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La lanterna


Samirah

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La strada saliva simile a un grande serpente di vecchio asfalto tra le colline coltivate a viti e peschi. Era una via secondaria, percorsa soltanto da poche auto ed era frequente incontrare qualcuno a passeggio, soprattutto nella bella stagione.

La giovane coppia stava camminando a ritmo blando, godendosi il fresco della serata estiva e compiacendosi del paesaggio rurale reso incantevole dalle lucciole che danzavano lungo i fossi.

In fondo a quel tratto di strada, prima che questa svoltasse a sinistra, inerpicandosi tra case coloniche e villette immerse nel verde dei loro giardini, si stagliava maestosa un'antica quercia. Poteva avere cento, duecento o forse anche più anni, ma a loro non era dato saperlo. I suoi maestosi rami erano stati potati da pochi mesi, troncati a una lunghezza decisamente imbarazzante, per l'imponenza del grande albero. Ma la quercia non aveva ceduto il passo ed i tozzi monconi erano tornati a vivere, disseminati di quelle piccole foglie, quasi sproporzionate alle dimensioni dell'albero.

Poco invogliati a proseguire il cammino sempre più in salita, si sedettero sull'erba che cresceva a ciuffi tra le radici della vecchia quercia. Un lanterna, vecchia ed arrugginita, penzolava da un perno infisso nel legno del tronco chissà quanto tempo prima. La piante era cresciuta, inglobando parte del metallo, abbracciandolo e chiudendolo dentro di sé.

Una piccola luce dentro la lanterna dai vetri opacati dal tempo illuminava debolmente attorno a sé, creando ombre intricate nel largo tronco della quercia.

La ragazza guardò in su, chiedendosi per l'ennesima volta chi fosse la misteriosa mano che ogni sera passava ad accendere la pallida luce. Il ragazzo l'abbracciò a sé e lei dimenticò in fretta quella domanda ricorrente che non trovava mai risposta.

Una lieve brezza si alzò, come la mano amorevole di una madre arruffa gentilmente i capelli della propria bambina, in una carezza che fece frusciare le giovani foglie sui rami antichi. Una lucciola girò attorno al perno di metallo che reggeva la lanterna, mandando bagliori intermittenti al suo passaggio, per poi posarsi sulla copertura arrugginita. Mosse le sue zampette rapide, scendendo lungo l'incrinatura di uno dei vetri.

Una piccola mano si posò sul lato interno del vetro, facendo volare via la lucciola. Il piccolo gnomo dentro la lanterna osservò melanconico l'insetto allontanarsi, col suo insistente lampeggiare monotono e regolare. Si sedette sul minuscolo scranno nell'angolo e osservò la campagna circostante con lo sguardo velato dalla tristezza. I due giovani sotto di lui si stavano allontanando a loro volta, diretti verso casa o, forse, verso un altro luogo.

Non lo sapeva, non l'avrebbe mai saputo.

Ma il suo compito non era quello di conoscere le cose, lui doveva soltanto svegliarsi ogni tramonto ed accendere la piccola lampada sferica che si trovava al centro della sua altrettanto piccola dimora. Un gesto delle sue mani, un lieve sfioramento sul vetro, e la luce, con un singhiozzo, cominciava ad emanare al di fuori dei vetri.

All'arrivo dell'alba, con un altro agonizzante singhiozzo, si spegneva, mentre il piccolo gnomo eterno chiudeva gli occhi in un sonno monotono, sempre uguale, come il ritmico lampeggiare di una lucciola.

2 Commenti


Commento consigliato

Ti ringrazio. In effetti, il finale ha dato quella sensazione anche a me, perché è scaturito da solo. Mentre scrivevo non sapevo come si sarebbe concluso il racconto, è come se il finale già esistesse e io l'avessi solo "portato alla luce".

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