'amore. Inoltre, è una testimonianza degli orrori perpetrati dall'Unione Sovietica nei propri Stati satellite, prima fra tutti la Repubblica Ceca. Alcune delle molte riflessioni che costellano il romanzo sono imho un po' banali e scontate, ma ne ho trovate invece alcune di molto pronfonde e toccanti, che ci consentono di capire più a fondo i meccanismi della vita e dell'amore.